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Autore: aturiel    30/08/2015    4 recensioni
Una storia è più semplice iniziarla dalla fine, dal punto in cui tutto si conclude. Ed è così che questa storia va avanti, o meglio indietro, come le vite di Aloïs, Rémy, Stéphane e Maurice.
Le loro vite s'intrecciano con legami diversi, si scontrano e si allontanano, e tutto per trovare la loro felicità nella grande e romantica città di Parigi.
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Terza classificata al contest "Lunghe, anzi... lunghissime!" indetto da Ili91 sul forum di EFP.
Sesta classificata al contest "I only write free!" indetto da MissChiara sul forum di EFP.
Partecipa al contest "Uno sguardo vale più di mille parole" indetto da Himeko Kuroba sul forum di EFP.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Haruka Nanase, Makoto Tachibana, Rin Matsuoka, Sosuke Yamazaki
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Mille anni, poi altri cento'
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Giorno -36, Parigi
Il suono di un nuovo messaggio scosse Stéphane dal torpore che si era impossessato delle sue membra stanche per il troppo lavoro. Aveva incominciato proprio quel mattino un incarico su un'auto piuttosto costosa, ma non capiva cos'avesse che non andava, quindi aveva deciso che, finché non avesse scoperto la causa del guasto, sarebbe rimasto in officina a lavorare, e così aveva fatto. Peccato che, una volta scoperto che il motivo per cui le luci interne si accendevano sporadicamente e per cui, quando scendeva sotto i 20 km/h, la chiusura centralizzata di apriva da sola era una banalissima bolla creatasi nella portiera dopo che il conducente vi aveva chiuso la cintura dentro, si erano fatte quasi le nove di sera e i suoi muscoli ne risentivano. In particolare aveva un dolore sordo alla spalla destra, anche se non ne comprendeva il motivo visto che si era limitato a provare a più riprese l'auto.
Prese il cellulare e vide che il messaggio era di Rémy: «Ciao Stéph, sei libero 'sta sera? Devo parlarti».
Il ragazzo pensò un attimo alla risposta da dargli: in effetti non aveva impegni, ma era talmente stanco da non riuscire nemmeno ad alzarsi dal divano; sarebbe riuscito a vedere Rémy? Scosse la testa, poi digitò la risposta: «Sono libero, vieni» scrisse, e sorrise leggermente facendolo, complimentandosi da solo per il doppio senso che l'altro avrebbe sicuramente colto.
E infatti la risposta fu altrettanto scherzosa e maliziosa: «Certo che verrò, non manco mai».
Stéphane rise un poco: era davvero buffo come quel ragazzo riuscisse a farlo divertire con poco, quando generalmente ci volevano ben più di un doppio senso e di qualche frase allusiva da ragazzini perché un sorriso piegasse le sue labbra. Gli avevano sempre rimproverato di essere una persona fin troppo seria, ma con Rémy passava lui per quello eccessivamente burlone. Non poteva farci nulla se si divertiva da impazzire a farlo arrabbiare, imbarazzare, arrossire e ridere: è che aveva quel non so ché di pacifico il suo viso mentre veniva attraversato da una qualsivoglia di quelle emozioni...!
Trascorsero circa trenta minuti, quando Stéphane sentì la chiave girare nella serratura e la porta bianco ospedale si aprì. Da dietro di essa spuntò la familiare testa rossa di Rémy, il suo fisico slanciato e il solito sorriso storto. Quindi il ragazzo si lanciò sul divano accanto a Stéphane e gli scoccò un veloce bacio sulle labbra per salutarlo. Ma se pensava che a causa della stanchezza quello non avrebbe nemmeno provato a toccarlo, si sbagliava di grosso: Stéphane si allungò, pigramente, e baciò a sua volta l'altro, questa volta tenendogli fermamente il mento con le dita per approfondire il bacio e, con l'altra mano, sfilargli la semplice maglietta verde oliva che indossava.
Stéphane sapeva di non essere perfetto, di non avere i muscoli abbastanza scolpiti per essere definito un culturiste (1), e non aveva nemmeno la fisionomia longilinea di certi ragazzi che, per quanto non fossero il suo genere, non poteva fare a meno di seguire con lo sguardo quando li incrociava per strada. Non possedeva un viso bello convenzionalmente: i suoi occhi erano troppo distanti fra loro, forse dalla forma troppo allungata, le sue labbra erano sottili, il suo naso importante, i capelli lisci quasi sempre spettinati; nonostante ciò era consapevole di avere un certo fascino, un'armonia particolare sotto quell'apparente cacofonia di lineamenti. Sapeva di esercitare un'attrazione molto forte negli altri, e sapeva che i suoi occhi verde smeraldo erano abbastanza intensi da catturare chiunque. Se ne accorgeva ogni volta che Rémy si trovava con lui: appena lo toccava, che fosse con l'intenzione di provocarlo o meno, l'altro aveva un brivido sottopelle e il suo odore maschile si intensificava un poco; e se ne accorse anche in quel momento che Rémy era eccitato, suo malgrado: all'inizio del bacio aveva percepito una certa resistenza che però si era rivelata inutile in seguito. Non aveva voglia di fare sesso, non quando era entrato nell'appartamento per lo meno, eppure adesso non poteva sottrarsi al suo contatto e bramava di più. E lui ne approfittava ogni volta, così da ottenere ciò che desiderava. In realtà non voleva forzarlo, ma semplicemente traeva piacere nel vedere come bastava un tocco per renderlo suo, nonostante tutto. Si avvicinò ancora, iniziò a far scendere le sue labbra sul collo di Rémy, e poi sul suo petto, sul suo ventre, l'inguine... ma poi una mano bloccò la sua discesa. Stéphane alzò il capo e incontrò lo sguardo deciso e allo stesso tempo sorpreso di se stesso del suo amante. Non era mai successo che lo fermasse, non in quel momento, e per questo se ne stupì. Non capiva cosa fosse avvenuto e solo scavando un poco nello sguardo dell'altro poté trovare la risposta.
Presa quella consapevolezza, iniziò a cercare di darle forma, ne levigò i lati, iniziò a modellarne gli angoli e limò i collegamenti in eccesso, quindi tirò fuori una frase: “Rémy è attratto da qualcun altro più che da me”. E n'era certo, assolutamente e irrimediabilmente certo.
Staccò i palmi dal ventre del suo amante, quindi si allontanò un poco da lui. Voleva, per la prima volta, parlare davvero con il ragazzo di cose che non fossero sciocchezze: «Senti, Rémy, tu sai che non sono il tipo di ragazzo che scrive lettere, manda rose e fa sdolcinatezze, ma so di essere bravo a fare sesso. Tu puoi innamorarti di chi vuoi, davvero Rémy, perché so che ci si innamora delle carinerie, non del sesso, ma dimmelo, perché con te non faccio solo sesso, ok? Sono tuo amico».
L'altro fece un'espressione strana, che Stéphane non riuscì a decifrare del tutto, ma era certo di averci intravisto divertimento.
«Non ci si innamora delle carinerie, Stéph, ci si innamora e basta» rispose l'altro, con un mezzo sorriso. Poi, dopo una breve pausa, continuò: «E comunque sì, mi sono innamorato di un altro... e mi dispiace, ma non riesco a non immaginare che ci sia lui qui con me, al posto tuo».
Era sempre stato schietto e diretto Rémy, e per questo Stéphane lo ammirava. Ma in quel momento non poté reprimere un guizzo violento di gelosia, ed era sicuro che si sentisse nella risposta che diede poco dopo: «Hai ragione, non ci si innamora delle carinerie, ho detto una cazzata. Ma senti, se vuoi stare con questo, stacci».
Rémy si morse leggermente le labbra: «Non posso, ha un altro...».
«Lui ti ama?»
«Non ne sono certo, ma di sicuro un po' gli piaccio».
Il giovane rise piano a quelle parole: «'Un po' gli piaccio'... ma dove siamo, alle elementari? Su, dai, sai che voglio sapere se vuole scoparti o meno».
Vedendo lo sguardo di Rémy che velocemente sfuggiva dal suo, Stéphane si accorse di un'altra cosa: «Non dirmi che c'è già riuscito, a fare sesso con te, intendo».
«E invece...» rispose l'altro, con gli occhi che vagavano altrove.
Stéphane era stato preso completamente alla sprovvista: non aveva immaginato che il ragazzo potesse andare così in là, che l'ambiguità della loro relazione potesse permettergli non solo di affezionarsi a qualcun altro, ma anche di portare su un altro livello il loro legame. Aveva creduto che i sensi di colpa l'avrebbero frenato, che non avrebbe mai trovato davvero un'altra persona con cui poterlo sostituire: Stéphane si rese conto di essersi trasformato, suo malgrado, da relazione semi-seria che metteva in campo genuini sentimenti, in passatempo durato più tempo del previsto. E si sentì stranamente infastidito da questo. Era sempre stato lui ce qu'il s'en moque (2), e ora si ritrovava con i ruoli invertiti improvvisamente: Rémy era stato suo per quasi due anni, e ora si allontanava per quello che immaginava fosse uno sciocco ragazzino che non aveva il coraggio di mollare il suo ragazzo, ma allo stesso tempo era abbastanza stronzo da tradirlo? Sospirò, si passò una mano sulla fronte e chiese, con aria stanca: «Da quanto va avanti questa storia?»
L'altro sorrise un poco, come se ricordare le vicende che avevano unito lui e la sua nuova fiamma lo facesse divertire a addolcire allo stesso tempo: «Da circa tre mesi».
«Perché ridi?» chiese quindi Stéphane, ancora più infastidito.
«Perché...» si interruppe, poi continuò: «Senti, vuoi sentire tutta la storia?»
«E va bene, sentiamo tutta la storia» rispose.
Ascoltò con attenzione tutto ciò che era capitato loro, ma percependo sempre di più una sottile rabbia strisciargli sotto le ossa ogni volta che Rémy sorrideva nostalgico, ogni volta che entrava in dettagli più intimi e ogni volta in cui gli scappava una risatina. Alla fine del racconto, un groppo amaro gli si era fermato in gola, quindi sussurrò, più a sé stesso che a Rémy: «Ce qu'il  s'en moque, s'aperçoit trop tard de toi (3)».
«Cos'hai detto, Stéph?»
«Niente, niente. Continua» rispose lui.
E sorrise, amaramente.

 
****

Dire che era emozionato sarebbe stato un eufemismo: quel giorno era uno dei più importanti, dei più speciali, dei più tutto della sua vita. Quel giorno lui e l'insensibile, glaciale, bellissimo, fortissimo Aloïs avrebbero festeggiato il secondo anniversario della loro relazione, e doveva essere qualcosa d'indimenticabile: non si sarebbe limitato ai fiori, alla cena a lume di candela, al film romantico che, una volta al mese, preparava per commemorare il giorno – quel fantastico giorno – in cui si erano messi insieme, no. Questa volta c'era in ballo molto, molto di più, questa volta si parlava di settecentotrenta giorni insieme, ed era un vero e proprio record, non solo perché era la prima volta che riusciva a mantenere salda una relazione amorosa tanto a lungo, ma perché quella relazione era con Aloïs Neveu, mica con la fidanzatina del liceo! Faticava a credere che quel ragazzino taciturno e molto spesso scontroso, che quel giovane dai capelli neri come l'ebano, che quell'atleta che con il suo “io nuoto solo stile libero” si era dimostrato una promessa dell'agonismo francese avesse acconsentito a condividere due anni della sua vita con lui.
Preparò ogni dettaglio alla perfezione: il proiettore dietro le tende bianche, nascosto finché non fosse giunta l'ora di adempiere al suo compito, i petali di rose rosse sparsi per tutta la casa, la lettera scritta su pergamena con penna e calamaio come si faceva una volta piegata accuratamente in quattro sul tavolino nel salone, lo sgombro nel forno, la musica, quella che aveva sentito ascoltando di sfuggita l'mp3 di Aloïs, pronta a essere diffusa nell'aria. Tutto era perfetto, e Aloïs sarebbe impazzito di gioia.
Già s'immaginava il suo volto stupito, la sua bocca leggermente aperta, i suoi occhi azzurri enormi, con quelle ciglia che si dimenticavano per un attimo di battere. E poi il sorriso, il dolce sorriso che si apriva sulle sue labbra, che distendeva i suoi lineamenti e faceva parere tutto più bello e luminoso. L'ultima volta in cui si era potuto godere un'immagine di Aloïs così era stata quando, il primo mese della loro convivenza, si era fatto trovare in camera da letto con le valigie pronte e la promessa di andare insieme in un hotel a cinque stelle per due notti. Era stata un'esperienza molto divertente, oltre che rilassante, soprattutto perché Aloïs, la seconda sera, era riuscito a trascinare il suo pètit ami nella piscina e si era divertito a soddisfare uno dei suoi più grandi sogni erotici... e Maurice non n'era stato per nulla dispiaciuto, anzi.
Si erano fatte le otto di sera, e Aloïs non era ancora tornato dal suo allenamento, ma non se ne preoccupava: quel giorno era così perfetto che niente avrebbe potuto rovinarlo. Nemmeno se lo sgombro si fosse bruciato, se il proiettore non avesse funzionato a dovere, se la musica si fosse inceppata o lo stereo rotto, se le candele avessero bruciato la tovaglia merlettata, se il suo amato fosse accidentalmente scivolato su una manciata di petali di rosa...
No, fermati, Maurice. Ti sta venendo l'ansia: andrà tutto bene.
Fece un respiro profondo, quindi guardò per l'ennesima volta l'ora sul display del suo cellulare: nessuna notifica in vista, quindi Aloïs avrebbe tardato meno di quindici minuti.
Maurice si sedette sulla poltrona e aspettò ancora per qualche minuto, cercando di scacciare tutti i pensieri di morte e distruzione che si stavano affacciando, maliziosi, nella sua mente stanca e agitata. Solo quando sentì la porta socchiudersi si rilassò e si preparò ad accogliere, finalmente, il suo Aloïs. Poi si ricordò del suo piano a sorpresa, quindi, proprio nel momento in cui la mano bianca del suo compagno si infilava nello spazio comparso tra i battenti e il legno scuro, si mise di scatto a carponi per nascondersi da lui, maledicendosi perché la luce era ancora accesa.
«Maurice, sono tornato». La voce leggermente roca di Aloïs risuonò all'interno dell'appartamento. Solo dopo qualche secondo di silenzio Aloïs continuò: «Maurice... ci sei?».
E fu proprio in quel momento che l'altro saltò su da dietro il suo nascondiglio e urlò: «Joyeux anniversaire, mon amour! (4)».
Aloïs guardò di scatto nella sua direzione, fece un piccolo sorriso e infine voltò il viso di lato, come se volesse nascondere una particolare espressione involontaria che i suoi muscoli facciali avevano creato, per paura che l'altro la vedesse. Maurice, però, fece finta di non farci caso e si avvicinò a lui, abbracciandolo e scoccandogli un rumoroso bacio sulle labbra. Quindi lo prese per mano e lo trascinò in cucina, dove l'odore di pesce arrostito aveva ormai invaso tutta la stanza. Lo fece sedere e gli servì una portata di sgombro, che l'altro osservò passandosi, quasi involontariamente, due dita sulle labbra, mostrando il suo appetito.
Aloïs non lo sapeva proprio quanto fosse bello, non riusciva a capire quanto poco gli volesse per far innamorare chiunque, se non del suo carattere schivo – che, Maurice lo ammetteva, era davvero difficile da apprezzare – almeno del suo aspetto. Aveva un qualcosa di ingenuo sotto quei lineamenti tanto delicati, sotto i suoi occhi talmente chiari da parere lastre di ghiaccio, e ogni suo gesto era sensuale inconsapevolmente, cosa che faceva impazzire Maurice. Sembrava che il corpo scolpito e flessuoso da nuotatore si fosse fuso in qualche modo a quello di un adolescente dall'aspetto estremamente femmineo. Era assurdamente bello davvero, Aloïs, e nemmeno se ne rendeva conto.
Prima di sedersi, però, Maurice accese lo stereo e fece partire il CD al suo interno, la cui prima traccia era “The Blower's daughter”, proprio la canzone che aveva trovato in riproduzione nell'mp3 del suo compagno quel giorno in cui aveva, alla disperata ricerca di un regalo per lui, frugato nella sua asettica e impersonale parte di camera. Non che lì ci trascorresse molto tempo, di fatti erano quasi sempre o nel letto matrimoniale, o in salone, o Aloïs si trovava chissà dove per gare o allenamenti, ma a volte lo vedeva che si allontanava da lui e si sedeva sul bordo del suo letto singolo dalle lenzuola azzurro pastello e fissava un qualcosa di lontano, che solo lui poteva percepire. La prima volta in cui era successo era stata quando era tornato da una delle sue competizioni, quella in cui aveva passato le selezioni per le nazionali. Era rimasto lì tutta la sera, senza muoversi di un centimetro e senza nemmeno cenare. Maurice si era molto preoccupato, ma, quando aveva tentato di avvicinarsi e capire cosa lo stesse turbando, era stato allontanato quasi in malo modo con un'occhiata gelida e un “Lasciami solo” secco e infastidito. E il ragazzo ne era rimasto parecchio stupito, soprattutto perché fino a pochi minuti prima Maurice era ancora sdraiato accanto a lui, tra le lenzuola stropicciate dopo che avevano fatto l'amore.
Durante uno di quei momenti di solitudine, però, Aloïs aveva afferrato le cuffie, aveva chiuso gli occhi e, invece che perdersi nel nulla davanti a sé, era affondato placidamente in una melodia. Maurice, quando aveva cercato l'mp3, si era semplicemente augurato che la canzone che l'aveva reso così apparentemente in pace con sé stesso fosse l'ultima riprodotta, e ora la stava diffondendo ad alto volume in tutta la casa.
Aloïs lo guardò un attimo, con gli occhi spalancati, cristallini come non mai. Socchiuse le labbra. Poi ricompose i suoi lineamenti e, proprio nell'istante in cui Maurice aveva sperato – era stato certo – che avrebbe rivisto il sorriso dolce che tanto amava, uscirono invece delle parole: «Non ti ho mai fatto ascoltare questa canzone».
Maurice sorrise, cercando di nascondere l'agitazione e la delusione: «No, l'ho trovata per caso...»
«Dove?»
«Beh, ecco... nel tuo mp3. Non sapevo che cosa ascoltare, e quindi ho pensato che...-»
«Non mi va che frughi nelle mie cose, Maurice».
Il ragazzo deglutì piano: «Hai ragione, Aru, scusami».
Dopo qualche secondo di teso silenzio, Aloïs chiese, come se ci fosse qualcosa di amaramente divertente: «Sai da dove è tratta?»
«No».
«Da Closer. È un bel film».
«Non... non l'ho mai visto» rispose Maurice, con la netta sensazione di aver commesso una gaffe enorme e di non essersene accorto nemmeno.
«Il film parla di tradimento, Maurice».
Sono un couillon, un coglione idiota e stupido. Pensò l'altro, ma ne uscì solamente uno strozzato: «Oh...».
Per la prima volta dopo anni si creò uno strano silenzio, quel genere di silenzio che non è solo mancanza di parole o presenza di troppe parole, ma qualcos'altro che aveva più a che fare con l'imbarazzo. E l'imbarazzo non era mai piaciuto a Maurice, perché gli sembrava sempre che se lo si provava era perché le anime delle persone erano distanti. Lui e Aloïs non si erano mai sentiti così, e la cosa lo spaventava più di quanto avrebbe dovuto.
Maurice scosse la testa, scacciando quei pensieri cupi: c'era un motivo se stavano ancora insieme, c'era un motivo se Aloïs era seduto di fronte a lui quella sera e non da qualche altra parte, e il motivo era che quel giorno erano esattamente due anni che stavano insieme. Non si sarebbe fatto abbattere da qualche sciocchezza come il film da cui è tratta una canzone o il fatto che avrebbe dovuto, prima di diffonderla nell'aria come fosse stato il romanticismo fatto a note, tradurne il testo. Erano errori che chiunque avrebbe potuto commettere, e lui era una persona come tutte le altre, non era perfetto.
Dopo che Maurice si fu alzato a spegnere lo stereo, la cena proseguì in silenzio, interrotto di tanto in tanto solo dal ticchettio delle forchette che battevano sui piatti di ceramica. Quindi il ragazzo prese il coraggio a due mani e chiese: «Com'è venuto lo sgombro?»
«Credo sia un po' troppo cotto. E manca un po' di condimento» rispose l'altro, con il suo solito sguardo gelido.
«Mi dispiace... è che ho voluto tenerlo al caldo fino all'ultimo, ma tu sei arrivato in ritardo e si deve essere un po' bruciato» spiegò Maurice, giustificandosi.
Solo dall'occhiata ancora più gelida che l'altro gli indirizzò capì di aver commesso un altro errore, e questa volta più grave degli altri: «No, scusami Aru, non intendevo...-»
«Invece sì, Maurice. Lo so, sono arrivato di nuovo in ritardo, ma non ero a divertirmi, e lo sai».
«Certo che lo so, scusami».
L'altro, come risposta, si limitò a scuotere leggermente le spalle. Eppure Maurice se ne accorse: le labbra avevano preso una piega rabbiosa e dura, come se ci fosse qualcosa che lo infastidiva a tal punto che sarebbe bastata una parola di troppo a farlo infuriare. C'era un modo soltanto per farlo tornare calmo, e quel modo era fargli sputare il rospo: «Aru, cosa c'è che non va? Lo sai che puoi dirmelo, ti posso aiutare, ti posso capire... oggi deve essere una giornata speciale» sussurrò, con fare protettivo.
L'altro alzò gli occhi: le pupille erano minuscole, le iridi brillavano di un luccichio rabbioso, le sopracciglia erano paurosamente piegate su sé stesse, quasi fossero accartocciate.
Maurice ebbe un secondo e basta per accorgersi di cosa fosse appena successo: il suo mondo era appena esploso. Aru era appena esploso.

 
****

Aloïs si vide come sputato fuori dal suo stesso corpo: percepì la rabbia bruciante sotto lo sterno, il sapore metallico del sangue a raschiargli la gola; le lastre di ghiaccio al posto degli occhi non erano mai state così torbide, i suoi muscoli mai così tesi. Alzò il capo e guardò Maurice.
Un pensiero, una consapevolezza si disegnò chiara nel suo animo. Ti odio.
Sì, lo odiava. Odiava quella gentilezza intrinseca nei suoi modi di fare, quei suoi sorrisi melensi, dolci fino alla nausea, e le scuse dette per non litigare. Odiava i capelli scuri sempre un po' spettinati, i suoi occhi verdi e brillanti, che se una volta gli parevano erba appena tagliata, ora si riflettevano nelle sue pupille come acqua melmosa; odiava il suono della sua voce da ragazzino, le sue spalle ampie e forti che una volta trovava protettive ma ora lo soffocavano. Odiava quella parte di Maurice che lo amava, odiava il suo sguardo tenero ogni volta che lo guardava, odiava le sue carezze, le sue parole, la sua scrittura sui biglietti lasciati tutte le mattine sul tavolo della cucina, odiava il tremolio leggero delle sue gambe quando tornava a casa esausto. Odiava il suo essere sempre accondiscendente, odiava i tratti perfetti del suo volto, odiava il modo in cui faceva sesso con lui, odiava ogni minimo particolare del ragazzo che aveva amato per due anni. Aloïs non voleva essere aiutato, non voleva essere consolato, non voleva essere compreso, amato e adorato. Non voleva sorprendersi davanti a una cenetta romantica, davanti ai petali di rose o al suo piatto preferito; non gli importava di essere felice, triste, arrabbiato, deluso, innamorato, odiato, amato: voleva semplicemente essere libre.
Si alzò di scatto dalla sedia e, senza dire una parola, si rinchiuse nella sua stanza da letto. Sentiva ancora risuonare dentro la sua testa le note malinconiche della canzone che Maurice aveva rubato dal suo mp3. Ripeteva a bassa voce ogni lettera, ognuna di quelle sillabe dure e sleali, quelle dolci e terribili parole che erano diventate la colonna sonora della sua vita.

I can't take my eyes off you
I can't take my eyes off you.

Aloïs rivedeva dieci, cento, mille volte l'immagine di Rémy che si abbassava su di lui, che gli rubava un bacio, che lo sfiorava come si affondavano le mani nell'acqua, con la certezza di non poterla trattenere. I suoi occhi che al buio brillavano quasi purpurei, i suoi capelli rossi, le sue ciglia corte, i suoi denti un po' storti, le sue labbra carnose, i suoi lineamenti affilati, il suo collo massiccio, le sue spalle aguzze ma forti, il suo petto contenuto a malapena nella divisa, i fianchi stretti, le gambe lunghe, i piedi morbidi, le dita forse un poco corte, le unghie mangiucchiate. Non poteva non vederlo, non poteva allontanare l'immagine di lui dagli occhi, anche se in quel momento non desiderava che i suoi tratti fossero così indelebili, che quella pelle sottile e leggermente abbronzata fosse da lui tanto conosciuta da sentirla sotto i polpastrelli. Non avrebbe voluto che, ogni volta che si incontravano, gli sembrasse di vivere in un continuo déjà-vu, come se si fossero amati già in un altro luogo, in un altro tempo, in un altro mondo. Ma la sua mente non riusciva a staccarsi da lui.

The colder water
The Blower's daughter
The pupil in denial.

Aloïs appoggiò la testa contro il muro. Era davvero una brutta persona, era così insensibile, così egoista, così vile. Fuggiva dalle cose belle, le rinnegava con odio; aveva allontanato Maurice perché con la sua dolcezza lo incatenava, aveva tradito Maurice perché la sua debolezza non gli aveva permesso di allontanarsi da lui prima di fargli del male, aveva amato Maurice perché non poteva fare altro, e aveva odiato Maurice perché quello lo amava troppo.
Aloïs era l'acqua più fredda e l'allievo di rifiuto. Aloïs era la figlia del vento.
Nascose la testa sotto il cuscino, sentendo i timidi colpi sulla porta: Maurice voleva capire e non riusciva. Rémy non voleva capire e invece ci riusciva. Come faceva a non arrivarci? Per quale motivo non comprendeva che il suo amore totalizzante lo soffocava? Come riusciva ad amarlo in modo tale da farlo sentire microscopico? Era davvero questo il Grande Amore di cui tutti parlavano? Un amore talmente vasto da strozzare la vita di colui al quale era indirizzato? È insensato odiare chi ti ama troppo. Eppure Aloïs odiava Maurice, odiava lui e sé stesso perché l'odiava.
«Ehi, Aloïs, ci sei?»
No, non ci sono. Non per te, non ora.
«Aloïs, ti prego. Non so cos'ho fatto, ma per lo meno fammi capire...»
Non capire, Maurice. Non devi capire.
«Aru, fammi entrare».
Vedresti quanto ti odio, se ti facessi entrare.
«Aru, ti amo. Non farmi questo, non oggi».
«Oggi è un giorno come altri» rispose questa volta, non riuscendo a sopportare quell'obbligo che l'altro gli imponeva. Perché ieri potevo essere arrabbiato e non posso esserlo oggi?
«Aru! Dai, fammi entrare e ne parliamo».
«Non chiamarmi Aru. Il mio nome è Aloïs».
Il ragazzo concluse così la conversazione, quindi si infilò le cuffie e si addormentò.

Can't take my mind off you
My mind.


Giorno -35, Parigi
Aloïs si svegliò. Non appena aprì gli occhi, la prima cosa che vide fu che era ancora chiuso nella sua stanza, la seconda che si era addormentato con entrambe le cuffie nelle orecchie, la terza che il sole era ancora nascosto dietro le montagne. Si alzò dal letto con un terribile mal di testa e i muscoli stranamente deboli, quindi si avvicinò all'ingresso e girò la chiave. Spalancò la porta e un improvviso peso cadde sui suoi piedi: Maurice si era addormentato all'entrata della sua camera. Aloïs fece appena in tempo a notare i capelli scompigliati, i vestiti stropicciati e le linee di preoccupazione tra le sopracciglia che l'altro aprì gli occhi. Nel momento in cui incontrò quelli di Aloïs, li spalancò, si tirò su in piedi e chiese, preoccupato: «Oddio Aru, stai bene?».
Aloïs annuì, quindi lo superò e si diresse in cucina per prendersi un bicchiere d'acqua, ma non si stupì di sentire che l'altro l'aveva seguito.
«Aru... ti va di parlare di cosa è successo ieri sera?» chiese, con le mani che tremavano leggermente.
Aloïs scosse la testa e si versò l'acqua nel bicchiere di vetro. Ne prese un sorso, quindi porse la bevanda a Maurice che, senza capire, l'afferrò.
«Bevi» gli disse, e l'altro l'accontentò. Quindi fece un respiro profondo e disse: «Maurice, io ti ho tradito».
L'altro spalancò gli occhi: il verde brillante si appannò di colpo di lacrime, una delle sue mani andò a posarsi sulla bocca, premendola forte. Poi cadde, come cade un colosso. Si accasciò davanti a lui, si ruppe come una torre di pietra, il suo cuore scricchiolò e poi s'infranse. E Aloïs si vergognò della fitta di soddisfazione che aveva attraversato il suo cuore per essere riuscito, finalmente, a intaccare quel Grande Amore che l'altro provava per lui. Poi pianse, Aloïs, e non comprese nemmeno il perché di quelle lacrime. Si abbassò e abbracciò l'altro che, per la prima volta, non ricambiò. Le sue lacrime gli bagnarono la maglietta bianca, il suo odore sapeva di paura, di tristezza, di delusione, di fine di qualcosa. Aloïs conosceva Maurice, e sapeva che non avrebbe voluto che si allontanasse da lui, ma che anzi il suo abbraccio lo stava aiutando a ricomporre i pezzi. Maurice non era come tutti gli altri, Maurice era diverso. Si alzò in piedi, ma Aloïs non lo seguì e restò invece in ginocchio per terra, aspettando una risposta che arrivò da lì a breve: «Io ti amo, Aru» sussurrò.
Già, mi ami. Mi ami così tanto...
«Perché mi hai fatto questo, perché?» chiese, ma Aloïs capì che non voleva davvero conoscere la risposta, quindi stette in silenzio.
«Vuoi che ti lasci, così da poter andare da lui... o è una lei? Chi è, Aloïs, una ragazza, un ragazzo? Un uomo?»
«Un ragazzo» rispose.
Maurice sorrise, amaro: «Sai, una volta pensavo fossi quasi asessuale, un essere talmente lontano da chiunque altro che noi comuni esseri umani non potevamo nemmeno sfiorarti con un dito. E invece vedo che in molti possono farlo». Aloïs si rese conto che Maurice stava straparlando, che le sue parole non erano vere, che in qualche modo doveva ferirlo se voleva ricomporsi... e Aloïs si rese anche conto che gliel'avrebbe permesso: se lo meritava, era la punizione per quella scintilla di soddisfazione... sì, era la giusta punizione.
«Ti ha scopato, vero? Si è divertito con te, si è sfogato
Quanto mi ami, Maurice... anche ora vuoi proteggermi, anche ora hai paura che mi abbia solo usato, anche ora vuoi avvertirmi, vuoi dirmi che potrebbe essere stato solo uno sfogo.
«Scommetto di sì: tu sei così bravo a letto, Aru, così bravo... sarà rimasto contento, proprio contento». L'afferrò per le spalle, poi continuò: «E perché ti piace tanto? È ricco? È bello? Oppure è solo perché non sono io che ti piace?»
Non è perché non sei tu, Maurice, è perché lui è lui.
«Forse ti piace come ti scopa, forse pensi addirittura che ti ami... ma non è così, Aru. Solo io ti amo, solo io ti amo così».
«Hai ragione, solo tu mi ami così» rispose Aloïs.
«E allora perché, Aru, perché
«Parce que je veux être libre, Maurice (5)».
«E io non te lo permetto? Credi che lui ti lascerà libero, che non prenderà qualcosa da te, che non pretenderà il tuo amore, se è ciò che vuole?»
Aloïs sorrise dolcemente e con malinconia a quelle domande, quindi rispose: «Non ha bisogno di pretendere nulla da me, Maurice. Tutto quello che poteva avere già lo ha».
Un lampo di consapevolezza si fece strada negli occhi dell'altro, quindi si avvicinò ad Aloïs e lo abbracciò. «Aloïs, io non ti lascerò. Ti perdono tutto, lascio tutto così. Farò finta che non sia successo nulla, che tutto potrà tornare come prima. Ti amo troppo per lasciarti a lui». Aloïs fece per rispondere, ma l'altro lo interruppe e continuò: «Non voglio sapere chi è, com'è fatto, cosa fa di lavoro, da quanto vi vedete; non voglio sapere se mi tradirai ancora, non voglio sapere nulla... tranne se mi ami. Mi ami, Aru?»

Did I say that I loathe you?
Did I say that I want to
Leave it all behind?

Aloïs ci pensò un attimo: l'odio bruciante della sera prima era scomparso, tutta la rabbia e il fastidio che gli provocava la sua presenza non c'erano più, rimaneva solo un grande vuoto, come se tutti i sentimenti contrastanti che aveva provato fossero stati succhiati via da qualcuno o qualcosa. Ma non poteva mentire a Maurice, come non poteva mentire a sé stesso: in quel momento amava il ragazzo di fronte a lui, anche se lo amava nel suo modo egoista, anche se da un momento all'altro avrebbe ricominciato a odiarlo, anche se sapeva che ciò che univa lui e Rémy era qualcosa di totalmente diverso, di tremila volte più profondo e totalizzante, di più folle e logorante, forse più meschino e maligno, forse meno dolce e tenero, ma più reale. Ma amava Maurice, lo amava davvero: «Sì» rispose. E l'attimo dopo, quando le labbra di Maurice si sporsero a baciarlo, l'amore scomparse di nuovo e ricominciò a odiarlo, e solo perché, quelle labbra, non erano di un altro.

'Til I find somebody new.

 
****

Giorno +1, Parigi
Rémy si svegliò e l'odore del cloro lo avvolse. Inizialmente la sua mente ancora assopita si meravigliò, ma poi la sua pelle si accorse che qualcosa di caldo e vivo era sdraiato accanto a lui, e si accorse pure che quel qualcosa lo stava abbracciando nel sonno. Sorrise notando che aveva una lucida capigliatura nera come l'ebano e soffocò una risata quando notò che ogni respiro che emetteva faceva sollevare leggermente un ciuffo dei suoi capelli rossi. Gli posò un piccolo bacio sulla punta del naso, e Aloïs si svegliò dal suo sonno. Si stropicciò un po' gli occhi, quindi lo vide e, dopo un attimo di confusione – la stessa che anche Rémy aveva provato vedendoselo accanto – sorrise dolcemente. Non era la prima volta che lo vedeva sorridere in quel modo, ma generalmente quel curioso piegamento di labbra era indirizzato alla piscina nell'esatto momento in cui si stava per tuffare in acqua, non a lui. Rémy sorrise a sua volta e, con fare scherzoso, gli disse: «Buongiorno, Mister Sorriso».
L'altro, per tutta risposta, si limitò a guardarlo di sottecchi, quindi si mise faticosamente a sedere. E inutilmente, visto che Rémy afferrò il suo braccio e lo tirò nuovamente giù. Aloïs mugolò contrariato, ma si interruppe in fretta quando Rémy lo baciò dolcemente. L'altro ricambiò e approfondì il bacio, tanto che il ragazzo dai capelli rossi decise che era meglio mettersi a cavalcioni sopra di lui per farsi trovare preparato in caso Aloïs fosse giunto alla conclusione che fare l'amore al mattino era un buon modo per iniziare la giornata. Purtroppo, però, l'altro lo buttò giù di nuovo, chiaro segno che Rémy doveva mettere da parte per un po' le sue speranze e accontentarsi dei casti e morbidi baci che l'altro stava continuando a dargli.
Rémy passò la mano sul suo ventre piatto e scolpito, e come sempre si meravigliò della perfezione rasentata da quel corpo e ancor di più per il fatto di essere proprio lui a toccarlo. Poi, in un impeto infantile, iniziò a tirare all'altro dei piccoli pizzicotti, ma, accorgendosi che la quantità di grasso sotto la sua pelle era talmente minima che faceva fatica persino ad afferrarne un po', optò per il solletico. L'altro incominciò a contorcersi tutto, cercando di farlo smettere e al contempo di non scoppiare a ridere, ma alla fine si abbandonò a una risata spontanea e liberatoria.
Rémy si bloccò: se il sorriso dolce era già un grande passo in avanti nella lista di espressioni che il viso di Aloïs era capace di rivolgere a un essere umano, la risata era totalmente inaspettata. Doveva avere un'espressione davvero sconvolta, perché Aloïs, tornato serio, lo guardò e gli chiese: «Perché mi guardi imbambolato?»
Ci vollero parecchi secondi perché Rémy si riprendesse e rispondesse: «Non ti avevo mai visto ridere».
«Ed è così strano?» chiese l'altro.
«Sì molto...» rispose Rémy. Vedendo che però Aloïs aveva scosso le spalle e stava tentando di nuovo di alzarsi dal letto, aggiunse: «Vediamo di farlo diventare un po' meno strano» e si lanciò su di lui nuovamente, facendogli il solletico.
Quando la sua personale battaglia si concluse e le sue orecchie si furono riempite abbastanza di risate di Aloïs, stampò l'ennesimo bacio sulle labbra dell'altro e scese dal letto, alla ricerca dei boxer che la sera prima erano stati lanciati via da Aloïs nella foga di spogliarlo. Una volta trovati, se li infilò velocemente e si diresse in cucina per preparare qualcosa da mangiare per colazione. Non era mai stato tanto felice che fosse domenica e che la pasticceria fosse chiusa: lui e Aloïs avrebbero trascorso l'intera giornata insieme, e gli pareva ancora un sogno.
Dopo poco anche Aloïs arrivò in cucina e si mise a rimestare nel freezer; Rémy, non capendo cosa stesse cercando, gli domandò: «Che cerchi lì dentro, Aloïs?»
«Hai uno sgombro?» chiese l'altro di rimando, invece che rispondergli.
«Ho un cosa?»
«Uno sgombro».
«E che ci vuoi fare con uno sgombro, scusa?»
«Mangiarlo».
Rémy alzò un sopracciglio, quindi scoppiò a ridere. Non si preoccupò dell'espressione a metà fra l'infastidito e lo stupito di Aloïs, e nemmeno del ventre che incominciava a fargli male: Aloïs mangiava sgombri a colazione, e la cosa lo divertiva talmente tanto che non riusciva a smettere di ridere. Non appena si fu ripreso, si avvicinò ad Aloïs e lo abbracciò, quindi lo baciò e gli disse, ancora con il sorriso sulle labbra: «Sei proprio strano, caro Neveu» poi aggiunse: «E ti amo».
Aloïs lo guardò un attimo, poi lo baciò a sua volta e, con le mani ancora sui suoi fianchi, rispose: «Je t'aime, Rémy, et je t'ai toujours aimé (6)».

 
****

E così siamo giunti alla fine, o meglio all'inizio, della nostra storia. Il bellissimo Aloïs Neveu è felice e contento – e, attenzione attenzione, ride pure! –, il pimpante Rémy ha qualcuno da cui farsi abbracciare anche dopo il sesso, quel mago della meccanica di Stéphane è sparito dalla circolazione, ed evidentemente non vuole essere trovato visto che tutt'ora non conosciamo la sua posizione, e il gentile Maurice si è liberato di colui che amava talmente tanto da annullarsi per lui. Non vi pare che l'inizio di questa storia sia quanto di più confortante e promettente ci si possa aspettare?
Certo, non conosciamo la fine di tutte le loro vicende, non di quelle appena nate, ma se il buongiorno si vede dal mattino, non possiamo che essere ottimisti.
Ora salutate con il fazzoletto bianco tutti quanti, date un umidiccio bacio sulla guancia a questi quattro individui un po' speciali e una pacca sulla spalla d'incoraggiamento a ognuno di loro, che ne avranno bisogno... e leggete bene le ultime lettere di questa banale e allo stesso tempo curiosa storia:


 
The beginning.






 

Note autrice:
1 → palestrato;
2 → quello che se ne frega;
3 → quello che se ne frega, alla fine si è accorto troppo tardi di te;
4 → Buon anniversario, amore mio!
5 → Perché voglio essere libero, Maurice;
6 → Ti amo, Rémy, e ti ho sempre amato.

Ed eccoci arrivati alla fine della terza mini-long. Inizio ad avere un po' paura di concludere questa serie xD.
Dunque, la parti in inglese sono pezzi di lyrics della canzone “The Blower's daughter”: inizialmente non volevo metterli, ma rispecchiavano così bene i sentimenti di Aloïs che non ho resistito. E poi tutta la fic è nata praticamente da quella canzone, quindi in qualche modo dovevo farla comparire. La traduzione si può trovare tranquillamente in questo link.
In realtà, per questa volta, non so nemmeno io cosa scrivere: ho tirato un sospiro di sollievo enorme quando ho scritto le ultime due parole, perché scrivere così tanto per me è stato davvero stancante e difficile... ma anche bello. Quindi ti ringrazio, giudiciA, per aver indetto questo contest ^_^.
Ah, per quanto riguarda il prompt: alla fine l'ho cambiato perché non c'è un vero e proprio “doppio gioco” , anche se tutta la storia è basata sul tradimento, un po' perché non mostro scene in cui uno dei due fa di tutto per non farsi scoprire dal suo petit ami (ormai ci ho preso la mano, a scrivere in francese ._.), un po' perché entrambi confessano il tradimento. Invece “legame” mi sembrava più appopriato: c'è il legame fra Stéphane e Rémy, quello fra Maurice e Aloïs e, quello più forte, tra Aloïs e Rémy, ma anche, volendo, quello “nascosto” fra Stéphane e Aloïs, che passa attraverso Rémy. Gli altri prompt da cui ho preso, parzialmente, ispirazione sono: “pasticceria” (lavoro di Rémy), “black out” (scena dell'ascensore), “bilocale” (casa di Stéphane), “nave che affonda” (o meglio, “nave” e basta... per quel monologhino all'inizio di Aloïs).
Poi vorrei specificare un'ultima cosa: l'ultima battuta di Aloïs, quella in cui dice per la prima volta direttamente a Rémy che lo ama, nella seconda parte dice “ti ho sempre amato” perché fa riferimento al prima, a quei déjà-vu che entrambi hanno durante i loro incontri e a quella sensazione di conoscersi da sempre.
Infine, poi la smetto, vorrei ringraziare infinitamente
IseyZ che ha betato questa storia e mi ha dato una mano per le traduzioni in francese che prima erano scopiazzate pedestremente da Google Traduttore.

A presto,

Aturiel.
   
 
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