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Autore: Betelgeuse17    24/08/2015    5 recensioni
A undici anni Talia scopre che i mostri non abitano solo sotto al letto e che un amico può sostituire un padre assente e una madre sbronza.
A dodici impara che la famiglia non è solo un legame di sangue.
A sedici si sveglia con il profumo di pino tra i capelli e capisce che Afrodite è la più crudele delle dee. A sedici combatte la sua prima guerra e muore per la seconda volta.
Dimostra ancora sedici anni, ma Talia ne ha centoquarantasette.
[…]Il mio nome è Talia Grace.
“Grazia” non è esattamente la parola che più si addice alla mia vita, ma una delle poche cose che ho imparato in questi anni è che la Moira ha un terribile senso dell’umorismo.[…]
Seconda classificata al contest Non esiste rimedio all'amore... indetto da aturiel sul forum di Efp
Genere: Angst, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Luke Castellan, Talia Grace, Talia/Luke
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Seconda classificata al contest Non esiste rimedio all'amore se non amare di più indetto da aturiel sul forum di Efp.
Storia partecipante alla challenge Otto fandom e una valanga di prompt indetta da kuma_cla sul forum di Efp.

Nota legale: Percy Jackson & The Olympians © 2005, Rick Riordan.
Il qui presente intreccio è da considerarsi proprietà esclusiva dell'autrice; pertanto, non può  essere riprodotto - totalmente o parzialmente - senza il consenso di quest'ultima.
Avvertimenti: Missing Moments;
Note: Questa storia è stata un luuhhngo parto.
La scena del discorso di Talia me la sono palesemente inventata #paracula. Ah, ho scelto di mantenere "Talia" e non "Thalia" perché sull'edizione italiana è usato la prima forma.




Keep me in mind


Tutte le anime degli uomini sono immortali,
ma le anime dei giusti sono immortali e divine.
(Immortals)


Il mio nome è Talia Grace.
Grazia” non è esattamente la parola che più si addice alla mia vita, ma una delle poche cose che ho imparato in questi anni è che la Moira ha un terribile senso dell’umorismo.
Cercare di uccidere un’undicenne, sbranata da mostri che sembrano usciti dai disegni impiastricciati di qualche dio bambino, ecco, questa è la sua idea di divertimento.
Le arpie, per esempio: con quel ventre pingue e le ali spennacchiate, potrebbero sembrare quasi comiche.
Potrebbero. Peccato poi cerchino di strapparti con i loro artigli gli occhi dalle orbite.
Fatto sta che la mia non è un’esistenza, come dire, convenzionale.
In fondo, è la sorte di tutti noi semidei: prima o poi, inevitabilmente, impari a cavartela.
O a uccidere mostri con una mazza di golf.*
«Pensavo avessi detto fosse un’idea stupida».
Luke si rigira nel suo sacco a pelo, sbuffando quella che assomiglia a una risata ancora troppo addormentata.
«Scrivere un diario è un’idea stupida, Castellan. Io faccio solo un resoconto dettagliato per ricordarmi di tutte le volte in cui ti salverò la vita. Per rinfacciartelo in futuro».
Talia non si degna nemmeno di alzare lo sguardo, stringendo la penna in modo parossistico, come se volesse spezzarla. O usarla come arma contundente (ipotesi non da escludere).
«Okay, te ne do atto. Lo hai fatto una volta sola, comunque. E non ci sei riuscita poi così bene» allunga il braccio a sfiorarle una caviglia e nel farlo mostra un’evidente bruciatura ancora rossastra che va dal polso fino al gomito – nonostante il dolore sia sparito grazie all’ambrosia «E, tecnicamente, sei stata tu a svegliare il drago, in quella grotta».
Uno, due, tre, calma Talia, calma.
«Luke, ci conosciamo da settantadue ore al massimo e ho fulminato un lucertolone squamoso che voleva mangiarti per cena. Credo di meritarmi un minimo di riconoscenza, no?».
Quando alza gli occhi, incontra soltanto un sorriso gentile. Luke slaccia la zip del sacco per mettersi in piedi, poi si stiracchia come un gatto, sussurrando un “quanto sei permalosa” a bassa voce.
«È il mio turno di guardia, my saving Grace»
«Non sei divertente»
«Ah, sapevi che Talia era una delle tre Grazie, figlie di Zeus?»
«Luke!»
Nel frattempo, Talia ha occupato il posto del ragazzo. È così tiepido in una notte particolarmente fredda e buia. Los Angeles era diversa, sempre immersa in un bagno di luce elettrica, con l’afa della città che galleggiava nell’aria della sera e ti si incollava addosso.
Il torpore del sonno arriva prima di quanto si fosse aspettata, inghiotte tutti i mozziconi di ricordi.
«Comunque, grazie»
È un grazie bello. Pulito, genuino, di chi lo pensa davvero.
Questo Luke Castellan non è poi così male.

Talia non ha mai dovuto bisogno di sfoderare le armi, né di combattere, per espugnarlo.
Riesce ad abbattere le difese che Luke Castellan ha innalzato intorno a sé soltanto con due parole: Buon Compleanno. Quello che stringe tra le mani è un pacchetto stropicciato e giallo e dannatamente pacchiano, quella che ha sul volto un’espressione a metà tra il soddisfatto e l’imbarazzato (neanche lei sa, esattamente, come si sente).
Luke in realtà non ama i compleanni.  Per usare testali parole, per lui fanno schifo.
La delicatezza non è mai stata il suo forte.
Il problema principale di Luke è infatti il non riuscire ad accettare il trascorrere del tempo, non quando le statistiche e le percentuali affermano che non arriverai ai vent’anni, non porterai la tua ragazza al ballo di fine anno, non guiderai una macchina, né tantomeno frequenterai il College.
Guarda ancora il regalo con quelle sue iridi troppo azzurre: non c’è paura, dentro, solo una sorta di tristezza.
«Siamo come mosche» sussurra, più a se stesso che a Talia, poi si rende conto di quello che ha detto e sfodera il suo ghigno migliore «gli dei hanno a disposizione un tempo infinito. La durata della nostra vita, rapportata alla loro, è pari a quella delle mosche. Una decina di giorni, se viene bene. O una manciata di ore. Capiscili: davanti all’eternità, t’importerebbe di qualche stupido insetto? Al massimo potrebbe rappresentare un piccolo fastidio».
«Fottiti».
Forse la delicatezza non è nemmeno il suo, di forte.
«E, già che ci sei, scarta quest’orribile confezione, fingiti contento e ringrazia, Castellan. Non ho speso tutti i miei soldi per un appassionato di entomologia».
«Hai davvero speso i tuoi soldi per me? Non dovevi comprarti il nuovo album dei Green Day?» come risposta riceve solo un pugno sul braccio, che arriva più forte di quanto Talia abbia calcolato, ma, in fondo, meglio che nessuno pensi che si stia rammollendo – non è il tipo, lei.
Dentro al pacco c’è un pugnale: è in bronzo celeste, maneggevole e affusolato.
Il manico è istoriato con una pianta di mele, così finemente realizzata da sembrare vera – Luke può saggiarne la ruvidezza della corteccia, i pomi sono d’oro.
«Tre sorelle impiccione mi hanno detto che è nel tuo destino» una spiegazione le sembra d’obbligo, considerando che è da cinque minuti buoni che il compagno la sta fissando a bocca aperta.
Soddisfatta, si allontana per sistemare le provviste negli zaini.
Mentre Talia gli volta le spalle, il polpastrello sfiora distrattamente l’impugnatura: minuscolo, appena sopra l’albero, c’è un fulmine.
«Grace, anche questo è nel mio destino?»

Talia osserva l’alba, un enorme sole sanguigno circondato da nembi soffici e cirri scarlatti.
Non è riuscita a prendere sonno, così ha preferito uscire dal magazzino dove hanno trovato rifugio per la notte appena trascorsa e iniziare a pattugliare il perimetro dell’intero caseggiato. È immenso, tutto in mattoni e amianto, con delle finestrelle sbilenche sbarrate dall’interno con assiti fradici e marci.
La ragazza ha appreso, in questi anni, a non abbassare mai la guardia ma adesso, nella tenue luce di Eos¹, sente sotto la pelle una strana inquietudine, tanto che si sfila dall’orecchio destro la cuffietta dell’ipod durante il ritornello di Wish You Were Here, pronta a sentire ogni minimo fruscio di foglia. Quando capta un movimento alle sue spalle, è l’istinto della guerriera ad avere il sopravvento: l’aggressore non ha neanche il tempo di provare a reagire che Talia lo inchioda a terra, premendo il ginocchio ossuto all’altezza del diaframma.
«Talia, se uccidi ogni ragazzo che ti offre la colazione, credo che, con buone probabilità, morirai sola».
Luke, capelli spettinati e occhi arrossati per la dormita, è steso sotto di lei e la sta fissando implorante.
«Potresti almeno alzarti, comunque»
«Non saresti dovuto uscire» minuscoli lampi elettrici guizzano nel blu dell’iride.
«C’è un temporale nei tuoi occhi».
È una cosa così dannatamente stupida anche solo da pensare e Luke capisce solo troppo tardi di averla detta ad alta voce. Quindi la ripete.
«C’è un temporale nei tuoi occhi. È terrificante» deglutisce «e meraviglioso»
«Sei un deficiente».
Talia scaccia una ciocca nera ribelle dalla fronte e si accomoda sulla pancia di Luke, determinata a non farlo alzare prima di una bella ramanzina.
«C’è una bambina di neanche sette anni che ha rischiato di essere divorata da una chimera, addormentata in un edificio abbandonato e pericolante, completamente al buio. Come pensi che si sentirebbe risvegliandosi e trovandosi sola?»
«Hey, hey, hey, mamma chioccia, Annie sta bene»
«Non chiamarla Annie. È un nome stupido».
Luke scopre l’eburneo dei denti, in un sorriso per un quarto esasperato, per un quarto divertito e per metà addolcito «Quella bimbetta per poco non mi strappava gli occhi dalle orbite, ieri sera. Senza contare che è sopravvissuta da sola per tutto questo tempo, non penso scoppierà mai a piangere. È una tosta, come te»* le dice, mentre le dita risalgono l’orlo dei jeans strappati «e tu sei una che la vita conosce tutte le sfumature e tutte le pieghe».
Per risposta riceve solo un borbottio imbarazzato, un “forse hai ragione” smozzicato, mentre la compagna usa le sue gambe piegate come schienale. Allora resta zitto, immagazzina ogni dettaglio quasi per imprimerlo a fuoco nella mente: il trucco nero sbavato, le lentiggini chiare sul naso, lo spacco sul labbro superiore che fatica a rimarginarsi dallo scontro con Faia di un mese prima; lo smalto nero mangiucchiato sull’unghia del pollice sinistro, la maglietta sdrucita dei Metallica.
La bacia un po’ per sfida, un po’ perché gli sembra bellissima. Per gioco no, non lo farebbe mai.
«Che cosa fate?» Annabeth pigola nel suo pigiama sporco, e non fa in tempo a terminare la domanda che Talia l’ha già spinto lontano da sé con un gesto brusco.
«Ci stavamo baciando».
Luke risponde come se fosse la cosa più naturale del mondo e scrolla le spalle divertito.
«E perché due persone si baciano?».
Talia si è alzata in piedi: non sa se essere più imbarazzata per l’arrivo della bambina o incazzata per la faccia di Luke.
«Perché si vogliono bene».
Ora è notevolmente incazzata con Ermes per aver generato una progenie così imbecille.
«Come una mamma e un papà?» due occhi grigi scrutano il quattordicenne pieni di curiosità, quasi in attesa di conoscere i più reconditi misteri dell’universo.
«Sì, proprio come loro»
«Allora noi siamo una famiglia»
«Vedo che sei più intelligente di quel che sembri, Annie»
«Non chiamarmi Annie! Io sono una guerriera, mica una femminuccia!». Mentre le scuote i capelli Luke soffia un bacio in direzione di Talia. Non vorrebbe, ma alla fine scoppia a ridere.
Tale madre, tale figlia.

Ci sono notti in cui Luke pensa di non potercela fare.
Ci sono notti in cui si sveglia urlando per via di quell’incubo. Più cerca di sfuggire ai ricordi, più questi lo assalgono: è come se stesse nuotando in una boccia per i pesci, piccola e rotonda, in cui è impossibile trovare un riparo, un nascondiglio dalle sue paure e dal suo dolore.
Oppure è scosso da tremiti nel sonno e la paura è un fuoco tenue sotto la pelle e brucia, brucia, brucia. Sogna una corsa spossante e infinita, ricorda i piedi incespicare e il sapore metallico del sangue in bocca. Il Ciclope era comparso dal nulla, quando non avevano né armi adeguate né la forza per battersi ancora: lui aveva perso la propria spada nella fuga rocambolesca dal capannone che faceva loro da rifugio, Annie era spaventata e tremante in braccio a un satiro che ancora non aveva nemmeno le corna.
Ci sono notti in cui Luke si rigira nel letto e rivive quel momento: l’aria crepitante intorno a Talia, il riverbero sull’egida lucida, la fermezza delle sue parole. Era bella e coraggiosa e invincibile.
Eppure è morta.
Come vorrei, come vorrei che tu fossi qui. Eravamo due anime perse, ma io mi sono ritrovato nei tuoi occhi.
E poi ci sono notti in cui la vede ridere vicino a lui, o cantare qualche canzonaccia punk e immagina il sapore della sua pelle sulla lingua – e pensa che no, nessuna scopata o pompino al campo potrà sostituire quel sorriso e quegli occhi e quelle labbra. Quelle, quelle sono le notti che non finiscono mai.

«Ho fatto un sogno stranissimo».
Freddo. La prima, chiara, sensazione che Talia avverte è un freddo pungente a mani e piedi, come se fosse stata esposta troppo a lungo a un vento gelido, o si fosse immersa fino alle ascelle in un torrente in pieno inverno. Deve essere svenuta dopo una bella botta, decide, per non parlare di quell’incubo orribile: era un albero. Un pino alto e rigoglioso, una sentinella a guardia della vallata, che si estendeva alle sue pendici. C’erano pure dei pettirossi tra i suoi rami e insetti invischiati tra la pece densa del tronco. Ogni tanto c’era anche Luke: la fissava dal basso verso l’alto, accarezzava la corteccia e scappava via. Talia non poteva fare nulla per fermarlo, muta nella sua prigione verde.
«Va tutto bene» dice il ragazzo che si chiama Percy. La studia con due occhioni grandi e spauriti decisamente da troppo vicino, ma, nel complesso, non sembra avere cattive intenzioni. In realtà ha solo un’espressione un po’ idiota.
«Sto morendo» Okay, anche questa è un’uscita un po’ idiota, ma Talia si sente a pezzi, vuole solo avvolgersi in una coperta calda e assicurarsi dell’incolumità di Annabeth.
«No, stai bene. Come ti chiami?».
Nel frattempo la giovane si è tirata in piedi: si guarda intorno e in lontananza scorge alcune casupole, un lago e, ancora montati, una serie di bersagli per il tiro con l’arco. Così è questo il Campo Mezzosangue. Aveva un fratello una volta: magari qui ne troverà altri.
«Io sono Talia, figlia di Zeus.»
Alle sue spalle sente un singhiozzo mal trattenuto e subito si accorge di una ragazza in armatura che si asciuga le guance con il dorso della mano. Quando alza il viso Talia riconosce una cascata di ricci biondi e due occhi vispi e grigi. Solo che no, non dovrebbe essere così grande.
Oh.

Ciao Papà,
Percy mi ha spiegato cosa è successo in questi anni: mi hai trasformato in un pino per scampare a morte certa. Percy dice che è un grande gesto d’amore, io penso sia solo la scelta di un gran paraculo: non sei stato propriamente un genitore modello e rapportarsi con il mondo vegetale è più facile che gestire una figlia in piena pubertà. Comunque, ora sono qui, quindi almeno un grazie te lo devo.
Anche se risvegliarsi in piena guerra civile non è proprio una sensazione gradevole. Anzi, è proprio un bel casino: nel Campo si vocifera che Luke sia impazzito e se in questi anni di me un po’ ti è importato, ti prego – ti prego – fallo tornare a casa. Fammi credere in te.
Tua, Talia.
Talia accartoccia la lettera e la getta nel braciere che rischiara la casa di Zeus. Gli eventi degli ultimi giorni sono marchiati nella sua testa, ma è certa che quello non era il suo Luke: il Luke dei ricordi rideva sempre e non aveva cicatrici – né implacabili occhi dorati. Era la voce di un folle quella che aveva parlato, disposto a tutto pur di vedere realizzato il suo sogno di conquista. Nella penombra della Cabina, la figlia di Zeus sente le mani tremare di rabbia e dolore e crack – il suo cuore si spezza di nuovo, perché capisce che avrebbe sacrificato Annabeth per Crono, e avrebbe ucciso lei, e Percy e macellato migliaia e migliaia d’innocenti.
L’ipod gracchia in modalità casuale e la figlia di Zeus inizia a ridere e piangere nello stesso momento quando riconosce la canzone.
E ti hanno portato a barattare
i tuoi eroi con dei fantasmi?
Ceneri roventi per degli alberi?
Aria bollente con una fresca brezza?
Una magra consolazione per il cambiamento?
E hai scambiato una parte da comparsa in guerra
con un ruolo di comando in gabbia?
Vorrebbe rivolgere quelle domande anche a Luke. Crono non li salverà, tantomeno non li vendicherà: possibile che il figlio di Ermes non si rendeva conto di essere caduto in una trappola tanto banale, di essere non un comandante ma un burattino mosso dal Titano?
Schiena appoggiata alla parete di marmo, Talia vorrebbe ricordare le cento e mille e diecimila volte in cui ha salvato la pelle al proprio amico, ma il suo cervello ripercorre in loop il momento in cui ha spinto il ragazzo giù dalla rupe.
L’amore è un cappio, l’amore è un amo. In entrambi i casi, nel cercare di liberartene finisci per ucciderti.
Ed io sono morta con te.
Prende la sacca solo nel momento in cui la fiamma smette di ardere. Nel buio si chiude la porta alle spalle. Alla parete di quello che è stato il suo letto, una nicchia fredda scavata nel marmo, lascia appesa una foto di due ragazzi e una bambina.
Grazie per avermi delusa ancora una volta, Papà.
È inutile pregare l’Olimpo: se vuoi difendere il tuo mondo e le persone che ami, vai lì fuori e combatti.
 
Quando la guerra scoppia davvero, la verità è che anche gli dei sono impreparati.
Artemide, nella tenda delle sue cacciatrici, afferra un arco d’argento e rizza la schiena. Eùskopos iochéaira², cantava il cieco di Chio: saettatrice infallibile. Ma era un altro tempo e un’altra storia. A Talia Artemide, sua sorella Artemide, sembra solo una bambina spaventata sulla quale pesa la gravosità dell’essere divina.
Pensa a noi, condannati da un 50% di DNA.
La metà dei soldati schierati sul campo di battaglia – sull’intera fottuta New York anestetizzata e indifferente – non hanno nemmeno quattordici anni e probabilmente non festeggeranno il prossimo compleanno. Anche Achille era solo un bambino quando l’hanno chiamato alle armi, ma almeno Teti ha avuto il buon cuore di non mandarlo impreparato al macello.
Talia esce all’aria aperta e alza lo sguardo; il cielo sopra la sua testa è una pozza scura e ribollente: ha appena spiovuto e l’acqua minaccia di riprendere a scrosciare prima che si siano asciugati del tutto.
L’egida riflette il grigio delle nubi dense.
«Elpis³ ha fatto bene a restarsene nel vaso di Pandora, non trovi, sorellina?» Apollo si è materializzato al suo fianco con tanto di spider e la fissa da sotto in su seduto sul cofano lucido. Biondissimo e abbronzato, non sembra turbato dal pericolo imminente e Talia ha l’impulso di strozzarlo.
«Non guardarmi con quella faccia. Ho appena supervisionato l’allestimento delle tende del pronto soccorso, non sono così irresponsabile. La cabina di Apollo non si farà cogliere inadeguata all’emergenza, posso starmene tranquillo. Quei ragazzi sono in gamba – e beh, non a caso, sono figli miei» nel dirlo le fa l’occhiolino e si rimette alla guida.
«Apollo?»
«Mh?»
«Cerca di non farti ammazzare, mi devi una lezione di guida». La sua famiglia non è poi tanto male.
Inoltre è bella, la risata di un dio.

Dicono che la morte sia spaventosa, dolce, improvvisa, calcolata, inevitabile.
Che sia libertà o destino. Dicono che la morte sia un sogno, un’amica e il male peggiore di questa terra.
Dicono che quando lascerai questo mondo tutta la tua vita ti passerà davanti agli occhi: ripercorrerai i bivi cruciali, ricorderai i momenti felici e ogni singolo sbaglio commesso.
Luke pensa che la gente si sbagli: si pianta il coltello tra la terza e la quarta costola, lo affonda nella carne del torace e non gli sembra di essere né felice né triste. Non sta sognando, non ha paura, non sente alcun dolce torpore avvolgerlo.
Davanti a lui però compare un’immagine, singola e nitida, la stessa che l’ha salvato quando si era immerso nello Stige. “C’è un temporale nei tuoi occhi.”
Ti amo, Talia. Scusami per non avertelo detto prima.
La morte è un atto d’amore.

New York è una carcassa agonizzante, edifici collassati e tetti sfondati come se fossero stati presi a pugni da giganti – cosa non troppo discostante dalla realtà, in effetti.
Talia sbuffa zoppicando, portandosi al centro della spianata che una volta doveva essere un’avenue. Percy è con sua madre, ancora all’ingresso dell’Empire State Building. “Tranquillizzali anche da parte mia”. Dannata Testa d’Alghe.
«È finita. La guerra è finita.» Annuncia e gli occhi di tutti i semidei sono puntati su di lei. Riprende, a disagio «Sono qui per dirvi che d’ora in avanti tutti i semidei saranno riconosciuti, anche i figli degli dei minori. E poi voglio dirvi grazie. Se abbiamo vinto questa battaglia il merito è tutto vostro – nostro.
Sarà difficile ritornare alla vita di prima: oggi tutti noi abbiamo conosciuto il sangue e la morte e abbiamo perso qualcuno. Un fratello, un’amica, un amore. Abbiamo costole incrinate, braccia rotte, caviglie slogate. Ma soprattutto abbiamo ferite qui» indica la testa «e qui» indica il cuore.
«Però vi assicuro che si rimangeranno, dovete impegnarvi affinché ciò avvenga. Non dobbiamo dimenticare, ma dobbiamo continuare a vivere in virtù del sacrificio che altri hanno fatto per noi.»
Due figli di Ermes iniziano a battere le mani timidamente, finché l’applauso non si fa sempre più forte.
«Siete degli eroi e ne avete conosciuti altrettanti».

Talia si sente diversa: meno arrabbiata e meno sola. Le cacciatrici stanno raccogliendo le armi e la chiamano. Finalmente non è più quella ragazzina pelle e ossa scappata da casa tanto tempo prima.
Tra le macerie Zeus le sorride nel suo completo gessato.
Grazie Luke: vorrei che tu fossi qui.

Il mio nome è Talia Grace: cacciatrice di Artemide, figlia di Zeus.
Sono rimasta su questa terra più di centoquarantasette anni, alcuni quali, beh, sotto forma di albero: ho avuto la possibilità di conoscere persone meravigliose, affrontare mostri provenienti delle cavità infernali più profonde, vedere l’uomo evolversi e raggiungere livelli di sviluppo impensabili.
Ho combattuto, ho riso, pianto, amato – e ascoltato buona musica per la strada.
È stata una bella avventura, la vita.
I Campi Elisi brillano, davanti ai miei occhi.


«Ciao Talia» ride « Ti aspettavo».
Gli si stringe addosso «Eccomi, Luke. Eccomi».





Note:
* Ci riferisce all’episodio narrato nel racconto “Il Diario segreto di Luke Castellan” © Rick Riordan;
*¹ Ci si riferisce all’Impresa che compirà Luke e in cui si procurerà la propria cicatrice;
*² Le battute del dialogo sono riprese pari pari da “Percy Jackson e il Mare dei Mostri” © Rick Riordan;
*³ Quella che trova Jason #myfeelings;

¹ Personificazione dell’Aurora;
² Omero, Odissea;
³ Personificazione della Speranza.
  
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