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Autore: justhevidence    26/09/2015    8 recensioni
La storia nasce per partecipazione alla sfida "Vizi e Virtù" del gruppo "EFP famiglia: recensioni, consigli e discussioni" su fb.
Prompt: Accidia – torpore malinconico, inerzia nel vivere e nel compiere opere di bene, pigrizia, indolenza, infingardaggine, svogliatezza, abulia.
Dal testo: Lui poggiò i suoi occhi scuri sul volto della ragazza, assenti. Percorse il suo esile corpo in modo inespressivo, dai capelli scuri dal taglio corto, vagamente maschile, alle folte sopracciglia spettinate seguite dai grandi occhi chiari. Gli zigomi sporgenti, coperti di leggere lentiggini, le clavicole e lo sterno ben visibili, il seno lievemente accennato, nudo, e il bacino stretto.
“E’ tuo solito vagare per casa nuda, di prima mattina?” chiese dunque, con aria svogliata.
“Solo dopo aver fatto sesso, solitamente. La cosa ti mette in soggezione?”
“Nulla mi mette in soggezione” fu la risposta.
Genere: Angst, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E’ un benessere momentaneo ed artificiale. E’ un’agonia asfissiante.
 
 
Il sole si era alzato da poco e cominciava a delineare la sagoma frastagliata della città, trapelante di scuri tetti, quando la giovane ragazza fu raggiunta dal fastidioso suono di una vecchia moka da caffè.
L’aroma avvolgeva ormai tutta la stanza e il tepore mattutino s’insinuava tra le coperte, raggiungendo la sua candida pelle e carezzandola piacevolmente.
Stropicciatasi gli occhi e abituatasi alla flebile luce, si portò a sedere. Ci volle solamente un attimo che, come sempre da quando si era traferita in quel piccolo appartamento, venne rapita dalla distesa immensa di tegole grigie e comignoli di mattone al di fuori della finestra.
Lo scricchiolio del parquet chiaro, accompagnato dallo strofinio ovattato di passi regolari, la separò gradualmente dalla sua sfuocata visione.
“Quella moka datata è un’arma, ritieniti fortunata se questa tua piccola mansarda polverosa non è saltata in aria” disse l’uomo con un chiaro accento britannico, poggiandosi allo stipite della porta e facendo scivolare il suo equilibrio sulla gamba sinistra. I capelli brizzolati, pettinati all’indietro distrattamente, incorniciavano il suo viso e qualche ciocca ribelle vi ricadeva distorcendone l’armonia.
Stringeva, nella mano libera dal muro, una tazza bianca il cui bordo inferiore era costeggiato di bozze raffiguranti il paesaggio di Londra visto dal rinomato Shard mentre, con l’altra, frugava placidamente nella tasca dei pantaloni eleganti color tortora.
“Non posso che ringraziarti infinitamente di aver evitato una simile strage, a questo punto. Sono anche molto contenta che tu ti sia trovato a tuo agio, senz’ombra di dubbio” disse lei, accennando un sorriso ed indicando la bevanda fumante con un cenno del capo. La voce ruvida e impastata dal sonno.
“Come si suol dire, mi casa es su casa” rispose lui, ciondolando la testa e giocherellando con il pacchetto di sigarette appena estratto dai calzoni.
“Fingerò di interpretare questa tua libertà come una sorta di benessere generale suscitato dall’accoglientissimo design della casa, considerando che si tratta del mio appartamento e non del tuo.”
“Nessun benessere, te lo assicuro. Solamente una spiccata voglia di caffè amaro scatenata, semmai, dall’altrettanto amaro arredamento di questa mediocre casupola. Per di più raggiungibile solo e soltanto tramite un’angustissima scalinata. Non ne andrei così fiero, fossi in te.”
La ragazza chiuse gli occhi e si grattò il capo, sorridendo.
“Non mi sembra che quelle così terribili scale siano risultate un gran problema ieri sera. Da quel che ricordo, anzi, le hai affrontate in gran velocità mentre cercavi di raggiungermi” affermò poi con malizia, posando nuovamente il suo sguardo su di lui. Aveva raggiunto la finestra di fronte al letto e, dopo aver poggiato il caffè su di un tavolino in ferro verniciato di bianco poco distante, si attingeva ad accendersi una sigaretta.
 La flebile fiammella ne raggiunse l’estremità e iniziò a bruciare lentamente, mentre il petto di lui si gonfiava, inalando.
“Mi ripeteresti il tuo nome?” bofonchiò poi, giratosi, espirando fumo denso.
Dai grandi occhi verde pallido della ragazza puntati su di lui, basiti, trapelò una vena di confusione talmente fugace che qualche secondo dopo era già scomparsa.
“Andrée” disse, serena. “Il tuo è William, giusto?”
“Complimenti, non credevo fossi nella condizione di recepire ed immagazzinare informazioni, la scorsa notte” rispose lui, con pungente ironia.
“Stai dando per scontato che fossi talmente ubriaca da non avere nemmeno la capacità di decidere se andare a letto con un uomo o meno?”
“Se fosse, mi complimenterei con te. Avresti una capacità di selezione fantastica. Ad ogni modo, ti immaginavo più una tipa da LSD che da super alcolici. Quindi, se questo fosse il problema, no: non credevo fossi ubriaca. Semmai sotto effetto di una qualche droga sintetica o simili.”
Inspirò ed espirò ancora. La nube di tabacco danzava sinuosamente verso il soffitto, affiancata al vapore emanato dal caffè scuro.
“Fingerò di non aver sentito le tue ultime, tipo, dieci frasi. Giusto perché sei mio ospite e, a dirla tutta, non mi aspettavo nemmeno di trovarti ancora qui, una volta sveglia.” Si alzò silenziosamente e si diresse in cucina.
Una volta che ebbe superata la porta, William si girò e seguì la sua schiena nuda con lo sguardo. I fianchi magri ondeggiavano leggermente ad ogni passo, mentre affiancava il tavolo da pranzo, raggiungeva i fornelli e si riempiva una tazza di miscela arabica.
Poco dopo, fu nuovamente in camera e, inaspettatamente, si avvicinò e prese posto di fronte a lui.
“Allora, Will, parlami un po’ di te” esclamò in tono curioso.
Lui poggiò i suoi occhi scuri sul volto della ragazza, assenti. Percorse il suo esile corpo in modo inespressivo, dai capelli scuri dal taglio corto, vagamente maschile, alle folte sopracciglia spettinate seguite dai grandi occhi chiari. Gli zigomi sporgenti, coperti di leggere lentiggini, le clavicole e lo sterno ben visibili, il seno lievemente accennato, nudo, e il bacino stretto.
“E’ tuo solito vagare per casa nuda, di prima mattina?” chiese dunque, con aria svogliata.
“Solo dopo aver fatto sesso, solitamente. La cosa ti mette in soggezione?”
“Nulla mi mette in soggezione” fu la risposta.
“Non ti piace quello che vedi, forse?”
“Quello che vedo è una ragazzina che gioca a fare l’adulta quando, invece, non dovrebbe far altro che rimuginare sul fatto che si ritrova a dover vivere in un corpo da dodicenne che non ha ancora raggiunto la pubertà.” Le parole volarono nell’aria e raggiunsero Andrée come aghi affilati, pur essendo state pronunciate con elevata disinvoltura.
Senza scomporsi, sorseggiò dalla tazza decorata che sembrava troppo grande, tra le sue dita affusolate.
“Anche questo tanto tremendo spettacolo, ieri sera, non sembrava dispiacerti.”
“Le persone sono brave a fingere.”
“I corpi no” rispose rivolgendo lui un sorriso sghembo, sicura delle sue parole.
“E’ una proposta al gioco della psicanalisi? Perché, a dirla tutta, non ho proprio voglia di giocare.” La sua voce, profonda e graffiante, era tinta di un velo malinconico, tanto nel ritmo quanto nel tono.
Guardandolo da vicino, alla luce del sole, una lieve barba incolta tracciava i limiti delle sue guance, dagli zigomi duri alla mascella altrettanto mascolina. Le labbra serrate davano lui un’espressione severa, le occhiaie scure facevano pensare a numerose notti di tormenti.
Ad osservarlo da così poca distanza, si disse Andrée, non è poi così curato come darebbe a vedere.
“Non ti piace giocare?” chiese, assottigliando lo sguardo.
“Non con i bambini” rispose lui, spostando i suoi occhi verso il panorama cittadino.
“Il peso del tuo abito elegante si fa troppo presente in assenza di alcool?” chiese ironicamente.
“E il tuo senso dell’umorismo cala di qualità in assenza di droghe pesanti in circolo?”
La ragazza scoppiò a ridere, mentre l’uomo non si scosse di un millimetro.
“Avanti, Will, raccontami qualcosa di te” insistette Andrèe.
Lui si limitò a fare un altro tiro di sigaretta e a sospirare. Lei sospirò a sua volta, lievemente affranta, e si voltò verso le ante in legno bianco della finestra, poggiando le mani sul piccolo stipite che ne sporgeva.
“Da quando mi sono trasferita qui, circa un anno e mezzo fa, questa è l’unica cosa che è sempre riuscita a darmi pace. A farmi sentire rilassata e bene con me stessa e le mie scelte” disse poi. “Decidere di lasciare tutto quello che mi era familiare – i miei genitori, la mia casa, i miei amici – ed iniziare una vita da sola per seguire gli studi che sognavo” fece una pausa, “è stato complicato, ecco tutto. Ma queste case, quest’immensa distesa di tetti, ha qualcosa di speciale. I comignoli fumanti, le tegole rovinate dagli anni. E’ come terapeutico” concluse, rivolgendo a Will uno sguardo interrogatorio, quasi in attesa di una qualche conferma. “Nemmeno tu sei di qui, o sbaglio?”
“Sei parecchio sveglia” disse lui in tono affilato.
“Perché non lasci trapelare nulla sul tuo conto? Te ne stai qui, in piedi nella mia camera da letto, ad osservare la città con quell’espressione di assenza condita di tedio mentre io espongo questo amareggiato monologo e non fai una piega. Io non – “ la sua voce fu interrotta da quella di lui.
“Professi tanto di voler conoscere la mia persona, la mia vita. Il fatto è che, per quanto mi riguarda, non c’è nulla da far sapere. Una vita monotona, una città monotona, un lavoro monotono. Tutto qui, niente di più, niente di meno” disse, annoiato.
“Non può essere tutto qui. Un essere umano non può sintetizzare il proprio essere in due sentenze pronunciate con indifferenza. E poi, te lo si legge nello sguardo che, per quanto tu possa negarlo, c’è una cascata scrosciante di cose da raccontare.” Fece una brevissima pausa, il tempo di poggiare la sua tazza sul medesimo tavolino metallico. “Sai cosa vedo io, invece, proprio ora di fronte a me?” esordì poco dopo, parlando lentamente. “Un uomo di età decisamente avanzata a cui piace divertirsi con ragazze più giovani poiché non accetta di stare invecchiando. Un uomo amaro e insapore, come questo caffè che ha preparato, che non fa altro che gettare merda sulle vite degli altri semplicemente perché è troppo impegnato a pensare al suo dannato mal di vivere.”
Sputò quelle ultime parole con tale determinazione e disgusto che William ebbe la sensazione di essere preso a schiaffi. Dall’espressione basita giusto accennata che si dipinse sul volto dell’uomo, Andrée capì che, finalmente, istigandolo aveva colpito nel segno.
“Mi aspetterei un non dovresti parlare di argomenti che non conosci, ma considerando che sei stato tu stesso a non voler dire niente a riguardo non accetterò commenti che non siano spiegazioni” concluse infine, soddisfatta.
Will si avvicinò al suo caffè, ormai intiepidito, e ci spense la sigaretta all’interno, abbandonando il mozzicone galleggiante. Il lieve sfregolio della cenere ardente riempì il vuoto fra i due per qualche secondo. Poi, l’uomo prese la parola.
“Sono originario del Lancashire, vivo qui da circa nove anni a causa di questo lavoro che, in tutta sincerità, non ho mai trovato appagante. Ogni mattina mi sveglio, preparo uno di questi caffè che tu definisci amari ed insipidi, per poi non berli nemmeno, perché non mi soddisfano affatto. Molto meglio una delle mie amate trappole di tabacco, per far marcire ad ogni tiro quel poco di buono e risparmiabile della mia misera vita di cui c’è ancora traccia. E da lì ha inizio la routine, indifferente e vuota, totalmente priva di scopo. Ogni sera, tornato a casa, mi domando cos’ho concluso, giusto o sbagliato che sia, ma non trovo risposta. Come dici tu, poi, mi diverto con donne decisamente più piccole poiché, in loro compagnia, posso sentirmi lievemente più giovane, in quanto ogni anno che trascorro in più nella mia vita, l’età mi veste sempre più stretta. Ma, anche in questo caso, è un benessere momentaneo ed artificiale, il più delle volte enfatizzato dall’effetto stordente dei whisky che ingurgito prima di scoparmele. Atto che altri considererebbero spregevole, ma che reputo necessario per alleviare l’opprimente disprezzo che provo nei miei stessi confronti, per lo stile di vita che conduco. E non parlo solo del sesso, per quando sia maledettamente soddisfacente vedere una del tuo genere gridare di piacere e venire tra le mia braccia. E’ un’esistenza che, spesso, temo non valga la pena di essere vissuta, ma sono troppo codardo per terminare.” Abbozzò un sorriso, gli occhi incupiti fissi nell’orizzonte che, ad associarlo alla sua figura, sembrava ora vagamente più vuoto. “E’ un’agonia asfissiante, un’assenza quasi perenne di emozioni che mi fa peccare di apatia, se non nei momenti in cui pecco d’altro per reprimere il vuoto e arrancare per provare il piacere – che troppe, troppe volte non vale gli sforzi compiuti. E non ha nemmeno senso parlarne o cercare di farti comprendere contando che, tra poche ore – forse minuti – io indosserò le mie costose scarpe in pelle laccata, il mio trench scuro in lana vergine ed imboccherò quelle ripide scalette per chiudermi il pesante portone d’entrata alle spalle e scomparire tra altre mille persone nulle. Grigie. Esattamente affini a me.”
Non fece un’altra piega, né durante il discorso, né dopo averlo concluso. La rigorosa maschera di sfacciataggine che indossava fino a qualche attimo prima era caduta al suolo, cozzandovi ed infrangendosi, lasciando William privo della capacità di continuare ulteriormente.
Fu Andrée, quindi, a parlare.
“Certe cose, però, valgono la pena di essere raccontate. E’ come la città di cui ti ho parlato poco fa: aiuta a colorare questi giorni, queste esistenze, che tu stesso hai definito grigie” affermò, quasi sussurrando, temendo che le sue parole avrebbero potuto frantumare in un istante quella cupola di vetro fine in cui Will, inaspettatamente, aveva deciso di rinchiudersi con lei.
Allungò istintivamente la sua mano tremante verso la spalla di lui, che la scostò in modo pacato, allontanandola con la sua. Le dita lunghe e sottili, notò la ragazza, la toccarono con immensa grazia e leggerezza – aggettivi con i quali, precedentemente, non avrebbe mai creduto di poter affibbiare ad un uomo simile.
“Al contrario. Vanno celate in un angolo buio, a luci spente, altrimenti finisce che fuoriescono a fiotto e chiazzano tutto ciò che le circonda. E, strano ma vero, questa volta non è mia intenzione ingrigire qualcuno che non lo merita, spegnendo i suoi colori.” Spostò lo sguardo corvino placidamente, incontrando quello di lei. Le sue lunghe e scure ciglia battevano, di tanto in tato, come ali di farfalla.
Andrée giurò che, in quel momento, nell’ombra di quegli occhi malinconici rigati di cenere, vide un rapido fruscio verde pallido.
E si promise che non l’avrebbe lasciato svanire.
 
 
 
 
“Di gran lunga il nemico più pericoloso da combattere è l'apatia - l'indifferenza a qualsiasi causa,
non per mancanza di conoscenza, ma per noncuranza,
causata dall'essere assorbiti in altre finalità, da un disprezzo allevato dall'autocompiacimento.”

– William Osler.
 
 
 
 |One-Shot, 2217 words|



 
Author’s Corner.
Buon pomeriggio a tutti. 
Risorgo dalle ceneri
– quali viaggi stremanti e ritorni a lezione – con questa One-Shot, nata appunto per una sfida. La sorte ha voluto che dovessi cimentarmi nel tema dell'Accidia che, piacendomi parecchio, descriverei come uno dei più interessanti peccati capitali assieme alla Lussuria. Non avendo partecipato spesso a dei contest, devo ammettere che la complicazione maggiore escludendo gli indescrivibili vuoti di capacità esplicative che il mio piccolo cervello ha dovuto affrontare – è stata l'enorme libertà che il tema stesso concedeva, che mi ha fatto spesso temere di essere uscita di tema.  
A parte questo, durante la scrittura mi sono affezionata davvero molto ai due personaggi e ho sfiorato l'idea di creare  una futura Long partendo dal testo. Chi vivrà, vedrà.
Per ora vi auguro una buona giornata e spero davvero che lo scritto sia di vostro gradimento. 
Un saluto, 

justhevidence.  

 

 
 
  
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