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Autore: dilpa93    10/09/2015    10 recensioni
-Avete fatto il numero di Richard Castle…
Purtroppo per voi lo avete fatto nel momento sbagliato!-
Rise, mordendosi poi il labbro superiore, come a voler bloccare quello che aveva tutta l’aria di essere un riflesso involontario.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Rick Castle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Qualcuno ha detto che l'amore è dare ad una persona la possibilità di distruggerti
ma confidare nel fatto che non lo faccia
-cit.-



Seduta davanti allo specchio della camera da letto, tamburellava ritmicamente sul tavolino in legno. Allungò un paio di volte le dita verso il cellulare, ripensandoci immediatamente. Continuava a fissare quell’oggetto, quasi che il prenderlo avrebbe dato il via ad una serie di eventi che non sarebbe mai riuscita a fermare. Respirò a fondo chiudendo gli occhi e, in un rapido scatto, afferrò il telefonino.
Lo accese… non lo faceva da anni, sperava solo di ricordarsi ancora il codice di sblocco.
Le dita digitarono frettolosamente sullo schermo, come se neanche un giorno fosse passato. Nel giro di un minuto, il numero di messaggi e chiamate perse si elevò esponenzialmente.
Una chiamata da Ryan, un paio da Espo, ce n’erano quattro o cinque di Lanie. Si ricordava ancora indistintamente che all’ennesima le aveva finalmente risposto. Lei era la sola a cui aveva potuto spiegare ogni cosa senza sentirsi giudicata e senza essere interrotta prima che avesse potuto fornire tutte le sue motivazioni.
Le restanti chiamate e i messaggi, beh, quelli erano di una sola persona. Quella che più di tutte aveva cercato di evitare e dimenticare, rispondendosi ora che non ci sarebbe mai riuscita. Avrebbe fatto sempre parte della sua vita -se non la stava condividendo con lui la colpa era sua, di nessun altro- e il fatto che lo stesse per chiamare, a distanza di tutti quei mesi, ne era una prova.
Fece partire la chiamata, il viso di Rick riempì lo schermo e, avvicinando a sé l’apparecchio, sentì il primo squillo.
 
Millenovantacinque giorni dal momento di svolta.
Millenovantacinque giorni da quando era scappata.
Millenovantacinque giorni da quando lo aveva lasciato in quel parco, inginocchiato con l’anello in mano e teso verso di lei.
 
Un altro squillo a vuoto…
 
Non aveva potuto dire di si.
Non aveva voluto.
Era corsa a casa, aveva aperto l’armadio, afferrato i vestiti alla cieca e li aveva buttati in un borsone.
Aveva preso chiavi, documenti, passaporto ed era corsa da sua padre. Voleva arrivarci prima che Rick provasse a cercarla a casa.
Aveva spiegato a somme parole a suo padre cosa era successo, dopo la conversazione avuta al café non era stato necessario dilungarsi.
Jim non sapeva se la sua decisione fosse dovuta al fatto che lei volesse quel lavoro più di quanto desiderasse una vita con Richard, ma non si era permesso di chiedere.
 
Al terzo squillo ancora nessuna risposta.
 
Aveva provato a scrivergli una lettera prima di partire per Washington, ma non era uscito nulla se non fogli accartocciati, alcuni dei quali erano rimasti ai suoi piedi quando il suo tentativo di centrare il cestino era fallito miseramente.
Aveva preso l’ennesimo foglio e alla fine si era decisa per le parole più insulse e stupide che potesse usare, certa che con quelle lui l’avrebbe odiata e non l’avrebbe cercata nella Capitale.
 
Quarto squillo. Non voleva darsi per vinta, sperava che lui avrebbe risposto.
 
“Mi dispiace”.
Aveva chiesto a suo padre di imbucare il biglietto nella casella delle lettere.
Sorvolando il cielo Newyorkese, diretta a Washington, non aveva faticato ad immaginarsi la reazione di Rick nel leggerlo.
Lo avrebbe girato più e più volte fra le sue mani, quasi sperando che una nuova frase sarebbe apparsa, come per magia. Il respiro gli si sarebbe fatto affannoso e avrebbe preso la prima cosa nelle vicinanze per scagliarla, con rabbia, nel vuoto davanti a lui. Poi sarebbe uscito e corso di nuovo al suo appartamento e a quello di suo padre, per trovarli entrambi vuoti.
Non si era sbagliata di molto, ma quando aveva bussato a casa di Jim -invece che trovarla vuota- vi aveva trovato lui, che gli aveva aperto e offerto una tazza di tè sperando di poter calmare i suoi nervi. Il tè era rimasto nel tazza a freddarsi e tutto quello che Rick aveva fatto era stato rimestarlo con il cucchiaino, accompagnando così le parole di Jim con il lento e persistente tintinnare del metallo contro la ceramica.
Erano passati tre anni, e Kate ancora non sapeva -e forse non avrebbe mai saputo- che il solo motivo per cui, una mattina, non si era svegliata trovando Castle attaccato al campanello del suo appartamento a Washington, o per cui non aveva dovuto fronteggiarlo direttamente alla sede dell’FBI, era per merito delle parole che suo padre gli disse quel giorno.
 
Con il quinto squillo scattò la segreteria. Era pronta a riattaccare, quasi ringraziando che non avesse risposto, come se avesse improvvisamente realizzato che si era trattata di una pessima idea, quando la voce della segreteria partì bloccandole il respiro.
 
Avete fatto il numero di Richard Castle…
 
Dio, fino a quel momento non si era resa conto di quanto la sua voce le fosse mancata. Gli angoli della bocca iniziarono a piegarsi all’in su senza che lei potesse impedirlo.
 
Purtroppo per voi lo avete fatto nel momento sbagliato!
 
Rise, mordendosi poi il labbro superiore, come a voler bloccare quello che aveva tutta l’aria di essere un riflesso involontario.
In quei tre anni si era rifiutata di pensare a lui.
I primi mesi erano stati intensi, l’addestramento e l’inizio del lavoro l’avevano stancata così tanto che quando tornava a casa aveva a malapena la voglia di farsi una doccia e mangiare un boccone al volo prima di andare a dormire.
C’era voluta qualche settimana per prendere il ritmo, ma alla fine ce l’aveva fatta.
Pensava a lui raramente, un pensiero fugace quando sentiva i ragazzi per sapere come andavano le cose al distretto. Un’immagine sfocata quando riusciva a ritagliare del tempo per poter parlare via skype con Lanie,  o quando trovava finalmente un giorno libero da poter dedicare a suo padre.
Le cose si erano mosse velocemente. Nuovo lavoro, nuova compagnia, nuovi amici, una nuova Kate, nuovi interessi e soprattutto una nuova persona con cui condividerli.
Lavorava come chef in un rinomato ristorante in centro. Una persona tranquilla, con i piedi per terra.
Non ci aveva mai pensato fino a quel momento, eppure sembrava che fosse riuscita a trovare un uomo che fosse l’esatto opposto di Rick. Ragionandoci ora sembrava quasi che, senza rendersene conto, lo avesse fatto di proposito. Un meccanismo di difesa per non pensare più a lui e al modo in cui aveva rovinato tutto, anche se fino a quel momento -prima di risentire dopo anni la sua voce- non aveva mai pensato di aver buttato tutto all’aria, era davvero convinta di aver fatto la scelta giusta. Non avrebbe retto ad una relazione a distanza, non avrebbe voluto costringere lui a fare mille salti mortali per vederla o doversi trasferire per lei. Lo aveva fatto per lui, se lo era ripetuto a lungo, e solo ora si rendeva conto di quanto suonasse sciocco ed egoista. Quello era stato il solo modo che aveva trovato per non ammettere di aver sbagliato, se non nella sua decisione, nel modo in cui aveva deciso di metterla in atto.
 
Se avete urgenza provate al numero dell’ufficio, altrimenti ritentate più tardi.
 
Si chiese di che ufficio parlasse. Se non fosse stata così orgogliosa avrebbe preso il telefono molto prima per chiamarlo. Se non fosse letteralmente scappata e i ragazzi non avessero avuto paura -nei loro racconti- di parlargli anche di lui, forse ora saprebbe cosa stava combinando nella sua vita.
Interruppe i suoi pensieri quando a seguito di una breve pausa, prima dello scattare del classico bip, ci fu un’ultima frase anticipata da quel suo tipico schiarirsi la voce.
 
E… Beckett, se sei tu, sappi che ti amo… ancora.
 
In quel momento ogni sua certezza vacillò prima di crollare definitivamente.
Fu come se la sua mente si fosse improvvisamente resa conto di ciò che aveva realmente fatto, come se vedesse com’era il mondo per la prima volta da tempo.
Non lo aveva dimenticato, anche se le piaceva pensare che lui fosse solo un riflesso sbiadito di ciò che era stata un tempo.
Non aveva fatto la scelta giusta, perché in realtà non aveva mai fatto una vera scelta. La decisione doveva spettare ad entrambi o, per lo meno, avrebbe dovuto richiedere una conversazione tra persone mature e civili che hanno passato cinque anni al fianco dell’altra, condividendo l’ultimo come coppia a tutti gli effetti.
Non aveva neanche smesso di amarlo, nonostante le fosse sempre piaciuto pensare che fosse così. Non che non si fosse lentamente innamorata anche dell’uomo che ora aveva accanto. Ma se lui e Castle erano due persone completamente diverse, lo era anche l’amore che provava per loro.
Ti amo… ancora.
Il cuore aveva preso a batterle rapidamente a quelle parole.
Perché era così, perché doveva essere il solito Castle, quello paziente ed innamorato di lei nonostante non se lo meritasse affatto. Perché?
E nel momento in cui stava per riattaccare, sentì il gracchiare della chiamata che finalmente veniva accettata.

“Pronto… pronto, Kate, sei tu?”
La sua voce era disperata, aggrappata alla speranza che lei avesse sentito il messaggio per intero, al desiderio che lo avesse chiamato per dirgli a voce che le dispiaceva e che anche lei lo amava ancora.
La mano che Kate si era portata alla bocca tremava, come mai avrebbe immaginato.
“Kate…”
Lo sentì ancora dall’altra parte, quasi in un sussurro colmo di tristezza e timore.
Allungò la mano sulla scatolina in velluto accanto al portagioie. Con una leggera pressione fece scattare la copertura e l’anello tornò a specchiarsi nei suoi occhi.
 
Millenovantacinque giorni ed era come se neanche uno fosse passato.
Millenovantacinque giorni e si trovava di nuovo di fronte alla stessa decisione da prendere.
Scegliere tra il lavoro e una proposta di matrimonio, prima.
Scegliere tra una proposta di matrimonio e l’uomo che evidentemente non aveva mai smesso di amare, adesso.
 
“Kate”, un altro sussurro, le sembrava quasi di sentire le lacrime riempirgli gli occhi azzurri.
Il coraggio parve mancarle all’improvviso ma, senza staccare lo sguardo dall’anello, si fece forza ispirando a fondo, scostando poi la mano dalle labbra.
 
“Si, Castle, sono io”.
 
Millenovantacinque giorni e si trovava di nuovo a pronunciare il suo nome a voce alta.
 
“Ehi…”
“Ehi…”
 
Millenovantacinque giorni non erano poi tanti in fondo.





Diletta's corner:

'Giorno a tutti!
Torno dopo un attimo di pausa dal fandom con una shot uscita di getto ieri sera.
Direte voi, "non poteva tornare con una storia allegra e fluffosa?"... siamo sinceri, sarei stata io se lo avessi fatto?
Spero mi perdonerete!
Baci baci
  
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