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Autore: SasuSweeTeme    13/09/2015    2 recensioni
Stucky AU!Merman
L’arrivo della busta pesante, sua madre lo aveva sempre detto, era cattivissimo segno.
Sono bollette, multe o peggio: missioni, Stevie!
Genere: Fantasy, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Steve Rogers
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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The Perks of being a Merman.
 
L’arrivo della busta pesante, sua madre lo aveva sempre detto, era cattivissimo segno.
Sono bollette, multe o peggio: missioni,  Stevie!
Suo padre ne aveva ricevuta una, una volta, ed era partito per l’Iraq.
E lui ne aveva ricevuta una a sua volta, ed era stato allontanato dalla base perché considerato potenzialmente pericoloso per sé stesso e gli altri suoi collaboratori.
In parole povere: era stato esonerato per il comportamento tenuto negli ultimi mesi, perché considerato esaurito.
Ma che poteva aspettarsi da un governo che l’aveva privato di un padre che successivamente aveva tentato di rimpiazzare con una medaglia? Aveva solo potuto fare le valige, impacchettare una vita costruita sul rigoroso rispetto delle regole e lasciarsi andare alle coccole della prima classe in attesa dell’arrivo su un isola a caso.
Fantastico penserebbe chiunque,  finalmente dopo una vita di fatiche, sacrificio e dolore la meritata gratificazione.
Ma non era così, perché prendere un soldato –o comunque un uomo la cui vita era un rischio costante, un’avventura infinita e un servizio reso agli altri- e sistemarlo in una vacanza perenne era come ucciderlo.
A niente serviva la villetta full comfort pagata dallo stato, il profumo dell’Oceano –la distesa d’acqua che ogni tanto lo faceva sentire ancora a Boston benché questa fosse di un accecante azzurro e non di un colore melmoso- perfettamente visibile da tutte le finestre, gli sembrava comunque di star perdendo tempo o gettando la sua vita al vento.
Più di quanto non facesse prima, almeno.

Tuttavia, quando dal pianerottolo di casa scorse sulla riva la sagoma di una persona, un giorno che per il biondo poteva essere collocato tra il 12 Novembre –giorno in cui abbandonò “temporaneamente” il monolocale nel Massacchussets- e il 14 Aprile – ovvero la fine di quel lasso infinito di tempo trascorso sull’isola-  tutti i suoi sensi fino ad allora assopiti tornarono in un colpo solo e nulla gli vietò di correre a prestare soccorso al ferito.
Già pronto ad applicare le manovre di pronto intervento da campo apprese, già conscio di dover applicare la dovuta pressione per arrestare momentaneamente l’emorragia –una ferita che aveva permesso alle onde che carezzavano la sabbia di assumere un delicato rosa- dovette fermarsi, perché, con orrore, si rese conto che l’uomo privo di sensi non aveva le gambe e che ciò che le aveva morse vi era ancora attaccato. La scoperta fece arretrare visibilmente il biondo che, dalla distanza acquisita, riuscì finalmente a notare che no, quello non era uno squalo particolarmente vorace e combattivo, ma che l’uomo in realtà le gambe non le aveva mai avute.

Quella era la sua coda.

La prima cosa di cui si era reso conto, una volta trascinato via il ferito dagli sguardi affamati di uno stormo di pellicani e possibili curiosi nativi locali, era che il ragazzo –l’uomo, considerando la decisione dei caratteri non così infantili e la rada peluria che gli accarezzava il volto- aveva molte più ferite di quante ne avesse contate sulla spiaggia.
Il braccio era costellato da piccole ferite sottili, provocate probabilmente dal tocco delle reti da pesca, che, tuttavia, non erano nulla paragonate allo sfregio profondo che aveva quasi tagliato in due una delle pinne, arti vitali per lo spostamento e la vita sottomarina della creatura. Ebbe appena il tempo di calcolare l’entità dei danni, di allungare incredulo una mano a sfiorare con delicatezza e il polpastrello dell’indice una delle squame dall’intenso blu perlaceo –era ancora convinto che il bell’addormentato sarebbe saltato fuori dal suo costume per circondargli le spalle e annunciare una candid camera- prima di ridestare l’altro che, costretto nell’idromassaggio diventato una sorta di bolla per i pesci a misura d’uomo,  si ritirò dal tocco altrui agitandosi e finendo per schizzare acqua ovunque.
Steve allora scattò, entrambe le braccia a posarsi sulle spalle del tritone per tenerlo giù e il tono più gentile che aveva in repertorio per cercare di calmarlo. La voce carezzevole del biondo in qualche modo sorbì l’effetto desiderato, facendo rilassare il moro contro il bordo bianco della vasca, cedendogli il braccio quando questi allungò uno strato di garza per poi avvolgerlo con delicatezza intorno all’arto leso, compiendo ogni movimento con gli occhi inquietantemente troppo blu della creatura che non lasciavano la pelle bronzea nemmeno un istante, che si spostarono solo quando le dita callose toccarono la pinna in un sobbalzo che per l’altro fu doloroso anche solo a guardarlo. I denti –insolitamente umani e non seghettati come quelli delle leggende tahitiane, di uno splendente bianco smagliante- del malato morsero la pienezza del labbro inferiore, strizzando gli occhi, inarcando la schiena e serrando la presa delle mani intorno alla porcellana splendente dell’acquario improvvisato e il soldato, in un moto che attimi dopo avrebbe definito “di empatia” si allungò a lasciare sulla spalla illesa una carezza rassicurante. Di nuovo calmo e disteso in quel dito d’acqua scampato alle mosse isteriche compiute dal tritone poco prima, questi prese un respiro profondo –un respiro che però alle orecchie di Steve sembrò tanto lo sbuffo spazientito che la Sirenetta emise nel celebre film e che lo costrinse a trattenersi dal ridere- stringendo le mani in grembo e rimanendo fermo il tempo necessario per voltarsi e far scorrere lo sguardo sulle piastrelle chiare del bagno limpido in una rapida esplorazione della stanza, lasciandosi alle cure del soldato.

Tutto sommato, pensò Steve, Tahiti è un posto magico.

 
  
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