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Autore: Ladyriddle    18/09/2015    18 recensioni
Albus è convinto di essere il migliore, e lo è, ma un giorno conosce Loki, brillante e intelligente quanto lui, anche se distratto e con la testa perennemente tra le nuvole, il viso da diavolo mascherato dietro un sorriso angelico.
C'è qualcosa in Loki, qualcosa che lo rende straordinario.
[Spin Off di Vaiolo di Drago, ma leggibile singolarmente
Personaggi: Albus Severus Potter, Evan Loki Rosier]
Seconda classificata al contest ''Una nuova generazione, una nuova storia'' di Cosmopolita;
vincitrice dei premi speciali: Miglior Personaggio Maschile (Evan Loki Rosier); Squadra che vince non si cambia e Miglior Titolo
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Severus Potter, Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nuova generazione
- Questa storia fa parte della serie 'Foglie di magnolia e fiori di ciliegio'
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{Partecipa al contest ''Una nuova generazione, una nuova storia''
Personaggio: Albus Severus Potter.
Partecipa al contest ''Di tre in tre, più tre'' di Nuel}
 
L’avvertimento Spoiler! È rivolto ai lettori di Vaiolo di Drago, ma la Os è leggibile singolarmente.
Ci troviamo durante l’ultimo anno di Albus Severus Potter a Hogwarts.
Personaggi: Albus S. Potter, Evan Loki Rosier (OC).

 
Ali di cera
 
É lontano solo ciò che non ci interessa veramente raggiungere.
-P. Melis


A Torniquet che ha una visione del mondo grigia e nera, 
noi abbiamo capito tutto!
Buon compleanno, novantanove di questi giorni
(cento so troppi).

 
 
 Albus era stato un bambino insicuro perché diverso, poi, crescendo, aveva fatto di quella diversità il suo punto di forza e il distacco tra lui e gli altri era stata la diretta conseguenza di una presa di coscienza razionale, quasi scientifica: lui era migliore. 
    Ogni volta che si cimentava in qualcosa risultava essere il più bravo, non solo perché era più intelligente, ma perché era un perfezionista anche nei piccoli, insignificanti, dettagli. 
    Il suo unico handicap, se così poteva chiamarlo, era il non capire coloro che erano diversi da lui, ovvero, tutti gli altri. Aveva altre priorità e mantenere un distacco lo faceva sentire più a proprio agio. 
    La realtà, scandita da severe e ripetitive leggi meccaniche, era rassicurante; le persone, con la loro imprevedibilità, erano troppo emotive per essere inserite nel suo ordine mentale.
    Albus pensava in maniera schematica, a scaletta. Pensieri ordinati, funzionalmente ineccepibili, logici; anche ciò che lo circondava doveva essere altrettanto lineare. Niente grinze sui vestiti, niente pieghe sui libri o macchie sulle pergamene; ogni cosa al suo posto e un posto per ogni cosa, peccato che ciò non si potesse estendere anche alle persone; per fortuna c'erano le regole.
    Le regole erano utili: servivano per garantire la giusta sopravvivenza tra gli uomini ed elevarli dallo stato di natura; derivavano dalla morale, ma per lui, erano superiori alla morale stessa. Spesso, le infrazioni, soprattutto senza un tornaconto che ne giustificasse il motivo, gli provocavano un dolore fisico e da buon Serpeverde non poteva sopportare l'autolesionismo, pertanto tendeva, a detta degli altri, a risultare poco affabile. 
    Albus, invece, riteneva che fosse abbastanza facile andare d'accordo con lui: bastava non invadere i suoi spazi, rispettare le regole, tenere all'igiene personale, non lasciare ciarpame nei luoghi comuni e, soprattutto, non pensare o dire cose stupide. Semplice, no? Era l'ABC della buona convivenza. Per il resto, lui era una persona assolutamente piacevole, addirittura amichevole.
    “Buongiorno, Potter.” Una voce roca con un forte accento marcato lo costrinse a sollevare il capo dal compito di Pozioni. La figura alta di Loki Rosier gli rivolse un sorriso beffardo da sotto lo stipite della porta, costringendolo a schiarirsi la gola. 
    “Rosier” salutò di rimando, adombrandosi appena. Ecco, lui poteva essere amichevole con chiunque seguisse quelle piccole, poche, semplicissime accortezze; con chiunque, tranne che con Rosier, ovvio. 
    Rosier si sistemò al banco accanto al suo e Albus l'osservò mentre tirava fuori libri, piume e pergamene, e le gettava alla rinfusa sul bancone in legno chiaro e consunto. Non riuscì a trattenere un brivido disgustato alla vista delle orecchie alle pagine dei libri, della piuma spennacchiata che cadde a terra per la noncuranza del proprietario, delle pergamene sgualcite tirate fuori dalla borsa di pelle scura.
    “Non credevo di trovarti qui a quest'ora” fece Rosier, osservando distrattamente il suo paiolo che ribolliva pigramente.
    Certo che lo sapevi, idiota, pensò Albus, stirando un sorriso meccanico e gelido.
    Quel pomeriggio avrebbero avuto una prova pratica di pozioni ed era chiaro che entrambi avrebbero saltato la colazione per approfittare dell'aula vuota in modo da esercitarsi. Non volevano fare bella figura con il docente o con la classe: volevano primeggiare l'uno sull'altro. Era una questione tra loro. 
    Quando Scorpius gli aveva presentato il cugino maggiore, Albus gli aveva rivolto un'occhiata sbieca e annoiata: la mascella squadrata di Rosier era sporcata dalla barba non fatta di almeno un paio di giorni, aveva i primi due bottoni della camicia slacciati, la cravatta allentata e l'aria sciatta; il tipo di persona che lo faceva rabbrividire.
    Era stato solo vagamente interessato al fatto che il ragazzo avesse studiato a Durmstrang negli anni precedenti, ma quando aveva saputo che, da lì, era stato espulso all'inizio dell'anno precedente, l' aveva etichettato come uno scansafatiche, quindi non degno della propria attenzione. Quando, però, aveva saputo che era stato proprio Rosier, due anni prima, a vincere il premio ‘Alger Krüger per gli Incantesimi Sperimentali’ al posto suo, per poco non era morto soffocato. Non poteva essere lui quello che gli aveva rubato la vittoria con un progetto a dir poco ridicolo e visionario!
    Albus non l'aveva collegato subito perché Rosier si era presentato come Loki, non Evan, il nome che Albus aveva letto – e maledetto – sul bollettino dei vincitori del concorso. 
    Quando ne aveva fatto cenno, tra i denti, Rosier gli aveva detto che preferiva essere chiamato col secondo nome, poi aveva arricciato un labbro in un ghigno tagliente. “Tu invece ti sei classificato secondo, se non sbaglio” gli aveva detto con voce allegra, gli occhi color miele illuminati da un bagliore divertito. Albus era stato certo che a Rosier quel dettaglio non fosse sfuggito. “Ho letto il tuo progetto. Carino, forse un po' banalotto.
    Banalotto, a lui?! Era rimasto senza parole.
    “L'anno scorso Albus ha vinto il premio con tanto di lode da parte della commissione didattica” aveva precisato Lily, guardando Rosier con il mento alto e un piccolo broncio sul viso un po' meno morbido rispetto a qualche mese prima, ma pur sempre tondo come una mela. 
    Il sorriso di Rosier si era allargato, luminoso. “Peccato che io non abbia potuto partecipare” le aveva detto con aria amichevole.
    “Peccato che tu sia stato espulso” aveva precisato Albus con un candore che solitamente gli era estraneo, come a voler riportare quello spocchioso a modalità terreste. 
    Rosier, però, non era arrossito né si era imbarazzato; il suo sorriso si era allargato in una risata rumorosa e veramente allegra. “Ja! Non è stata di certo la mia trovata più geniale.”
    Gli era stato antipatico fin da subito, ma l'aveva odiato quando l'aveva visto a lezione per la prima volta e, via via, sempre di più. 
    Rosier se ne stava sempre seduto all'ultimo banco con lo sguardo perso in un punto oltre la finestra, la mano appoggiata sul viso e le dita dell'altra mano che tamburellavano motivetti casuali sul banco. Non prestava attenzione a nulla: era distratto e svogliato, del tutto incurante delle parole degli insegnati, dei compiti, persino delle materie o degli argomenti. 
    Con sua somma irritazione, però, doveva ammettere che quando Rosier si applicava era straordinario; la bacchetta di due colori – palissandro, l'impugnatura sabbiata; ebano lucido, la bacchetta –, di Rosier fendeva l'aria con annoiata grazia e, semplicemente, era magia pura! 
    Albus era sempre stato estraneo all'invidia: troppo sicuro di sé, troppo consapevole di essere il migliore per poter ammettere di avere rivali. Non aveva mai sentito l'esigenza di vantarsi di quanto fosse bravo, non ce n'era mai stato bisogno: lo era e basta. Per la prima volta, però, aveva visto in Loki Rosier un avversario, qualcuno a cui dimostrare qualcosa. 
    Sapeva di essere il migliore: le lodi del professor Incant e del Professor Pollock confermavano quello che era ovvio e palese per chiunque ma, durante le lezioni, Rosier aveva continuato a guardare fuori dalla finestra, annoiato e disinteressato a tutto ciò che fosse estraneo ai suoi pensieri.
    Poi, Albus aveva realizzato: lui era il migliore, ma non era straordinario; Rosier era straordinario, ma non era il migliore. Per alcuni poteva non esserci differenza, ma Albus, che notoriamente non badava molto alle sfumature, sapeva che quello era un punto cruciale. Non capiva, però, il motivo di quella differenza: qualcosa gli sfuggiva, ma non capiva cosa.
    Un giorno, lo sguardo di Rosier si era spostato su di lui a Pozioni. Albus aveva visto Rosier sorridergli curioso, interessato, e lui aveva abbassato lo sguardo sul suo paiolo, ignorandolo, finalmente in pace con se stesso perché, se c'era una cosa che odiava, era il talento sprecato: Rosier, col suo disinteresse verso il mondo, restava comunque troppo ordinario. 
    Rosier, però, si era fatto attento e aveva iniziato a studiarlo, a prestare attenzione e Albus l'aveva osservato a propria volta perché l'altro aveva messo da parte il sorrisetto da burlone, scrutandolo come se lo stesse valutando davvero, come se cercasse di verderlo. 
    Da un lato era vagamente curioso di capire cosa il ragazzo avesse in mente; d'altra parte trovava sufficientemente stimolante quel loro gareggiare silenzioso da una parte all'altra delle varie aule. Le differenze tra loro erano tanto lievi da essere profonde solo ai loro occhi, e le singole vittorie tra un'ora e l'altra, tra una materia e l'altra, non permettevano a nessuno dei due di vincere quella strana guerra fredda e silenziosa. 
    “Cosa fai?” chiese Rosier con tono curioso, facendogli sollevare lo sguardo dal paiolo. 
    “Mi pare evidente” rispose Albus, regolarizzando la temperatura del fuoco. 
    Il sorriso di Rosier si allargò appena sul viso. “Quello non è indicato in nessun libro” fece, adocchiando i resti dell'ultimo ingrediente che aveva aggiunto: petali di begonie essiccate. 
    Albus fece un piccolo cenno annoiato. “No, infatti” confermò. 
    “Mi piacciono i fiori di begonie” disse Loki, rompendo il silenzio della stanza. 
    “Sono solo fiori” precisò Albus noncurante, come se la bellezza fosse un dato secondario e lo era, per ogni cosa, almeno per lui. “Ma hanno proprietà rinfrescanti: dovrebbero aiutare, insieme ad altre piante, a mitigare la sensazione di amarezza che resta in bocca quando si prende questa pozione” spiegò, probabilmente per colpa della propria mania per il nozionismo e l'enciclopedismo.
    “Non ti facevo uno che sperimenta” disse Loki con tono colloquiale. 
    “Non è sperimentalismo: è logica!” precisò Albus pacato. “È così e basta, lo sapresti se conoscessi le proprietà delle piante e come legano gli ingredienti delle pozioni per prevedere l'alterazione o meno del composto.” 
    “Le conosco, ma applicarli alla pratica… proprio non ci penso” si schernì Rosier con un irritante sorrisetto sghembo. 
    Albus diede una controllata alla fiamma. “Mi pare evidente” commentò piatto. “Cosa vuoi, Rosier?” chiese con voce disinteressata. Forse non comprendeva le dinamiche della maggior parte delle interazioni sociali, ma Albus era un attento osservatore. 
    Aveva osservato Rosier a lungo e accuratamente: sorrideva e rideva spesso, troppo per essere normale, eppure sembrava naturale: nessuna vena caricaturale negli atteggiamenti, l'espressione spontanea e l'aria rassicurante rendevano gradevole ai più la sua compagnia. Eppure, Albus aveva visto una malia torbida negli occhi color miele, qualcosa che poteva essere semplicemente scambiata per la suggestiva immagine di un giovane dotato con la testa tra le nuvole, ma a lui dava l'impressione del riflesso di un folle su uno specchio scheggiato. 
    Tra le crepe, Albus aveva abbozzato uno schizzo del suo profilo, incompleto e pieno di enigmi, ma di una cosa era sicuro: Rosier apparteneva alla volgare cerchia degli impulsivi. La diplomazia non era affatto una delle sue qualità, pertanto, non riusciva a nascondere l'interesse o solo il fatto che gli stesse girando intorno perché voleva qualcosa, e Albus voleva sapere cosa
    “Volere?” Un'espressione di finta perplessità si dipinse sul viso di Rosier. “Scusami, ma proprio non capisco” mormorò, un sorriso allegro si allargò sui tratti marcati, addolcendoli appena. 
    Albus gli rivolse un'occhiata penetrante. “Per favore, Rosier! Sembri un avvoltoio che adocchia una carcassa.”
    “Avvoltoio? Mi piace” Rosier cominciò a ridere. “Ma ti assicuro che ti sbagli!” precisò, impregnando di ironia quel 'ti assicuro'. 
    “Davvero?” gli chiese Albus con lo stesso tono di finta incredulità, osservandolo trattenere a stento la risata. “Perché avrei giurato che stessi per chiedermi di diventare tuo amico” azzardò, calando le palpebre sul verde scuro delle iridi. 
    La risata ampia sul viso di Rosier si assottigliò, lentamente, in un taglio subdolo che strideva con l'aria allegra, angelica. “Amici? Gli amici sono noiosi, talvolta persino inutili” gli disse con voce di velluto, uno scintillio gli illuminò lo sguardo. “Preferisco i nemici: sono di gran lunga più divertenti e di certo più interessanti. Non trovi?” gli chiese, allungandogli inspiegabilmente la mano. 
    Albus adocchiò il palmo teso e, mentre lo stringeva in un breve contatto formale, osservando diffidente il sorriso divertito di Rosier, pensò che, per la prima volta, dopo molto tempo non aveva una risposta immediata a una semplice domanda. 
 
*
 
Stavano passeggiando lungo il perimetro del Lago Nero. Ogni volta che Loki strusciava i piedi sul terriccio umido, Albus reprimeva un sibilo nervoso, e più gli dava fastidio, più Loki continuava – stronzetto, pensò, stringendo le labbra in una smorfia accondiscendente.
    C'era voluto tempo, ma Albus aveva imparato a tollerare Loki.  In realtà era piacevole parlare con qualcuno che sapesse cosa stesse dicendo, che magari potesse rispondere, replicare, contraddire o che semplicemente avesse un pensiero articolato e magari interessante – il più delle volte, ma non sempre. 
    I ragionamenti di Rosier, infatti, a volte gli sfuggivano: erano contorti e spesso passava da un argomento all'altro senza un filo logico e, quando lo guardava con aria corrucciata e interrogativa come a chiedergli cosa stesse blaterando, Loki rideva, agitando una mano con noncuranza, come se non avesse importanza. Altre volte, come in quel momento, la sua voce era eccitata, muoveva le mani con enfasi e gli occhi erano animati come se avesse un'immagine davanti agli occhi che doveva essere condivisa, capita. Passione, qualcosa di cui Albus, a detta dei più, era sempre stato privo che, invece, in Evan Loki Rosier, traboccava. 
    “Noi maghi siamo così antichi” si lamentò, riprendendo il discorso intavolato qualche giorno prima. 
     “Tradizionalisti” precisò Albus.
    Rosier sorrise. “Tu sei un tradizionalista” gli disse. Quasi un'accusa, velata dal tono gentile della voce. 
    “Decisamente.”
   “Sai chi era tradizionalista?” gli chiese Loki, inclinando appena il capo e, notando la sua espressione curiosa, proseguì: “Voldemort” gli disse, stupendolo. Erano passati più di vent'anni ed erano ancora in molti a non voler pronunciare il nome del Mago Oscuro più temibile del secolo precedente.
    “Voldemort era un tradizionalista, sì” proseguì Loki guardandosi le pellicine della mano sinistra. “Mio nonno era un Mangiamorte, lo sapevi?” gli chiese candidamente.
    Albus annuì appena. Evan Rosier, morto durante la Prima Guerra Magica, era stato uno dei seguaci più fedeli alla causa di Voldemort. 
    “É interessante come i nostri libri di storia, a distanza di poco tempo dai fatti, siano così avari di informazioni” continuò Evan sedendosi a terra. “In molti pensano che Voldemort volesse compiere un genocidio, ma credo che la caccia al Babbano fosse solo uno sport per divertire i suoi sottoposti. In realtà, Voldemort aveva un programma ben articolato. È così che ha raccolto seguaci o credi che tutti i Mangiamorte fossero degli idioti senza cervello che gli baciavano la veste solo per viltà?” gli chiese retorico mentre Albus lo ascoltava interessato, in effetti, più attento di quanto non fosse mai stato con lui. 
    “Volevano il suo potere, certo, ma desideravano maggiormente vedere la realizzazione del mondo che aveva loro promesso: la divisione netta tra Maghi e Babbani e una società fortemente gerarchizzata con al vertice i Purosangue. Avrebbe dovuto essere una dittatura di sviluppo.”
    “In teoria” precisò Albus, spostando il peso da un piede all'altro.
    “Ovvio” una scrollata distratta di spalle. “Ma il problema di fondo è che non può esserci sviluppo senza evoluzione. Il nostro sistema legislativo, la nostra mentalità, persino i nostri programmi scolastici sono fermi a quelli dei nostri bisnonni, se non prima!” continuò, rigirandosi una foglia tra le dita. “I Babbani, invece, si ingegnano, si evolvono. Noi no, tutto quello che sappiamo fare è rispettare lo Statuto di Segretezza, a nostro svantaggio.”
    Albus strinse le labbra contrariato solo a metà. Lui era per l'ordine, la disciplina: lo Statuto di Segretezza garantiva tutto ciò. 
    Loki sembrò intuire il suo pensiero perché sorrise appena e disse: “Sei cresciuto in una famiglia filo- Babbana; saprai cos'è un televisore, come si accende l’interruttore della luce, come ci si veste in pubblico” elencò con le dita, poi agitò appena la mano. “Per la maggior parte dei maghi non è così. La nostra ignoranza è imbarazzante e inutile sia per per noi che per i Babbani: potremmo insegnare molto e imparare altrettanto.”
    Albus schiuse le labbra. “Quindi, cosa... vorresti che lo Statuto di Segretezza fosse abolito?” chiese, lo scherno calcato nella voce e il capo appena inclinato mentre osservava lo sguardo di Loki farsi vacuo, come se ci stesse pensando davvero. 
    “Non saprei, risolverebbe molte cose...”
    “E ne complicherebbe molte altre” lo interruppe, ma Loki non sembrò turbato o freddato: sembrava che avesse previsto la sua risposta.
    “Sapevo che l'avresti detto” fece, confermando il suo pensiero. Appoggiò il gomito al ginocchio, il mento sul pugno chiuso e l'osservò da dietro la corona di ciglia chiare. “Per te è utopia, per me è una realtà raggiungibile. Lo so, lo vedo.”
    Albus arricciò il labbro. “Sai, quando ti ho conosciuto pensavo che il Cappello Parlante avrebbe dovuto smistarti a Serpeverde, avrebbe dovuto essere la scelta più logica, ma non hai nulla della diplomazia Serpeverde.”
    “Lo prendo come un complimento” sghignazzò Loki, il naso arricciato e gli occhi strizzati.
    “Ma poi ho realizzato che Grifondoro sarebbe stata perfetta per te” continuò Albus, fingendo di non averlo sentito. 
    “Vero? L'ho pensato anche io.” 
   “Eppure, più parlo con te e più mi convinco che nessun altra Casa è più appropriata di Tassorosso” spiegò, lasciando scivolare lo sguardo sul risvolto dorato della tunica dell'altro. “Sei un sognatore.”
    “Lo dici come se fosse una cosa brutta.”
    “Lo è!”
Loki gettò la testa all'indietro e scoppiò a ridere, una risata forte e sonora. “Chi non sogna pensa in piccolo, Albus. Senza sogni si viene calpestati dalla realtà che altri hanno deciso per noi. Senza sogni non si vola.”
    “Più voli in alto più lo schianto farà male” commentò Albus con tono ragionevole. “Farai la fine di Icaro.”
    “Le sue erano ali di cera, Albus.” Il sorriso di Loki si era assottigliato, l'aria idealista aveva abbandonato i tratti marcati e adesso lo scrutava quasi famelico. “Io non volo mai più in alto delle mie capacità, non voglio arrivare al sole: io sono il sole!” replicò, sollevandosi da terra con un balzo felino. 
    Albus sollevò gli occhi al cielo, la luce del sole filtrava flebile dall'intreccio dei rami e delle foglie. “Tu sei un pallone gonfiato!” 
    “Oh, avanti, Potter!” Loki si era avvicinato al Lago la cui superficie prese a incresparsi in piccoli mulinelli, come mossa da un incantesimo silenzioso. “Hai diciassette anni e il tuo mondo entra in una scatola” gli disse allegro, gli occhi che brillavano. Ghirigori d'acqua si sollevavano dalla superficie, catturando la luce del tramonto mentre sfidavano la gravità.
    Osservando quell'immagine, Albus pensò che il proprio mondo fosse ordinato e razionale, grande il giusto. 
    Lui aveva sempre avuto progetti, non sogni distorti, come il rovescio di un paesaggio sulle acque di un lago. Realizzò in quel momento che fosse proprio quella la differenza tra lui e Loki: Rosier era mosso da quella strana magia onirica che avrebbe potuto rendere possibile l'impossibile. 
    Era ciò che gli mancava per essere straordinario.
 
Abbiamo tutti le nostre macchine del tempo.
Alcune ci riportano indietro, e si chiamano ricordi.
Alcune ci portano avanti, e si chiamano sogni.
(Jeremy Irons)


Note:
 
1) La begonia è un fiore commestibile: quelli chiari hanno proprietà rinfrescanti e sono dolci; quelli rossi invece hanno un sapore acre e acidulo.
Virgilio, nel IV libro delle “Bucoliche” associa la forma di questo fiore a uno sciame di api che nasce “straordinariamente” dalla carcassa di un budello ucciso, sottolineando come la specie umana venga “rinnovata” attraverso questo miracolo. È quindi un’associazione positiva, di rinascita. Regalare una begonia è simbolo indubbiamente di energia positiva che si vuole trasmettere, di buon auspicio, di buon augurio in casa.
Ma è anche vera un’altra cosa: i petali di questa pianta possono essere sia lisci che crespi, i fiori semplici ma anche doppi, gli steli doppi e ramificati. Verrebbe da pensare a caratteristiche di “doppia personalità”, di volontà di tramare, di “intessere tele”, di un qualcosa di nascosto e intricato a cui prestare attenzione, mascherate da una bellezza, appunto, vivace e positiva. È un invito a guardarsi le spalle.

2) Precisazione sulle bacchette. Non so se effettivamente sia possibile che una bacchetta sia composta da un doppio legno, ma ho immaginato che, dovendosi adattare alla personalità del mago, fosse possibile (basti pensare che la bacchetta di Fleur contiene un capello di sua nonna). 
La bacchetta di Loki è composta dal manico in palissandro meglio conosciuto come 'legno di rosa' per via del suo odore dolciastro; la bacchetta vera è propria è in ebano. 

Il legno di ebano secondo Pottermore:

Questo legno nero lucente ha un aspetto e una fama impressionanti, essendo particolarmente adatto a ogni tipo di magia da combattimento e alla Trasfigurazione. L'ebano dà il suo meglio nelle mani di chi ha il coraggio di essere se stesso. Spesso anticonformisti, diversi o inclini a essere fuori dagli schemi, si trovano proprietari di bacchette di ebano sia tra le fila dell'Ordine della Fenice che tra i Mangiamorte. Secondo la mia esperienza, il padrone ideale di una bacchetta di ebano è colui che, a dispetto delle pressioni esterne, resta aggrappato alle proprie convinzioni e non si lascia distogliere facilmente dai suoi propositi.

3) Informazioni su Evan Rosier, il Mangiamorte morto durante la Prima Guerra Magica che ha preferito morire per mano di Moody piuttosto che consegnarsi. QUI, invece, una foto di suo nipote Loki (:3)

4) Il mito di Icaro.


 
Specchietto personaggi
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  • Albus Severus Potter è il secondogenito di Harry e Ginny, non avendo informazioni su di lui ho immaginato che fosse stato smistato a Serpeverde. Prefetto e Caposcuola, Albus, somiglia a suo zio Percy. Il mio Albus mentale è un ragazzo estremamente particolare. Lo immagino con un bel DOC (Disturbo ossessivo compulsivo) e affetto da una lieve Sindrome di Asperger che lo rendono un soggetto con cui è molto difficile rapportarsi.
  • Evan Loki Rosier, conosciuto come ‘Loki’ è un OC di Vaiolo di Drago. È il figlio di Daphne Greengrass (quindi è il cugino di Scorpius H. Malfoy) e Julian Rosier, un OC preso in prestito da The darkness comes at dawn di Kiry. Ha vissuto a Berlino e ha frequentato i primi sei anni a Dumstrang dove, pur essendo tra i migliori del suo corso, è stato espulso per motivi fin ora sconosciuti. Dopo un anno sabbatico si è iscritto a Hogwarts.
 
Note finali (per i lettori di VdD):
Mi immagino già qualcuno che va a gridare alla ship, beh, rammentate che Albus è asessuato e che io amo Sam, ma ammetto che questi due hanno potenziale (omicida, se non altro *__*).
Questo spoiler non era previsto, ma sapevo che era il compleanno di Torny (<3) e ho approfittato di un contest e della pausa-studio-Pam. 
A mia difesa posso solo dire che più sono psicopatici e disturbati più li amo ^^' e questo è solo un piccolo antipasto di quello che succederà.
Alla prossima settimana,
Lady
 

 
   
 
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