Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Rov    07/09/2015    0 recensioni
Cordelia ha diciassette anni quando Zar, il cavallo di suo nonno, le causa un terribile incidente che le impedirà di cavalcare di nuovo. Ora che perfino camminare è impossibile, vivere in un ranch di allevatori causa un doloroso ricordo. Ma la vera domanda è perché Zar si è imbizzarrito? Perché il nonno ha mentito, dicendo di averlo acquistato ad una fiera? E soprattutto, perché il nonno vuole salvarlo dalla soppressione?
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

~~La ragazza mi fissò con aria truce, facendomi sentire in soggezione.
Portava una zazzera di capelli impolverati e disordinati che le interrompevano la fronte ad intervalli irregolari, incorniciando un profilo dagli spigoli duri e squadrati.
Avevo incrociato il suo sguardo solo da pochi minuti e, dentro di me, speravo lo abbassasse, ma non sembrava affatto il genere di persona che si concede un momento di distacco dopo la prima conoscenza.
Quegli occhi bruni erano prepotenti, invasivi a tal punto che fui la prima a cedere, concentrandomi sugli altri personaggi apparsi in quella stanza.
Il primo ad incrociare il mio sguardo fu il più vecchio: aveva il volto contornato da una sottile cascata di capelli grigiastri che portava legati e sul lato sinistro da un nastro di cuoio, facendo cadere la chioma lungo il busto. Notai inoltre una cicatrice sulla tempia, dai margini rosei e antichi, all'estrema punta dell'occhio, dal lato della spartana pettinatura.
Le sue mani erano nodose e il suo corpo rivestito da un abito scuro e pesante, probabilmente per via del freddo.
Rimanevano soltanto altri due uomini accanto alla porta d'ingresso: uno di loro aveva il naso a punta e gli zigomi che sembravano ripidi pendii mentre esibiva uno sorriso piatto, mentre l'altro sembrava essere molto più giovane  ma simile ad una vecchia grondaia arrugginita; vestito di scuro, completamente cosparso di fanghiglia e qualche goccia sporca che colava dai suoi capelli color caramello.
Rimasi immobile ad osservarli: niente lasciava presagire qualcosa di brutto; tuttavia nemmeno qualcosa di positivo.
Mi domandai se anche loro si stessero soffermando sul mio volto, piuttosto che sul mio handicap o sulle dinamiche a me ignote su come mi ero trovata in quella stanza e tra i loro occhi cercai una risposta amichevole, un assenso.
Nelle mie narici era comparso uno mix di odori, che non riuscivo ad associare a ciascuna di quelle creature perchè era come ricevere un turbinio di sensazioni tutte insieme: uno era più penetrante degli altri ed odorava di pino.
Il vecchio dagli occhi scintillanti mi fissava come un animale sperduto, con aria innocente, tuttavia ospitale e in un certo senso mi trasmetteva una calma quasi spirituale.
Seguì con gli occhi i movimenti delle mie labbra, che cigolarono come cardini di una porta nel tentativo di articolare una frase o una domanda.
Poi guardai Gathel, l'unica di cui conoscessi il nome: non sorrideva mai, il che le dava un'aria autorevole ma anche un po' spaventosa.
Le parole mi morirono in gola.
"Ti ho trovata nella foresta." spiegò con voce incolore, indietreggiando di qualche passo e lanciando uno sguardo ai due alle sua destra.
Inizialmente nessuno aggiunse altro, tantomeno io, poi aprii bocca quando la giovane fece un lungo sospiro.
"Grazie."

Il pavimento era pieno di fango e non avevo notato che sul tavolo ci fosse una ciotola fumante con accanto una piccola posata di legno.
Pensai che forse era quella roba ad avere un profumo di pino così buono e mi lasciai distrarre dai fumi ballerini che riuscivo ad intravedere oltre l'orlo della scodella
"Come sei cambiato, Zar." disse il vecchio dopo avermi osservata a lungo.
A quel punto l'uomo con la bocca piatta e i capelli stopposi raccolse gli angoli di quel sorriso, che si strizzarono in uno strano ghigno.
"Avrai fame."  continuò il vecchio indicando una sedia vuota, probabilmente inconsapevole che non fossi in grado di raggiungerlo.
Lo guardai come una bambina a cui è stato chiesto di prendere un piatto della credenza troppo in alto, in una stanza in cui non ci sono sedie nè appigli.
Forse nemmeno il pavimento.
"Io non..." ma non dissi altro, perché di solito era una frase sufficiente.
Di solito le persone intuivano da sole perchè non potevo avvicinarmi in maniera autonoma ad un tavolo o andare a prendere delle bottiglie d'acqua in cantina; tuttavia realizzai solo il quel momento che probabilmente, in quel contesto, poteva essere un'informazione poi così scontata.
Ma il vecchio annuì con aria grave.
"Capisco."
Il giovane dai capelli color caramello aiutò l'uomo  dal sorriso piatto a farmi scendere dall'alcova leggermente rialzata e mi posizionarono uno su una sedia più consona, dove ci fossero due braccioli a cui potermi sorreggere.
L'aria era calda, un rumore di sottofondo sembrava suggerire la presenza di uno stormo di cicale, e quella strana zuppa densa non aspettava altro che un cucchiaio vi si immergesse e venisse portato alla bocca.
Il vecchio d'un tratto si sedette su una seggiola di fronte a me e mi scrutò con cura mentre immergevo la posata in quel preparato, mentre Gathel si rigirava un bracciale d'argento attorno al polso e mi guardava con l'espressione più serio di tutti gli altri.
Misi in bocca il primo cucchiaio e sentii lentamente  il liquido colarmi giù per la gola: la fatica sembrò scivolare con lei, gli occhi si sentirono meno pesanti e i dolori del cuore cominciarono a lasciare posto al calore.
Cominciai a mangiare con incredibile foga, quasi avessi paura che qualcuno volesse rubare il mio pasto, mentre gli occhi erano ancora puntati come qualcosa di strano e alieno. Nei miei pensieri riflettei sul fatto che probabilmente potevano concepirmi come qualcosa di minaccioso.
"Cosa ti chiami?" mi domandò a quel punto il vecchio.
"Cordelia."
"Io sono Iphannor." disse lentamente, con voce pulita e rifocillante.
Sbirciai dalla mia nuova angolazione quella casa e vidi che c'era un'area più grande adiacente all'alcova; le due pareti che andavano a costituire uno stretto corridoio erano interamente coperte di strani utensili e sul fondo si intravedeva una porta sigillata, che suggeriva la presenza di un'altra stanza.
"Dove sono?" domandai con espressione intimidita, rivolgendomi al vento, nella speranza che uno qualunque dei quattro potesse concedermi la risposta che tanto desideravo.
"Interessante..." commentò il vecchio.
"Dimmi, Cordelia, cosa già sai del luogo in cui ti trovi?"
"Questa è Glam."
"Esatto, e sai anche perchè lo sai?"
Mi sforzai di rispondere a quella domanda: si fecero strada nella mia mente una serie di pensieri confusi, scene di alberi che si muovevano e tratti si sentieri sconnessi.
Sentivo di sapere il motivo per cui ero lì.
Sentivo di capire che qualcosa di me apparteneva a quel posto, tuttavia ne ignoravo l'ordine, ne ignoravo le motivazioni e la logica.
C'era qualcosa che non tornava nelle immagini che si affollavano del mio pensiero: vedevo gente che correva, poi buio, poi di nuovo persone che si affollavano e stralci di tericcio rovinoso, alberi, scuro, di nuovo alberi.
Vedevo la foresta.
"La foresta." bisbigliai.
Il vecchio mi osservò: il locale era troppo pregno dell'odore di ciascuna di quelle creature per potersi concentrare. Se avessi dovuto descrivere quella sensazione, avrei parlato di una sorta di nebbia che premeva sui miei sensi, deviandoli e costringendoli a ricordare immagini, suoni, colori che non mi appartenevano.
A quel punto il vecchio si alzò in piedi, congiungendo le mani in una sorta di muto saluto.
"Per favore, lasciateci soli."
Gli uomini si allontanarono velocemente oltre la porta d'ingresso, come se non aspettassero altro che quell'ivito per dileguarsi nell'oscurità.
Ma Gathel no.
La ragazza rimase immbile solo per un istante in più rispetto ai suoi compagni, l'unico che bastava per sottolineare il suo disappunto.
"Perdonaci, Gathel, per avere occupato la tua casa. Te ne verrà reso il merito. " aggiunse il vecchio rivolgendo anche lei quell'espressione tenera di apprezzamento che avevo percepito su di me.
A quel punto anche la giovane si congedò da quella che evidentemente doveva essere la propria abitazione.
Osservai il vecchio sedersi di nuovo allo stesso posto in cui si trova precedentemente, mentre il mio cucchiaio aveva preso a raspare il fondo della scodella. Si sedette con disinvoltura, non mostrando nessun evidente acciacco della sua età e davanti a lui mi sentii sparire, colpita dalla sua inaspettata agilità.
Ad un tratto mi accorsi  aveva preso a giocare con qualcosa  che cingeva il suo polso.
Anche lui portava un bracciale d'argento simile a quello di Gathel, anche se il suo doveva aver visto ben oiù traversie: non era perfettamente rotondo e lustro come quello della giovane, anzi sembrava essere leggermente aperto, con un taglio profondo come quei bracciali che possono regolare la loro grandezza, ma quel taglio era irregolare, obliquo e non oltrepassava  del tutto il cerchio di metallo.
"Ti piace?" domandò il vecchio mostrandogli il polso.
Mi sorprese, e a quel punto ritrassi gli occhi con il cuore che mi batteva forte, come  mi avesse scoperto nel fare qualcosa di sbagliato.
"Oh no! Non ti devi intimidire, tieni, guardalo!"
E Iphannor si sfilò il bracciale dal polso, ponendolo sul tavolo accanto alla mia scodella.
Fu a quel punto che abbandonai il cucchiaio e l'osservai con sguardo attento, cercando di percepirne ogni piccola incrinatura.
Era bello e sembrava vissuto, vetustro e  prezioso, sferziato dai graffi e dalle pagliuzze del tempo che avevano ormai quasi del tutto nascosto un piccolo simbolo, uno schizzo inciso come una piccola parentesi, un arco.
"E' l'arco degli arcieri." disse il vecchio con voce compiaciuta.
"O almeno, è quello che dovrebbe sembrare, se ancora riesci a vederlo!"
Poi rise di una risata scampanellante e gioiosa, e non potei fare a meno di ridere anche io.
Poi si avvicinò a me sempre di più, guardandomi negli occhi e io riuscii a guardare nei suoi: l'esperienza fu travolgente.
Immobile assistevo a quella scena in silenzio, senza  nascondere la mia evidente sorpresa: i suoi occhi erano grigi come la sua età, di un fitto color del vento e incredibilmente profondi, come vasche di nebbia.
Erano occhi sorridenti, di chi non si è lasciato piegare dalle miserie e capii di averli già visti.
"Oh, sì!" esclamò poi compiaciuto.
"Ha scelto proprio te, ecco!"
"Che cosa è successo?" domandai.
Il vecchio ebbe un attimo di esitazione.
"Dimmi, Cordelia, che cosa ricordi?"
Chiuse nuovamente gli occhi.
"La foresta."
"Esatto, e questo è un buon inizio. Ti è stato fatto un dono molto grande." disse poi con aria seria.
"Non capisco." aggiunsi.
"Guarda tu stessa."
Il vecchio si alzò spostandosi lungo la parete piena di utensili, e ne estrasse un piccolo falcetto semicircolare, lucidato alla perfezione.
Me lo porse tra le mani, come se fosse logico che cosa dovresti farci.
"Guardati."
Mi avvicinai alla lama puntandone il lato piatto in direzione die miei occhi.
Fu quel punto che li vidi per la prima volta.
I miei nuovi occhi.
Erano incredibilmente scuri ed enormi, come se quasi tutto lo spazio occupato dalla mia piccola sclera bianca fosse spatito. La loro forma non era cambiata, a cambiare erano state le iridi, a farsi più dilatate e indistinte.
Sembrò strano ma anche io li rionobbi, quegli occhi enormi e bui.
Lasciai cadere quell'arma a terra e mi portai le mani alla bocca, soffocando un grido, commento a conferma di ciò che già sapevo.
"Che cosa mi ha fatto?" domandai singhiozzando.
"Ti ha fatto il dono più grande che aveva: ti ha dato l'essenza della sua magia."
Rimasi a fissarlo con aria incredula, nel buio dei rumori che mi arrivavano amplificati, il traffico di un pensiero troppo importante, un televisore che rimbombava nella mia mente domandandosi il perchè.
"Magia?"
Il vecchio si sedette nuovamente alla sua sedia e continuò a guardarmi negli occhi, come si fa con un vecchio amico.
"Non te lo ricordi vero?"
Ricordare? Ricordare che cosa? Ma il vecchio non sembrò indisporsi.
"Vedi, Cornelia, la nostra foresta è un regno molto antico, nato nell'alba dei tempi per separare tutto ciò che è come noi da quello che è come voi, capisci?"
Scossi la testa e il vecchio iniziò a raccontare.
"La foresta sorse per proteggere le creature magiche, che si distinsero dall'uomo per le loro capacità sovrannaturali ma vennero presto ghettizzate, bruciate o demonizzate. A poco ogni essere inumano si estraniò da quel mondo di sopprusi e si rifugiò sotto l'ala di questo re muto.
La foresta fu per loro un re che accoglie, che ascolta e protegge le sue creature e li riunì.
Certo, li riunì per etnie, natura della loro magia, ideali, passioni e obbiettivi.
Come gli uomini, né più né meno degli uomini.
Alcuni di loro sono in grado di manipolare il tempo, qualcuno di loro ha sviluppato caratteristiche fisiche come il volo, la resistenza agli agenti atmosferici o l'acqua...
La foresta ha fornito loro tutto ciò di cui avevano bisogno per vivere in armonia con le loro facoltà magiche e quelle di tutti gli altri loro simili. A poco a poco le creature magiche si riunirono in popoli, accomunandosi per le loro similitudini e dividendosi in tanti piccoli regni che vedano tra di loro in pace e in armonia, scegliendo autonomamente la loro tipologia di governo, misurando le loro capacità e confrontandosi l'un l'altro con civiltà.
Fate, creature dell'aria, creature del mare... Da ogni dove il regno prosperò e si isolò e la foresta gioiva della loro prosperità."
Iphannor si accigliò in una pausa.
"Cosa sai degli unicorni?"
"Unicorni" bisbigliai sommessamente, soppesando quella parola.
"Si, Cornelia. Unicorni.
Tra le innumerevoli creature magiche che la foresta prese sotto la sua ala c'erano anche loro: gli unicorni. Sono creature meravigliose con poteri più puri di quelle di tutte le altre creature magiche. Potenti più di ogni altra magia poiché la loro è la magia prima, la più antica.
Furono il primo punto di contatto tra il mondo visibile ed invisibile."
"Mondo visibile ed invisibile." ripertei.
"Esatto, Cordelia! Gli unicorni furono le prime crature ad affidarsi alle cure della forestra, le prime a cui fu concesso il dono nella vista; questo è il nome del tuo dono."
Cercai di soppesare quell'informazione, ma tutto ciò che ottenni doveva essere un'espressione ebete dipinta sul mio volto.
"Pensa alla magia come ad un antico processo di passaggio; molte creature al momento della loro morte scelgono di compiere questo estremo sacrificio nei confronti di chi ritengono più degno o più caro. Prima di oggi ignoravo che anche gli unicorni riuscissero a farlo."
Iphannor sorrise bonariamente, infilandosi il bracciale che avevo ormai abbandonato sulla superficie del tavolo.
"La vista è il potere primo; l'unico strumento che permette ad un unicorno di tornare a casa, verso il mondo invisibile. Furono da guida per tutte le altre creature magiche in cerca di rifugio: questa loro facoltà gli permetteva di entrare e di uscire e di uscire dalla foresta, palesandosi ai loro simili fatati e portroppo anche gli uomini.
A causa loro presto molti di loro persero tragicamente la vista, rimanendo costretti nel mondo visibile: gli uomini rubarono i loro corni, credendo che avessero poteri sovrannaturali e così, quando il sangue sgorgò sul loro manto, persero la purezza e l'essenza della loro magia, perdendo anche ogni speranza di farsi ricondurre a casa."
"Ed era vero?" chiesi.
"Che cosa?"
"Che i loro corni avessero poteri sovrannaturali?"
Iphannor scoppiò in una sonora risata, quasi scomposta per quanti naturale e genuina.
A quel punto i miei occhi cominciarono a bruciare, e le immagini della foresta si fecero sempre più intense. C'era una parola che tamburellava nelle mie meningi come un pensiero sanguinario ed indomabile.
"Maledettamente vero, Cordelia! Ad oggi molte delle potenzialità della magia degli unicorni sono quasi del tutto ignote perfino per le creature del mondo invisibile ed è per questo che alcune di loro..."
"La mattanza!" esclamai.
Iphannor trasalì, ma sembrò assecondare il flusso dei miei ricordi.
"La ricordi?"
I miei pensieri si fecero sempre più nebbiosi: sapevo che quella storia poteva avere qualcosa a che fare con me, ma non avevo assolutamente idea del perchè, mentre i miei occhi non cessarono di bruciare in un turbinio di ombre sconnesse.
"Qualcosa..."
Mi sforzai di fare ordine tra quei pensieri, mentre un forte odore si impossessò delle mie narici e cominciò a premere sulla mia fronte.
Era un'operazione stancante e una goccia di sudore accarezzò il profilo del mio volto prima di scivolare sui miei vestiti.
"Cordelia, basta! Non è necessario."
Riaprii gli occhi ed Iphannor era ora più vicino a me, protesosi in avanti sulla sua sedia senza aver perso la sua espressione pacifica.
"A tuo tempo ricorderai." aggiunse, sollevandosi leggermente e tornando alla sua posizione iniziale.
La stanza non sembrava cambiata, eppure era come se la percepissi più fredda ed insicura: l'alcova sfatta era al suo posto, così come la scodella sul tavolo.
Notai che il cucchiaio era sparito, scivolato sul pavimento emettendo un suono sordo.
"Tu che tipo di creatura sei?" domandai a quel punto, cercando di concentrarmi su altri pensieri.
"Un uomo, come te." rispose Iphannor con assoluta naturalezza.
"E come tuo nonno."
Al sentir pronunciare quella parola, fu come se le lacrime offuscassero la mia visuale e annegassero ogni tentativo di formulare altro pensiero.
"E' morto, non è così?"
Iphannor annuiì gravemente.
"Lo conoscevi?"
"No, ma doveva essere molto speciale."
"Perchè?" domandai.
"Era il cavaliere di un unicorno."
Soppesai quella notizia ma prima che potessi ribattere in qualche modo, Iphannon mi interruppe.
"Un ignaro cavaliere di giovanissimo unicorno, giovane quasi quanto te."
Rise.
"Beh, considerando le proporzioni!"
Lo osservai mente si alzava in piedi e ricomponeva la sua veste scura, quasi volesse congedarsi inspiegabilmente.
"Dove vai?" chiesi con una nota di panico.
"E' molto tardi e avrai tempo di ambientarti presto non appena farà giorno."
Iphannor piegò il capo e si inchinò leggermente in segno di saluto, mentre la sua veste da pioggia ondeggiò all'incedere dei suoi passi verso l'uscio d'ingresso.
"Aspetta!" esclamai.
"Quando mi riporterete a casa?"
Il vecchio rimase in silenzio per un lungo minuto, forse indeciso se sedersi di nuovo al suo posto o uscire dopo aver borbottato qualcosa sull'orario dei preparativi per la partenza del giorno successivo; o almeno mi illudevo che fosse così.
"A questo punto è molto pericoloso per te abbandonare la riserva."
Fu la prima volta che il suo volto apparve serio.
"Perchè?!"
"La casa di Gathel è indubbiamente il luogo più accogliente per ospitarti fin quanto sarà necessario."
"Sì, ma..."
"Un dono così importante va conservato e protetto con giudizio: non possiamo permetterti di allontanarti." disse il vecchio, prosegueando la sua avanzata verso la porta.
"Non potete chiudermi quà dentro."
Iphannor esitò, proprio prima di appoggiare il proprio palmo sulla maniglia.
"Ma non ho affatto intenzione di chiuderti da qualche parte; e anche se fosse, come credi di poterti di poterti allontanare?"

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Rov