Fanfic su artisti musicali > One Direction
Ricorda la storia  |      
Autore: Straightandfast    08/09/2015    4 recensioni
Louis pronuncia il suo nome in un modo tutto suo, lo ha sempre fatto.
La t finale scivola via dalla sua lingua come se fosse cioccolato, o miele, o comunque qualcosa di dolce che deve essere assaporato fino in fondo, e questo non la ha mai lasciata indifferente.
Nemmeno adesso, che sta cercando di affrontare la questione nel modo più razionale possibile; si sente di essere tornata al liceo, quando seduta davanti al banco e con un foglio ancora bianco su di esso, cercava inutilmente di arrivare alla risoluzione di uno di quei problemi matematici con cui la professoressa Wiggs la torturava tanto.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Questa oneshot partecipa al concorso #fuoricèilsole di Lilac J.

Margot sfila una sigaretta dal pacchetto di Winston Blu da dieci che ha sempre in borsa – insieme all’agendina rossa e al rossetto Diva della Mac – e gira la rotellina dell’accendino verde, quello che ha comprato a Dublino qualche mese prima.
Di fronte a lei, il mare scuro delle tre e quattordici di notte accentua ancora di più la sensazione di pura solitudine che prova quasi sempre nel fumare una sigaretta da sola. E’ sempre stata una tipa un po’ malinconica, una di quelle che sono sempre alla ricerca del proprio posto nel mondo; ogni volta, si illude di trovarlo in una delle città che visita – Barcellona, Dublino, Parigi, Roma – e puntualmente, ogni volta, l’illusione cade quando, effettivamente, ci si trasferisce.
Adesso, dopo ventidue anni di ricerca inquieta si è effettivamente e definitivamente arresa all’idea che no, un posto per una come lei non esiste, non esiste proprio.
Tarifa, il bar dietro alle sue spalle in cui lavorerà per tutta l’estate, il ragazzo di cui ha accettato il numero qualche ora prima, non sono altro che distrazioni per lei, modi per colmare un vuoto che la mangia dentro, che a volte è così forte che non le dà spazio nemmeno per respirare, facendola sentire una stupida ragazzina all’interno di uno di quei film strappalacrime che lei e Mia guardano al mercoledì sera.

Margot non se lo ricorda nemmeno il giorno preciso in cui Louis Tomlinson ha iniziato a rovinarle la vita, non sa quando per la prima volta  il suo sguardo si sia inciampato in quegli occhi blu perennemente giocosi né il momento in cui si sia accorta di quanto effettivamente il suo sorriso sia contagioso o le sue mani grandi e in grado di coprire il suo intero viso senza tanti sforzi.
Sa solo che, fino a qualche anno prima, Louis era solo il migliore amico di suo fratello, il ragazzino più grande che le tirava i capelli quando erano piccoli e quello che la costringeva a giocare a calcio insieme a lui e poi – puff! – ad un tratto Louis è diventato quel Louis, e lei ha iniziato a fumare esclusivamente la sua marca di sigarette preferita, a comprare i cd dei gruppi che piacciono a lui e ad uscire solo con ragazzi dagli occhi blu e dalle labbra sottili, cercando di convincersi che fosse semplicemente un fatto estetico, e non qualcosa di serio, qualcosa di così logorante da portarla a mettere in dubbio perfino se stessa.
Quasi si vergogna, di quanto assurdamente banale e patetica sia la sua “cotta” , ed è per questo che cerca di sfuggirne in tutti i modi; allontanarsi da Doncaster, scappare in diverse capitali europee nel tentativo di costruire qualcosa, qualsiasi cosa, in almeno una di esse, è solo uno dei milioni di modi di cui si è servita per tentare di tenersi lontana dalle sue spalle larghe, le sue vans bucate sul tallone e i suoi skinny jeans leggermente consumati dietro le ginocchia.

Con un gesto insofferente si passa una mano tra i capelli ed alza il viso verso il mare nel tentativo – vano – di concentrare la sua attenzione su qualcos’altro; Tarifa è bella, bellissima a quell’ora della notte, con il mare piatto che riflette la luce della luna e delle piccole candele che descrivono la sagoma del locale, con i ragazzini che fanno piccoli falò sulla spiaggia e le tavole dei surfisti poggiate con attenta delicatezza sulla sabbia.
Il suo orologio segna le tre e quattordici di un qualsiasi martedì notte e, purtroppo, il locale in cui lavora è ancora pieno di gente, tanto che quasi le sembra impossibile essere riuscita a trovare quel piccolo rifugio dove trascorrere qualche momento da sola. Ha la testa che le gira, le gambe che rischiano di non reggerla ancora per molto e un chiaro sapore di vomito in gola; vorrebbe poter dire che è per l’alcool, per l’erba o per qualsiasi altra sostanza in grado di metterla a KO a quel modo. Vorrebbe poterlo dire, davvero, perché significherebbe stare meglio di come si sente in quel momento.
Ma, di fatto, la sostanza in grado di distruggerla in quel modo indecente, il suo stupefacente personale, è ormai da tempo molto più pericoloso di qualsiasi altra droga o farmaco. Pericolosi, infatti, sono gli occhi azzurri cielo di Louis Tomlinson, pericoloso è il suo modo di parlare, il suo entusiasmo infantile che la stupisce sempre, e ancora più pericoloso è il sorriso che le ha rivolto qualche minuto prima quando, aprendo la porta del bagno del locale, lo ha trovato con le mani nelle mutande di una qualsiasi ragazzina. Ancora una volta. Per l’ennesima volta.

«Go, che ci fai qua?»  Margot sussulta appena, prima di rilassarsi istantaneamente, nel riconoscere il tono caldo e così familiare presente nella voce del fratello; si volta appena, non preoccupandosi nemmeno di asciugare le lacrime che sono scappate dal suo orgoglio, bagnandole le guance.
«Ti sei già stancato di quella morettina?» Devia espertamente la domanda, limitandosi a storcere lievemente l’angolo sinistro della bocca; è così abituata a quel genere di situazioni – lei che piange con una sigaretta in mano, suo fratello che viene a vedere come sta – che le sembra di non aver fatto altro per tutta la vita.
Calvin le rivolge un’occhiata preoccupata, mentre le si siede accanto e borbotta un «Lo sai che le more non fanno per me. Ho già te, e mi basti e avanzi.» nel vano tentativo di farla aprire in un sorriso sincero. Lei si limita a dargli un pugnetto sul braccio, mentre spegne la sigaretta ridotta ad un mozzicone contro la ringhiera su cui ha appoggiato la spalla.
«Louis è un coglione, Go. Gli voglio bene, è il mio migliore amico e non lo cambierei con nessuno al mondo ma.. E’ davvero un coglione. E non ti merita.» Calvin guarda sua sorella, la sua magnifica sorellina minore, pronto a ripeterle quelle parole altre milioni di volte, pur di fargliele entrare in testa. «Insomma, tu sei Margot Harris, la creatura più incredibilmente sorprendente sulla faccia della terra, quella che tutte le ragazze vogliono imitare e di cui i ragazzi si innamorano continuamente! E lui.. lui è Louis Tomlinson, un ventiquattrenne coglione che si diverte a bere secchielli di Long Island e scoparsi sconosciute nei bagni dei locali. Non ti merita, non ti merita davvero.»La guarda con un’intensità tale che Margot è costretta ad allontanare lo sguardo dal suo viso, rivolgerlo di nuovo verso il mare che sì, okay, è buio e terrificante, ma non la conosce bene come suo fratello.
Sospirando piano si alza in piedi, facendo leva sulla spalla di Calvin e mormorando un «Lo so, Cal, lo so.», prima di rientrare dentro al locale.
E lo sguardo che gli rivolge poco prima di sparire tra la folla è così triste e rassegnato che se solo non fosse il suo migliore amico, Calvin è piuttosto sicuro che correrebbe da Louis Tomlinson e lo prenderebbe a botte senza pensarci due volte.

«Go, devi smetterla di morire dietro a quell’idiota. Rischi di arrivare a novant’anni da zitella, in attesa che quel coglione si accorga di quanto tu sia stupenda e innamorata di lui. Non è questo quello che vuoi, vero?»
Margot si strofina le mani contro le gambe, nel tentativo di riscaldarsi, rabbrividendo al solo pensiero di trascorrere tutta la vita ad aspettare uno come Louis ma non riuscendo comunque a reprimere un sorriso, nell’immaginarsi una versione anziana di quel Peter Pan dagli occhi brillanti.
Sono di nuovo le tre e quattordici e lei, di nuovo, si è ritagliata cinque minuti di calma per poter chiamare la sua migliore amica; Mia è a Roma con il suo meraviglioso e innamoratissimo fidanzato, ma nonostante ciò ha risposto alla sua chiamata dopo soli due squilli, con la voce assonata ma preoccupata.
«Penso che chiamerò il tipo che ieri mi ha lasciato il numero. Era carino.» Margot sospira, con una rassegnazione che non si addice alla sua abituale energia, all’entusiasmo che l’ha sempre caratterizzata e che al liceo l’ha portata ad essere la ragazza più popolare della scuola.
«Mi sembra perfetto, Go. Magari però chiamalo domani mattina, okay?» La voce di Mia è dolce e attenta, quando le parla, come lo è quella di sua madre, di Calvin o della sua professoressa di filosofia del liceo; il modo in cui lei le parla, sempre, anche quando la sta prendendo in giro, è una di quelle cose che le fanno venire i lacrimoni agli occhi così, senza motivo apparente, e anche questa volta non si smentisce.
«Domani mattina, giusto. Grazie come al solito, Mia. Ti voglio bene.» Borbotta una parola dietro l’altra, cercando di non incastrarsi in quelle tre ultime parole, come le succede spesso. La voce squillante di Mia le risponde con il solito entusiasmo, e Margot chiude la telefonata con un sorriso, nonostante tutto.
Nella tasca dei pantaloni c’è il foglietto spiegazzato su cui Marcos – o era forse Josè? – le ha scarabocchiato il suo numero, con un “mi piaci” a fianco. Margot lo tocca con una mano e sospira.
Vorrebbe piangere.

Si chiama Juan – come le ha ricordato gentilmente almeno quattro volte – è di Madrid e studia per diventare medico. Ha gli occhi scuri, la pelle nera nera e una parlantina che farebbe invidia a chiunque; alterna discorsi in inglese ad alcuni in spagnolo, e Margot gli piace, è evidente.
La guarda con degli occhi pieni di ammirazione, la segue in ogni movimento che compie e la riempie di complimenti sfacciati che, però, non la fanno arrossire nemmeno un po’; vanno insieme a fare una passeggiata sulla spiaggia, non appena Margot riesce a farsi dare il cambio dietro al bancone e lui è gentilissimo con lei. Non ne sbaglia una, sul serio; le dà la sua felpa quando lei inizia ad avere freddo, le toglie i capelli dal viso quando si alza il vento, le prende la mano per attraversare la strada e la ascolta con interesse.
E’ perfetto, perfetto davvero.
Perciò non c’è alcun motivo, alcun dannatissimo, schifosissimo motivo, per cui Margot non riesca a non pensare a quanto effettivamente gli occhi di Louis siano più splendenti, o la sua risata più divertente, o le sue gambe più lunghe. Ancora una volta si sente imprigionata in quegli stupidi cliché da film americani che ha sempre odiato, e prova un moto di disgusto verso se stessa e la sua totale incapacità di reagire.

Arriva a casa qualche ora dopo, con la stanchezza addosso e sulla pelle il profumo del ragazzo sbagliato, ma nonostante ciò le viene da sorridere con dolcezza nel trovare un bigliettino da parte di suo fratello, con il quale la avvisa di essere andato a dormire da un’amica e la prega di scriverle appena arriva a casa, per fargli sapere che sta bene.
Il suo temporaneo buonumore, però, viene messo a repentaglio subito.
Non appena si abbandona sul materasso ad acqua che le ha regalato una ragazza messicana conosciuta qualche settimana prima, sente con chiarezza dei gemiti femminili provenire dalla stanza affianco alla sua, quella di Louis.
Chiude gli occhi, si sforza di non piangere e mente, inviando il messaggio a suo fratello.
Sono di nuovo le tre e quattordici.


Con Juan esce altre quattro volte nel giro di una settimana, vanno insieme ad una festa sulla spiaggia e fanno lunghi giri con la Vespa rossa di lui, di cui Margot è segretamente innamorata.
Anche quel martedì sera escono insieme, lui la porta a fare un giro in centro e, davanti al mare illuminato da una luna grassa e tonda, la bacia. Margot si allontana un po’, ma non lo respinge come il suo cuore vorrebbe, sforzandosi di far funzionare le cose, almeno con lui. Poco dopo il proprietario del locale in cui lavora la chiama per sostituire una ragazza che si è sentita male e a lei viene nuovamente da piangere, non appena realizza il sollievo ingiusto che prova nel venire a sapere di avere una via d’uscita da quell’appuntamento. Juan la accompagna senza reprimere un’espressione un po’ delusa, e le lascia un bacio sulla bocca prima di allontanarsi fuori dal locale; poco dopo, lei non fa nemmeno in tempo ad uscire dallo sgabuzzino adibito a spogliatoio e dirigersi verso il bancone che una voce allegra e apertamente derisoria le fa alzare gli occhi chiari di scatto.
«Da quando esci con Juan Malègo? Non pensavo fosse il tuo tipo.»  Louis tiene in mano un cocktail verde pieno di ghiaccio, che Margot individua come un Mojito, grazie alle foglie di menta che fuoriescono dal bicchiere e bagnano leggermente il pollice del ragazzo. Per un attimo le viene la folle idea di chinarsi e leccargli via le goccioline dalla mano.
Scuote la testa.
«Perché no? E’ bello, simpatico e io gli interesso.»  Si rende conto che la sua giustificazione potrebbe apparire vagamente patetica e superficiale, ma di fronte agli occhi blu di Louis si sente sempre almeno dieci anni più giovane di quello che è.
«Ma dai, è un coglione..»  Lui ha la voce canzonatoria, adesso, e a Margot verrebbe da prenderlo a pugni. Perché lo ama così tanto? «Non ti merita, Go.» 
Margot è stanca, sfiancata dalla serata, dalla vita e soprattutto da Louis, e non sopporta il modo derisorio con cui la sta osservando dal di sotto delle sue ciglia scure; mai come in quel momento ha desiderato di togliergli quell’espressione invincibile dal viso.
«E chi è che mi merita, eh? Non mi merita Juan, non mi meritavano James, Jordan e Sam, e non mi meriti tu.. »  Margot si rende conto dell’errore fatto il secondo dopo aver chiuso la bocca, e soprattutto quando vede l’espressione di Louis incuriosirsi; ma ormai il processo è avviato, e lei finalmente si sente libera di esplodere. «Dite tutti che non mi merita nessuno perché sono troppo speciale e tutto il resto, ma alla fine io rimango sempre sola come una povera stronza, quindi che cazzo me ne frega di essere speciale, se poi a casa non c’è mai nessuno ad aspettarmi?»
E’ sicura di avere la faccia rossa e una serie di macchie dello stesso colore sul collo e sul petto, come le succede ogni volta che si agita, ma la sua concentrazione è tutta su Louis che, con l’espressione di chi sta assistendo a un fenomeno paranormale, mormora un «e cosa c’entro io?»  che la fa sobbalzare e, se possibile, innervosire ancora di più.
«Cosa c’entri tu? Sul serio, Louis, mi stai chiedendo cosa c’entri?» Ha la voce stridula e ringrazia il cielo di essere ancora all’interno dello sgabuzzino perché la sua voce ha raggiunto toni molto più elevati del normale. «Tu c’entri completamente, dio santo, in tutto e per tutto. Ogni cosa che riguarda me, dipende da te. Il mio umore dipende da te, il mio taglio di capelli dipende da te, perfino il colore dei miei occhi.. E poi i miei mille spostamenti nelle capitali d’Europa, i cd che ho in macchina, i miei ex fidanzati, il nome del mio peluche preferito e anche i concerti a cui sono andata. Mio dio, nessuno sa quanto io mi odi per questo, ma è la verità. Non c’è niente che mi riguardi che non dipenda da te, niente di quello che ho fatto, comprato, visto o pensato negli ultimi tre anni non dipende da te. Perciò sì, Louis, tu c’entri, c’entri come nessun altro.» La sua voce si fa fioca, quasi arrendevole, mentre pronuncia l’ultima frase e abbassa gli occhi perché, okay, rendersi ridicola è un conto, ma affrontare lo sguardo di Louis è un’altra cosa.
«Che stai dicendo, Go? Sei ubriaca?» Louis sembra seriamente preoccupato, ma nemmeno il tono attento con cui le pone la domanda le impedisce di sbuffare apertamente, di fronte alla sua stupidità e chiusura mentale.
«No, Louis, non sono ubriaca. E anche se lo fossi non cambierebbe proprio nulla, perché non c’è niente che riesca a farmi dimenticare che povera stronza sono stata ad innamorarmi di uno come te.»  Per qualche secondo, si sente quasi meglio mentre lo dice.
Poi alza gli occhi, e vede lo sguardo di Louis, quel misto di incredulità e compassione, e lo sente mormorare, confuso «ma tu sei Margot.. La piccola Margot Harris»  che le fa capire che non importa quanto bella sia, quanto speciale od elegante sia il suo modo di vestire od il suo taglio di capelli, per lui sarà sempre la sorellina piccola di Calvin.
«Già.»
Lo sorpassa, rivolge un sorriso falso come la Michael Kors che ha in camera al barman e si impegna come non mai a scacciare indietro le lacrime.
Non ha nemmeno bisogno di guardare l’orologio per sapere che ore siano.


I giorni successivi alla sua ridicola confessione sono come una sorta di limbo in cui lei si immerge per impedirsi di pensare.
Non parla, non esce, mangia e beve poco e ascolta tanta, tantissima musica.
Il suo patetico innamoramento nei confronti di Louis le serve quantomeno a saperne riconoscere le scie di profumo e i passi sul pavimento, cosicché – con anche l’aiuto di Calvin – riesce a evitarlo per i corridoi di casa per tutta la settimana. Suo fratello la sostituisce al locale, e rassicura Juan gentilmente, ma invitandolo a non cercarla più.
Mia la chiama trenta volte al giorno e le invia almeno il doppio di messaggi, tutti costellati da punti interrogativi, esclamativi e faccine preoccupate; alla fine, il martedì successivo, la sua amica invia un messaggio che non può evitare.
Margot può sentire nella sua mente la voce dolce e rassicurante di Mia, mentre lo legge:


“Calvin mi ha raccontato. Sto venendo da te.”
Tre ore dopo, qualcuno citofona e Margot sente i passi strascicati di Louis andare ad aprire alla porta.
«Sei proprio un coglione, Louis Tomlinson!» 
Mia è arrivata.
 
Mia resiste quattro giorni.
Poi, alternando finte lusinghe a incoraggiamenti e soprattutto a rimproveri, la costringe ad uscire insieme a lei, nonostante le sue proteste e lamentele. La obbliga ad indossare il suo vestito bianco, quello senza maniche e con la gonna corta e svolazzante, e le lega i capelli in una coda sbarazzina da cui lascia cadere qualche ciocca qua e là.
Margot sa di essere carina, non è certo cieca né una di quelle ragazze insicure su tutto e tutti, quindi riconosce che il lavoro che Mia ha fatto su di lei quella sera è davvero notevole; ma mentre si guarda allo specchio non riesce comunque a fare a meno di pensare a quanto tanto impegno sia sprecato, se un certo paio di occhi azzurri non si soffermerà ad ammirarlo.
Scuote la testa.
Ha bisogno di un cocktail.
Mia non la lascia sola nemmeno un secondo e sembra la versione giovane e decisamente più libertina di una di quelle mamme chiocce italiane, mentre le ordina litri e litri di alcool e le presenta decine di ragazzi. Come al solito, se ne infischia allegramente dei segni di diniego di Margot o dei suoi mugugni di disapprovazione e continua a porre alla sua attenzione qualsiasi essere umano di sesso maschile che le passi davanti.

A un certo punto, però, si dilegua con un sorriso enigmatico e la lascia a parlare con un ragazzo francese, Henry, noioso come quei vecchi parenti che non si vedono da una vita, che passa il tempo a dire quanto sia adorabile il suo accento londinese. Ma il noioso Henry passa decisamente e rapidamente in secondo piano quando, dietro ad una Mia particolarmente allegra, compare uno spilungone dai capelli biondissimi e il naso un po’ irregolare, bello come non mai e con gli occhi felici puntati esclusivamente su Margot.
«Ciao, pulcina.» Chad Zuegler è senza dubbio uno dei ragazzi più belli che Margot abbia mai visto, e anche uno dei pochi ad essere in grado di darle conforto con un semplice abbraccio. Non potrebbe essere più contenta di vederlo, e di saperlo lì insieme a lei. «Ho sentito che hai combinato uno dei tuoi casini.» 
Margot sorride con aria colpevole, mentre si risiede su uno di quei divanetti neri che risaltano il suo vestito e accarezza con una mano gli zigomi sporgenti del suo migliore amico; hanno vissuto insieme a Barcellona e poi a Dublino, e lui la ha consolata innumerevoli volte in situazioni simili
Chad non è uno che parla tanto.
Quindi, quando Mia li lascia soli per andare a chiamare il suo adorabile fidanzato, lui si limita a porgere a Margot un bicchierino di rhum ed uno di succo alla pera e a trascinarla verso la pista del locale. A Margot sembra di essere tornata a qualche mese prima, quando il venerdì sera per loro significava andare a ballare al Vogue di Dublino, e così si lascia andare completamente mentre le casse tremano per i bassi di Lean On.
Non sa per quanto tempo ballano insieme, né quanto effettivamente vicini siano i loro corpi mentre il DJ miracolosamente passa tutte le loro canzoni preferite. Sa solo che, nel bel mezzo di Firestone una mano familiare le strattona il polso, attirando la sua attenzione e allontanandola dal corpo di Chad, verso l’uscita del locale.

«Che cazzo stai facendo?» Margot è furiosa, mentre viene trascinata fuori dal locale da Louis Tomlinson, come se lui avesse il diritto di rovinarle anche quella serata.
Lui non le risponde, ma continua a camminare imperterrito, tirando spallate a chiunque si interponga tra loro e la terrazza del locale, e imprecando a bassa voce.
Si ferma solo quando finalmente sono entrambi all’esterno, con il vento che scompiglia i capelli ad entrambi e fa svolazzare il vestito di Margot.
«Sei impazzito?» Margot tira fuori una sigaretta e l’accendino dalla scollatura del vestito – sì, okay, non è molto fine, ma chi pensava di incontrare Louis quella sera? – e aspira il primo tiro come se ne dipendesse della sua vita.
Quando finalmente Louis alza gli occhi su di lei, Margot sussulta, facendo istintivamente un passo indietro.
Louis Tomlinson è una maschera di rabbia, mentre la fissa negli occhi senza muovere nemmeno un muscolo del viso; la squadra senza dire niente, passando dai suoi capelli acconciati in quella coda ribelle, le labbra velate di un rossetto bordeaux, il vestito corto, cortissimo che le accarezza le gambe e la sigaretta che si incastra perfettamente tra i suoi denti bianchi. Margot – come al solito – si sente incredibilmente sotto pressione, sotto quello sguardo arrabbiato che sembra volerla punire per qualcosa che non sa di aver commesso; tuttavia decide di aspettare, in silenzio, sostenendo il suo sguardo con aria di sfida.
«Si può sapere che cazzo stavi facendo là dentro?» Il solito azzurro degli occhi di Louis è stato sostituito da una sfumatura ben più scura, mentre le sue labbra sottili la accusano con freddezza.
«Ballavo.» Margot crede di conoscere meglio di chiunque altro, perfino meglio di Calvin, le espressioni di Louis, e di conseguenza sa perfettamente che un tale livello di rabbia ed irritazione compare poche, pochissime volte sul suo viso perennemente allegro, e che dunque sarebbe meglio non provocarlo. Per una volta, però, è davvero desiderosa di provare a fare qualcosa senza pensare alle conseguenze che potrebbero ripercuotersi su di lui o sul suo umore, ma solo per il gusto di farlo.
«Oh, io non lo chiamerei ballare, quello. Più che altro sembravate intenzionati a fare un cazzo di bambino, su quella di pista di merda.» Adesso Louis sembra aver preso il suo piglio malizioso, quello con cui si diverte sempre a prendere in giro tutti, soprattutto lei; ma a Margot non sfugge la rabbia che si nasconde dietro quel finto sorrisino divertito, la sua mascella contratta e la precisa volontà di farle del male, mentre le parla.
Si sente incredibilmente piccola, e indifesa.
«Cosa vuoi Louis?» Adesso la sua voce è arrendevole, sconfitta, non c’è più alcuna traccia della piccola sfida che era intenzionata a lanciargli solo pochi secondi prima. Vuole solo concludere anche quest’ultimo confronto, ritornare da Mia e Chad e correre a casa, sotto le coperte e con un bicchiere di latte con il miele in mano. «Sì, stavo ballando con Chad, sì, eravamo abbastanza vicini e sì, la gente ci guardava. Fino a qui siamo d’accordo. Ma tu cosa vuoi?» Finisce la sigaretta e la calpesta con le scarpe di corda che la fanno sembrare un po’ più alta, e le permettono di osservare Louis da un punto di vista diverso, un’altra prospettiva.
 E’ comunque dolorosamente bellissimo.

Louis si accende una sigaretta e comincia a camminare nervosamente sulla terrazza, passandosi le mani tra i capelli e sospirando, irritato; Margot, invece, rimane immobile, le dita della mano destra che torturano quelle della mano sinistra e gli occhi che seguono ogni singolo movimento di Louis.
Quando finalmente parla ha i gomiti, lasciati scoperti dalle maniche arrotolate della camicia bianca,  appoggiati alla ringhiera della terrazza e il viso rivolto verso il panorama che si presenta loro di fronte.
«La settimana scorsa mi hai detto di essere innamorata di me.»  La sua voce è più calma adesso, ma dal modo in cui aspira velocemente il fumo è facilmente deducibile quanto il suo nervosismo sia ancora in parte presente. Margot rimane in silenzio perché – davvero! – c’è bisogno che lei commenti questa sua affermazione? «Mi hai detto di essere innamorata di me e io.. Io ho fatto il coglione, okay, ma sono sette cazzo di giorni che ci penso continuamente e sono un codardo perché sono venuto di fronte alla porta di camera tua milioni di volte, ma poi non bussavo mai perché mi cagavo addosso al solo pensiero.»  I suoi occhi sono sempre puntati verso Tarifa, la sua voce man mano che parla diventa di una tonalità sempre più alta e le sue parole sempre più nervosamente costellate di parolacce. «Poi finalmente stasera trovo un po’ di coraggio, mi faccio dire da Calvin dove sei e non è stato facile, cristo, tuo fratello voleva mangiarmi la faccia, ma alla fine ce l’ho fatta. Arrivo qui e ho in mente un cazzo di discorsetto che è perfetto, non sbaglia nemmeno di una virgola, e mi sento tutto fiero perché finalmente sto per dare un senso alla mia vita di merda.. Ti cerco come un coglione in tutto il locale, e alla fine ti trovo abbracciata ad uno stronzo qualsiasi, con il tuo culo che si struscia su di lui e penso – bravo Louis, sei il solito coglione che non riesce neanche a chiedere alla ragazza che gli piace di uscire con lui in tempo, prima che lo faccia qualcun altro -.»  Sospira, mentre lancia la sigaretta ormai ridotta ad un mozzicone al di là della balaustra e segue con gli occhi il suo percorso. «E ora tu sei qui, e sei incredibilmente bella con quel vestito e i capelli così, e mi fai incazzare, perché sei sempre stata più intelligente di me e mi hai fatto cagare addosso parlandomi di tutte quelle cose sull’amore e non ho fatto che pensare a te e al profumo che avevi quella sera, e invece tu sei già con un altro stronzo probabilmente migliore di me. Mi fai incazzare da morire, Margot. » 

Louis pronuncia il suo nome in un modo tutto suo, lo ha sempre fatto.
La t finale scivola via dalla sua lingua come se fosse cioccolato, o miele, o comunque qualcosa di dolce che deve essere assaporato fino in fondo, e questo non la ha mai lasciata indifferente.
Nemmeno adesso, che sta cercando di affrontare la questione nel modo più razionale possibile; si sente di essere tornata al liceo, quando seduta davanti al banco e con un foglio ancora bianco su di esso, cercava inutilmente di arrivare alla risoluzione di uno di quei problemi matematici con cui la professoressa Wiggs la torturava tanto.
Analizza le parole di Louis con la stessa razionalità di allora, o almeno ci prova, cercando di eliminare dalla sua mente il suo profumo che sa di cedro, i suoi capelli scompigliati, e sì, perfino il modo in cui pronuncia il suo nome. Tenta di non lasciarsi coinvolgere dal numero di volte in cui ha sognato che lui le dicesse cose del genere né dalla spontaneità con cui sembra aver parlato.

«Tu sei venuto qui perché volevi chiedermi di uscire con te? » Parla con lentezza e attenzione, mentre i suoi occhi si posano sul viso di Louis, pronta ad interpretare ogni sua mossa. Lui si limita a sospirare, piano, e ad annuire con il capo.
«E non perché ti faccio pena?» Questa volta Louis alza il viso di scatto, verso di lei, squadrandola con occhi sorpresi, mentre scuote velocemente la testa, in segno di diniego.
Margot sente il respiro farsi più accelerato, e raggiungere velocemente i battiti del cuore.
«Volevi chiedermi di uscire perché.. Perché ti piaccio?»  Vorrebbe sembrare una di quelle ragazze che non si fanno intimidire da nessuno ma, di fatto, Louis Tomlinson è in grado di farla dubitare perfino del suo nome.
«Perché mi piaci.» Conferma lui, sentendo la necessità di sottolineare quel concetto, intuendo l’insicurezza di Margot e stupendosene un po’; essendoci cresciuto insieme, sa perfettamente quanto sia difficile rendere nervosa Margot, e un po’ si compiace che la sua presenza sia in grado di farla sentire a quel modo.

Margot si prende qualche minuto – Louis ne conta tredici e mezzo – per analizzare ancora la situazione.
Rimangono in silenzio per tutto quell’arco di tempo, mentre lei cerca di trovare un qualche tranello che lui possa averle giocato, un qualcosa che le faccia capire che no, non è vero niente e lui la sta solo prendendo in giro, come fa di solito.
I suoi occhi azzurri, quei dannatissimi occhi azzurri, però, esprimono solo sincerità, nervosismo e una vaga traccia di paura. E a Margot viene quasi da sorridere, mentre gli si fa più vicina di qualche passo, arrivando a sentirne il profumo molto più chiaramente; ne inspira un paio di boccate, prima di riaprire bocca.
«Chad è gay.»  Le sue labbra trovano il coraggio di aprirsi in un piccolo sorrisetto, mentre osserva il viso di Louis; lui ha il capo chino, gli occhi puntati verso il basso e i lineamenti apparentemente immobili. Lei, però, riesce a cogliere un guizzo di interesse che gli attraversa il viso e gli fa innalzare leggermente il sopracciglio. «E’ fidanzato con Alexander, un suo compagno di liceo, e hanno intenzione di sposarsi quando anche in Germania, il loro Paese, dichiarerà legale il matrimonio tra persone dello stesso sesso.» 
Louis ha  pian piano alzato il viso, adesso i suoi occhi chiari la squadrano quasi senza paura, e con un interesse che, per una volta, non la mette in soggezione ma la fa sentire incredibilmente bella e sì, perfino speciale.
«E comunque, io sono innamorata di te.»  Margot parla con dolcezza, mentre gli ripete ancora, per la seconda volta, questo concetto che a lei sembra elementare quanto il buon vecchio 2+2=4 e che dovrebbe fargli capire che per lei, lui vincerebbe la gara con qualsiasi ragazzo.
Louis adesso sorride apertamente, mentre la guarda come se la vedesse per la prima volta, e forse è davvero così, per qualche strano motivo. Le si fa vicino e non la bacia, ma la abbraccia solo, tenendola piano tra le sue braccia rese muscolose dal surf praticato in quegli ultimi giorni.
Margot sospira piano, mentre respira il profumo di Louis.
Il suo orologio segna le 3:14 e, per la prima volta, Margot pensa che, come orario, non faccia poi così schifo.

Il primo bacio Louis glielo dà al loro secondo appuntamento.
Sono seduti sulla sabbia con i piedi immersi nell’acqua del mare, e Margot sta raccontando di quella volta in cui lei e Mia sono riuscite ad entrare nel backstage del concerto dei The 1975, gesticola e ride come non mai; lui non resiste e, nel bel mezzo del suo discorso, le prende il viso tra le mani e la bacia.
Le labbra di Louis sanno di tabacco, margarita e un leggero retrogusto di pomodoro e si muovono sulle sue con una strana impazienza, che quasi fa rabbrividire Margot; sembra nervoso, mentre la bacia, quasi fosse una sorta di prova che non è certo di superare con il massimo dei voti. A lei viene da ridere, ma ricambia il bacio con entusiasmo; sente le sue labbra modellarsi su quelle di Louis, e le loro lingue che si intrecciano, esattamente come ha sognato per anni e anni, quando nella sua cameretta da liceale sognava un futuro che pensava non si sarebbe mai avverato.
Si staccano che hanno entrambi il fiato corto, le labbra rosse e gli occhi lucidi e si guardano in faccia osservando ognuno la felicità dell’altro, un po’ intimiditi dalle loro espressioni così totalmente prive di maschere.
Margot sente il cuore che le batte così forte che inizia a non giudicare più tanto stupide tutte quelle descrizioni sui baci tratte dai libri per quindicenni con gli ormoni a mille e senza alcuna reale esperienza, e si lascia andare tra le braccia di Louis, mentre lui le lascia un bacio sui capelli e lei guarda l’orologio.
Sono le tre e quattordici, e adesso Margot è certa: quello, è senza dubbio l’orario più bello del
mondo.

Uscire con Louis Tomlinson non è esattamente una cosa a cui ci si abitua velocemente, non proprio. Margot fa del suo meglio per fingere che tutto quello che le sta accadendo non la emozioni oltre ogni limite e che la visione di Louis che la aspetta fuori dal locale ogni santissima sera non le faccia tremare le ginocchia come una stupida, ma crede che – almeno fino a quel momento – il suo lavoro di attrice non le stia venendo un granché bene.
Il problema di fondo è che uscire davvero con Louis è ancora più incredibile di sognare di farlo, e Margot pensa che vivrà per sempre nella paura che lui si stanchi di lei, da un giorno all’altro; è per questo che, per la prima volta da quando è iniziata quella cosa tra loro due, poche ore prima hanno litigato.
Adesso che, sdraiata nel suo letto troppo grande per una persona sola, con il cellulare impostato con il volume massimo – proprio lei, che è una grande sostenitrice della modalità silenziosa! -, è notte fonda e Louis non è ancora tornato a casa, Margot si rende conto che, come al solito, la loro discussione è nata per una cagata, una vera cagata. Una parola di troppo ha fatto scattare nel suo cervello il solito meccanismo malato, che la porta a sottostimarsi e ad attaccare Louis per cose che, di fatto, non esistono.
Margot si sente male, malissimo, ma ha già pianto tutte le sue lacrime ed ora non le resta che fissare il vuoto e aspettare. E’ così rassegnata all’idea di aspettare tutta la notte invano che, quando il cellulare accanto a lei inizia a vibrare e una suoneria forte e chiara si diffonde da esso, quasi sobbalza dalla paura; risponde velocemente, dopo aver letto “Louis” sullo schermo.
«Margot?» Spalanca gli occhi e socchiude la bocca, mentre un dolore mai provato prima inizia a diffondersi nel suo corpo. «Sono Melissa, non so se ti ricordi di me.» 
Margot trattiene il respiro mentre risponde «Sì, mi ricordo di te»  e nella sua testa visualizza quella ragazza dai capelli lunghi, scuri e mossi che qualche mese prima era uscita con Louis.
«Louis è qui da me.» Margot deve appoggiare una mano al letto per sorreggersi, mentre gli occhi si velano di piccole e insistenti lacrime che le impediscono di vedere con chiarezza.
«Okay. Buonanotte.» Non sa neanche con che coraggio trova la forza di non chiudere il telefono in faccia a quella Melissa, ma di mantenere almeno una parvenza di gentilezza ed educazione.
«No, Margot, aspetta, non hai capito.» L’urgenza nella voce della ragazza è tale da convincerla a non spegnere la telefonata ma ad aspettare, con pazienza ciò che ha da dirle. «E’ qui da me, ma non per me. Vieni a riprendertelo. » 

Un’ora e tredici minuti dopo, Margot è riuscita nell’epocale impresa di recuperare Louis da casa di Melissa e lo ha sistemato nel letto. Da quando lo ha trovato steso sul divano bianco di Melissa intento a rollarsi una canna non si sono ancora detti una parola, e, dopo avergli rimboccato le coperte come Calvin faceva sempre con lei, Margot decide di lasciarlo solo, con la sua sbronza e i suoi pensieri; però, prima che lei abbia il tempo di voltarsi e dirigersi verso la porta, le dita lunghe e rassicuranti di Louis si avvolgono attorno al suo polso, portandola gentilmente a sedersi sul letto, accanto a lui.
«Sono andato da Melissa per farti incazzare.»  Louis ha gli occhi chiusi, mentre parla, il suo alito sa di birra ed erba e la sua mano continua ad accarezzare il fianco di Margot. «Volevo farmela e poi dirtelo in qualche modo ma..Il problema è che lei.. lei non mi piace più, in nessun senso. Mi ha baciato e si è tolta la maglietta, era senza reggiseno e un tempo le sue tette mi piacevano, mi piacevano da morire. Ma non è successo niente, non ero neanche lontanamente eccitato. »  Adesso è la volta di Margot di chiudere gli occhi perché, sul serio?, le sta davvero raccontando della sua serata con Melissa? «Non sono riuscito ad eccitarmi nemmeno quando lei ha provato a farmi un pompino, era come se avessi davanti la mia zia vecchia e grassa. E non riuscivo ad eccitarmi per colpa tua, Go. Avevo in mente il tuo viso, le tue labbra, il tuo corpo e i tuoi occhi, riuscivo a pensare solo a te e a come avrei voluto essere insieme a te, magari sotto una coperta anche se fuori ci sono quaranta gradi a guardare uno dei tuoi film del cazzo. »  Ora hanno entrambi gli occhi aperti. Quelli di Margot sono spalancati perché Louis Tomlinson fa schifo a dire cose romantiche ma, a suo modo, quella è decisamente una cosa dolce, una cosa carina. «E mi fa incazzare il fatto che tu metta in dubbio quello che provo per te, che tu metta in dubbio me.»  Louis sospira, le prende una mano e la guarda con gli occhi più seri che lei abbia mai visto. «Mi piaci, Margot Harris, mi piaci davvero. E devi smetterla di pensare che non sia così, che io ti stia solo prendendo in giro. Mi piaci. » 
Lo bacia.


Fanno l’amore per la prima volta qualche mese dopo, il 17 Agosto, una sera che Calvin è fuori con Toni, la sua nuova fiamma, e Margot ha cucinato una torta cioccolato e cocco che è la fine del mondo.
Margot ha modo di constatare che, effettivamente, a Louis lei piace, piace eccome; la visione di Louis Tomlinson eccitato solo per una sua battuta maliziosa e un accavallamento di gambe in più – eccitato per causa sua, poi! – è senza dubbio la cosa più appagante del mondo. Lui la spoglia in fretta, come a dire “non ce la faccio più” e a lei va bene così perché, dio, non ce la fa più neanche lei. Rimangono senza indumenti molto velocemente, e lui si prende due minuti di tempo per osservarla; Margot, ai suoi occhi, è la creatura più bella e sensuale che abbia mai visto. Rischia di esplodere solo per il modo in cui lei lo guarda, da sotto le ciglia scure, o per come le sta bene quel completino di pizzo nero o ancora per i suoi capelli scompigliati a causa sua e delle sue carezze.
Decide di mettere fine a quella tortura – o di amplificarla – e le si avvicina velocemente, togliendole quel meraviglioso completino diventato improvvisamente superfluo.
Chiunque non abbia mai fatto l’amore con la persona che ama follemente non può capire come mi sto sentendo in questo momento, pensa Margot mentre Louis è dentro di lei e si muove come se quella fosse l’ultima azione della sua vita; fare l’amore, come imparano entrambi quella sera, non ha niente a che vedere con il sesso, né con l’immagine stereotipata che molte persone hanno. Si può fare l’amore anche selvaggiamente, non sono necessarie la lentezza, i baci sulle labbra e le carezze sulla pelle, non è quello che fa la differenza.
Ciò che fa la differenza, è avere la piena certezza che la persona con cui si è a letto rimarrà lì anche dopo il risveglio, e anche il giorno dopo e quello dopo ancora.
Questo è fare l’amore.

Passano insieme tutto il resto dell’estate, giorno e notte; Margot smette definitivamente di cercare di cogliere in fallo Louis e lui evita di incazzarsi troppo quando uno dei clienti del locale ci prova con lei. Lui le insegna ad andare sul surf – più o meno – la porta a fare lunghi giri con la moto che hanno affittato insieme e le regala un costume striminzito da usare solo quando è insieme a lui; Margot, invece, gli fa sempre trovare un Mojito ghiacciato ogni volta che entra nel locale, scaccia gentilmente ma con decisione chiunque ci provi con lei e gli accarezza la schiena prima di addormentarsi.
Fanno l’amore ogni volta che ne hanno voglia, suscitando il palese fastidio di Calvin che, okay, è felice per sua sorella e il suo migliore amico, ma non lo è altrettanto per i loro gemiti nel cuore della notte.
Sono felici, felici da fare schifo, e la loro felicità è visibile a tutti; traspare dal sorriso perenne che Louis ha stampato sul viso, non più malizioso ma semplicemente appagato, o dagli occhi di Margot che hanno una luce in più da quando può chiamare Louis ogni volta che vuole.
Quella è la prima sera che passano separati dopo tre settimane tracorse sempre insieme; Margot non si sente bene, ha un raffreddore fortissimo e le gira un po’ la testa, ma ha forzato Louis ad uscire con i suoi amici, riuscendo finalmente a convincerlo solo dopo molte, moltissime sue proteste.
Adesso lei è sdraiata sul suo letto da una piazza e mezza, ha appena chiuso una telefonata con Mia e pensa a quanto sia stupida a sentire la mancanza di Louis o delle sue battute sporche dopo sole due ore di lontananza. Proprio mentre cerca di immaginarsi cosa direbbe sul pigiama che ha indosso in quel momento, il suo telefono, accanto a lei, si illumina vibrando, mentre la scritta “Louis” compare sullo schermo.
“Mi manchi. Te lo avevo detto che non dovevo uscire.”
Margot sorride, immaginando il broncio che deve aver messo su mentre le inviava il messaggio, ma non si lascia abbindolare da un paio di parole carine e risponde con un “divertiti, brontolone” con cui pensa di chiudere la conversazione. Ma pochi secondi dopo il cellulare vibra di nuovo, facendola sobbalzare come ogni volta.
“Prima che ti incazzi, sappi che c’è anche Melissa stasera. Non ne sapevo niente, si è imbucata all’ultimo minuto.”
Margot deglutisce, mentre si sforza di essere almeno un pelo più matura di quello che, di fatto, è; vorrebbe tantissimo accettare il fatto che Melissa e Louis passino la serata insieme, ma non riesce a scacciare dalla mente l’immagine di loro due insieme, quella volta che li ha trovati nello sgabuzzino del locale, qualche mese prima. Digita veloce un “divertiti” che suona falso persino a lei, ma sa benissimo quanto lui la conosca bene e quanto sia inutile qualsiasi suo sforzo di migliorare la situazione. La risposta di Louis arriva veloce, come se l’avesse già tenuta pronta, perfettamente consapevole dei suoi pensieri e delle sue reazioni.
“Non ti incazzare, girasole.”
Margot finge perfino con se stessa di non arrossire, di fronte a quel piccolo soprannome che lui le ha affibbiato e che, nonostante sappia benissimo che il suo utilizzo serve puramente  a farla cadere ai suoi piedi come una cretina, la fa sciogliere ogni volta. Si sta già immaginando il sorrisino divertito dipinto sul viso del suo ragazzo nel pensarla tutta indispettita ma comunque lusingata, quando un nuovo messaggio la prende alla sprovvista.
Margot trema mentre ne legge il contenuto, e pensa a quanto effettivamente Louis Tomlinson sia un coglione di prima categoria.
“Tanto lo sai che amo solo te.”
Dopo cinque minuti è già fuori di casa.

Lo trova seduto al tavolo di uno dei locali che si affollano sulla spiaggia, una sigaretta incastrata tra le dita e il cellulare con cui le ha inviato quel messaggio poggiato sulla coscia, come se stesse aspettando una risposta; lo vede lanciare lunghe occhiate all’iphone in bilico sui suoi skinny jeans neri, e gli sembra nervoso, quasi preoccupato. Ne ha la conferma: sta decisamente aspettando una sua risposta e il suo nervosismo la diverte.
Percorre la strada che li divide a lunghe falcate e lo raggiunge in pochi secondi; lo afferra per un braccio e lo porta poco distante dal tavolino, sotto lo sguardo sorpreso dei suoi amici.
«Tu non puoi dirmi che mi ami con un cazzo di messaggio! » Lo guarda con gli occhi dalle orbite, afferandogli le spalle e scuotendolo leggermente. «Un messaggio Louis!» Ribadisce, esasperata dal sorrisetto divertito con cui lui la sta fissando.
«Ma è la verità, girasole. »  Louis scuote la testa e allarga le braccia con indifferenza come se quella situazione non fosse poi una gran cosa; Margot vorrebbe ammazzarlo.
Lui, però, sembra come al solito prevedere ogni sua mossa e, afferandole i polsi con le mani e tenendola ferma le stampa un bacio sulle labbra, pronto ancora una volta a spiegarle che no, non la sta prendendo in giro, non più. Il bacio si approfondisce e dura interi minuti, ore, secoli; quando si staccano si guardano negli occhi un po’ stupiti e si accorgono che gli amici di Louis, nel frattempo, sono spariti.

«Mi sa che gli altri sono tornati a casa.. Che ore sono?» Louis le è di nuovo vicino, vicinissimo, ad un palmo dal suo naso e dalle sue labbra e Margot impiega qualche secondo per distogliere lo sguardo da lui e posarlo sull’orologio che ha al polso. Le viene da ridere, quando legge l’orario.
«Sono le tre e quattordici.»  Ride con tutto il corpo, adesso, e Louis la squadra con curiosità, cercando di capire il motivo di tanto divertimento.
«Che c’è da ridere? » 
Margot riesce finalmente a smettere di pensare a quanto ironico sia il destino; solo qualche mese fa pensava che quello fosse l’orario più brutto e deprimente del mondo, mentre ora si trova con il ragazzo che ama, ricambiata e felice.
«Niente.. Solo.. »   Si alza sulle punte dei piedi e si gode la vista del viso di Louis a pochi,pochissimi centimetri dal suo; gli lascia un bacio sulle labbra un po’ screpolate dal vento e si sente felice.
«Ti amo anche io. » 

 
 
 


Ciao splendide ragazze, allora, che dire!
Louis e Margot mi hanno tenuto compagnia per tutta l'estate e, a loro modo, mi hanno fatto dannare come non mai e mi hanno fatto innamorare, allo stesso tempo.
Non so cosa ne sia uscito, se sia qualcosa di decente o se sia meglio buttarla nel cesso, ma l'importante è che queste siano 7731 parole piene di me.
Il mio Louis è un Louis un po' sboccato, lo riconosco, spero che non urti la sensibilità di nessuno e che venga capito e apprezzato, è uno a cui è facile volere bene.
Grazie mille alla splendida seidimattina, che ha creato un banner che adoro follemente, grazie davvero ancora!
Un bacione a tutte e buon inizio settembre,

Chiara.
  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: Straightandfast