Videogiochi > Kingdom Hearts
Ricorda la storia  |      
Autore: ChiiCat92    19/09/2015    1 recensioni
"- Dimentica Lea, non può darti niente di quello che posso darti io. Farò di te una potenza, ad un tuo ordine chiunque si inginocchierà. Vuoi questo potere? - annuisce ancora - Dillo Saïx, dillo. Vuoi questo potere? -
- Sì. -
- Lasciami fare e il mondo sarà tuo. -
- Sì. -
Il sorriso sulle labbra del Superiore dovrebbe essere rassicurante, invece è cacciatore, felino, pieno di oscura malizia."
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Axel, Isa, Lea, Saix, Xemnas
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Novilunio

 

Rannicchiato nell'angolo più scuro e fresco della stanza, le gambe strette al petto, le lacrime ancora bagnate sul viso che quasi per punirlo non vogliono asciugarsi: un patetico relitto.

Il silenzio come una cappa preme sulle sue spalle, lo schiaccia contro il pavimento, lo fa sentire ancor più piccolo.

Nelle orecchie ha il rombo del sangue che scorre lungo le vene, veloce, affannato, come se ancora avesse un cuore a pomparlo. L'eco di qualcosa che non ha più.

Prima ancora di sentirlo arrivare percepisce la sua presenza, come sempre. È una calda sensazione che scioglie lentamente il guscio di ghiaccio che lo avvolge. Il suono pesante dei suoi passi fuori dalla porta – passi da bambino, passi rumorosi, passi di chi non ha ancora capito cosa farsene di arti tanto lunghi e sottili – lo costringono ad alzare piano la testa.

Poi il suo bussare molesto; le nocche contro il compensato della porta risuonano nelle sue orecchie come colpi di cannone.

- Isa? - anche la sua voce è calda, e sentirlo pronunciare il suo nome, il suo vecchio nome, riesce ad allentare la tensione delle braccia, a rilassare le giunture delle ginocchia - Ci sei? Mi apri? -

Piano, davvero piano, si alza, instabile sulle gambe, lasciando il suo angolo sicuro...anche se lo sguardo indugia un attimo: e se non dovesse riuscire a reggersi in piedi?

Si sente ondeggiare, come se il pavimento fosse fatto di gelatina e fa quasi per aprire quando ritira la mano, fulminato da un pensiero.

- Un attimo. -

Non ricordava di avere una voce tanto roca, e avrebbe dovuto schiarirsi la gola prima di aprire bocca, ma ormai è andata e sente dall'altra parte il calore di Lea che indugia appena.

- Okay, aspetto. -

Lui annuisce, come in risposta a quelle parole, e maniacalmente percorre il perimetro della stanza con occhi febbrili alla ricerca di...qualcosa, qualcosa che possa incastrarlo, qualcosa che possa metterlo con le spalle al muro, qualcosa che Lea non dovrebbe mai vedere.

Allora non dovrebbe vedere neanche te.”

La sua immagine riflessa lo fissa dallo specchio appeso alla parete e un vuoto allo stomaco gli mozza per un attimo il respiro.

Sono occhi giallo ambra quelli che ricambiano la sua occhiata spaventata, occhi che non gli appartengono.

No, no, no.”

Si afferra il viso tra le mani, ansimando. Non c'è abbastanza aria nella stanza per permettere ai suoi polmoni di espandersi. Annaspa per un attimo e barcolla, rischiando di perdere l'equilibrio, ma quando alza lo sguardo sullo specchio i suoi occhi sono tornati verdi, il colore che dovrebbero sempre avere.

Tienilo lontano, Isa.”

Un respiro, profondo. Va tutto bene.

Torna alla porta e si arrischia ad aprirla.

Lea, il sorriso sorriso sbruffone, la sua scompigliata chioma rossa, i suoi occhi tanto caldi e brillanti che sono il Sole da cui prende la luce, lui, povera pallida Luna.

Non aspetta il permesso di entrare, entra e basta, come un raggio di sole che trova comunque il modo di superare la protezione delle palpebre chiuse.

Isa lo segue, prima con lo sguardo, poi con tutto se stesso, calamitato da lui come da un magnete. La porta che si chiude alle sue spalle ha all'improvviso tutto un altro significato.

- Non ti ho visto a pranzo, pensavo che fossi in missione. -

Eccolo quello sguardo indagatore, quello che, senza tanti complimenti, si aggira tutto intorno nella piccola stanza bianca e poi si piantano su di lui, non senza aver prima percorso ogni centimetro del suo corpo con fare preoccupato.

Può vederlo, lo vede!”

Isa trattiene il fiato per un momento, poi Lea fa scivolare via quegli occhi verdi smeraldo, puntandoli altrove, lontano dal segreto che lui nasconde nel petto vuoto.

- Ho fatto tardi con i rapporti. -

Si giustifica appena, con voce atona. Lea annuisce, d'altronde la pila di documenti sulla scrivania è la prova che ha passato molto tempo lì seduto.

- Hai passato la notte insonne? - una stilettata di ghiaccio trapassa lo stomaco di Isa, da cosa l'ha capito? Il rosso torna con lo sguardo su di lui mentre le mani guantate sfiorano il plico di fogli. - È che hai gli occhi gonfi, non sembri uno che ha dormito molto. -

Un gemito insofferente stringe la gola di Isa, che ringrazia di riuscire ad inghiottirlo senza che superi le labbra.

- In effetti no, non ho dormito molto. -

Ha visto le lacrime incrostate sulle sue guance? Ha visto gli angoli degli occhi ancora lucidi che minacciano di straripare?

Lea perde il sorriso, la sua espressione si fa seria, così lontana da quella che è abituato a vedere.

Ha capito tutto!”

- Non ti sembra che sia...un po' troppo? -

- Un po' troppo cosa? -

Ha capito, ha capito!”

Tum tum tum tum tum

Lo sente nei suoi ricordi il suono del proprio cuore che batte, forte, talmente tanto che potrebbe esplodergli...se solo l'avesse ancora.

- Tutto questo. - Lea gesticola con una mano, additando la sua stanza immacolata; cosa può aver dimenticato che gli è saltato all'occhio? - Le notti insonni, i pasti che salti. Non era questo il piano. -

Il piano.”

Tutto d'un tratto Isa torna tranquillo.

Ma certo, il piano. Vuole parlare del piano.

Non si è accorto delle sue lacrime, non si è accorto del suo dolore. Non si è accorto di niente.

- “Tutto questo” fa parte del piano, appunto. -

- No, tutto questo non fa parte del piano. - Lea non lo guarda, tutto impegnato a nascondere la sua rabbia tra i fogli meticolosamente impilati sulla scrivania. Poi all'improvviso alza gli occhi e Isa si sente inchiodato da quello sguardo, messo a nudo. - Nel piano non parlavamo di niente di simile. Ti stai stancando troppo, Isa! Ti sei visto allo specchio ultimamente? - Sì, diamine, sì - Sembri più un cadavere che una persona. Lavori come un matto e non mi racconti più niente, soprattutto. -

Il sospiro che Isa tira fuori sa di autorità, il verso che emetterebbe un adulto che ha a che fare con un bambino capriccioso.

- Devo stancarmi troppo. Come pretendi che raggiunga il vertice se non lavoro? Deve fidarsi di me, devo diventare il suo braccio destro. -

- Sì, questo posso capirlo. - i capricci di Lea non sono cambiati, cuore o meno - Quello che non capisco è perché ti stai ammazzando di lavoro. Okay raggiungere il vertice, okay che deve fidarsi di te, okay anche che devi diventare il suo braccio destro, ma è davvero troppo. Non ti prendi neanche il necessario per sopravvivere. Cos'è che farai quando... -

- Lo sai perché mi sto ammazzando di lavoro? - in altri tempi forse Isa avrebbe gridato, forse il suo tono di voce sarebbe stato una colata di acido ustionante mirata a corrodere ogni sicurezza di Lea. Adesso, però, è solo una lastra pesante di ghiaccio secco, atona, piatta, incolore. - Per riavere i nostri cuori. E mi chiedo perché tu invece non ti stia ammazzando di lavoro come me. Ho letto i tuoi rapporti, sei a malapena mediocre, dovresti allenarti di più, sforzarti di più. Ammesso che tu voglia ancora portare a termine questa cosa con me. -

- Certo che lo voglio. - mormora Lea in risposta, sgonfiato completamente da tutti gli intenti bellicosi che aveva mostrato un attimo prima. A quanto pare il ghiaccio secco spegne il fuoco. - E mi sto impegnando! Mi delude che tu non te ne renda conto. - l'ultima parte l'aggiunge abbassando ancor di più il tono della voce, come se una parte di lui, in fondo, non volesse che Isa ne venga a conoscenza. Perché sa che potrebbe ferirlo. Per questo alza piano gli occhi cercando tracce di sofferenza nel suo viso, e quasi gli si torce lo stomaco quando non vede assolutamente niente nei suoi occhi. Sospira, passandosi una mano tra i capelli rossi. - Mi sta a cuore la tua salute. Sei mio amico, il mio migliore amico, e sto male a vederti...ridotto così. -

- Sto bene. -

Ma entrambi, senza avere bisogno di pensarci, sanno che è una bugia.

Lea annuisce, lentamente, scettico in ogni caso.

- Okay, come vuoi. Sto al tuo gioco e ti credo. Ma quando comincerai a stare male me lo dirai? -

L'attimo di esitazione nel rispondere è un punto a sfavore di Isa, e un dolore come una coltellata al petto per Lea.

- Ovvio. -

- Ovvio che sì o ovvio che no? - ancora esitazione, ma Lea lo blocca prima che possa rispondere - Lascia stare. Non mi interessa saperlo. Rispondi a te stesso con sincerità, e forse dopo potrai rispondere a me. -

Lea fa per uscire, le spalle basse, l'espressione contrita. Indugia solo un attimo sulla porta, aspettando forse che l'amico lo fermi, che cominci ad ammettere le sue colpe, che si scusi nel burbero e duro modo che lo contraddistingue. Ma il silenzio che invece riceve da lui fa rabbuiare il suo sguardo.

La porta si chiude alle sue spalle, e mentre per Isa ottusamente è la fine della questione, per Lea ne è solo l'inizio.

 

Rimasto solo, Isa si lascia cadere a peso morto sul letto. Le parole del rosso gli risuonano in testa confusamente, quasi non riesce a ricordarle con precisione.

Ce ne sono quattro, in particolare, che non fanno che gironzolargli davanti agli occhi.

“Il mio migliore amico”.

Anche provando a ripeterle, la lingua non collabora, incespica in bocca, si rifiuta.

“Il mio migliore amico”. Quante ne avrebbe dette a Lea, in passato, sentendogli pronunciare quelle parole.

Quante emozioni avrebbero suscitato.

Quello che sente adesso è solo il silenzio desolante di una terra abbandonata.

Poggia una mano sul petto, all'altezza del cuore, cercando sotto le dita il pulsare del cuore, più per abitudine che per altro: sa che comunque non troverà niente.

E niente trova, non ne rimane neanche deluso. Perché non c'è più niente lì.

È stato più semplice del previsto accettarlo, forse perché, senza un cuore, non ci sono neanche paura, rabbia, apprensione, disperazione e tutte quelle emozioni negative e debilitanti che avrebbero dovuto coglierlo nell'apprendere che il suo petto è vuoto.

Quindi, a conti fatti, è abbastanza tranquillo sulla faccenda, razionalmente tranquillo.

È lineare, no?

Niente cuore, niente emozioni, niente emozioni, niente tristezza per non avere un cuore.

E quelle lacrime?”

Si tocca una guancia e anche sotto il tocco di pelle del guanto si rende conto di avere il viso bagnato.

Ricordi. Sono solo ricordi. Sfocati e lontani. Sono già passati tre anni, non è niente, e abbiamo un piano.”

Mentre socchiude gli occhi, caldi di lacrime, nella sua mente si ripete le parole che ormai ricorda a memoria.

Scalare i piani dell'Organizzazione, raggiungere il vertice, recuperare i cuori.”

Scalare i piani dell'Organizzazione, raggiungere il vertice, recuperare i cuori.”

Scalare i piani dell'Organizzazione, raggiungere il vertice, recuperare i cuori.”

Io farò il lavoro sporco per te!”

Batte piano le palpebre quando si rende conto di aver teso le labbra in un sorriso.

Che senso ha sorridere?

- Lea. - deve dirlo ad alta voce quel nome perché non gli sembri solo un'invenzione della sua mente - Lea. Anche tu sei il mio migliore amico. -

Forse avrebbe dovuto dirglielo prima, forse avrebbe dovuto dirgli quello che voleva sentirsi dire quando era ancora in tempo per farlo.

Bhe, ci saranno altre occasioni, no?

Rotola su un fianco, così da avere davanti agli occhi la scrivania e il plico di rapporti e documenti da consegnare.

Sospira.

 

Il corridoio dell'ultimo piano nei colori e nella disposizione delle stanze non ha niente di diverso da tutti gli altri: le pareti sono bianche, i pavimenti sono bianchi, il soffitto è bianco.

L'unica sostanziale differenza è l'aria. Solo annusandola si può percepire l'oscurità che aleggia come nebbia invisibile, accompagnata da un velo opprimente di paura.

Ad ogni passo, la sicurezza di Isa vacilla, le gambe si fanno tremanti e il respiro affannoso.

La porta, in fondo al corridoio, è bianca come tutto il resto, in modo da far spiccare il numero romano I stampigliato in nero. Quando si ritrova a fissarlo il fiato gli si mozza in gola e la mano indugia, stretta a pugno come per bussare.

Aria dentro, aria fuori, aria dentro, aria fuori, perché gli sembra che i polmoni non funzionino come dovrebbero?

- Cercavi me, VII? - di marmo all'improvviso, le gambe si paralizzano sul pavimento, la mano ancora alzata e stretta per bussare. La voce alle sue spalle ha una scintilla di divertimento, lo stesso che Isa trova disegnato nell'angolo delle labbra appena arricciate all'insù. Gli occhi d'oro liquido scivolano su di lui, tanto che sente fisicamente il loro tocco sulle spalle, sul collo, sul mento, sulle labbra. Incapace di pronunciare le parole “Sì, signore” che pure premono tanto contro i denti per uscire, Isa annuisce meccanicamente. - Allora entriamo. -

Il ragazzo si fa subito da parte con lo sguardo basso per lasciargli spazio.

Al suo passaggio, coglie il suo profumo, quell'essenza leggera e insieme pungente che gli entra dentro e gli riempie all'improvviso i polmoni, tanto da costringerlo a reprimere un colpo di tosse.

La porta non cigola sui cardini e il Superiore entra nella stanza, aspettandosi che Isa faccia lo stesso non più di trenta secondi dopo.

Forse sbaglia ad entrare solo venticinque secondi dopo, e non trenta.

Isa si chiude la porta alle spalle, stando attendo a non far rumore. Alle sue spalle, il Superiore si accomoda alla scrivania. Può vederlo nella sua mente mentre si passa una mano tra i capelli d'argento per portarli all'indietro – per ravvivarli forse, anche se non ne avrebbero alcun bisogno – ma solo quando sente due lame roventi conficcate tra le scapole sa che lui sta aspettando. E non si dovrebbe mai fare aspettare il Superiore.

Un sospiro impercettibile e si volta.

Non si stupisce nel trovarlo con il volto pigramente poggiato sul dorso di una mano, con gli occhi brillanti, brucianti, puntati su di lui.

Un brivido sale su per la sua schiena, forse visibile, dato il sorriso soddisfatto sulle labbra del Superiore.

Per un attimo, Isa non ha idea del perché si trovi lì, benché senta sotto le mani il frusciare della carta. C'è solo lui a riempire il suo sguardo, lui a prendere tutto lo spazio dentro di sé, lui, con quel sorriso pericoloso eppure ammaliante, una luce ben più gelida – anche se più forte – di quella del Sole che è Lea.

- Dunque? -

La sua voce è come una carezza, una fredda e pungente carezza che fa vibrare corde nascoste dentro di lui.

Di nuovo si muove meccanicamente e poggia il plico di fogli davanti a lui, per poi fare un frettoloso passo all'indietro in modo da evitare qualsiasi contatto fisico anche accidentale.

Il Superiore gli rivolge un'occhiata appena accennata e comincia a controllare i rapporti, uno ad uno.

Non lo invita a sedere o a mettersi comodo, non lo degna di una sola parola. L'unico suono che si coglie nella stanza oltre ai loro reciproci respiri, e quello sfogliare attento e meticoloso, come se volesse accertarsi anche della consistenza della carta prima di dargli il suo sta bene e il permesso di andarsene.

Passa un'eternità prima che il Superiore legga l'ultimo foglio e lo poggi da un lato. Il silenzio, denso e spesso, cala come una cappa su di loro. L'uomo incrocia le dita tra loro e sospira, scuotendo la testa.

Il respiro si gela nei polmoni di Isa.

- Manca qualcosa. -

Cosa, cosa? Cosa manca, cosa?!”

Gli occhi verdi del ragazzo si fanno grandi, preoccupati, ma soprattutto...spaesati.

Ha controllato mille volte, ha letto e riletto quei rapporti tanto da conoscerli a memoria. Non manca niente, niente. Ne è certo, ne è sicuro!

Ma non una sola sillaba esce dalle sue labbra, sigillate dall'indignazione e dalla paura.

- Dov'è il tuo rapporto, VII? -

- Il mio... - Isa deglutisce, a vuoto, nel tentativo di riprendere fiato - ...il mio rapporto, signore? -

Lo sguardo del Superiore si fa rigido, l'oro fuso delle sue iridi si solidifica tutto d'un tratto e il ragazzo sente una morsa allo stomaco.

- Il rapporto della tua missione. -

- M-missione...? -

Si ritrova a balbettare, pateticamente. Riesce quasi a vedere la sorpresa indignazione che riempie lo sguardo di Xemnas, tanto tagliente e fredda da essere paragonabile ad un bisturi.

- Non sei andato in missione? -

- Io...credevo... - non iperventilare, Isa. Respira, piano. - Credevo di essere esonerato, ho passato tutta la notte in piedi per completare la revisione dei... -

- E chi ti avrebbe esonerato, Saïx? -

Una stilettata di dolore gli fa stringere gli occhi per un attimo al solo sentirlo pronunciare quel nome.

Isa, il tuo nome è Isa, got it memorized?”

- Sto parlando con te Saïx, rispondi. -

Saïx, rispondi.

Saïx.

Saïx.

Rispondi.

- Nessuno. - ammette, gli occhi che cercano in ogni modo di sfuggire allo sguardo di Xemnas, anche se ormai ne sono completamente avvinti - Nessuno, signore. Ho sbagliato. Chiedo scusa. -

Forse compiaciuto, il Superiore appoggia la schiena contro la sedia, assumendo una posizione ben troppo rilassata.

- Accetto le tue scuse, questa volta. - è sollievo quello che riempie con una calda ondata lo stomaco di...Saïx - Ora, c'è un'altra questione di cui vorrei parlarti. -

- Sì, signore. -

- Il tuo nome, VII. Qual è il tuo nome? -

- Non capisco perché... -

Neanche si impegna a nascondere il sobbalzo di paura quando la mano di Xemnas va a picchiare a palmo aperto il tavolo, come non nasconde – a se stesso almeno – il brivido gelido che gli percorre il corpo da capo a piedi.

- Non mi sembra trascendentale come domanda, rispondi senza sollevare obiezioni. Qual è il tuo nome? -

Isa!”

È la voce di Lea a pronunciarlo nella sua mente, con quel suo fare giocoso, quell'enfasi assurdamente felice che riesce ad imprimere in quelle tre lettere imbottendole di affetto fino a farle esplodere.

Isa!”

Nessuno è mai sembrato tanto felice di pronunciare il suo nome e vederlo girarsi come lo è Lea ogni volta che lo fa.

Isa!”

La sua stessa esistenza sembra quasi dipendere dal modo in cui lui risponderà, da come lo guarderà – quasi sempre annoiato e dopo aver lanciato gli occhi al cielo – nascondendo un sorriso.

- Saïx, signore. -

Risponde però, il corpo rigido, la voce fredda, gli occhi che brillano di mille scintille giallo ambra.

- Bene. Perché mi era sembrato di sentire qualcuno chiamarti Isa. - sbagliato, è sbagliato il modo in cui quel nome esce dalle sue labbra, sputato come fosse veleno, masticato e ridotto a brandelli, spogliato di tutto il caloroso affetto di Lea - E non vorrei essere costretto a cercare e punire quella persona... -

- No signore. - solo tre secondi per rendersi conto di avere appena interrotto il Superiore, il tempo necessario perché un tremore diffuso gli prenda tutto il corpo e gli faccia sentire freddo, un gran freddo - Non succederà più, prenderò provvedimenti io stesso. -

Silenzio, per un istante.

Saïx – non osa più pensare a se stesso come Isa – alza gli occhi lentamente su Xemnas, solo per trovarlo intento a fissarlo, studiarlo come il cacciatore farebbe con una preda.

Un altro brivido, forse più intenso dei precedenti, gli percorre la schiena quando sente fisicamente addosso quello sguardo, come poco prima nel corridoio.

Ricordi di dolore si accendono nella sua mente e per un attimo desidera tornare nel suo angolo, nella sua stanza, pateticamente stretto in se stesso per non cadere a pezzi.

- C'è...qualcos'altro che vuole dirmi, signore? -

- Sì. -

Si alza, leggero, la sedia sul pavimento non emette un suono, uno scricchiolio. Che sia sia solo la sua immaginazione? È il ricordo del pulsare intenso del proprio cuore nelle orecchie che annichilisce ogni altro suono? Ai suoi occhi appare sempre più grande, più maestoso, mentre si avvicina.

Corri, scappa!”

Ma l'unica cosa che può fare è rimare immobile, osservando la sua fine incedere.

- I tuoi occhi. -

Troppo vicino. Sente l'elettricità del suo corpo, il suo profumo. Gli gira la testa, le gambe non lo reggono. La mano guantata gli afferra il mento all'improvviso e una scarica elettrica di mille volt gli attraversa il corpo.

Se non fosse per quel contatto cadrebbe a terra come una marionetta a cui hanno tagliato i fili, ma al contempo è quello a fargli perdere le forze, quelle uniche due dita strette intorno al suo mento, il pollice che va a sfiorare il labbro inferiore.

- I miei...occhi? -

Sottile come un filo, la sua voce esce quasi a stento, un refolo d'aria dai polmoni a cui le corde vocali hanno dato una tenue intensità.

- Sono verdi. -

È come un'accusa, ed immediatamente Saïx se ne sente colpevole.

Sono verdi! Ah! Non dovrebbero esserlo, perché lo sono? Stupidi!”

L'unica cosa che riesce a tirare fuori è un affranto “Mi dispiace, signore”, il mugolio disperato di un bambino.

Benché sappia che c'è solo un passo che lo separa dalla porta, dall'uscita, dalla salvezza, tutto quello che può fare è rimanere lì, ancorato al pavimento, in totale balia del Superiore.

Succederà di nuovo.”

- Possiamo porvi rimedio. L'ultima volta ha funzionato. -

Il suo respiro si fa affannato, gli occhi si sgranano per il terrore mentre le iridi verdi saettano da una parte all'altra nel tentativo di fuggire a quelle d'oro di Xemnas.

L'ultima volta.

Il dolore si accende come se fosse ancora fresco. Le braccia, le gambe, la schiena, tutto il suo corpo vibra, e il dolore parte dalle dita saldamente ancorate al suo viso.

- Stai tremando? -

- No. -

La risposta è troppo frettolosa, troppo spaventata, troppo sottile per essere presa sul serio, tanto che Xemnas si lascia sfuggire una bassa risata divertita.

- Non mi piace sentirti mentire, Saïx. -

Saïx deglutisce, ancora una volta, a vuoto, cercando di inghiottire e tenere dentro i gemiti di paura che spingono per uscire.

- Sì. -

Allora risponde, sincero, nella speranza che quella confessione gli risparmi una punizione.

Xemnas scuote la testa, lo biasima, glielo legge negli occhi, la mano stringe appena di più la presa sul suo mento, tirandolo a sé finché i loro petti si toccano.

Saïx ringrazia di non avere un cuore, perché altrimenti lui lo sentirebbe battere come un forsennato.

- Hai paura? -

- Sì. -

Confessa ancora, ormai impossibilitato dal dire o fare qualsiasi altra cosa che non sia rispondere con sincerità alle sue domande.

- Perché? -

- Perché...mi farà male... -

Una piccola, candida risata, una risata che sembrerebbe quasi innocente se non uscisse dalla bocca di quell'uomo.

- Non voglio farti del male, mi sta a cuore la tua salute. -

Il respiro gli si mozza in gola e Saïx all'improvviso perde la vista. Non vede più il volto di Xemnas, ma quello preoccupato di Lea.

Sei mio amico, il mio migliore amico, e sto male a vederti...ridotto così.”

- L-Lea... -

Mormora, battendo piano gli occhi verdi. Quando finalmente rimette a fuoco quello che ha intorno si rende conto di aver detto quel nome ad alta voce...e che il Superiore lo guarda, accigliato, come se avesse appena detto una bestemmia.

- Lea. - duro, esattamente come Isa, sulle sue labbra quel nome stona, sembra un insulto, un qualcosa che va epurato e cancellato dalla faccia della terra. È un secondo: la sua mano libera scivola tra i suoi capelli e vi si aggrappa, con tale forza da farlo gridare. Lo spinge contro il muro, la testa schiacciata contro la parete, la sua mano che spinge come se volesse fracassargli il cranio. - Mi sembrava di essere stato chiaro a riguardo. Cosa non hai capito? Cosa il tuo insulso cervellino non è riuscito a comprendere? -

Saïx annaspa. Il profilo del Superiore riempie la sua vista periferica, e non c'è luogo dove può spingere lo sguardo che lo allontani da lui.

Le dita tra i capelli di zaffiro stringono e stringono, e non possono non sfuggirgli lacrime di dolore.

- Lea è morto, Saïx. Morto. - le sue labbra sono vicine al suo orecchio, così vicine che il soffio caldo del suo alito lo fa rabbrividire, la pelle d'oca gli ricopre immediatamente le braccia - Perché ti ostini al vivere nel passato? -

All'improvviso la sua voce si addolcisce, anche se la presa rimane ferrea. La mano libera scivola lungo i suoi fianchi, carezzandoli piano e provocando l'ennesima scarica elettrica in Saïx.

Un mugolio spaventato sfugge al suo controllo scatenando una bassa risata in Xemnas.

- Mi deludi. Mi deludi profondamente. - mormora, sempre più dolcemente, sempre più vicino al suo orecchio - Hai le potenzialità per diventare grande, ma così non farai mai strada. -

Le labbra si poggiano sul lobo del suo orecchio lasciandovi un bacio appena accennato.

Saïx trema, la vista appannata da un velo di lacrime, mentre i baci diventano morsi. Contro il suo volere, è il corpo che reagisce allo stimolo: i brividi di piacere rendono il suo respiro più corto, come se stesse correndo.

- Dimmi, allora. - il suo fiato caldo non fa che farlo sciogliere in gemiti incontrollati - Vuoi davvero gettare al vento tutte le tue possibilità? -

- No. -

Riesce a rispondere, anche se così piano che non è sicuro che lui possa avere sentito. Il groppo salato di lacrime e paura che gli stringe la gola non si scioglie, prende aria a singhiozzi mentre la mano libera di Xemnas sale lungo il profilo dei suoi fianchi e gli accarezza il petto, lentamente, trovando la zip del cappotto e abbassandola. Si insinua dentro, superando la scarsa difesa della pelle, fermandosi lì dove un tempo c'era il cuore.

- Lo rivuoi? -

- Sì. -

Un'accorata preghiera è compressa in quel “sì”, e la speranza che all'improvviso lo prende gli fa sfuggire lacrime di gioia dagli occhi.

Forse questa volta sarà diverso, forse questa volta avrà quello che cerca. Forse questa volta non sarà così doloroso.

- Allora comincia ad essere più ubbidiente. - gli tira la testa indietro, costringendolo a poggiarla contro la sua spalla. Le sue labbra si poggiano sulla pelle chiara del suo collo e se prima il sospiro del suo fiato preannuncerebbe un casto bacio, il dolore che scatenano i canini quando affondano nella carne lo prende quasi alla sprovvista - Sei il mio cane, Saïx. - la presa sui suoi capelli si fa insopportabile. Lo strattona verso il basso, lo costringe in ginocchio ai suoi piedi e lui, uggiolando di dolore, può solo assecondare il movimento per evitare di vedersi strappare la cute. - Comincia con lo stare al posto che ti compete. -

L'unico suono che lascia la gola di Saïx è un gemito, un ammasso sconnesso di paura che non ha forma ma ha un nome, quello del Superiore.

- Cosa hai detto? - la sua voce tagliente lo fa sobbalzare e si stringe nelle spalle, piccolo e inerme - Ho sentito un “sì, signore” o sbaglio? -

Dato che la risposta di Saïx tarda ad arrivare, Xemnas deve tirargli nuovamente i capelli per sollevargli la testa e costringerlo a guardarlo negli occhi.

- Ho sentito un “sì, signore” o sbaglio? -

Ripete, scandendo bene le parole, come se fosse troppo stupido per capire.

- Sì...signore. -

Biascica, e sembra più un piagnucolio che altro.

Per un attimo c'è solo silenzio, rotto dal patetico singhiozzare di Saïx che pure tanto si sta impegnando a reprimere ogni gemito, ogni verso, mordendosi la lingua e l'interno delle guance a sangue.

- Oh, vieni qui. - mormora l'uomo all'improvviso, inginocchiandosi di fronte a lui con inaspettata dolcezza. Gli accarezza il viso con un mezzo sorriso disegnato sulle labbra. Gli porta indietro i capelli di zaffiro e tutto d'un tratto Saïx non sente più dolore, è come se il suo tocco avesse annullato qualsiasi traccia di sofferenza. Come fanno le sue mani ad essere in grado di dare e togliere in una frazione di secondo? - Perché mi costringi ad essere cattivo? - la sua voce è un sussurro e le sue mani sono sul suo viso, lo accolgono come fosse qualcosa di prezioso. Con dita leggere gli sfiora le labbra, il naso, gli zigomi, imprimono il ricordo nella sua memoria. - Sei il mio preferito, Saïx. Voglio solo il meglio per te, lo capisci? - lui annuisce appena, grato all'uomo che mostra tanto interesse e cura nei suoi confronti - Dimentica Lea, non può darti niente di quello che posso darti io. Farò di te una potenza, ad un tuo ordine chiunque si inginocchierà. Vuoi questo potere? - annuisce ancora - Dillo Saïx, dillo. Vuoi questo potere? -

- Sì. -

- Lasciami fare e il mondo sarà tuo. -

- Sì. -

Il sorriso sulle labbra del Superiore dovrebbe essere rassicurante, invece è cacciatore, felino, pieno di oscura malizia.

Ma è un attimo, Saïx non può accorgersene, perché affonda quel sorriso nelle labbra di lui, regalandogli un bacio che cancella qualsiasi consapevolezza di se stesso.

Gli occhi si chiudono e quando si riaprono hanno il colore dell'oro.

 

*

 

Luna Crescente

 

- Isa? -

Il fruscio dei fogli lo rende quasi nervoso, il continuo scrach scrach della penna e il suo stesso mormorio riescono quasi a sovrastare qualsiasi altro rumore.

- Isa? -

Scuote fastidiosamente la testa, senza registrare quel richiamo, senza neanche capire chi o cosa si sta rivolgendo a lui, con ogni probabilità.

- Isa? -

Agita una mano come per scacciare una mosca, gli occhi maniacalmente fissi sui fogli che ha davanti, la testa piena di parole che scrive e cancella, scrive e cancella, senza sosta. Non riesce a trovare una forma adeguata per quello che deve scrivere.

Il suo rapporto comincia a diventare un papiro di innegabile lunghezza.

- ISA! -

Questa volta sobbalza all'urlo e i suoi occhi, prima persi tra le righe del rapporto, vagano come annebbiati in quelli verdi del suo molestatore.

Non si è minimamente accorto che lui era lì, e non si è neanche accorto di come il tempo sia volato. Deve essere notte fonda data la stanchezza che all'improvviso si sente addosso e, da come gli fanno male il collo e le braccia, deve essere rimasto nella stessa posizione per molte ore.

Batte piano le palpebre, angosciato dal fatto che abbia perso la concezione del tempo, e ancora una volta perde chiarezza sull'immagine del ragazzo di fronte a lui.

Snap snap snap.

Socchiude gli occhi con stizza e afferra la mano di Axel.

- Stai. Fermo. -

- Halleluja, il morto parla! - il rosso alza gli occhi al cielo, fingendo un'espressione grata - Grazie Dio, grazie per non averlo lasciato in quello stato catatonico! -

- Smettila. -

Gli ringhia contro, aggressivo, abbastanza da cancellargli quell'espressione idiota dalla faccia ma non evidentemente per fargli chiudere il becco.

- Vedi che cosa succede se non mangi e non dormi? Diventi irascibile. -

- Non sono affari tuoi. -

- Lo sai che ore sono? -

- Non sono affari tuoi. -

- Non hai cenato neanche stasera. -

- Non sono affari tuoi, Axel! -

Come se avesse appena ricevuto un pugno dritto allo stomaco il rosso indietreggia, finalmente muto.

I loro sguardi si incrociano solo per un attimo, dopo di che Saïx torna ai suoi documenti, senza neanche soffermarsi a pensare al dolore che può aver provocato nell'amico.

- Axel? - pronuncia piano lui, come se fosse un nome pericoloso da dire ad alta voce - Da quando...da quando mi chiami Axel? -

- Come altro dovrei chiamarti? -

Ma non alza gli occhi dai fogli che ha davanti. È Axel che, come un bambino capriccioso, spinge giù dal tavolo i documenti in una cascata bianca di fogli e inchiostro.

Saïx impiega pochi secondi per rendersi conto di quello che ha appena fatto – il suo lavoro, il lavoro di tutta una sera, andato in fumo, quante ore ci vorranno per rimettere tutto apposto? – si alza, furioso, e prende per il colletto del cappotto il rosso, che neanche finge di volersi opporre.

- Sei stupido o cosa? Sai da quanto tempo ci stavo lavorando?! -

Lo scuote, con forza, e lui come un bambola di pezza segue il movimento, senza reagire. Non da quasi nessuna soddisfazione.

- Isa, che diamine ti prende. -

Mormora soltanto, dopo un lungo silenzio, gli occhi verdi carichi di un sentimento che non dovrebbe esistere.

Saïx lo lascia andare di malagrazia, troppo arrabbiato perfino per prenderlo a pugni. Lo spinge indietro, lontano, dove il suo dolore e il suo sbigottimento non possono raggiungerlo. È corrosivo come acido il modo in cui lo guarda.

Si abbassa carponi e comincia a recuperare i fogli sparsi qua e là sul pavimento, tentando invano di ridargli l'ordine originale.

Nella sua mente non fa che sentire la voce del Superiore che ripete “Che delusione, Saïx”. I brividi di paura che gli scuotono la schiena sono tanto forti che le mani non riescono ad afferrare i fogli, deve fermarsi un attimo per avere la certezza che non gli sfuggano una seconda volta.

- Isa, ti prego, fermati. -

- Smettila di chiamarmi in quel modo. - sibila. Passare dalla paura alla rabbia è un attimo, anche senza cuore. Solo vagamente si chiede come sia possibile, mentre Axel sobbalza appena, spaventato dalla sua reazione. Si alza, poggia con cura i fogli raccolti sul tavolo, e torna a sovrastare il rosso con la sua stazza. Anche se si scambiano di pochi centimetri, Saïx sembra minacciosamente enorme. - Lo sai che il Superiore ti ha sentito chiamarmi in quel modo? Lo sai? - con il pallore improvviso sul volto di Axel, Saïx sa di aver fatto breccia - Ho dovuto promettere che sarei stato io stesso a prendere provvedimenti se fosse successo di nuovo, altrimenti l'avrebbe fatto lui. È questo che vuoi? Che ti punisca lui? È così che ti impegni a mettere in atto il nostro piano? -

- Non volevo... -

- Però è successo. - forse non si rende conto che il suo tono di voce è lo stesso tagliente, duro e intenso di Xemnas - E se avesse dei sospetti saremmo fregati. Sei fortunato che so giocarmi bene le mie carte, e che l'ho convinto di essere totalmente ai suoi ordini. -

Menti a te stesso? Tu sei ai suoi ordini.”

Gli occhi di Axel si abbassano, pieni di quella che dovrebbe essere vergogna.

- Mi dispiace. - scuse generiche rivolte a niente in particolare, o a tutto - Tu...hai ragione...ti stai impegnando così tanto...e invece io rischio di mandare tutto all'aria. Sono una testa calda. -

- Lo sei. -

Solo Axel sorride, ma si ritiene abbastanza fortunato nel cogliere una scintilla di divertimento negli occhi dell'amico.

- È solo...che è così difficile. Ti sento distante. -

- Non mi perderai. - anche se Saïx non lo tocca, è come se l'avesse fatto rivolgendogli quelle parole con quel tono docile - Non mi perderai, capito? Ho chiaro quello che devo fare, e ci metterò tutto me stesso nel farlo. Ma devo essere sicuro che ti fidi di me, totalmente. -

- Mi fido... -

Mormora Axel, le sopracciglia contratte in un'espressione preoccupata.

- Allora fidati anche di come recito. Perché è solo una recita, tutto questo, è solo un'enorme charade, dobbiamo sostenere ognuno i nostri ruoli. - il rosso annuisce e Saïx riesce a tirare un sospiro di sollievo - Continuerai a fare il lavoro sporco per me? -

- Puoi contarci. -

- Allora la smetterai di preoccuparti per i miei pasti o per quante ore di sonno perdo? Lo faccio per noi, per riavere le nostre vite, pensa questo, va bene? - Saïx registra il piccolo, lieve movimento della testa di Axel come un “sì” - Rimani pur sempre un mio sottoposto, e se dovrò trattarti come tale tu dovrai ubbidire. - perché trema tanto nel dire quella parola? Quasi ha rimosso il momento in cui è stata rivolta a lui.

- Ti aiuto a rimettere a posto... -

- No, vattene. Hai fatto abbastanza danni. Ringrazia che sono troppo stanco per spaccarti la faccia a pugni. -

Axel indaga solo un attimo con occhi attenti sul suo viso e Saïx si sente nuovamente messo a nudo, alla berlina, esposto a tutto quello che sta nascondendo. Ma il rosso scuote la testa e sospira, portando le mani avanti in segno di resa.

Rimasto solo, Saïx si pente di non aver approfittato di lui, non tanto per l'aiuto che avrebbe potuto dargli – è quasi certo che avrebbe messo più disordine che altro – quanto perché ora gli prudono le mani dal desiderio di rompergli qualche osso vedendo il suo lavoro reso completamente inutile dal suo intervento infantile.

 

*

 

Primo Quarto

 

A terra, per l'ennesima volta. Dolore che si aggiunge a dolore.

Rotola appena in tempo da una parte per non vedersi conficcare tra gli occhi una delle sei lance del numero III.

Il proprio respiro affannoso è il patetico segno della sua debolezza.

Le braccia non reggono più la claymore, troppo grande e pesante per lui, e anche se è completamente inutile continuare a stringerne l'elsa non può fare a meno di farlo: gli da conforto in un modo che neanche lui saprebbe spiegarsi.

La rivincita ideale per Dilan, come una piccola vendetta personale su quel ragazzetto che non ha mai tanto ben digerito.

Saïx stringe i denti e si aspetta di sentirsi conficcare la lancia nella spalla quando lo schiarirsi educato di una voce blocca il braccio del numero III.

- Mi sembra sufficiente Xaldin, hai fatto un buon lavoro. -

Con una mano sul petto e un breve inchino, il moro si allontana a grandi falcate, non senza aver prima lanciato un'occhiata divertita a Saïx, ancora steso, dolorante, a terra.

Se fosse solo per l'umiliazione di essere stato sconfitto, Saïx se ne farebbe una ragione, si rialzerebbe e tornerebbe ad allenarsi per conto proprio. Il problema sta nei passi misurati dell'uomo che gli si avvicina e si ferma proprio davanti a lui. La sua figura gli fa ombra, e i capelli argentei scivolano sul viso a formare una tenda mentre si piega appena in avanti come per essergli più vicino, ma anche in quella penombra gli occhi d'oro fuso brillano: la fornace che li alimenta non si spegne mai.

- VII, va tutto bene? -

Il suo corpo prende a tremare e mentre gli impulsi elettrici del cervello vagano lungo il sistema nervoso per controllare se davvero va tutto bene, i suoi occhi registrano la mano guantata che gli viene porta in aiuto.

Batte più e più volte le palpebre, casomai stesse avendo le allucinazioni, ma quella mano rimane lì, in attesa. Non c'è un sorriso ad aspettarlo né una frase di conforto, però sa che non può fare a meno di afferrare la mano tesa di Xemnas.

Lo tira su con una tale facilità che si sente all'improvviso troppo leggero, troppo magro, troppo esile, tutto il contrario di quello che dovrebbe essere.

- Sì, signore, sto bene. -

Per quanto vorrebbe divincolarsi da quella presa che sente come ferrea, non riesce a fare altro che rimanere immobile mentre i suoi occhi d'oro lo squadrano da capo a piedi.

- Molto bene, allora mostrami cosa hai imparato. -

Un campanello d'allarme suona nella testa di Saïx che è abbastanza reattivo e veloce per fare un salto indietro, almeno un istante prima di essere tagliato in due dalla lama rossa di Xemnas.

Con occhi sgranati osserva lo squarcio netto e pulito sul suo cappotto, proprio in corrispondenza dello stomaco, dritto e letale. Se solo si fosse trovato un centimetro più avanti starebbe grondando sangue.

È solo l'istinto che lo muove, abbastanza in fretta, per sollevare la claymore con entrambe le braccia e portarla a difesa del proprio corpo un attimo prima che il Superiore vi si accanisca contro.

È troppo stanco per poter fare altro che non sia retrocedere mentre scintille sprizzano dalle lame eteree che cozzano sul metallo della claymore.

Le notti insonni e l'allenamento con Xaldin l'hanno lasciato stremato, con le forze sufficienti per non crollare a terra sotto il peso della sua stessa arma.

Non è di certo in condizioni di combattere contro il Superiore.

Per di più, sa che gli altri membri dell'Organizzazione stanno guardando. Axel sta guardando.

Fa l'errore di voltare lo sguardo un attimo, solo un attimo, per accertarsi della sua presenza, e un bruciore intenso gli divora il braccio sinistro, strappandogli un gemito di dolore appena attutito dai denti stretti.

Proprio sotto la spalla il cappotto è strappato e il sangue stilla come acqua dalla ferita aperta.

Realizza in quel momento che Xemnas combatte per uccidere come se avesse davanti un nemico.

Cerca il suo sguardo, supplichevole, mentre tenta di riprendere fiato, ma tutto quello che trova è una parete d'oro massiccio che respinge ogni sua muta preghiera.

Xemnas non ha bisogno di avventarsi su di lui con foga, gli si avvicina anzi con calma. Saïx sente nell'aria il frizzare quasi elettrico delle lame, brillanti come vive. L'espressione indecifrabile non gli fa capire cosa stia pensando, cosa si aspetti da lui, quello che sa è che il braccio sinistro non risponde come dovrebbe e la claymore gli sembra più pesante che mai.

- Tutti fuori. -

Mormora, con gentile autorità, Xemnas. Non ha bisogno di ripeterlo.

Uno ad uno i membri che stavano assistendo all'allenamento lasciano la stanza, in religioso silenzio.

L'ultimo ad allontanarsi è Axel. Saïx coglie il fuoco della sua preoccupazione sulla pelle, il suo sguardo è su di lui come una calda e gentile carezza.

Si nega il suo conforto e fa in modo di non distogliere l'attenzione da Xemnas, ma sa, sente, che il rosso lo sta guardando.

Va' via Lea” si rimette in posizione di difesa lentamente, le ossa e i muscoli che scricchiolano, il braccio che gli manda una scarica di dolore che a malapena riesce a concepire “Va' via prima che faccia male anche a te.”

In qualche modo percepisce la sua esitazione. Lo vede nella sua mente, come quando erano vivi, quando avevano ancora un cuore: saltella da un piede all'altro, una mano che accarezza la nuca come per calmarsi, lo sguardo basso eppure vivo, di fuoco, brillante e caldo come tutto il suo essere. L'indecisione non è mai stata un tratto distintivo del suo carattere, anzi, è sempre stato un tipo fin troppo istintivo, eppure Saïx ricorda con un sorriso quanto era divertente istillargli il dubbio.

Ne sei sicuro, Lea?” con la voce insinuante di chi la sa lunga, e all'improvviso tutta la sua sbruffonaggine crollava, mostrando quando insicuro fosse in realtà.

Un privilegio tutto di Isa.

Già. Isa.

Dov'è Isa adesso?”

Lontano.”

Scarta da un lato con violenza, sfruttando il proprio peso e quello dell'arma per risparmiarsi un fendente mirato a staccargli di netto il braccio. Il suo sguardo, ancora una volta, si accende d'oro e un basso ringhio gli prende la gola.

Stringe la presa intorno all'elsa della claymore e la solleva con la forza residua. Anche se la ferita stilla ancora sangue, non sente più dolore.

Il fendente è lento, disarticolato, stanco, e non va a segno, Xemnas non deve neanche impegnarsi per scansarlo, anzi, il movimento fluido con cui fa un passo indietro fa solo più infuriare e indignare Saïx.

Gioca con lui, prima di divorarlo vivo.

Ci riprova, stringe i denti e sfida il suo stesso corpo. Per sollevare la claymore stavolta gli occorre uno sforzo immane.

Il ghigno divertito sulle labbra di Xemnas è l'ultima cosa che vede prima di crollare a terra. Non ha colto il suo movimento, non l'ha visto arrivare, accecato com'era dalla rabbia.

La lama trapassa il suo fianco, squarcia il cappotto e la carne con la stessa facilità.

Saïx si accascia sul pavimento senza emettere un fiato, annaspando nel dolore e nel sangue, scivolando verso l'oblio ad ogni respiro.

Ma non è né la ferita né quel dolore a fargli male. A fargli male è sentire Lea gridare il suo nome, e vedere gli occhi del Superiore inchiodarsi su di lui.

 

Mi sta a cuore la tua salute.

Mi sta, a cuore la tua salute.

Mi sta a cuore, la tua salute.

Che strano, in qualsiasi modo si ripeta quelle parole, cambiando tono e cadenza, non ricorda comunque chi le ha pronunciate.

Da qualche parte dentro la sua testa sa che deve essere stata una persona importante, ma non riesce in alcun modo ad identificarla.

Quando riapre gli occhi la prima cosa che sente è il dolore. Tagliente e veloce ha fatto in fretta a raggiungere i suoi nervi, bloccando ogni tentativo di mettersi seduto.

Poi, quasi più per sensazione, percepisce una presenza accanto al letto su cui è sdraiato.

La sente sulla pelle che si accappona leggermente, prima ancora che il suo sguardo stanco possa poggiarsi su di lui.

- Ben svegliato, VII. -

Il brivido che lo costringe ad inarcare dolorosamente la schiena è accompagnato da un sospiro di paura che non riesce a reprimere.

Seduto con la sua solita, placida, regale eleganza, Xemnas lo osserva come se fosse una creatura curiosa, un animaletto con cui divertirsi, o un giocattolo con cui si è ancora stancato di giocare.

Più lentamente che può, Saïx si mette seduto, ignorando le fitte di dolore del fianco e del braccio.

Il suo corpo lo avverte che non può difendersi, che qualsiasi movimento tenterà di fare avrà in risposta arti irrigiditi e dolore.

In una sola parola è inerme.

- Quanto tempo... -

Comincia, la gola secca e la voce ridotta ad un sussurro. Prova a deglutire ma è come se in gola avesse carta vetrata.

- Un giorno. -

Anche se il suo tono di voce è piatto, Saïx è sicuro di trovare disgusto e delusione in quelle uniche due parole.

Abbassa il capo, colpevole, pur non essendo stato accusato direttamente.

- Mi allenerò di più, signore. -

- Non lo metto in dubbio. - coglie il suo movimento con la coda dell'occhio, dato che non ha il coraggio né la forza di guardarlo direttamente. Si alza, uno scricchiolio di pelle è il rumore del suo cappotto quando si muove, per poi sedersi nuovamente sulla sponda del letto. Il suo corpo e il suo calore a pochi centimetri dalla pelle scoperta di Saïx. Le sue dita guantate scivolano con delicatezza sul braccio ferito, fasciato di fresco, ne studiano il profilo con meticolosa curiosità. - Provi dolore? - sussurra, lieve, vicino al suo orecchio.

- No, signore... -

Allora quelle dita che erano state tanto gentili si chiudono ad artiglio intorno al suo braccio, una presa ferrea che lo fa sobbalzare e gemere di dolore prima che possa porvi rimedio.

- Cosa avevo detto riguardo le menzogne? -

Le dita affondate nella sua carne stringono e stringono, fino a riaprire la ferita, le bende si macchiano di sangue fresco.

Saïx trema, impallidito d'un colpo, il braccio serrato in quella morsa.

- Sì...sì, provo dolore. -

Biascica, un basso sussurro che ricorda l'uggiolio di un cane.

Xemnas rilascia la presa all'improvviso e, anche se il dolore rimane comunque acceso, il sollievo è immediato, tanto da fargli tirare un sospiro.

- Odio i bugiardi. - la sua voce è vibrante di sfumature profonde e le iridi d'oro gli tolgono subito il respiro. In apnea, non può che guardarlo mentre gli afferra il viso con una mano, lo accarezza, lo studia, lo avvicina al proprio come per osservarlo meglio. - Tu non sei un bugiardo, vero? -

Digli tutto” gli mormora una vocina all'orecchio, così gentile che Saïx può paragonarla alle carezze di sua madre “Digli tutto, cosa ti costa? Non devi mentirgli, mai.”

Sente le parole salirgli su per la gola, sfiorargli la lingua, spingere contro i denti e le labbra schiudersi per parlare, per confessare l'unico segreto che ha osato tenergli nascosto.

Vuole dirgli di Lea, del loro piano, del modo in cui hanno deciso insieme di riprendersi i loro cuori e sfruttare l'Organizzazione.

Perché dovrebbe tacerglielo?

Lui odia i bugiardi.

Sente la sua mano scendere sul collo, accarezzandoglielo con dolcezza infinita. Ogni singola cellula della pelle accapponata brucia al contatto e lui non può che piegare di lato la testa per assecondarlo.

Un sospiro sognante gli sfugge dalle labbra quando gli sfiora le labbra con le dita seguendone il profilo con dovuta lentezza, solo per farlo rabbrividire.

- Allora, Saïx? - il suo respiro è troppo vicino, troppo per poterlo tollerare mantenendosi lucidi. Saïx tiene gli occhi chiusi, si impedisce di cercare le iridi d'oro di Xemnas. Sa, sa che se dovesse guardarlo adesso finirebbe per sempre stregato dal suo incantesimo. - Sei o non sei un bugiardo? Posso fidarmi ancora di te? -

Vorrebbe urlare, vorrebbe crollare in ginocchio ai suoi piedi e chiedere scusa.

Sì, sì che si può fidare!

Ma la sua voce, per fortuna, è sparita, come se gli avessero tranciato di netto le corde vocali. L'unica cosa che gli esce dalle labbra e un piccolo, sottile gemito quando sente le labbra di lui poggiarsi sulle proprie, leggere. Frustrato da quel tocco, si spinge verso di lui, cercando di più, desiderando di più con ogni fibra del suo essere.

Ma Xemnas si tira indietro, lasciandolo con le labbra in fiamme e le sopracciglia strette tra loro in un'espressione confusa e arrabbiata.

- Non mi hai ancora risposto. -

Dice, sottovoce, gli occhi brillanti. Saïx non capisce – né vuole farlo – quello che gli ha appena detto, ha solo osservato il modo in cui ha pronunciato quelle parole, come la emme e la enne fanno stringere tra loro le labbra, come si arricciano sulla erre.

- Si...si può fidare di me. -

Rantola, con un enorme sforzo. Non si è reso conto di quanto gli manchi il respiro, di quanto la mano di Xemnas ancora sul suo viso lo tenga prigioniero.

- Non c'è niente che mi nascondi, dunque? -

Si avvicina nuovamente e lui, quelle labbra di fuoco che si poggiano sulle proprie. Gli afferra pian piano il labbro inferiore con i denti, non per fargli male, ma solo per farlo rabbrividire e farlo avvicinare ancor di più.

Saïx sospira contro di lui, incapace di intendere e di volere.

Cosa aspetti! Perché non glielo dici!”

Prende un respiro più profondo che può, cercando di non annaspare, di non parlare a singhiozzi.

Isa” è una voce lontana, lontanissima, che nella sua mente lo chiama spaventato. Può vedere solo in modo sfocato la persona a cui appartiene e all'improvviso sente un gran caldo nel petto, un caldo insopportabile quasi, per quanto sia anche confortante. “Isa, ho paura. Che cosa ci succederà adesso?”

Vede due occhi verdi, grandi, sgranati, infantili, e un ragazzo troppo giovane per sopportare tutto quello, trema dentro un cappotto di pelle nera che sembra essergli stato cucito addosso con la forza, si tocca il petto, le sopracciglia rosse strette tra loro in una preoccupazione che ormai non può più provare ma che continua comunque ad opprimerlo.

Isa...”

La richiesta accorata implicita in quel richiamo ha la forza di farlo tornare in sé.

Scuote piano la testa, anche se è così difficile non dare a Xemnas quello che vuole.

- No signore, assolutamente niente. -

C'è silenzio per un attimo, un silenzio pensieroso carico di parole come una pistola pronta a sparare.

Saïx si arrischia a riaprire gli occhi...solo per specchiarsi in quelli caldi e viscosi di Xemnas. L'oro dell'iride vibrante di mille sfumature infuocate sono magnetici come quelli di un predatore.

- Spero per te che sia la verità. -

Le sue mani calde – calde anche attraverso i guanti – gli accarezzano il collo. Lì dove l'ha morso l'ultima volta c'è ancora il segno dei denti. Segue il profilo delle sue spalle e lì si ferma stringendo all'improvviso la presa.

Saïx non ha neanche il tempo di emettere un verso di stupore prima di essere spinto con violenza contro il materasso. Con un unico, fluido movimento Xemnas gli è sopra, bloccandogli i polsi con una sola mano mentre l'altra gli afferra il mento e lo costringe in un bacio affamato.

Gli morde le labbra tanto da farle sanguinare e subito insinua la lingua nella sua bocca, senza quasi lasciargli il tempo di respirare.

Non può muovere la testa e neanche ci proverebbe, e questo Xemnas lo sa bene, così gli lascia andare il mento, solo per poter avere la mano libera di scivolare sul suo petto.

Senza la protezione del cappotto di pelle Saïx si sente più nudo che mai. Da qualche parte nella sua mente si chiede chi possa averglielo tolto, chi l'abbia messo a letto, chi gli abbia fasciato le ferite, ma quando i suoi occhi incontrano quelli d'oro di Xemnas non ha più bisogno di chiederselo.

La mano libera gli accarezza il petto e lui sente il proprio respiro assecondare il suo tocco come se fosse lui stesso a far entrare e uscire l'aria nei polmoni.

Lo guarda una volta ancora, lo ammonisce con quella sola occhiata. Gli sta ordinando di non muoversi, gli è chiaro, per questo quando gli lascia andare i polsi non ha un fremito: rimane così come lui desidera, non è altro che una bambola nelle sue mani.

Le sue labbra affamate divorano le proprie, calde, troppo calde, e lui agonizza al pensiero di volerle sentire ovunque sul proprio corpo, ovunque senta freddo. È il suo calore che desidera, ora più che mai.

E lui glielo da, come a voler mantenere una promessa non detta tra loro.

Gli morde il collo, nuovamente, così che il segno del suo passaggio sia visibile sulla sua pelle. Visibile, ma non permanente.

Scende lungo la clavicola, lascia un bacio fin troppo gentile sullo sterno, proprio dove manca il cuore, e per un attimo quel gesto sembra a Saïx un atto di puro interesse nei suoi confronti. Sente quasi che si preoccupi davvero della sua salute.

Poi gli morde un capezzolo, così inaspettatamente che sobbalza mentre dalle labbra sfugge un gemito di sorpresa.

Una bassa risata, invece, lascia quelle di Xemnas, divertito dalla sua reazione. Se con la lingua prende a torturare il capezzolo che ha appena morso, con le dita si occupa dell'altro, pizzicandolo e stringendolo abbastanza da dargli piacere e dolore insieme.

Non chiede il suo permesso, si aspetta solo che lui rimanga buono e ubbidiente mentre gli slaccia i pantaloni e insinua la mano tra le sue gambe. Non acconsente neanche che lui gema, dato che al primo accenno di un suono, i suoi occhi corrono ad ammonirlo.

Silenzio, VII.”

Ha un brivido e non solo di piacere quando la mano di lui si stringe sulla sua erezione. Non si era neanche accorto di essere tanto...eccitato.

Orrore e paura si mescolano nel calderone che è la sua mente insieme con il piacere fisico che gli provoca quel contatto.

Non toccarmi!” è l'eco lontana di una voce che lentamente si spegne, così come si spegne la lucidità negli occhi verdi ormai inondanti d'oro.

Trema talmente tanto che deve stringere i denti per non mordersi la lingua e vorrebbe urlare con quanto fiato ha in gola, il piacere è tanto inteso che deve trattenere il fiato e...

E più niente all'improvviso, la sua mano si allontana e Saïx può scorgere il ghigno compiaciuto che ha sulle labbra.

Vuoi il resto?” dice quel ghigno, senza bisogno che usi la voce per dirglielo “Dovrai meritartelo.”

Il primo e unico gemito gli sfugge quando lo afferra per spingerlo in posizione prona, la testa schiacciata contro il cuscino con una mano.

Si abbassa appena su di lui per passargli lentamente la lingua lungo contorno dell'orecchio fino al lobo che stringe tra i denti.

Sente che spinge il bacino contro di lui così come sente le lacrime salirgli agli occhi. Ma non emette un suono, neanche quando lo prende con forza, facendogli stringere tanto i denti da sentirli scricchiolare.

 

*

 

Plenilunio

 

Tempo, quello che non ha più e che continua a rincorrere.

Le giornate si susseguono tutte uguali, tra missioni, allenamenti, lavori d'ufficio e...Xemnas.

Tempo.

Tempo che non ha più per nessuno, per mangiare, dormire, per se stesso. Per Axel, per il piano.

Tempo che gli sfugge e che passa inesorabile, dilatando a dismisura la distanza tra sé e quello che era, tra sé e quello che vuole ottenere. Senza averne la benché minima consapevolezza.

Mentre cammina nel corridoio ripetendo le mansioni che deve svolgere per il Superiore, non si accorge nemmeno di essere tallonato.

Impiega qualche secondo per sentire i passi che lo seguono e allora alza gli occhi al cielo e sospira.

Se prima la sua presenza aveva il potere di sciogliere il gelo di cui si era coperto, adesso è solo causa di fastidio, perdita di quel tempo che non ha più e insofferenza.

- Che cosa vuoi, Axel? -

Dice, senza smettere di camminare, senza smettere di sfogliare i documenti che ha in mano, senza perdere di vista quello che deve fare. E per chi.

- Io so cosa voglio, ma tu? -

Saïx si ferma ma ancora non si volta.

Gli devi ancora un pugno.” gli sussurra una voce all'orecchio, strano però che venga accolta senza nessuna emozione: neanche la rabbia riesce a distoglierlo dal suo lavoro.

- Bene, allora sai che voglio che mi lasci in pace, mi sembra un gran passo avanti. -

Lo dice con un tono tanto piatto e sterile che Axel rabbrividisce appena.

- Fai l'aggressivo-passivo adesso? -

- No, faccio l'adulto. -

L'occhiata gelida che gli rivolge voltandosi verso di lui mozza il respiro in gola al rosso che rimane immobile per un lungo attimo.

- I tuoi occhi...Isa...che è successo... -

- È Saïx. - non lo urla, ma è come se l'avesse fatto - Sono stufo di ripetertelo. -

Ma Axel è ancora ghiacciato da quella visione.

- Hai i suoi occhi. Hai gli occhi come...lui. -

- Che cosa c'entra adesso. - lo sputa tra i denti, snervato. Prende un respiro e scuote la testa. - Non ho tempo da perdere con te. -

In un attimo Axel colma la distanza tra loro e gli afferra il braccio per trattenerlo. Non vuole lasciarlo andare via. Ha come la sensazione che se lo lascia adesso...lo perderà per sempre.

- Che cosa ti è successo? -

Saïx si divincola alla presa con uno strattone senza rispondere alla domanda.

- Ho solo fatto quello che serviva per andare avanti, tu cosa hai fatto? -

Colpito e affondato, Axel incassa la testa tra le spalle, ancora una volta come se avesse ricevuto un colpo allo stomaco. O forse al cuore che non ha.

- Sembra che non ti interessi neanche più essere amici. -

- Non siamo amici. - un altro colpo che quasi fa sobbalzare il rosso - Non più, non adesso. Torna a lavoro. -

- Cos...sei impazzito? - lo afferra di nuovo, e probabilmente per l'ultima volta - Stai dicendo che non vuoi più essere mio amico o cosa? -

- Axel, non voglio più sentirti dire stupidaggini del genere. Ho da fare adesso. -

Gli volta le spalle e fa per andarsene, tranquillamente consapevole di quello che gli ha appena detto. Una piccola parte di lui, quella che non pensa davvero quelle cose, spera che lui capisca che sta solo recitando la parte che si è scelto, che sappia per quale motivo ha detto quel che ha detto, che comprenda anche in minima parte lo sforzo che sta facendo per lui. Non può rischiare di dire cose sconvenienti proprio adesso che ha guadagnato la fiducia di Xemnas.

- Come vuoi, Saïx. -

 

Saïx percorre l'ultimo corridoio verso la stanza del Superiore senza alcun senso di colpa, senza neanche preoccuparsi di quello che è appena successo. Come se non avesse o provasse alcun sentimento.

D'altronde non ha più un cuore. E neanche tempo per soffermarsi a pensarci.

Prende un respiro profondo prima di bussare alla porta. Due colpi secchi, e un passo indietro aspettando di sentire la sua voce.

- Avanti. -

Profonda e altisonante gli fa venire un brivido con quell'unica parola.

Apre la porta con sicurezza, anche se una volta dentro si sente scuotere. I suoi occhi corrono subito a cercarlo e lo trovano seduto alla scrivania, come sempre.

Alza lo sguardo su di lui e gli fa un cenno con la mano che lui prende come invito ad entrare. La porta che si chiude alle sue spalle non fa alcun rumore. Per qualche ragione pensa che se avesse bisogno di aiuto nessuno saprebbe che è lì. Axel non verrebbe a cercarlo.

- Le ho portato gli ultimi rapporti. -

- Siedi, Saïx. -

Un sorriso, lieve sulle labbra. Saïx prova all'improvviso una terribile sensazione di disagio. Ma di certo non disubbidisce all'ordine, infatti, con un movimento fluido, prende subito posto all'unica sedia di fronte la scrivania.

- Dovremmo parlare della tua carriera in questa Organizzazione. -

Lo sa, se avesse un cuore quello sarebbe il momento in cui batterebbe fortissimo in petto. Deglutisce a vuoto, ma cerca di mantenere una maschera di calma e indifferenza, in tutto e per tutto uguale a quella che indossa Xemnas.

- Certo signore, tutto quello che vuole. -

Xemnas poggia i gomiti sul tavolo e giunge le mani solo per poggiarvi sopra il mento, gli occhi brillanti fissi nei suoi come a cercare qualcosa, una traccia, un segno. Un lungo brivido percorre la schiena di Saïx, tanto forse che deve fare uno sforzo immane per rimanere seduto compostamente.

- Ho visto che ti sei impegnato e che sei migliorato molto. Mi chiedevo se non fosse il caso di darti una promozione. -

Una promozione! Hai sentito Lea?!” però lui non è lì, anche se per un attimo i suoi occhi scivolano al suo fianco per cercarlo.

Respira lentamente in modo che le parole escano nell'ordine prestabilito.

- Se lei pensa che lo meriti, signore. -

Una bassa risata lascia le labbra di Xemnas che scuote appena il capo, i capelli argentei che seguono il movimento.

- Non fingere modestia. So che non desideri altro, ma non te ne faccio una colpa, essere ambiziosi è un pregio non un difetto. - forse Saïx mormora un “grazie, signore” ma non ne è certo, con la gola così stretta in una morsa e la lingua secca che non ne vuole sapere di collaborare - Quindi, dicevo, la promozione. Ovviamente questo comporterà un maggior sforzo da parte tua, e maggiore devozione alla nostra causa. -

- Certamente, mi impegnerò al massimo delle mie possibilità. -

Lea, devo dirlo a Lea, devo dirglielo subito!”

Xemnas si alza, ma Saïx rimane immobile al suo posto. Lo osserva mentre, con le mani incrociate dietro la schiena, percorre a passi misurati il perimetro della stanza, in un silenzio pensieroso.

- Sai cos'è un vessel, Saïx? -

- Credo...sia un contenitore, signore. -

- Sì, possiamo dire che sia un contenitore, in un certo senso. - gli si avvicina e solo in quel momento Saïx si rende conto che le ombre danzano intorno a lui, aprendosi al suo passaggio come se fosse in grado di controllarle. Perché non si era mai accorto di quel particolare? - È di quello che abbiamo bisogno. Di un vessel. Pensi di poter essere all'altezza? -

Le sopracciglia blu appena aggrottate indicano la sottile confusione di Saïx, ma non per questo tentenna. Non adesso che è a questo punto di svolta.

I tuoi sforzi saranno ripagati, gira a tuo favore per una volta.”

- Qualsiasi compito voglia affidarmi, signore, ne sarò sicuramente all'altezza. -

- Era proprio quello che volevo sentire. - sempre più vicino, gli poggia le mani sulle sue spalle in modo amichevole quasi - Hai un'inclinazione naturale per questo, Saïx. Sono sicuro che non ci deluderai. -

Vorrebbe chiedere di più, vorrebbe sapere perché ha parlato al plurale. Chi altri non deve deludere?

Ma Xemnas lo spinge giù dalla sedia con violenza, e lui ruzzola un paio di volte prima di riuscire a recuperare l'equilibrio.

L'elettricità nell'aria lo costringe ad alzare gli occhi e quando incontra il rosso delle lame eteree il suo stomaco, dolorosamente, si stringe in una morsa.

- C'è solo una piccola cosa che devo farti, Saïx. Non preoccuparti, non sarà doloroso. -

Per istinto si difende, la claymore risponde al suo richiamo disperato e il primo colpo lo assorbe indietreggiando, la lama in orizzontale posta a proteggere il volto.

Le lame eteree bruciano, non ha bisogno di sentirle addosso per ricordare il dolore che possono provocare, ha sulla pelle cicatrici che non sono mai guarite.

Annaspa per un attimo, perché più brucianti di quelle lame sono gli occhi d'oro di Xemnas, e il ghigno che ha sulle labbra.

Non ha il tempo di chiedere nulla, di proferire un solo verbo, prima di essere costretto a parare un altro colpo, laterale, volto quasi a tagliarlo in due.

È veloce, troppo per lui, ed esperto, più di quanto potrebbe mai esserlo Saïx nel poco tempo che ha avuto per poter davvero entrare in confidenza con la sua arma.

Muove un passo indietro...solo per affondare in una viscosa pozza di oscurità, come sabbie mobili buie, che gli si avvinghiano intorno alla caviglia e lo bloccano sul posto. Prima di capire come liberarsi, anche l'altra gamba è bloccata.

Le ombre scivolano su di lui, fredde e viscide, mani dalle dita inaspettatamente forti che lo afferrano e lo inchiodano.

Prova a divincolarsi con tutte le sue forze e la claymore gli cade di mano senza che possa far nulla.

Inerme al cospetto di Xemnas, sente qualcosa di molto simile alla paura inondargli il petto.

- Cosa...cosa vuole fare? -

- Darti la promozione che ti meriti. - sussurra in un soffio lui. Colma la distanza tra loro con un unico passo fluido e si avvicina abbastanza da strappargli un doloroso bacio. - Non stavi lavorando tanto per questo? -

Prima che possa rispondere, Xemnas fa un passo indietro, le lame incrociate a X su di lui come l'ascia di un boia prima di un'esecuzione.

Anche se Saïx avesse una supplica da rivolgergli per cercare di dissuaderlo, non avrebbe voce per dirla.

L'unica cosa che lascia le sue labbra quando le lame calano sul suo viso è un urlo, straziante come il dolore che l'acceca. Poi il sangue gli riempie il naso, la bocca, e lui annega.

Le ombre smettono di tenerlo bloccato, e Saïx crolla a terra, le mani che corrono al viso sanguinante, quell'urlo che ancora gli raschia la gola.

Xemnas si abbassa accanto a lui, lo afferra per i capelli e lo tira su. Senza forze, Saïx non oppone alcuna resistenza.

Lui gli toglie le mani dal viso, la carne deturpata che stilla sangue rosso vivo. Con un pollice segue i bordi slabbrati della ferita, facendolo urlare ancor di più, nonostante la sua voce sia ormai ridotta ad un rauco sussurro.

Saïx non può tenere gli occhi aperti, le ciglia sono incollate tra loro a causa del sangue, ma può percepire il suo sorriso, la sua soddisfazione.

- Non ti ho sentito ringraziarmi, Saïx. - se avesse lacrime da piangere le piangerebbe, e continua debolmente ad urlare, soffocato dal dolore e dal sangue. Xemnas lo tira per i capelli, lo scuote. - Non ti ho sentito ringraziarmi. -

Ripete, più duramente.

- G...g...graz...ie...s...s...signore... -

È il rantolo disperato di Saïx.

Xemnas lo lascia andare, e lui si accascia sul pavimento, dove rimane. Rimane. Rimane. Per un tempo infinito.

 

*

 

Ultimo Quarto

 

Le ferite del corpo guariscono, a volte lasciano dei segni, a volte tornano a fare male come quando sono state inferte. Quelle del cuore rimangono, indelebili e sempre fresche.

Ma Saïx non ha un cuore, non più. Le uniche cicatrici che conosce solo quelle del corpo.

Lo specchio gli rimanda l'immagine di uno sconosciuto.

Saïx.

Quello è Saïx.

Quello è il volto di Saïx.

La cicatrice che gli sfregia il volto è la sua medaglia al valore.

Sua.

Non di Isa.

Come suoi sono gli occhi ambrati che pieni di silenziosi sentimenti e segreti nascosti lo fissano dalla superficie di freddo vetro.

Saïx.

Saïx.

Saïx.

Le dita tremanti percorrono il segno sul naso, sulla fronte, sulle guance.

Saïx.

Lo specchio va in frantumi quando lo colpisce, pezzi e schegge di vetro gli infilzano la carne ma l'espressione sul suo volto non cambia e i frammenti gliela rimandano dieci, cento, mille volte.

Per quanto tempo possa passare, non vi farà mai l'abitudine.

E di tempo ne è passato, tanto da permettere alla pelle e ai tessuti di rimarginarsi, ma non abbastanza perché il ricordo smetta di fare male.

Ma c'è ancora una piccola parte di lui, piccola e calda, che gli ricorda per cosa sta combattendo, per cosa continua a sopportare quel viso giorno dopo giorno.

Occhi verdi, capelli rossi, l'inclinazione generica a piantare grane per ogni quisquilia: è l'ancora che lo tiene saldamente legato a quella briciola di lucidità che gli è rimasta.

Con lui anche le immagini del suo mondo, il ricordo della sua casa, di ciò che ha perso e che sono ormai dieci anni che lotta per riavere.

Insieme, ovviamente, al cuore che gli è stato strappato dal petto.

Per tutto quello vale la pena sopportare il viso sfregiato di Saïx.

 

Impeccabile come sempre, anche se la mano con cui ha colpito lo specchio di brucia e probabilmente sotto il guanto sanguina, Saïx raggiunge la Sala dei 13 con il solito passo svelto.

La riunione comincerà a momenti e non ha intenzione di arrivare in ritardo.

I passi marziali e cadenzati sul pavimento sono un annuncio universale del suo arrivo: basta il suono provocato dai suoi stivali per far scattare sull'attenti i membri più giovani, cosa che gli provoca un senso di piacevole soddisfazione.

È mentre percorre il corridoio che lo sente.

La sua voce è troppo forte, l'eco la rimanda più e più volte, tanto da risultare non solo incomprensibile, ma anche fastidiosa.

È insieme a quella cosa.

Si avvicina lentamente, i passi felpati di un cacciatore addestrato. Sono finiti i tempi in cui si permettevano di atterrarlo nella sala d'addestramento, ora tutti lo guardano come un avversario da temere.

- No, Roxas. È un po' difficile da spiegare. -

Lo scorge nell'Area Grigia, sbirciando da dietro una colonna.

Si passa una mano dietro la nuca, stanco. Conosce quell'atteggiamento, quel Nessuno difettoso gli sta dando filo da torcere.

Se avesse un cuore potrebbe ammettere di essere preoccupato e dispiaciuto per lui, per come è costretto a fargli da balia invece di andare in missione e svolgere il suo dovere. Se avesse un cuore potrebbe anche godere del compito ingrato che gli è stato assegnato: la giusta punizione per la sua pigrizia.

Ma non ce l'ha, per cui quei sentimenti vengono soffiati via, come la fiamma di una candela.

Sta quasi per andarsene quando il ragazzino apre la sua ottusa bocca per porgere la più stupida delle domande.

- E allora, cosa sono gli amici? -

Saïx alza gli occhi al cielo. La sua parte razionale risponde “sei un Nessuno, non può avere amici”, mentre quella piccola e sottomessa che appartiene tutta ad Isa risponde immediatamente “Io e Lea”.

- Io e te. -

Una stilettata di ghiaccio che gli trapassa lo stomaco. Forse ha capito male. Spera di aver capito male.

- Io e te cosa, Axel? -

Continua quel moccioso, con quegli occhi grandi da bambino sempre sgranati e sempre troppo grandi e pieni di confusione. Come, come possono dipendere da lui?

- Io e te siamo amici, got it memorized? -

- E come fai a capire che siamo amici? -

- Ne avevo uno, una volta. -

- E adesso? Dov'è? -

- Non siamo più amici. -

Amici.

Non siamo amici.”

La testa gli gira e deve appoggiarsi al muro.

Non siamo amici.”

Stai dicendo che non vuoi più essere mio amico o cosa?”

Il dolore al petto si fa insopportabile mentre scivola lontano dall'Area Grigia, imboccando il corridoio verso la Sala dei 13.

- Gli amici si aiutano a vicenda e stanno sempre vicini l'uno con l'altro, non importa cosa succeda. -

L'eco del corridoio, crudele, gli rimanda la voce di Axel. Solare, in imbarazzo forse, ma...felice. No. Non può essere felice.

- È per questo che mi prendo cura di te, sei mio amico. -

Lontano, il più lontano possibile, prima di crollare in pezzi come lo specchio nella sua stanza, prima di perdere anche l'ultimo brandello di sanità mentale che gli è rimasto.

Per cosa ha combattuto e sofferto per tutto quel tempo?

Per cosa se ora ha perso il suo ultimo punto di riferimento?

- Saïx. - la voce lo strappa ai suoi pensieri, quando si volta non riesce neanche a mettere a fuoco la persona che ha davanti. Percepisce solo il torbido calore di cui ha intriso il suo nome. - Hai sentito abbastanza, Saïx? - non risponde, non vuole farlo. Xemnas scuote la testa, desolato, sul volto inespressivo una scintilla di finto dispiacere. - Non ti avevo forse avvertito? Lea è morto. Tanto tempo fa. Ma ti sono rimasto io. - gli porge la mano, un mezzo sorriso disegnato sulle belle labbra - Finiamo insieme quello che abbiamo cominciato. -

Saïx può ancora sentire nelle orecchie la voce di Axel, può ancora sentire la sua falsa felicità.

Axel.

Perché il suo Lea è morto.

Tanto tempo fa.

Prende la mano di Xemnas che lo tira appena a sé mentre le ombre gli avviluppano le gambe e il torso.

- Non temere, Saïx. - mormora al suo orecchio - Io non ti tradirò. D'altronde, sei il mio preferito. -

 

Luna Calante


--------------------------------------------------

The Corner 

Dovrei scusarmi per quanto è venuta lunga questa shot ma...proprio non ci riesco. 
C'erano tante cose che volevo dire e non sono neanche sicura di essere riuscita a dirle.
Spero solo che quest'ammasso di...roba(?) non sia tanto orribile come mi sembra.
Anche perché...la dedico ad una bambina capricciosa che mi riempie la testa di brutte cose.
Tutta per te, mocciosa.

Chii

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Kingdom Hearts / Vai alla pagina dell'autore: ChiiCat92