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Autore: Cladzky    27/08/2015    2 recensioni
Buongiorno gentili lettori, io sono Cladzky, autore e presentatore della raccolta che state per leggere. Prego ditemi i vostri nomi.
Genere: Demenziale, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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RACCOLTA HORROR
 
Buongiorno gentili lettori, io sono Cladzky, autore e presentatore della raccolta che state per leggere. Prego ditemi i vostri nomi.
Allora non mi parli? Chiedo perdono se voglio rompere la quarta parete! Ecco il signore al tuo fianco me lo ha detto, perché tu dovresti essere diverso?
D’accordo non è importante, adesso cerchiamo di recuperare il filo del discorso.
State pronti figliuoli miei, perché quello che vi racconterò non è certo adatto alla vostra età, e non venitevi a lamentare, avete pagato il biglietto e non sono accetti rimborsi.
Quello che leggerete sono storie di paura e follia, umorismo sadico e terrore che scorre nelle vene dei protagonisti, racconti raccapriccianti che inquietano e turbano l’anima, che ricorderete e tremerete al solo pensarci per molto tempo, se non per tutta la vita. Siete pronti? E allora cominciamo!
***
C’era tanto tempo fa…
***
Ehi, ferma un attimo come sarebbe a dire che non sei pronto!? Se te la fai addosso il bagno è in fondo a quel corridoio, accanto alla porta per l’area per bambini. Guarda te che gentaccia irrispettosa!
Mentre lo aspettiamo se volete favorire popcorn, patatine e Fanta si vendono al chiosco qua fuori.
Tutto pronto ora? Bene! Allora gettiamoci in questo vortice di orrore e angoscia!
***

SPARI
 
Mi annoio. Non posso stare tutto il giorno davanti a questo telefono. Vorrei solo uscire di casa, se solo mio padre me lo permettesse. Da giorni si è fissato col fatto che là fuori è pieno di cinghiali. E’ quasi da due settimane che siamo barricati qui dentro, a girarci i pollici. Se non ci fosse Internet a quest’ora sarei morta e sepolta due metri sottoterra. Prodigi della tecnica moderna!
Ogni giorno è il solito tran tran. Mi alzo tardi, poiché non ho più niente da fare durante la giornata, faccio colazione e saluto mio padre che si prepara ad uscire a caccia. Si mette pantaloni mimetici e giubbotto in pelle, berretto e cintura e completa il tutto imbracciando un fucile enorme caricandolo con quell’insopportabile rumore metallico davanti ai miei occhi, che sono intenta a sorseggiare il latte con sguardo perso e stanco.
Cerca sempre ogni volta di tirarmi su il morale, facendo battute su quanti cinghiali ci sono là fuori, raccontando di quanti ne avvistava e quanti suoi colpi andavano a vuoto, cercando di sembrare simpatico ogni volta che si lamenta della sua pessima mira.
E’ praticamente ovvio che mi nasconde qualcosa, ma non ho interesse a domandargli cosa. Ho sempre detestato i discorsi dei genitori, su quanto fanno per noi e tutta la pappardella sempre uguale che tirano fuori. Se mi vogliono far credere che ci sono un sacco di cinghiali là fuori da riempire il ponte di una portaerei allora annuisco e non controbatto.
Ogni maledetto giorno lo passo in camera mia col telefono, a sentire il concerto di spari fuori dalla finestra che si affaccia sulle montagne. Ad essere sinceri i colpi esplosi spesso non sono più di tre o quattro per giornata, eccetto una volta credo l’altro ieri, con più di dieci colpi. Qualunque cosa sia o è una moltitudine o mio padre si diverte a fargli venire un colpo di cuore sparandogli vicino alle zampe.
Ecco uno sparo. Ma stranamente subito seguito da un altro. Pausa. Un altro sparo.
Sembra un messaggio telegrafico, e tendo l’orecchio come per interpretarlo.
Dopo un’altra breve pausa un altro sparo. Il silenzio, forse il silenzio della morte, della vittoria del fucile sulla bestia selvatica si impadronisce della scena, per un tempo di gran lunga superiore alle altre.
Così lungo che perdo interesse di quei suoni e torno a fissare lo schermo del mio telefono.
Ma all’improvviso altri due spari in successione mi fanno comprendere che la bestia ignota che lotta con mio padre non è morta e che lotta ancora per la sua vita, per il diritto della sua esistenza. La mia mente si prospetta altri spari. Forza, so che ce ne saranno altri, non importa quanto dovrò aspettare. Sono rimasta stranamente affascinata da questo dibattito sonoro e immateriali, che si materializza appunto a chilometri di distanza dalla mia vista, nascondendosi alla mia percezione oculare, in una scena fantastica e solo immaginabile.
Ma stavolta la fine è reale e nessuno sparo viene più osato esibire. Chi avrà vinto fra la bestia e il fucile? Sono tutto d’un tratto preoccupata per mio padre. Se gli spari sono cessati è grazie a cosa? Alla morte dell’animale cacciato o del cacciatore, travolto dalla furia vendicativa dell’essere ferito?
No, sto diventando paranoica, come potrebbe una bestia sopraffare un’arma da fuoco, dalla potenza uccisoria certamente superiore a quella delle sue zanne o quant’altro il suo armamentario organico gli permette?
Mi rassicuro e mi metto il cuore in pace, tornando alle mie faccende sul web.
Passano i minuti e sento mia madre uscire di casa, in modo frettoloso. Rimango pensosa e poi impreco in silenzio. Sono tutti usciti di casa oggi a eccezione fatta di me. Loro possono finalmente godersi anche se per poco l’aria fresca e il terreno erboso sotto i piedi mentre io rimango chiusa in questa maledetta casa vuota e silenziosa. Quanto mi rode dentro il fatto che non si sono presi la briga di avvertirmi, come se pensassero che non sarei in grado di stare attenta ad un paio di porci col pelo.
Digrigno i denti. Che escano pure, prima o poi questa dannata faccenda finirà e finalmente riotterrò una vita sociale. Devo solo essere paziente.
E’ scesa la sera e i miei genitori non sono ancora tornati. Deve essere accaduto qualcosa. Provo a telefonare a mamma e papà, ma entrambi non rispondono, lasciandomi nell’orecchio solo un fastidioso e mortorio bip.
Ormai penso al peggio. Papà sarà morto durante la caccia e forse anche mia madre, che ha provato inutilmente a salvarlo dai cinghiali. Sono orfana, penso mentre i miei occhi stanno per cominciare a piangere, sono diventata orfana!
Sento dei passi. Fuori sul sentiero in pietra del giardino, dei passi schioccanti e discordanti. Il mio cuore spera sinceramente che siano loro. Ringrazio Iddio ma la preghiera si interrompe a metà. Non sono i passi dei miei genitori. Chi diavolo può essere allora? Mi avvicino in fretta alla finestra e sgrano gli occhi al dì fuori, per intravedere chi mai può essersi introdotto nel mio giardino. Trattengo un urlo di sorpresa e terrore. E’ un grosso quadrupede dal pelo ispido e marroncino, dall’andatura lenta, causata dall’età tarda. Non gli si vedono gli occhi, protetti sotto folte sopracciglia nere. I suoi zoccoli sbattono sulla pietra del sentiero pesanti e intimidatori, unici rumori udibili nel silenzio totale che circonda quella figura, avvolta da un’aurea di rispetto nei suoi confronti.
Giunge alla porta e prima ci passa il muso sulla superficie, annusandola, per poi cominciare a graffiarla con zoccolate e morsi.
Comincia a mancarmi il respiro. Quel mostro deve avere ucciso la mia famiglia, è facile intuirlo. E ora vuole me. Deve essere quello, il famigerato segreto che mio padre mi nascondeva, che ogni giorno cercava di uccidere, uscendo a caccia. Quell’abominio mi vuole, non si darà pace finché non sventrerà anche me e i miei resti penzoleranno incastrati fra suoi denti. Vorrei smettere di guardarlo, ma non ce la faccio, una voglia irresistibile si è impossessata di me. Non posso fare a meno di guardare i suoi movimenti e studiarlo. E’ una strana e piacevole voglia di curiosità che mi spinge ad andare avanti nel mio sensato ed inutile appostamento.
Presto l’essere pare stufarsi di scalfire il legno della porta e comincia a martellarla di testate. Il terrore mi stringe il cuore in una orribile morsa e la gola si secca di fronte alla paura pura.
Le testate continuano incessanti, martoriando la povera superficie legnosa. Un colpo segue l’altro, in una pioggia di mazzate straordinaria. Rimango a bocca aperta davanti alla forza dell’animale, che nonostante il terribile esercizio a cui è sottoposto, continua nella sua opera distruttrice, con una sicurezza che potrebbe venire interpretata anche come stupidità o ingenuità.
Ed ecco che dopo quel susseguirsi di colpi che paiono destinati a non finire, la porta d’un tratto cede e con un tonfo tremendo cade a terra, spezzando i cardini.
***
Perfetto, fine della storia, forse in modo un po’ frettoloso, ma che ci volete fare, ero stanco quando l’ho scritta! Chi è rimasto deluso alzi un gesto dell’ombrello.
D’accordo, ora li potete anche abbassare. Ho detto abbassare, non alzare anche il medio! Tu ragazzino, i fischi te li puoi anche risparmiare!
Va bene, non era un granché lo ammetto, ma adesso basta infierire. Nell’attesa del secondo racconto vi invito a mettervi comodi, potrebbero passare giorni.
Nel caso non foste disposti di sacco a pelo, potete tranquillamente prenderne uno nel magazzino, controllando però che all’interno non vi sia traccia di droghe o sigarette, il giovedì li prestiamo ai detenuti in riabilitazione.
Buonanotte, ad un prossimo racconto!
   
 
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