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Autore: FinnAndTera    03/09/2015    2 recensioni
Con il cappuccio di un mantello color senape a coprirgli gli occhi e la schiena leggermente curva, Remus Lupin sembrava un poco di buono venuto dall'est mentre camminava sulla strada debolmente illuminata che portava al nuovo appartamento di Sirius – o, come amava definirlo lui, la sua amabile e meravigliosa dimora.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Remus Lupin, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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È una specie di bonsai



Con il cappuccio di un mantello color senape a coprirgli gli occhi e la schiena leggermente curva, Remus Lupin sembrava un poco di buono venuto dall'est mentre camminava sulla strada debolmente illuminata che portava al nuovo appartamento di Sirius – o, come amava definirlo lui, la sua amabile e meravigliosa dimora.
«Sembri un poco di buono venuto dall'est» furono infatti le prime parole che Sirius gli rivolse al suo arrivo. «Ti mancano solo la seta pregiata di contrabbando e la pelle più abbronzata e saresti perfetto. Anche quella nuovissima cicatrice sullo zigomo ti dà un non so che di esotico, mio caro lupo di quartiere».
Remus non gli rispose, troppo impegnato a capire dove fosse il pavimento. Gli lanciò un'occhiataccia delle sue, quelle di rimprovero che però non riuscivano mai a nascondere un certo divertimento, e decise di lasciarsi cadere a peso morto sullo sgangherato divano al centro del salotto.
«Questo divano scricchiola quanto mia nonna Gora» disse mentre saltellava un po' per dare una prova concreta alla sua ipotesi. «Anzi, forse mia nonna Gora scricchiola anche meno».
«Deve essere perché è irlandese. Tutti quei Ceili devono averle rinforzato le ossa».
«La tua pronuncia del gaelico è illegale, ma apprezzo il fatto che le mie lunghe lettere sul perché me, come, dove e soprattutto sul perché me di quando mia zia provò a insegnarmi il Virginia Reel siano servite a farti imparare una nuova parola per il tuo limitato vocabolario».
Sirius scoppiò nella sua inconfondibile risata, perché l'immagine di Remus costretto a ballare tipiche danze irlandesi al tempo aveva rallegrato la sua estate più amara. Sirius era sicuro che i tre quarti dei particolari imbarazzanti descritti minuziosamente dalla penna di Remus erano stati inventati per divertirlo ancora di più – come se non bastasse già un Remus ballerino per ridere –, perché quello era stato il suo modo per dirgli: “Ehi amico, sono qui nel profondo verde dell'Irlanda, ma ti sono vicino”.
«Non ho un vocabolario limitato, è solo che tendo a dimenticare le parole inutili che tu invece usi troppo spesso».
Prima di saltargli addosso e di soffocarlo con della biancheria trovata sul pavimento – ecco dov'era! –, Sirius confessò che in fondo gli era mancata la sua cattiveria.
«A proposito di cattiveria, ti ho portato un bel regalo».
«È la cosa che dicono i poco di buono dell'est con grandi mantelli color senape quando si trovano nei parchi per bambini, lo sai vero?» domandò Sirius, evitando una calzinata molto, molto sporca di Remus. Aveva un sorriso larghissimo. Tutto il mondo sapeva che Sirius Black amava ricevere regali, solo sua madre ne era stata inconsapevole, e anche se Remus faceva pena a scegliere regali – e questo forse lo sapeva addirittura Walburga – il solo fatto che gli avesse portato qualcosa gli bastò per iniziare a scodinzolare. Si mise a gambe incrociate sul divano e batté le mani eccitato. Ora Remus capiva perché i bambini seguivano sempre strani sconosciuti nei parchi.
«Non è un regalo molto...beh, convenzionale, ecco».
«Una pianta».
Una pianta molto bella, questo doveva dirlo, ma comunque una pianta. Non c'era niente di più convenzionale di regalare piante a chi ha appena trovato casa, ma le usanze che erano normali per tutti non lo erano per i Marauders. Soprattutto per Sirius, che si aspettava qualcosa di volante, di ridicolo, o di vivente. Anche le piante erano viventi, ma viventi in modo diverso, tipo vivente che non si muove.
«È proprio una pianta. Una pianta sbucata dal tuo orribile mantello, per di più».
«In realtà è una specie di bonsai».
«Ho per amico un lupo mannaro che regala bonsai. Dimmi, Moony, perché hai scelto proprio un bonsai e non, che so, delle orchidee
Remus ci pensò su qualche secondo, cercando di trattenere il sorriso.
«Le orchidee sono troppo delicate per uno come te» disse riavviandosi i capelli all'indietro. «Per un momento avevo pensato di regalarti degli utensili da cucina color carta da zucchero, avresti gradito di più?»
Sirius allora gli disse che no, signora, il bonsai andava benissimo e avrebbe sicuramente trovato un angolo pieno di luce per il suo nuovo amico. Sul davanzale della finestra era perfetto, per esempio.
«Fai proprio schifo a fare regali».
Remus si stese supino sul divano con un rumore inquietante e terribile e si accorse che il sorriso sulle labbra di Sirius era rimasto lo stesso.


**


Una settimana dopo il bonsai era sorprendentemente ancora vivo. Anzi, forse non troppo sorprendentemente, perché Sirius era diventato maniacale e considerava il suo bonsai al pari di un bambino indifeso.
«Secondo lei lo annaffio troppo? O forse troppo poco?» aveva chiesto alla sua vicina di casa, una graziosa nonnina che aveva tantissimi fiori stupendi sul balcone.
«No, tesoro, il tuo bonsai sta benissimo. Hai proprio il pollice verde!»
Sirius gongolò vistosamente e ringraziò la nonnina della sua disponibilità. Aveva paura che i consigli presi dal suo vecchio Manuale di Erbologia nella sezione “Come coltivare un Grinzafico” avessero compromesso per sempre l'esistenza del suo bonsai. Invece a quanto pareva tutte le piante avevano bisogno principalmente di acqua e di amore. Poi iniziarono a discutere delle sue orchidee, “Sono bellissime signora Hastings, per non parlare delle azalee”, e così fecero amicizia, legati da una radice al profumo di basilico.
«Oh, caro» lo chiamò la signora dal balcone del secondo piano, felice di aver trovato un giovanotto così a modo con un bel bonsai. «Se vuoi ti presto qualche libro di giardinaggio, io ne ho a bizzeffe!»
Sirius accettò volentieri e scoprì con ribrezzo che aveva sbagliato vaso. Aveva costretto il suo povero (o la sua povera, non sapeva determinare il sesso delle piante) Elvendork a vivere una vita in gabbia. Al solo pensiero rabbrividì, chissà cosa si provava a rimanere chiusi in uno spazio angusto e senza abbastanza ossigeno per così tanto tempo. Scosse la testa e decise che non voleva saperlo, affrettandosi poco dopo a cambiare vaso alla sua pianta.
«Non ci posso credere» entrò di soppiatto un incredulo Remus – “Non esiste più la buona abitudine di bussare, Moony? In Irlanda sono tutti selvaggi?”
«Elvendork ha bisogno di me, Remus» disse Sirius con il suo miglior tono melodrammatico. «Tu sai cosa vuol dire essere intrappolati in un corpo non tuo!»
Remus posò la busta della spesa sul tavolo in cucina, un angolo con un tavolo e un fornetto insomma, e iniziò a preparare dei panini al tacchino chiedendo a Sirius cosa diamine stesse dicendo.
«Fammi capire, il tuo bonsai si chiama Elvendork
Non aveva mai sentito nome più stupido, senza offendere gli Elvendork del mondo – sempre se esistevano.
«Sì, è un nome unisex» chiarì Sirius, lanciandosi nel racconto di quando due poliziotti babbani li avevano fermati in motocicletta. «Sai, una volta James e io...»
«Sì, la so quella storia, Padfoot. E io non ne andrei molto fiero».
«Questo perché eri Prefetto. Non esattamente il miglior Prefetto che Hogwarts abbia mai visto, ma comunque un Prefetto».
Remus si avvicinò al bonsai e porse uno dei panini al tacchino a Sirius che, invece, rubò il suo.
«Ha un bell'aspetto» constatò e iniziò a toccare le foglie del piccolo alberello.
«Smettila di molestare il mio bonsai!»
Sirius lasciò il panino incustodito e così Remus si ritrovò con due perfetti panini.
«Aiutami a trapiantare Elvendork in questo enorme e spazioso vaso».
«Non mi piace la terra, mi si infila tutta fra le unghie e non riesco mai a toglierla tutta». Era la peggior scusa che Remus avesse inventato in sette anni di delinquenza, anche perché esisteva una cosa chiamata magia ad aiutarli, ma Sirius afferrò il punto e lo lasciò sul divano a non fare niente per tutto il resto del giorno. Gliela avrebbe fatta pagare dopo, forse, ma impegnato com'era nel giardinaggio se ne sarebbe probabilmente dimenticato.
All'improvviso però Remus, guardando Sirius prendersi cura del bonsai, ebbe una fastidiosa sensazione, molto simile alla tristezza. Lui era lì che gustava panini al tacchino mentre Sirius cercava qualcosa da fare, qualcosa a cui dedicarsi del tutto, qualcosa per non pensare. Sirius si sentiva solo e l'abbandono a cui era soggetto quel povero appartamento – non era il suo normale disordine, quello Remus lo conosceva bene – ne era la dimostrazione.
«Dai Elvendork, ce l'abbiamo fatta» disse Sirius al bonsai. «Stasera ti do un altro po' d'acqua e poi ti racconto i centouno modi in cui io e i miei amici, fra cui quel depravato seduto laggiù, abbiamo reso Gazza una persona così brutta».
«Che ne diresti se venissi a vivere anche io qui? Per questo mese, intendo. Il tempo di darti una mano a sistemare questo schifo» chiese Remus casualmente indicando con un dito tutto l'appartamento, come se fosse una domanda che gli poneva ogni giorno.
Sirius in un primo momento sembrò spaventato. I pensieri che gli attraversarono la testa furono illeggibili da Remus, cosa che lo preoccupò molto. Poi però Sirius sorrise e gli chiese in tono supplichevole di comprargli un altro bonsai, così che Elvendork non si sentisse solo.
«Certo. Per un po' di tempo tu avrai un feroce lupo mannaro con cui mangiare panini e Elvendork un gentile bonsai con cui condividere la sventura di essere proprietà di Sirius Black».
Sirius si stiracchiò in modo molto indelicato e indecente, poi il suo viso assunse l'espressione tipica di chi ha avuto l'ispirazione.
«No, no, ho un'idea migliore!» disse a Remus mentre correva a prendere il libro di giardinaggio babbano. «Andrò a chiedere alla signora nonnina di sopra come si curano le orchidee».
Remus non se ne andò per molto tempo e il piccolo bonsai e le delicate orchidee morirono solo il giorno in cui anche tutto il resto morì.


Note d'autrice: questa stupidaggine nasce dal prompt datomi dalla mia Rana, ovvero "Remus regala una pianta a Sirius e Sirius si prende morbosamente cura di lei", cosa che fanno sia sua madre che la mia e credo tutte le madri del MONDO. Le origini irlandesi di Remus sono un riferimento alla fanfiction "Santi di cartastraccia" di quell'estrema bellezza di Trick: tutto ciò che è scritto in quei tre capitoli per me è canon. Se non l'avete letta non siete degni di vivere. Il nome Elvendork invece è, come già sapete, preso dalla storia scritta da Zia Row (la Zia che scrive fanfitcion sulla sua opera, cioè <3), mentre i panini al tacchino sono un omaggio al Remus in Lettonia dello Shoebox, perché la vita senza Shoebox non è vita.





 

 

   
 
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