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Autore: Curiosity    02/09/2015    3 recensioni
- Bella?-
- Mh?-
- Dov’è la tua stella?-
Bellatrix alzò un braccio e ne indicò una molto luminosa con la mano.
- Quella lì. È la spalla del cacciatore nella costellazione di Orione. Proprio vicina a quella del Cane, che fedele rincorre il suo padrone nella caccia. - Bellatrix rotolò su un fianco e guardò Sirius negli occhi – Un giorno sarai tu a corrermi dietro, proprio come fa la tua stella con la mia. -

.
Ovvero quello che sarebbe successo se Bellatrix non fosse stata matta da legare e si fosse innamorata di Sirius.
Genere: Drammatico, Erotico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Sirius Black | Coppie: Sirius Black/Bellatrix Black
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Note: Ho scritto questa fanfiction un numero innominabile di anni fa, quando ero ancora al liceo, ma per qualche motivo non l'ho mai pubblicata. Ritrovandola ho provato l'irrefrenabile impulso di cambiare quasi tutto e riscriverla daccapo, ma sono troppo pigra per farlo, quindi l'ho lasciata così com'era. Bellatrix è molto OOC, e per motivi di trama qui è coetanea di Sirius. 

 

Ebano

 di Curiosity

 

“Sono nata dove la pioggia porta ancora il profumo dell’ebano,

una terra là dove il cemento ancora non strangola il sole.

Tutti dicevano che ero bella come la grande notte africana,

e nei miei occhi splendeva la luna.

Mi chiamavano la Perla Nera.”

                                     Modena City Ramblers, Ebano

 

Perle argentee di gelida pioggia cadevano piano, leggere come farfalle, bagnando i morbidi capelli d’ebano della donna. Le gocce si posavano tra le ciglia degli inquietanti occhi violetti, brillanti come cristalli ma simili a lacrime gelide, infrangendosi sul resto del suo esile corpo ammantato di scuro e scivolando via lievi nel fragore incessante delle acque.

Il vento dell’Ovest agitava il mare, sollevando ampi schizzi d’acqua che andavano ad infrangersi sulla scogliera, fragorosi, con uno schiocco simile al collassare di un vetro o a una risata isterica. Onde su onde, senza posa, si riversavano sulla spiaggia mangiata dal mare, di cui ormai non rimaneva che un sottile lembo di terra e sassi, a ridosso di un’alta parete di roccia da cui i gabbiani si lanciavano divertiti nel vento. Lei sola, in quel quadro caotico, era immobile, i capelli che danzavano nell’aria come onde più scure delle altre.

I suoi occhi – pozzi nebbiosi di un violetto intenso, addolcito dal riflesso grigio del cielo settembrino – si posavano inespressivi sull’orizzonte, fin dove l’occhio poteva spingersi, sulla sottile linea sfumata dell’infinito, senza in realtà vederla veramente. Con una mano sottile accarezzava la parete di roccia a cui era appoggiata, sentendo sotto le dita le imperfezioni scolpite sulla pietra. Le piaceva quel posto. Lo conosceva da sempre e da sempre lo amava. Da quando era bambina e si divertiva a nascondersi tra gli anfratti scavati dal vento, o da quando con le sue sorelle si tuffava nella fredda acqua spumosa e nuotava fino a non avere più fiato per poi restarsene lì, a galla, ad osservare le nuvole rincorrersi nel cielo.

A quella piccola insenatura della costa erano legati i ricordi più felici del suo passato. Per questo la amava tanto. Per questo, e perché era così simile a lei: aspra e rocciosa, affilata e solitaria, eppure dotata di una bellezza che andava al di là delle comuni definizioni. Così se ne stava lì, ferma immobile, nel tumulto della mareggiata, con lo sguardo perso nel punto d’incontro di cielo e mare. Quando finalmente si mosse, il suo passo era silenzioso e sfiorava la sabbia in una carezza priva di rumore, quasi fosse stata incorporea. Quasi non fosse stata lì.

Le nuvole viaggiavano veloci sopra di lei, una coltre spessa di un bianco sporco, portando a poco a poco via la pioggia. Sotto quel cielo nebuloso che sbiadiva col suo riflesso ogni colore, la donna si portò fin sulla riva, il bel volto segnato pesantemente dalla stanchezza, la spuma delle onde che le lambiva morbida i piedi nudi. Lentamente si arrampicò su una fila di scogli, e saltando con agilità di pietra in pietra si portò fino al più lontano, quello che si affacciava sul mare aperto, l’ultimo prima dell’infinito dell’oceano. Osservò i flutti danzare rabbiosi, gemelli al tumulto di sentimenti che si agitavano nel suo petto come se volessero esplodere, di quel blu profondo che ricordava il cobalto, così simile agli occhi di lui. Ed era quel colore che cercava sempre più di ogni altra cosa quando aveva bisogno di sentirsi rassicurata, o anche solamente di pensare, come quel giorno. Con una piega amara della bocca si inginocchiò sullo scoglio e ripensò al suo passato. A ciò che era stato e che rimpiangeva. A ciò per cui si sentiva in colpa ma che allo stesso tempo non avrebbe cambiato per nulla al mondo.

*

Era la notte del Solstizio d’estate. L’aria era calda e frizzante a contatto con la pelle sudata della bambina. Stava accucciata in mezzo ai cespugli del parco, e l’erba le accarezzava le gambe nude col suo tocco ruvido.

Avanzò a gattoni il più silenziosamente possibile, seguendo con lo sguardo violetto una figura solitaria che risaliva il sentiero semibuio. L’ombra strascicava pesantemente i piedi sul selciato, avanzando a testa bassa coi capelli troppo lunghi che gli cadevano sul viso. Bellatrix non poteva vederne il colore nel buio ma sapeva che erano neri come la notte. Neri come i suoi.

Avanzò ancora di qualche passo sempre accucciata tra le frasche, decidendo poi di uscire allo scoperto e prendendo a camminare silenziosamente dietro il suo meditabondo cugino. Era così concentrato nei suoi pensieri che nemmeno la sentì avvicinarsi.

- Sai, dovresti smetterla di pensarci. – esclamò, osservando con piacere il sobbalzo del bambino che si voltò a guardarla.

- Bella, mi hai fatto prendere un colpo… devi smetterla di seguirmi ovunque vado. – si lamentò lui.

- Intendo a quello che hanno detto i tuoi genitori poco fa alla festa – continuò lei senza prestargli la minima attenzione – Non serve che ci rimugini sopra, e non serve che te la prendi così tanto. Devi semplicemente accettarlo. -

Sirius emise una risatina di scherno, così simile alla sua.

- Accettarlo? Bellatrix, stiamo parlando della mia vita! Non ho alcuna intenzione di stare alle loro regole. Io voglio viaggiare, vedere il mondo, non rinchiudermi in qualche vecchio castello ammuffito e ridurmi come loro!-

- Ma non puoi farci niente – disse lei avvicinandosi. Aveva le ginocchia sporche di terra e il vestitino bianco spiegazzato, ma la sua bellezza di bambina di dieci anni rimaneva intatta – Perché devi sempre fare il ribelle? Se continui così inizieranno a trattarti come trattano quella stramba di Andromeda! -

- Non mi interessa come mi trattano…- disse lui scuotendo la testa, e la frangia più lunga del dovuto gli ricadde sugli occhi. La scostò con un gesto svogliato della mano, guardando altrove. Lo sguardo della cugina lo metteva a disagio. Anche se erano praticamente coetanei e lui era più alto di lei di una decina di centimetri, c’era qualcosa in Bella che lo faceva sempre sentire in soggezione e irrequieto.

- È solo questione di tempo…- mormorò lei – Loro non vivranno per sempre. Devi solo aspettare qualche anno, tutto qua. – disse con voce tranquilla.

- E scendere a compromessi per metà della mia vita? No, grazie. – rispose lui.

- Facendo così li aiuterai a distruggerti. – constatò lei con crudele sincerità.

Sirius strinse i pugni, scaldandosi.

- E tu allora?! – esclamò arrabbiato – Continuerai a fare la brava bambina solo perché ti conviene? Non hai qualche desiderio?-

- Ciò che desidero non ha importanza. – mormorò - Ciò che importa è quello che posso diventare. Ed essendo nata in una famiglia importante anch’io posso essere importante. – un sorrisetto obliquo e vagamente inquietante si dipinse sulle sue labbra solitamente imbronciate – Quando lo sarò diventata questa famiglia non mi servirà più e sarò libera. Tutto qui. -

Sirius la guardò stranito. Sapeva che sua cugina adorava avere potere sugli altri, ma la sua sembrava quasi… un’ossessione.

Scosse la testa abbassando lo sguardo, e non disse niente. Bellatrix si torturava il labbro con i denti e si dondolava sui piedini, come chi muore dalla voglia di dire qualcosa anche se vorrebbe trattenersi. Alla fine il desiderio vinse sulla prudenza e con uno scatto afferrò le mani del cugino nelle sue. Al suo tocco – gelido a dispetto della temperatura – Sirius trasalì e arrossì nel buio.

- Sirius, potresti averlo anche tu! Il potere, intendo! Anzi, potremmo averlo insieme! – esclamò con voce allegra – Tu ed io siamo diversi dagli altri! Narcissa, Dromeda e Regulus non sono niente in confronto a noi. Io e te insieme saremmo imbattibili! Nessuno potrebbe fermarci!-

I suoi occhi brillavano di una luce strana, infervorata, e le sue manine stringevano quelle di Sirius in una morsa. Lui si affrettò a divincolarsi.

- Cosa dici, Bella!- esclamò a metà tra l’imbarazzato e lo spaventato – Sembri pazza come zia Callidora! –

Il sorriso scomparve dalle labbra della bambina e la sua espressione si rabbuiò mentre riprendeva a mordersi il labbro, visibilmente pentita di essersi fatta sfuggire quei pensieri. Calò il silenzio fra loro due, e per diversi minuti si limitarono a camminare fianco a fianco nell’enorme ed incredibilmente curato giardino della tenuta dei Black. Bellatrix manteneva ostinatamente lo sguardo a terra, offesa, e Sirius evitava di guardarla. A un certo punto giunsero in una radura completamente ricoperta di belle di notte, le cui corolle multicolori scintillavano alla luce di minuscoli puntini luminosi che si posavano su di loro.

- Bellatrix, guarda!- esclamò Sirius strattonandola per il braccio. La bambina sollevò lo sguardo e rimase a bocca aperta davanti allo spettacolo del giardino disseminato di centinaia di lucciole che sciamavano nell’aria notturna, avvolgendo la radura in un magnifico chiarore soffuso. Si portò le manine alla bocca e continuò ad osservare ad occhi sgranati i piccoli insetti posarsi sui petali colorati come piccoli gioielli iridescenti. Mosse un passo e poi un altro, addentrandosi affascinata in quella foresta di piccole luci.

- Bella, aspetta, dove vai?- le gridò dietro Sirius, e la bambina si voltò verso di lui per intimargli di seguirla, ma inciampò e cadde sull’erba morbida, spaventando le lucciole che si alzarono in volo. Sirius la raggiunse preoccupato e la aiutò ad alzarsi. Bellatrix sorrise e riprese a correre tra gli sciami di lucciole in movimento, tenendo le braccia aperte come se potesse volare con loro, ridendo e facendo giravolte su se stessa. Lei non lo sapeva, ma Sirius l’avrebbe sempre ricordata così da quel momento: scarmigliata, un semplice vestitino bianco addosso mentre rideva circondata dalle lucciole.

Le piccole lucine evanescenti si spostarono, volando sempre più in alto, fino a che non lasciarono la radura, che tornò ad essere avvolta nel buio. Bellatrix si lasciò allora cadere sul prato, il fiato corto e il torace ancora scosso dalle risa. Il cielo notturno era trapunto di stelle e una lieve luce illuminava i loro volti. Sirius si sedette vicino alla cugina, osservando le ultime lucciole allontanarsi nella notte.

- Pensi che siano ancora lassù?- chiese la bambina osservando il cielo.

- Bella, quelle non sono lucciole, sono stelle…-

- Non parlo delle lucciole… parlo dei nostri antenati. -

Sirius la guardò con fare interrogativo e lei ridacchiò.

- Mio padre mi ha detto che quando noi Black moriamo i nostri spiriti vanno sulle stelle che portano il nostro nome. Secondo te è possibile?-

Lui sorrise.

- Zio Cygnus ha sempre avuto troppa fantasia…- mormorò.

- Sempre meglio di zio Orion che è un gran musone!- lo rimbeccò lei.

- Non ho mai detto che mio padre sia simpatico…- rispose – Perché ti è venuto in mente?-

- Perché dovrebbero essere tanti, sai? La nostra è una famiglia molto antica… e ci sono un sacco di persone che hanno avuto lo stesso nome. Sai quanti Sirius Black ci sono stati?-

- Non ho mai avuto voglia di studiare i nostri alberi genealogici, lo sai…- mormorò lui a mo’ di risposta.

- Quattro. Quattro Sirius Black riposano nella costellazione del Cane Maggiore. E tu sei il quinto. – disse lei.

- E quando morirò finirò all’inferno e non su una stupida stella da primato come vorrebbero i nostri parenti. – sbottò Sirius. Bellatrix non disse niente e si limitò a continuare ad osservare il cielo.

- Bella?-

- Mh?-

- Dov’è la tua stella?-

Bellatrix alzò un braccio e ne indicò una molto luminosa con la mano.

- Quella lì. È la spalla del cacciatore nella costellazione di Orione. Proprio vicina a quella del Cane, che fedele rincorre il suo padrone nella caccia. - Bellatrix rotolò su un fianco e guardò Sirius negli occhi – Un giorno sarai tu a corrermi dietro, proprio come fa la tua stella con la mia. -

Sirius scoppiò a ridere, scuotendo la testa e dandole un bacio sulla fronte.

- Sì, certo, Bella… come no. -

*

Era sempre stato così Sirius. Beffardo, pronto a ridere di qualsiasi cosa, anche della più seria. Era un lato del suo carattere che Bellatrix al tempo stesso aveva amato e odiato, come tutto ciò che lo riguardava, del resto. Non sapeva dire perché proprio Sirius. Non sapeva dire cosa esattamente di lui l’avesse catturata, a tal punto da farle provare per lui il sentimento più sconvolgente e autodistruttivo della sua vita. Neanche per Rodolphus aveva mai sentito niente di così forte, eppure erano sposati da anni e ormai lui era l’unico che le rimaneva, l’unico su cui poteva contare veramente. Ma sapeva di non amarlo. Lo sapeva dal giorno in cui aveva detto sì davanti all’altare, come l’aveva saputo ogni giorno per tutti quegli anni, durante i quali aveva vigliaccamente desiderato che non fosse lui a tenerla tra le braccia al mattino, a stringerla nella notte, a sussurrarle parole senza senso nell’orecchio. Ma ciò che lei desiderava non avrebbe mai potuto averlo, e l'aveva sempre saputo.

Fin dal giorno in cui tutto era cominciato, o meglio, il giorno in cui il desiderio e la curiosità l’avevano spinta tra le sue braccia, era stata consapevole della stupidità di quel gesto. I loro caratteri erano talmente incompatibili da fare scintille, e quello in cui credevano e che desideravano era ciò che di più antitetico fosse mai esistito. Come due elementi che si combattono senza posa loro si erano sempre scontrati, lei la scogliera, lui il mare in tempesta. Ma si sa che gli opposti si attraggono, e per loro non era stato diverso.

Non v’era stata logica tra loro, solo istinto e forse il fascino per ciò che era proibito a spingerli a incontrarsi. Aveva fatto più male che altro, e si erano feriti a vicenda, ripetutamente, calpestandosi con la ferocia distratta di chi è accecato dal desiderio di ciò che deve avere a tutti i costi. Eppure Bellatrix non avrebbe cambiato neanche un secondo di ciò che avevano passato insieme. Doveva andare così.

Si inginocchiò sullo scoglio, appoggiando le mani sul ciglio ed osservando il suo riflesso nell’acqua, distorto dagli spruzzi e dalle onde. La sua famosa bellezza era terribilmente sfiorita in quegli anni. La pazzia, dicevano i suoi compagni Mangiamorte. Che parlassero pure, quei maledetti, non le importava. L’immagine riflessa nell’acqua ricambiò il suo sguardo con altrettanto sdegno, osservandola dritta negli occhi, con un’occhiata che pareva voler trafiggere l’acqua.

Era contenta che Sirius non potesse più guardarla, ora che il suo volto era solcato dalle rughe e le occhiaie deturpavano il candore del suo viso. Voleva che la ricordasse com’era quando la loro pelle si era sfiorata per la prima volta, giovane portatrice di una rara bellezza desiderata da tutti. Quando tra l’ebano dei suoi capelli non erano ancora comparse ciocche bianche come neve. Quando le sue labbra avevano ancora la morbidezza dei boccioli di rosa appena schiusi.

*

Quel posto era noto solo a lei, per questo lo adorava. Non sopportava il vociare continuo degli studenti della scuola. Bastava però inoltrarsi un po’ nel parco intorno a Hogwarts, prendere due o tre scorciatoie nella Foresta Proibita e ci si ritrovava in quell’angolo di paradiso. Il Roseto, così lo chiamava lei. Lì le rose bianche fiorivano tutto l’anno e ricoprivano per intero il suolo e i tralicci del gazebo che torreggiava nel centro della radura. Non sapeva quale strana magia avvolgesse quel luogo, sapeva solo che era l’unico posto in cui si sentiva in pace. Si sdraiava su quel letto di rose candide, infischiandosene delle spine che le pungevano il volto e le gambe, ed osservava piccole gocce di sangue scivolare sulla sua pelle candida e ricadere sui boccioli tingendoli di rosso scarlatto.

Era un giorno come un altro, e una gentile brezza primaverile le accarezzava la pelle. Osservava le nuvole rincorrersi silenziose nel cielo sopra di lei, troppo pigre per riuscire a raggiungersi a vicenda. Non si accorse che qualcuno avanzava lentamente nella sua direzione finché non udì uno strascicare di piedi a lei familiare. Non ci fu bisogno di alzare lo sguardo.

- Non sapevo che ti piacessero le rose bianche, Bella. – disse una voce roca fuori dal suo campo visivo. Voltò la testa di lato così da poterlo guardare, e una ciocca di capelli neri come l’ebano si posò sulla sua guancia.

- Sono così candide, Sirius… - mormorò strappando un bocciolo che cresceva accanto al suo viso e prendendo a spogliarlo dei petali – Così pure… mi viene voglia di sporcarle per renderle più simili a me. –

Lanciò lontano ciò che rimaneva del fiore ed osservò il ragazzo. In quegli anni il bambino dai capelli arruffati aveva lasciato il posto a un ragazzo dallo sguardo deciso e il corpo asciutto e muscoloso, senza però perdere quell’eleganza innata che lo contraddistingueva. I capelli erano come al solito un po’ più lunghi del dovuto e ricadevano in morbide onde sulle spalle larghe, creando un perfetto contrasto con la camicia bianca della divisa i cui primi bottoni e la cravatta erano stati slacciati a regola d’arte. Sirius era, a detta di tutte le ragazze della scuola, l’essere più sexy che avesse mai calcato il suolo di Hogwarts, e lei doveva ammettere che probabilmente avevano ragione.

– Come hai fatto a trovarmi?- gli chiese, senza lasciar trasparire i suoi pensieri. Negli anni aveva appreso come celarli.

- Non ti stavo cercando – ammise lui – Mi serviva un posto tranquillo in cui potermene stare e sono arrivato qui. -

Bellatrix ridacchiò, e le sue labbra scoprirono i denti candidi come perle.

- Il migliore amico di un Caposcuola che infrange le regole e si addentra nella Foresta Proibita senza permesso… che vergogna. - lo canzonò.

- Per tua informazione il migliore amico di un Caposcuola è anche un Gryffindor, ed è risaputo che i Gryffindor adorano mettersi nei guai… - rispose lui senza scomporsi e accucciandosi accanto a lei – E poi potrei sempre dire che la qui presente malvagia Slytherin mi ha trascinato qui con l’inganno…-

- Ah si? E cosa ti avrei promesso in cambio? – chiese con sguardo penetrante. Sirius la guardò. Era sdraiata supina su un tappeto di rose candide, i capelli sparsi intorno al collo pallido. Sdraiata com’era, i bottoni della camicetta si tendevano sul seno, e le gambe dalle ginocchia sollevate erano lasciate per la maggior parte scoperte dalla corta – troppo corta – gonna della divisa. Ma ciò su cui Sirius concentrò lo sguardo furono quegli occhi, quella sfumatura violetta che sapeva catturarlo completamente. Se non avesse saputo che non gli era permesso farlo, in quel momento si sarebbe innamorato di lei.

- Qualcosa che non potrò mai avere…- rispose seguendo il filo dei suoi pensieri.

- Chiedi, e forse ti sarà dato. – disse lei, la voce morbida come velluto.

Aveva già visto quella luce negli occhi di Bellatrix. Quando lei voleva qualcosa non c’era modo di negargliela.

Si avvicinò alle sue labbra, sentendosi come un cavaliere templare che si avvicina a toccare il Sacro Graal e allo stesso tempo come una falena che si dirige inesorabilmente verso la fiamma che ne segnerà la fine. Sfiorò la sua bocca con un dito e Bella dischiuse le labbra in un invito muto. La prese per mano e con uno scatto la tirò in piedi. I loro corpi si sfioravano e le loro labbra erano talmente vicine che potevano sentire il calore di quelle dell’altro.

Fu lei ad annullare per prima la distanza che li separava, congiungendo le labbra con quelle del cugino e intrecciando le dita tra i suoi capelli corvini. Lui le cinse la vita con le braccia e la trasse a sé con trasporto, lasciando che lei guidasse l’incontro delle loro lingue e delle loro labbra. Fu un bacio intenso, che li lasciò entrambi senza fiato. Quando si staccarono, ansimanti, sorrisero l’uno sulle labbra dell’altra guardandosi, specchiandosi negli occhi diversi di quel volto gemello. Ora che erano vicini la loro incredibile somiglianza sembrava evidenziare in modo ancor più marcato quell’unica caratteristica discordante, quella meravigliosa imperfezione.

Sirius la prese in braccio e lei avvinghiò le gambe ai suoi fianchi mentre lui la portava fino al gazebo, facendola sdraiare sotto di lui. La osservò mentre lentamente si slacciava i bottoni della camicetta, quindi prese a baciarle il collo mentre lei gli toglieva la cravatta e gli apriva la camicia. Quando furono completamente nudi Bellatrix si avvinghiò a lui, le unghie laccate di rosso che gli graffiavano gentili la schiena, mentre Sirius univa i loro corpi, affondando il volto nei capelli di lei.

La prese così, sussurrando il suo nome su quel letto di rose, mentre i loro gemiti e i loro respiri si mescolavano nell’aria fresca d’aprile.

*

Era stato così semplice, così naturale, tra loro. Erano cresciuti insieme e si conoscevano da sempre. Il sangue che scorreva nelle loro vene era lo stesso, puro come l’oro zecchino, e i loro volti erano talmente simili che avrebbero potuto essere fratelli. Eppure, allo stesso tempo, non sarebbero potuti essere più diversi. Se Bellatrix era l’ombra, il buio, una notte senza luna in cui ogni cosa è ammantata del colore dell’ebano, Sirius invece era la luce, il chiarore, le stelle che rischiarano la sera accompagnando la notte fino allo spuntare del giorno. Guardarlo era come osservarsi in uno specchio che riflette una realtà capovolta. Si bilanciavano perfettamente a vicenda, come lo Yin e lo Yang, completandosi. Ma, allora, lei ancora non lo sapeva. Non se ne rendeva conto. Era solo un gioco per lei, niente di più.

Era bella, lo sapeva. Lo aveva sempre saputo. Non aveva bisogno degli sguardi adoranti o desiderosi dei suoi compagni di scuola, né delle occhiate lascive che i colleghi di suo padre le lanciavano di tanto in tanto per rendersene conto. “La Perla Nera”, l’avevano soprannominata a scuola, e ciò la compiaceva ogni volta che si guardava allo specchio. I suoi capelli erano un mare di onde corvine, e incorniciavano il volto perfetto da bambola di porcellana con le labbra rosse perennemente atteggiate a un broncio. Solo gli occhi spezzavano nettamente il suo aspetto etereo, troppo inquietanti e profondi per mantenere quella parvenza di innocenza.

Avrebbe potuto avere tutti gli uomini che voleva, persino donne se le fosse andato, le sarebbe bastato schioccare le dita per procurarsi compagnia. Aveva avuto diversi amanti in quegli anni ad Hogwarts, tutti figli di gente importante, rampolli dell’alta società che nelle sue mani si scioglievano e diventavano nient’altro che burattini pronti a soddisfare ogni suo desiderio. Di nessuno di loro aveva mai avuto voglia che per più di qualche incontro fugace consumato in un’aula vuota o all’ombra di qualche albero nel parco. Nessuno di loro era mai stato più che un gioco per spezzare la sua noia, un divertente passatempo che però presto la stancava e di cui si liberava facilmente con un laconico “Non ho più voglia di te”.

Così sarebbe dovuto essere con Sirius. Sorrise con amarezza, ripensando a quanto era stata ingenua. Eppure avrebbe dovuto capirlo. Le stelle e la notte non si possono separare.

*

- Non toccare Andromeda. –

Aveva parlato con voce dura, quasi rabbiosa. Era da quella mattina che l’ira repressa la scuoteva fin nel profondo. Da quando aveva notato che suo cugino passava più tempo del solito a confabulare con la ragazza per i corridoi. Sebbene Andromeda avesse lasciato la scuola da un paio d’anni, era tornata in qualità di assistente della professoressa Sprite, momentaneamente fuori uso da quando una Begonia Mannara del Borneo l’aveva accidentalmente morsa, con la conseguenza di averla fatta piombare in un sonno profondo da cui poteva svegliarsi solo ed esclusivamente nelle notti di luna piena.

Sapeva che sua sorella e Sirius erano sempre andati d’accordo e che avevano molte cose in comune – prima fra tutte il fatto di essere gli unici due Black a non essere Slytherin -, ma questa loro frequentazione era alquanto anomala.

Bellatrix odiava Andromeda. La odiava perché la vedeva rigettare tutto ciò che la loro famiglia, una delle più importanti del mondo magico, poteva darle: soldi, fama, potere. Non capiva come fosse possibile che una delle sue sorelle fosse così diversa da lei, e allo stesso tempo così simile. Perché un’altra cosa che non sopportava di Andromeda, era l’incredibile somiglianza fisica che le legava. È vero, sua sorella aveva i capelli castano ramati e gli occhi chiari, ma i suoi tratti erano straordinariamente simili ai suoi. E, per riflesso, a quelli di Sirius.

In lei si era fatto strada un sentimento strano, che non aveva mai sentito. Provava un’incredibile gelosia mista a fastidio per quella sorella così bella e così libera, ed era certa che il cugino non potesse trovarla indifferente. Per questo, vedendoli ridere e scherzare insieme nell’androne, osservandoli darsi buffetti affettuosi sulle guance, le era montata la rabbia. Una rabbia cieca, irrazionale, che aveva espresso con quella frase.

- Non toccare Andromeda. – aveva quindi detto al cugino, mollemente sdraiato sul prato vicino al Lago Nero, sotto i morbidi raggi di sole primaverili.

Lui la osservò alzando un sopracciglio. Quella frase poteva essere letta in molti modi. Ma Sirius la conosceva troppo bene per potersi ingannare.

- Non voglio toccare Andromeda –, rispose. Anche quella frase poteva essere letta in molti modi. Bellatrix ignorò l’evidente sottinteso e si sedette vicino a lui, accendendosi una sigaretta con un gesto rabbioso della bacchetta.

- E’ una traditrice del proprio sangue. – continuò – Tuo padre non sarebbe affatto contento di sapere che passi così tanto tempo con lei. –

- Sei sicura che stai parlando di mio padre, Bella?- le chiese lui con un sorrisetto furbo che la fece arrossire.

Gli puntò addosso due occhi di fuoco e mormorò: - Dico sul serio, Sirius. Non aggravare ulteriormente la tua situazione. –

Il ragazzo aggrottò la fronte e si tirò sul gomito per guardarla meglio.

- Che intendi dire? –

Bellatrix esibì un sorriso enigmatico.

- Intendo dire che a breve la famiglia Black conterà un Black in meno. –

- Non vorranno…? – esclamò Sirius allarmato. Bellatrix rise.

- No, cugino, niente di così drastico. Ma ho idea che Andromeda verrà presto diseredata e che il suo nome scomparirà dal muro di Grimmauld Place. –

- Ma per quale motivo? – chiese lui tra il sorpreso e l’indignato.

- Non lo sai? – rispose lei continuando a sorridere mentre soffiava il fumo nell’aria – Pare che stia uscendo con un nato Babbano, un certo Tonks. E pare che la cosa si stia facendo seria. I miei genitori l’hanno più volte avvertita che se avesse continuato l’avrebbero bandita dalla famiglia, ma lei non li ha ascoltati…-

- Non mi ha mai detto niente… - mormorò Sirius. La ragazza rise di nuovo.

- Ovvio che no. Non è certo qualcosa di cui vantarsi, tradire gli ideali della propria famiglia. –

Sirius fece una smorfia infastidita.

- Quelli della nostra famiglia non sono ideali, sono solo un mucchio di stronzate retrograde! -

Bellatrix lo afferrò per il mento stringendolo con forza e costringendolo a guardarla negli occhi.

- Gli ideali, Sirius, sono l’anima della nostra famiglia. Quegli ideali che tu disprezzi tanto scorrono nelle tue vene, le vene di un Black. Non dimenticarlo mai. –

Sirius le allontanò la mano infastidito.

- Non ho scelto io di far parte di questa famiglia. –

- Ma è questa la famiglia di cui fai parte!- rispose lei infuriandosi – E questo non lo puoi cambiare! Sei nato Black e morirai da Black!-

Lui allontanò lo sguardo, ma lei lo costrinse a guardarla voltandogli il viso con la mano.

- Ti avverto, Sirius. La tua posizione non è delle migliori. Già solo il fatto che tu sia un Gryffindor non depone a tuo favore. Se continui a comportarti così loro ti cacceranno. Ti schiacceranno. E tu non avrai alcun potere per difenderti. - 

- Al diavolo!- ringhiò Sirius alzandosi in piedi – Non mi interessa se mi cacciano o se mi ammazzano! Non mi interessa di portare vergogna alla nostra famiglia! Io non sono come loro! Io non sono come voi! –

Si voltò dandole le spalle. Lei spense la sigaretta e si alzò raggiungendolo senza un suono. Lo abbracciò da dietro e appoggiò la guancia alla sua schiena.

- Ma non capisci, Sirius? – sussurrò contro la stoffa fresca della camicia, mentre la sua mano gli accarezzava i capelli – Non puoi opporti al tuo destino…-

Lui si voltò afferrandole il polso e allontanandoglielo in una morsa, osservandola gelido.

- Posso, invece. – disse risoluto.

- Anche se questo ti porterebbe ad allontanarti da me? – chiese lei incatenandolo al suo sguardo violetto.

Una smorfia di frustrazione attraversò il volto del ragazzo che mollò la presa, voltandosi.

- Non sono di tua proprietà, Bella. – mormorò.

- Oh, sì che lo sei. – disse lei per tutta risposta fissandolo con espressione trionfante – Tu mi appartieni, Sirius. Il tuo cuore mi appartiene. –

Lui se ne andò senza degnarla più di uno sguardo.

*

Non lo aveva calcolato. Era stato un errore sciocco da parte sua, ma non aveva tenuto conto di ciò che implicavano quelle parole.

“Tu mi appartieni, Sirius. Il tuo cuore mi appartiene.”

Era vero. Non era né più né meno della verità. Eppure quella frase nascondeva un’insidia silenziosa di cui lei non si era resa conto. Sirius era suo, certo. Le apparteneva come un cucciolo appartiene al padrone, con lo stesso inesorabile misto di adorazione e orgoglio con cui un cane accetta di farsi trascinare in giro al guinzaglio. Ed era proprio quello il problema. Il guinzaglio lega il cucciolo al suo legittimo proprietario, ma, viceversa, vincola il padrone stesso alla sua bestiola. La questione era tutta lì.

Ciò che lei pensava fosse la realizzazione di un suo capriccio, nient’altro che un gioco intrigante che poteva vincere senza alcuno sforzo, si era alla fine ritorto contro di lei. Il legame che avevano instaurato lei e Sirius si era rivelato essere un’arma a doppio taglio.

Quando aveva scoperto di dipendere da Sirius? Di aver bisogno di lui quanto dell’aria per respirare? Quando le era diventato necessario? Era bastato abbassare la guardia, distrarsi per un momento, e si era ritrovata presa nella rete che lei stessa aveva tessuto. Pensava che fosse stato rispondendo a uno dei suoi momentanei capricci che si era spinta tra le sue braccia. Credeva di voler dimostrare che la sua bellezza ed il suo fascino erano capaci di intaccare persino il muro di sdegno che il suo adorato cugino si era costruito intorno per isolarsi dalla loro famiglia. Non era rimasta affatto sorpresa quando lo aveva visto cedere così facilmente. Era tutto calcolato. Ciò a cui non aveva pensato era la possibilità di rimanere presa lei stessa. E, quando se ne era accorta, era troppo tardi.

*

- Mi stai evitando. –

Bellatrix si girò verso di lui. Era appoggiato allo stipite della porta e la fissava dall’alto del suo metro e novanta con in testa il cappello dei diplomati. Quello sarebbe stato il loro ultimo giorno ad Hogwarts.

- Suppongo sia superfluo chiederti come sei riuscito ad entrare nel dormitorio delle ragazze di Slytherin… - osservò lei riprendendo a fare i bagagli. Era una settimana che gli stava lontana e che faceva di tutto per non farsi trovare. Sgusciava via subito dopo la fine delle lezioni senza dargli la possibilità di incrociarla e si faceva portare pranzo e cena in camera, adducendo un lieve malessere come scusa.

Non lo avrebbe mai ammesso neanche con sé stessa, ma aveva paura. Paura che vederlo avrebbe scatenato in lei quel tumulto di sentimenti che aveva iniziato a provare per lui e che la atterrivano più di ogni altra cosa. Anche quel giorno, appena lo vide, non fece eccezione e il suo cuore prese a battere come un tamburo. Ovviamente si guardò bene dal renderlo manifesto.

- Rispondimi. –

- Perché dovrei evitarti, cugino?- chiese lei chiudendo finalmente il suo baule e voltandosi verso di lui con aria indifferente.

Sirius si staccò dalla porta chiudendosela alle spalle e le si avvicinò.

- Dimmelo tu. Hai forse realizzato che frequentare il tuo cugino traditore e diseredato potrebbe compromettere la tua posizione in famiglia?-

- Smettila di dire sciocchezze! – sibilò lei facendo per superarlo, ma lui la afferrò saldamente per la vita.

- Dammi una spiegazione allora. Me la devi. –

Bellatrix guardò altrove, a disagio. Stava succedendo di nuovo. Il suo cuore aveva perso ogni freno.

- Non ti devo proprio niente – mormorò infastidita cercando di liberarsi dalla sua stretta, ma lui aumentò la presa impedendole di muoversi.

- Ah no?- le soffiò lui in un orecchio.

Bellatrix deglutì.

- Lasciami andare, Sirius. –

Lui le prese il volto tra le mani e la costrinse a guardarlo. Rimase disorientata dall’intensità di quello sguardo.

- Dimmelo ora. – replicò lui con un sorrisetto. Era perfettamente consapevole dell’effetto che aveva su di lei, ed era questo che la terrorizzava.

- Sirius…- iniziò con tono quasi implorante, ma lui le posò il pollice sulle labbra, accarezzandogliele.

- Bella…- rispose. Solo quello disse, “Bella” , e in quel momento lei seppe che non avrebbe saputo resistergli.

Sirius le scostò una ciocca di capelli da davanti agli occhi e gliela mise dietro un orecchio.

- Fai l’amore con me – le sussurrò.

Lei lo guardò. Non voleva cedere alle lusinghe di quegli occhi di cobalto grezzo, ma la sua volontà sembrava essersi ridotta a una misera eco, e scivolò via del tutto quando lui iniziò a baciarle il collo e la spinse verso il letto.

- Faremo tardi alla cerimonia…- protestò lei debolmente, e Sirius sorrise contro la pelle sensibile del suo collo.

- Non credo che qualcuno noterà la nostra assenza… - mormorò lui tornando a guardarla mentre la sua mano sbottonava abile la camicetta di lei – E in ogni caso non me ne importa niente. –

Bellatrix sospirò, lo sguardo ancora incollato al suo. Quegli occhi del colore del mare la chiamavano, la desideravano. E lei si lasciò annegare.

*

La luce si era fatta più scura. Sembrava quasi che da un momento all’altro stesse per scendere la notte. Ma era ancora presto per quello, e Bellatrix lo sapeva. Era parte di lei e la sentiva. Non sarebbe arrivata fino a che lei non avesse finalmente finito di ricordare. Fino a che non avesse lasciato in quel luogo tutto ciò che non voleva portare alla sua ultima battaglia. Ciò che non voleva che morisse con lei.

Fragranze di terra si mescolavano nel vento alle gocce di pioggia e di sale, e lambivano i marosi in un turbinio d’aria e salsedine, vorticando intorno a lei. Nella furia degli elementi si sentiva a casa. Una volta le bastava chiudere gli occhi e pensare a Sirius perché questo succedesse. Ma era stato tanto tempo prima, quando ancora pensava di poter giocare col suo destino, quando era convinta che esistesse un modo per eluderlo e farla franca.

Presa dal tipico delirio d’onnipotenza che contraddistingue i giovani pensava di essere abbastanza in gamba per riuscire a non farsi travolgere dagli eventi, per riuscire a costruire con le proprie mani una strada adatta a lei e scelta da lei. Aveva imparato a proprie spese quanto spesso, tra le mani del fato, si fosse come naufraghi in mezzo al mare. Quanto bruciasse quando, pur desiderando qualcosa con tutte le proprie forze, ci si rendeva conto di non poter fare altro che arrendersi al proprio inesorabile destino.

*

- Non penserai davvero quello che dici!-

Era balzata in piedi così velocemente che aveva rovesciato la sedia per terra. Il cuore le pulsava nelle orecchie e aveva la gola chiusa.

- Certo che lo penso – ribatté Sirius risoluto. Aveva preso a racimolare le sue cose dalla sua stanza e le stava infilando in un borsone. Non aveva intenzione di tornare di nuovo in quella casa. – Sono anni che aspetto questa occasione. Non ho più voglia di stare alle loro regole. D’ora in poi farò a modo mio. –

- Ma Sirius, tu non puoi andartene!- urlò Bellatrix fuori di sé - Non ti lascerò commettere l’errore più grande della tua vita!-

- Cazzo, Bellatrix, cresci un po’!- urlò lui a sua volta, dando un calcio alla sedia per sfogare la rabbia, rovesciandola a terra. - Smettila di nasconderti dietro le sottane della famiglia Black e vivi la tua vita!-

- Io sto vivendo la mia vita, Sirius! Sei tu che stai sprecando la tua! Dove avresti intenzione di andare?-

- Vedi, Bellatrix, a differenza tua e di tutte le serpi che abitano questa casa, io ho degli amici. Amici veri, che hanno accettato di ospitarmi finché non mi sarò trovato una sistemazione. –

Lo sguardo di Bellatrix si gelò.

- Potter – mormorò con sdegno – E’ per via di Potter che stai facendo tutto questo, vero? E’ lui che ti ha messo in testa strane idee!-

- James non mi ha messo in testa proprio niente!- ringhiò Sirius – Se vuoi proprio saperlo erano anni che aspettavo di farlo, e ora che sono maggiorenne finalmente sono libero!-

- Tu non sei libero!- sbraitò lei – Tu hai dei doveri nei confronti di questa famiglia! Non ti permetto…-

Il resto della frase le morì in gola quando Sirius la afferrò per il collo e la sbatté contro la parete.

- Attenta, Bellatrix – mormorò glaciale – Sono passati i tempi in cui facevo ciò che volevi come un bravo cagnolino. Ora decido da solo. –

La lasciò andare ma lei rimase lì dov’era. Lo sguardo che le aveva rivolto Sirius l’aveva pietrificata. Non aveva mai visto quel lato di lui.

- Sirius…- mormorò tremante. Lui continuò a fare i bagagli, dandole le spalle. Quando ebbe finito chiuse la zip del borsone e restò immobile. Bellatrix gli si avvicinò e lo fece voltare verso di lei, guardandolo in viso. Sul suo volto così simile al suo lesse un’incredibile risolutezza. Si rese conto con orrore che sarebbe andato fino in fondo. Doveva tentare di fermarlo.

Si alzò sulle punte dei piedi e lo baciò, mettendo in quel bacio tutto ciò che non riusciva a dire a voce. Lui rispose con trasporto, prendendole il viso tra le mani e stringendola a sé. Non l’aveva mai baciata così. Quello, si rese conto, era un bacio d’addio.

- Devo andare - disse lui allontanandola.

- No!- esclamò Bella trattenendolo per un braccio – No, Sirius, non andare! Abbiamo un futuro insieme!-

- Quale futuro? – chiese lui con un sorriso ironico e una lieve tristezza che increspava la sua voce – Tu che ti lanci alla conquista del mondo e io che ti seguo da bravo cane fedele?-

Lei lo ignorò, continuando imperterrita.

- Potremmo essere grandi insieme, capisci?- gli disse – Unisciti a me! Unisciti all’Oscuro!-

Sirius si bloccò. Si voltò a guardare la cugina, che con una luce febbrile negli occhi si tirò lentamente su il lembo della manica sinistra. Un simbolo nero spiccava sulla pelle, il simbolo dei Mangiamorte. Il Marchio Nero.

- Allora è vero…- mormorò fissando il simbolo con orrore – L’hai fatto davvero…-

- Vieni con me, Sirius! – continuò lei con gli occhi che brillavano infervorati - L’Oscuro Signore ti renderà forte, potente, invincibile!-

Sirius rimase ancora qualche secondo a fissare il simbolo scuro sul braccio della ragazza, poi distolse lo sguardo.

- Il potere non mi interessa, Bellatrix. Non mi è mai interessato. –

Le labbra di lei tremarono e abbassò la manica, celando il tatuaggio.

- E allora cosa farai? – ribatté aspra - Ti schiererai dalla parte dei Babbani? E per cosa? Cosa sono loro per te? Non sono niente, niente, nient’altro che feccia! Noi siamo superiori, Sirius! –

Lui scosse la testa, rassegnato.

- Non capirai mai, Bella. Non puoi capire. –

Prese il borsone e si avviò verso la porta, ma Bellatrix lo strattonò per un braccio.

- Loro non sono niente per te!- urlò di nuovo infuriata. Sirius si voltò a guardarla e lei glielo lesse negli occhi, rimanendone pietrificata. Se ne sarebbe andato. Sarebbe andato da loro, da quella feccia, e avrebbe combattuto per difenderli. L’avrebbe lasciata per loro.

Lasciò la presa sul suo braccio e la mano le ricadde inerte al fianco.

- Io non sono niente per te…? – sussurrò guardandolo negli occhi con un misto di disperazione e rabbia.

- Bella…- iniziò lui, posandole le mani sulle fragili spalle, ma lei si divincolò. Lui si passò una mano tra i capelli con un gesto stanco.

- Bella – riprese - Tu abbandoneresti i tuoi ideali per seguire me? –

Bellatrix lo fissò accigliata. Cosa diavolo stava dicendo?

- No, vero? Non lo faresti… -

La sua era una constatazione. Bellatrix aprì la bocca per parlare, ma non riuscì a trovare nessuna risposta valida, così la richiuse. Sirius sospirò.

- Bella, noi non possiamo stare insieme. Nessuno di noi è disposto a rinunciare a ciò che vuole per stare con l'altro. Finiremmo solo col distruggerci a vicenda. –

Lei fissò il pavimento, mentre un dolore sordo si faceva strada dentro di lei. Quello che Sirius diceva era vero, ma bruciava nella sua anima come sale su una ferita.

- E’ così che la pensi?- chiese senza alzare lo sguardo. Così era più facile fare finta che non stesse succedendo. Deglutì, racimolando tutta la decisione di cui era capace. Quando finalmente rialzò gli occhi il suo sguardo era tagliente come una lama.

- Se è così, vattene. – disse, la voce affilata come ghiaccio – Vattene e non farti più vedere. –

- Bella…- cercò di dire lui, posandole una mano sulla spalla.

- Non osare toccarmi!- sbraitò lei divincolandosi e fissandolo con occhi di fuoco – Hai fatto la tua scelta! Vai pure dai tuoi cosiddetti amici. Per quanto mi riguarda non abbiamo altro da dirci!-

- Ti prego, ascoltami…- tentò di dire lui avvicinandosi, ma lei lo spinse via.

- Maledizione, Sirius!- urlò – Vattene! Sparisci dalla mia vita, non voglio vederti mai più!-

Bellatrix si voltò dandogli le spalle, celando le lacrime traditrici che avevano iniziato a scenderle sulle guance. Sentì i movimenti lenti di Sirius che prendeva la giacca e la valigia, facendo per andarsene. Con un ultimo impeto d’orgoglio Bellatrix si asciugò frettolosamente le fredde lacrime che le segnavano le guance e lo fissò dritto negli occhi, ametiste contro zaffiri.

- Quando ci incontreremo di nuovo saremo nemici – disse.

Era una semplice constatazione, l’ammissione di qualcosa che entrambi sapevano da tempo sarebbe accaduto, eppure in quel momento quella consapevolezza pesò su di loro come un macigno. Sirius annuì con un lieve gesto del capo e infilò le mani nelle tasche dei pantaloni, voltandosi ed incamminandosi lentamente verso la porta. Esitò un attimo prima di uscire, e si girò verso di lei come se avesse voluto aggiungere qualcosa, ma Bellatrix gli dava cocciutamente le spalle, le mani appoggiate al vetro della finestra e il capo chino. Sirius scosse la testa, e con un ultimo, tacito sguardo, lasciò la stanza.

Fu allora che accadde. Fu allora che qualcosa dentro di lei si spezzò. Le sembrò quasi si sentirne il suono, o forse era solo la porta che si chiudeva dietro il ragazzo e sulla loro storia.

Nei giorni, nei mesi che seguirono quel momento, la tristezza, il dolore del rifiuto, e poi la rabbia e la frustrazione la precipitarono lentamente negli abissi della follia.

*

Ecco. Era così che era finita. Ed era così che era iniziata l’inesorabile discesa che l’avrebbe portata a perdere completamente il senso della realtà. Si era chiusa ermeticamente dentro sé stessa, sola con la sua mente ferita, così che nulla, nulla avrebbe potuto più raggiungerla e farle del male. La realtà normalmente intesa aveva perso interesse per lei, si era avvolta in un bozzolo di silenzio talmente assordante da somigliare al rombo di un tuono. Aveva preso a vivere in una dimensione fittizia, dove il tempo non scorreva e la realtà non aveva senso, che la proteggeva dall’esterno ma allo stesso tempo la imprigionava nella sua solitudine.

A guardarla da fuori il cambiamento non si notava poi così tanto. Era sempre stata schiva e di poche parole, nessuno si sarebbe accorto che il suo silenzio era causato da una progressiva apatia. Solo chi avesse conosciuto molto bene i suoi occhi si sarebbe potuto accorgere che la luce che da sempre li animava si era come offuscata. Ma nessuno era mai riuscito a fissare quell’inquietante sguardo violetto per più di qualche secondo, nessuno tranne una persona, la stessa che l’aveva lasciata.

Per riflesso, si buttò a capofitto nell’unica cosa che le rimaneva: la militanza tra le file dei Mangiamorte. Si diede all’Oscuro anima e corpo, combattendo al suo fianco in tutte le battaglie, uccidendo nemici su nemici con la ferocia distratta dell’assassino che fa il suo mestiere. Non provava rimorso né esitazione, niente raggiungeva il suo cuore nel limbo in cui l’aveva relegato. Credeva davvero in ciò che faceva. Credeva davvero che l’Oscuro fosse l’unica speranza del mondo, almeno per come lo intendeva lei. Forse, in un mondo fatto di cadaveri in cui nessuna voce si sarebbe più levata a disturbare la quiete, avrebbe trovato la pace. La pace dell’oblio.

Ben presto riuscì a scalare la vetta dei suoi sottoposti grazie alla fervente obbedienza che gli dimostrava. Con i suoi “compagni” non aveva alcun rapporto, non erano altro che feccia inferiore, feccia che la temeva. Accettò comunque di buon grado di sposare uno di loro quando suo padre glielo impose, e diventò Bellatrix Lestrange, moglie di Rodolphus. Suo marito era un uomo di poche parole, e questo le piaceva. Così poteva evitare di far finta di ascoltarlo blaterare e poteva tranquillamente rifugiarsi nei meandri del suo inconscio, nel silenzio. Andò avanti così per molto tempo. L’ascesa del suo Signore sembrava inesorabile, e ciò la compiaceva.

E poi era successo. Un bambino, una misera, piccola, inerme creatura di pochi mesi era riuscita dove gli Auror più esperti avevano fallito. L’Oscuro era caduto, e lei con lui. L’avevano imprigionata ad Azkaban, e lì era rimasta ad aspettare per sedici anni. Ciò che era il più atroce dei supplizi per la maggior parte dei detenuti a lei non faceva né caldo né freddo. L’atmosfera di angoscia ed assoluta disperazione in cui i Dissennatori erano capaci di gettare la gente non la tangeva. Anzi, era quasi confortevole in realtà. Osservava il vuoto che aveva attorno distraendosi dal vuoto che sentiva dentro. L’attesa non la snervava. Non sarebbe durata a lungo, lo sapeva. L’Oscuro sarebbe tornato.

Poi, un giorno, dalla nebbia perenne che circondava il suo io, era emersa una voce. Un grido, fra i tanti che rimbombavano perennemente tra le mura della fortezza, aveva attirato la sua attenzione. Perché era più vivo degli altri. Perché lo conosceva.

Strano, pensò, che quel grido fosse immune alla sua corazza di silenzio. Lo trovava familiare e allo stesso tempo fastidioso. Come se qualcosa dentro di lei la avvertisse di non ascoltarlo, di non seguirlo, di non ricordare. Ma lei ignorò la sua coscienza. Voleva sapere. Era curiosa, come una bambina che si trova davanti un animale strano. Fu così che, trascinata sull’onda di quella voce, affondò nuovamente nelle sue vorticose memorie e ricordò. Sirius Black. La sua mente aveva faticosamente obliato quel nome con l’impegno e la volontà, eppure si sentiva come se lo avesse avuto sulla punta della lingua per tutto quel tempo.

Sirius Black, suo cugino, l’amante che l’aveva tradita, era lì, ad Azkaban, e come lei marciva in qualche cella. Trovò la cosa elettrizzante. Un piacere perverso si fece strada in lei. Quanto era dolce il pensiero che lui stesse soffrendo! Si crogiolò con quell’idea per mesi, trovandola sempre più dolce. Anche quando lui riuscì a fuggire, il piacere non si attenuò. Ora aveva uno scopo, un motivo per uscire di lì. Perché l’Oscuro l’avrebbe richiamata a sé, lo sapeva. Stava tornando, sentiva il suo potere crescere giorno dopo giorno. E quando l’avrebbe liberata avrebbe fatto in modo di perseguire il fine che si era posta: la vendetta verso Sirius Black. Avrebbe sofferto, oh se avrebbe sofferto. Ciò che aveva patito in quella prigione non sarebbe stato nulla in confronto a ciò che lei aveva intenzione di fargli.

Quando arrivò il giorno della sua fuga, era pronta. I cancelli di Azkaban si spalancarono di fronte al tremendo potere dell’Oscuro Signore e lei fu libera. Sedici anni erano passati da quando era stata imprigionata. Occhiaie incavate segnavano il suo volto, e il corpo una volta pieno si era fatto scheletrico senza però perdere il proprio vigore, come se il tempo e le privazioni avessero fatto emergere l’acciaio che era dentro di lei. La sua vendetta era cominciata.

Non aveva dovuto aspettare troppo a lungo, l’occasione le si era presentata presto. Nella parte più profonda dell’Ufficio Misteri, lo aveva incontrato nuovamente. Anche con lui il tempo non era stato clemente. La bellezza abbagliante che lo contraddistingueva da giovane aveva lasciato il posto al volto segnato di un uomo stanco. Nonostante ciò, era ancora Sirius. E lei lo avrebbe ucciso.

*

Schivò il fiotto di luce rossa di Bellatrix e la derise.

“Avanti, puoi fare di meglio!” le gridò, la voce echeggiante nella vastissima sala.

Stupido Sirius. Sempre pronto a ridere, a farsi beffe degli altri. Così terribilmente incline ad abbassare la guardia.

Il secondo getto luminoso lo colpì in pieno petto.

*

Non se n’era accorta. Non fino a quando aveva scagliato contro di lui l’anatema mortale. Lì per lì aveva provato una gioia sconfinata. Il nemico che odiava più fra tutti finalmente era caduto! Lo aveva ucciso e non sarebbe più tornato! Anche se la spedizione all’Ufficio Misteri era stata un fallimento, in cuor suo lei sentiva di aver vinto. Finalmente sarebbe arrivata la pace.

Ma la pace non arrivò. A poco a poco la nebbia che la accecava, fatta di rabbia, orgoglio ferito e gelosia, si dissolse. Il tempo ricominciò a scorrere e la realtà ad avere un senso. Il ricordo di ciò che aveva provato quando aveva ucciso Sirius rimbombava nella sua memoria con il suono di uno strappo, di qualcosa che viene diviso, portato via. Aveva inizialmente pensato, euforica, che fosse quella parte di lei che la rendeva insoddisfatta che scivolava via dietro il Velo insieme a lui. Ma il senso di incompletezza che provava non si era placato. Il vuoto, il baratro, era sempre lì dentro di lei. E ora, ora che aveva finalmente capito che non sarebbe scomparso perché ciò che poteva riempirlo aveva smesso di esistere per mano sua, ora aveva riacquistato la lucidità.

Avrebbe dato qualunque cosa perché la sua mano avesse tremato almeno un po’ nel scagliare l’incantesimo. Avrebbe voluto che lui non si fosse distratto ridendo beffardo, con quella sua risata così simile al latrato di un cane. Le era mancato tutto di lui in quegli anni, e se ne accorgeva solo ora. La sua trasandata eleganza, il suo sorrisetto furbo, i suoi occhi del colore del mare. Lo stesso colore che fissava in quel momento tra i flutti burrascosi. Non lo avrebbe rivisto mai più, e ancora una volta questa consapevolezza le squassò l’anima con un’acuta fitta di dolore. Ma questa volta non la ricacciò indietro. Era lì per lei e non aveva più intenzione di fuggire. La accolse, la cullò come una madre premurosa, e poco a poco la sofferenza scemò con la dolcezza di chi si sta accomiatando da una vecchia amica. Anche lei sapeva che presto sarebbe finita.

Non si faceva illusioni. Erano finiti i tempi in cui credeva ciecamente che la sua causa avrebbe vinto. Sapeva che quella sarebbe stata la sua ultima battaglia, lo sentiva. E in fondo ne era quasi felice. Era stanca di combattere. Desiderava solo scivolare nel nulla raggiungendo Sirius oltre il Velo. E ora era quasi pronta ad andare. Mancava solo un’ultima cosa. Osservò i gabbiani giocare a rincorrersi nel vento con i loro versi striduli. Sembravano davvero felici in quel momento. Per loro era così facile. Quante volte aveva cercato di capire cos’era la felicità senza mai riuscirci del tutto?

Sfiorò con la mano sottile una voglia a forma di mezzaluna che aveva sul collo, e sorrise.

- Questo momento ci va molto vicino, Black. – mormorò al mare – Molto vicino. -

*

Accarezzava languidamente quei capelli neri come la notte, districando le dita fra quelle morbide onde sparse sul cuscino. Non sapeva da quanto tempo se ne stava lì a guardarlo dormire. Semplicemente, sarebbe potuta rimanere in quella posizione per sempre, in quel limbo immobile di pensieri dove anche il tempo pareva essersi fermato. Sirius dormiva placidamente accanto a lei, di quel sonno spossato in cui si cade dopo aver fatto l’amore, un sonno sensuale in cui però lui riusciva a mantenere una certa innocenza, raggomitolato com’era su un fianco, in posizione fetale.

Sfiorò con un dito una piccola voglia a forma di falce di luna sul collo di Sirius, gemella a quella che aveva anche lei. Risalì poi col dito lungo la linea della mascella, sulla guancia fino al contorno degli occhi, che trovò aperti, due pozzi blu cobalto che la fissavano divertiti. Lei sorrise lievemente mentre lui con la mano prendeva la sua e le baciava il palmo. Rimasero un poco a guardarsi finché lei parlò.

- Sirius…-

- Mh?-

- Credi che esista davvero la felicità?-

Sirius la osservò. Aveva chiesto con enorme semplicità ciò che gli uomini dall’alba dei tempi cercavano di capire, e lo aveva chiesto a lui, quasi aspettandosi che ne conoscesse la risposta. Gli venne da ridere.

- Non lo so… - rispose lentamente – Tu cosa pensi che sia la felicità?-

Lei ci pensò su qualche secondo.

- Un momento di pace in cui sei totalmente appagato. – mormorò infine - In cui non vorresti trovarti in altro posto che in quello in cui sei. –

Sirius esibì il suo solito sorrisino sghembo e la attirò a sé baciandole il collo.

- Allora – sussurrò, e la sua voce era seta sul collo di lei – Questo momento ci va molto vicino. –

Bellatrix sorrise. Forse aveva ragione.

*

- Sei pronta, Bella? –

La voce che la riportò alla realtà era quella calma e rassicurante di Rodolphus. Si voltò a guardarlo, i capelli mossi dal vento.

- E’ ora? – chiese, pur sapendo già la risposta. Suo marito si limitò ad annuire, e iniziò ad incamminarsi su per il ripido sentiero. Bellatrix riportò per un momento lo sguardo sul mare, come a volersene stampare bene l’immagine in testa. Voleva averla davanti agli occhi quando sarebbe venuto il momento.

Frugò nella tasca interna del mantello e ne tirò fuori una maschera bianca, quella dei seguaci dell’Oscuro, indossandola e coprendo con essa il suo volto e la sua anima. Si voltò, dando le spalle al mare ed incamminandosi per la strada già imboccata da Rodolphus, lasciandosi alle spalle la parte migliore di lei.

Bellatrix Lestrange, la pazza, l’assassina, la Mangiamorte, quel giorno sarebbe andata in battaglia. Quel giorno, lo sapeva, sarebbe morta in battaglia. Ma Bellatrix Black, la Perla Nera, la donna che aveva amato e odiato Sirius Black più di chiunque altro, non l’avrebbe seguita. Sarebbe rimasta lì, nel posto che amava di più al mondo, sulla scogliera perennemente lambita dai flutti, davanti a quel mare in cui avrebbe potuto specchiarsi per sempre negli occhi di Sirius.

 

Fine.

  
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