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Autore: Water_wolf    26/09/2015    7 recensioni
ATTENZIONE: seguito di "Sangue del Nord", "Venti del Nord" e "Dispersi nel Nord".
Evitare la guerra tra Campo Giove e Campo Nord, impedire il risveglio di Gea, fermare l'avanzata di Ymir: normale routine per i semidei Alex, Astrid ed Einar. Eppure, è davvero così? La posta in gioco è sempre più alta. L'unica soluzione è una triplice allenza tra Greci, Nordici e Romani. Ma il compito è tutt'altro che semplice se braccati da quelli che pensavi alleati. E Roma nasconde molti più segreti di quanto si creda...
«Molto bene. In bocca al lupo, Lars. Mi fido di te. Che gli Dèi siano con te» mi augurò, sorridendomi. «Anche io mi fido di te… ma dubito che gli Dèi saranno con noi, visto quel che dobbiamo fare.» || «Perché sai che cosa succede ai personaggi secondari che provano a diventare degli eroi?» Non attese risposta. «Muoiono, Einar Larsen. Ecco, che cosa succede.»
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Annabeth Chase, Gli Dèi, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: Cross-over, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache del Nord'
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Vendetta del Nord



Nuova Roma è pronta ad accoglierci (e ammazzarci)
 
 
•Alex•
 
Odino solcò il cielo cavalcando Sleipnir, tenendo alta la lancia. Ymir menò una manata per cacciarlo via, come se fosse una mosca fastidiosa. Thor si lanciò all’attacco scagliando fulmini con Mijolnir, mentre gli altri Dèi affrontavano il loro primo padre con coraggio.
Intorno a me, mille e mille tempeste fuse insieme, mentre soffi di gelo, fulmini e fuoco solcavano l’aria.
Gli Dèi stavano reggendo contro la più potente creatura mai vista. Sembrava che nulla potesse abbatterli, ma, in realtà, vedevo i primi segni di cedimento. Tutti le divinità erano ferite ed una leggera pioggia di icore dorato bagnava la neve ed il ghiaccio.
Ymir tentò di colpire il nipote Odino che, però, scansò abilmente l’attacco. Si poteva dire tutto di mio padre, ma non che non fosse abile a combattere.
Ma anche lui non poteva resistere per sempre ad uno scontro tale.
Altra saette, e Baldr subentrò al suo posto, accendendosi in una supernova di luce, accecando per pochi istanti il nemico, permettendo a nostro padre di ritirarsi.
Gli Dèi indietreggiarono per avere un attimo di respiro.
«Divino Padre!» urlò Tyr, stringendo la spada, tornando volando sul suo cavallo. «È troppo forte! Dobbiamo ripiegare!»
«MAI!» sbottò Odino, furibondo.
«Abbiamo bisogno di rinforzi» intervenne Eir, comparendo al suo fianco. «È un nemico troppo forte, per noi, adesso. Richiama Vidarr e gli altri Dèi che hai lasciato ad Asgard!»
«No!» tuonò il Re degli Dèi, furibondo, lanciandole un’occhiata di fuoco. «I Romani ci potrebbero attaccare da un momento all’altro! Possiamo vincere!»
«Fratello» interloquì Hoenir, il dio della saggezza nordico, e fratello di Odino. «Non sono sicuro che sia una cosa saggia, indebolirci. Il nostro progenitore è troppo forte: abbiamo bisogno di tutta la nostra potenza, per abbatterlo. Riporta tutti gli Dèi alla battaglia» propose, cercando di avere un tono conciliante.
«Mi stai dando del debole, fratello!?» urlò Odino, paralizzandolo con lo sguardo d’acciaio. «Tu ed io abbiamo già sconfitto Ymir! Credi che io non sia alla sua altezza? Che non riesca a sconfiggere di nuovo un avversario come questo? Allora puoi scappare, fratello! Torna ad Asgard, come tutti i codardi. IO rimarrò a combattere fino alla morte. IO sconfiggerò sia Ymir che Giove. IO sono il Re di Asgard! IO Sono il Padre di Tutti!» declamò, prima di tornare all’attacco, alzando la lancia, mentre Freki e Geki si affiancavano a lui ringhiando.
Gli altri Dèi tornarono all’attacco, seguendo il loro Re. Njordr emerse da sotto il ghiaccio, spaccando la calotta polare con onde alte come palazzi, cercando di incatenare il gigante, mentre tutti gli altri colpivano con tutte le loro forze. Esplosioni atomiche si infrangevano contro il corpo di pietra del primo essere della mitologia nordica, senza risultato.
Eir ed Hoenir si osservarono preoccupati.
«Nonostante continuiamo a colpirlo, sembra che la sua energia sia illimitata» sussurrò la regina delle Valchirie, appoggiando la mano su una ferita al braccio sinistro, sanandolo in un istante. «Come avete fatto a sconfiggerlo?»
«Inizialmente lo pensavamo immortale. Ma nulla dura per sempre, cara nipote. Persino gli Dèi hanno dei punti deboli. Quello di Ymir era il suo cuore, che ne conteneva tutta la potenza caotica e tutta la forza primordiale. Io, Odino e Njordr glielo strappammo dal petto con un colpo solo. Questo lo indebolì, ma pare che, oramai, il suo cuore non sia più al suo posto» spiegò la divinità, pensierosa, mentre i suoi occhi scintillavano, persi in chissà quali secolari memorie.
«Quindi? È invincibile?» domandò la dea della medicina, preoccupata, mentre stringeva le nocche intorno all’asta della lancia, pronta a tornare all’attacco.
«No… Ma se i nostri eroi dovessero combattere contro Roma, allora non potrebbero trovarlo. Ancora una volta, i nostri figli sono la chiave per la nostra salvezza» rispose Hoenir, posandole una mano sulla spalla per calmarla. «Eir, ho bisogno che tu torni ad Asgard e aiuti il figlio di Odino e tuo figlio a compere la loro missione. Finché Odino non riavrà la sua corona, il suo odio per Roma non verrà mai meno. E finché il cuore di Ymir continuerà a battere, noi non avremo possibilità. Devi aiutarli e impedire che la guerra abbia luogo.»
«Mi stai chiedendo di abbandonare la mia famiglia ed il mio Re nel pieno di questa battaglia?» chiese la dea inarcando le sopracciglia in un cipiglio minaccioso. «Questa non sono io. Nessun figlio di Asgard si ritira mai.»
«Non ti sto chiedendo di ritirarti: ti sto chiedendo di salvare la nostra città. Il nostro popolo» affermò duramente il dio, fissando la nipote divina con fermezza.
Tra i due ci fu un lungo scambio di sguardi, che mostrava tutta la loro preoccupazione. Quando il mondo è sull’orlo della fine, persino esseri così antichi potevano essere colti dal dubbio, ma sapevo che non avrebbero esitato. Gli Dèi di Asgard erano Dèi della guerra: presa una decisione, l’avrebbero seguita fino in fondo, senza ripensamenti.
«Seguirò le vostre parole, Saggio Hoenir. Che il fato sia con noi e i nostri figli» convenne Eir, montando a cavallo, allontanandosi dal luogo dello scontro, mentre, alle sue spalle, Hoenir tornava a combattere l’antica divinità primordiale che era Ymir.
E mentre i fulmini, le magie e le fiamme solcavano il cielo, esplodendo sulla sua pelle di pietra, i suoi occhi si inchiodarono su di me.
«Combatti la tua inutile guerra, piccolo semidio. Vai pure a Roma. Tenta di sanare la vostra sciocca rivalità. Qualsiasi cosa farai, non riuscirai a trovare il mio cuore pulsate. Esso è difeso dai miei più potenti alleati e non potrai mai raggiungerlo. Arrenditi. Scappa. Fuggi. Nasconditi come un ratto nei più profondi recessi di questo mondo… e prega i tuoi Dèi che non ti trovi mai!» 
 
Mi svegliai di colpo, rigirandomi nel sacco a pelo e maledicendomi, mentre mi stringevo ad Astrid, ancora addormentata, tra le mie braccia. Il motore della Argo II faceva da sottofondo all’angusto ambiente della stalla dove io e i miei compagni ci eravamo accampati.
Negli ultimi due mesi il Campo Nord era stato in fermento e molti semidei erano diventati irrequieti. Mio padre aveva mandato dal Valhalla spiriti di eroi del passato con l’apparente motivo di aumentare le difese, anche se, in realtà aveva personalmente scelto una schiera di vecchi eroi germanici che avevano in odio i Romani e avevano iniziato ad istigare molti semidei nordici contro Jason e i suoi.
Di mio avevo dovuto affrontare dure e lunghe discussioni su come affrontare la questione Nuova Roma. Io avevo spinto per mandare una delegazione pacifica in modo da poter rimanere neutrali nei loro confronti e, nel migliore dei casi, stipulare un’alleanza, in modo che potessimo cooperare nella lotta contro Gea e Ymir, così da combattere entrambe le divinità primordiali senza distrarci a vicenda.
Il problema era che, tra gli spiriti di mio padre, la paura di Ymir e Johannes, che puntava ad attaccare i Romani, la situazione era peggiorata. Sempre più semidei spingevano per la guerra, temendo che i semidei del Campo Giove potessero attaccarci mentre affrontavamo i mostri.
A peggiorare la situazione erano stati rapporti sempre più negativi degli elfi: i mostri attaccavano con sempre maggior frequenza i semidei fuori dal Campo. E non solo i più giovani, ma anche mortali e, soprattutto, i veterani, che stavano tentando di farsi una vita fuori dal Campo subivano attacchi. Questo aveva costretto molti di loro a fuggire verso il Campo Nord o a trovare rifugio ad Asgard, oppure nell’Alfheim, il mondo degli Elfi.
Questo stava provocando molte difficoltà a noi nel mantenere l’ordine e persino i governi mortali  stavano iniziando a mostrare i primi segni di irrequietudine. Notizie di misteriose aggressioni e attacchi iniziavano a venire fuori e, se continuava di questo passo, presto ci sarebbero stati rischi che i mortali usassero la forza ed il mondo finisse di cadere nel caos.
Dovevamo agire in fretta.
Alla fine, dopo aver affrontato molte discussioni – e risse – con gli altri capi delle Orde, confronti con Jason e Annabeth, era stato deciso che sarebbe partita una delegazione pacifica. Eravamo sette in tutto: io, Astrid, Einar, Helen, Lars, Nora e Johannes, quest’ultimo, aggregatosi per assicurarsi che tutto andasse bene quando, in realtà, stava solo cercando di trovare un pretesto per avere una posizione di forza su di me.
Arrivati al Campo Mezzosangue, Leo aveva completato la Argo II, ma non era progettata per ospitare altre sette persone, così ci eravamo temporaneamente accampati nella stalla dei pegasi che, al contrario di quel che pensava Valdez nel costruirla, preferivano stare per i fatti loro, liberi di volare. Non che la sistemazione ci dispiacesse, anzi, ma erano altre le mie preoccupazioni.
Baciai leggermente la guancia di Astrid e mi alzai, stiracchiandomi. Intorno a me stavano ancora riposando tutti, ma Einar era già sveglio e stava aggiustando alcune delle sue frecce.
«Ehi capo! Siamo quasi arrivati» mi informò, salutandomi con uno dei suoi sorrisi sornioni. «Se vai su, vedi Jason pronto a fare da bersaglio.»
«Davvero? Sicuramente intendono usarlo come dimostrazione di pace: è il loro pretore, dopotutto, vederlo li calmerà» ipotizzai, sperando che i semidei di Nuova Roma non ci avrebbero attaccato a vista.
«Be’, spero funzioni, altrimenti la nostra sarà un’ambasciata molto breve…» scherzò, giocherellando con le code delle frecce, anche se il suo comportamento tradiva una certa ansia.
«Io vado su a parlare con Annabeth e Jason» lo informai, dandogli una pacca sulla spalla. «Tieni d’occhio Johannes.»
«Non c’è bisogno che tu me lo dica» mi rassicurò, lanciando un’occhiata al biondo figlio di Thor che russava nel suo sacco a pelo. «Non lo perdo di vista un secondo.»
Annuii e afferrai la mia nuova spada, un regalo di Volund. Dopo che Excalibur era andata distrutta nello scontro contro Ymir ero rimasto senza armi finché il dio non si era presentato in camera mia porgendomi la nuova arma che, a sua detta, era stata forgiata apposta per quell’occasione. L’elsa era fatta di oro imperiale, lo stesso materiale del gladio di Jason; la lama a doppio taglio era fatta di puro acciaio asgardiano, che brillava come argento sotto la luna, ed il filo era tenuto insieme da una sottile striscia di bronzo celeste. I tre materiali incantati unici fusi insieme nella stessa arma. Una spada che doveva rappresentare tutti e tre i popoli che avrei dovuto riunire.
L’avevo chiamata Fragore, dato che, ogni volta che colpiva uno scudo emetteva un forte rumore cristallino.
Salii le scale passando accanto alla mensa, dove il Coach Hadge, un satiro che si era preso molto a cuore le sorti di Jason, Piper e Leo, stava ascoltando alla radio un programma di lotta libera e raggiunsi il ponte, dove Annabeth stava fissando il figlio di Giove, in piedi su un impalcatura di legno, progettata apposta per metterlo in bella vista.
«Ehi!» la salutai, sfiorandole la spalla in un gesto amichevole. «Come va? Stai meglio?» chiesi, riferendomi non solo alla sua prigionia, ma alla moneta che, sapevo, portava con sé.
«Sto bene, tranquillo. Ho solo bisogno… di rivedere Percy» rispose con un sorriso tirato.
Sapevo che a lei mancava il suo ragazzo. Da troppo tempo erano distanti e lei ne risentiva quasi fisicamente. Aveva occhiaie profonde e, a mio parere, doveva anche essere un po’ dimagrita, anche se era difficile dire se quest’ultimo inconveniente fosse veramente dovuto all’assenza di Percy o allo stress e la passata prigionia.
«Tra poco lo rivedrai, non preoccuparti. È un testone resistente, sono certo che starà raccontando qualche barzelletta ai semidei Romani mentre ci aspetta» la rassicurai, scrutando insieme a lei il paesaggio che scorreva sotto di noi.
I suoi occhi grigi osservavano le piante, le strade, le abitazioni senza vederle, tanto erano vuoti. La sua mente era concentrata su altro.
Alle nostre spalle sentivo Piper borbottare parole sottovoce, come se stesse ripetendo un copione, mentre Leo canticchiava un motivetto al timone della nave volante.
Tutto sembrava tranquillo, ma sentivo che qualcosa non andava: come quando vedi una ferita ormai rimarginata eppure senti che, sotto di essa, è rimasta una spina fastidiosa. Cercai di scacciare quei pensieri dalla mia mente. Mio padre era stranamente silenzioso, dopo il risveglio di Ymir ed io temevo stesse tramando qualcosa contro Jason.
«Alex, posso farti una domanda?» chiese, di colpo, Annabeth, voltandosi verso di me.
«Certo. Qualcosa ti turba?» La tranquillizzai, sorridendole.
«In effetti, sì» ammise, sospirando, sedendosi contro il parapetto, lanciando un’occhiata furtiva a Jason. «Tu ti fidi di Jason? Secondo te non ci tradirà?»
Sospirai, osservando il ragazzo biondo: da quella posizione sembrava uno dei classici principi azzurri delle favole, bello, perfetto, eroico… non molto diverso da me, alla fin fine. Anche se in modo differente, avevamo entrambi i nostri ideali e desiderio di difendere le nostre rispettive case e non scatenare una guerra.
«Se vuoi sapere la mia, io credo di sì: possiamo fidarci di lui» risposi, strusciando i pantaloni leggermente, come a togliere di dosso lo sporco. «Tu no?»
«Non lo so» replicò lei, grattandosi la nuca pensierosa. «Nonostante abbia passato un paio di mesi con lui e sia venuto a cercarmi, quando Kara mi teneva prigioniera, non so dire di potermi fidare di lui… È come se non mi convincesse del tutto.» Sospirò e mi guardò negli occhi. «Di’ la verità, non temi che possa venderci ai Romani?»
«Io non penso» risposi subito, senza esitare. «Non è così egoista e, anche se lo fosse, lui ha visto qual è la minaccia che sono Ymir e Gea. Non li potrà mai ignorare.»
«Mi auguro che tu abbia ragione» convenne la figlia di Atena, sospirando, mentre, all’orizzonte, appariva una vera e propria cittadina. Sembrava un mix tra antiche abitazioni ed edifici moderni.
«Stiamo arrivando!» annunciò il figlio di Giove, indicando la città.
Mentre i miei amici salivano sul ponte, i miei occhi si persero sul paesaggio intorno a noi, ammirando quel posto. Sarebbe stato perfetto, farsi una vita lì.
Se solo gli Dèi mi avessero permesso di risparmiarla. Ma sapevo anche che non tutto è oro quel che luccica. Sicuramente, anche lì ci sarebbe stata resistenza alla nostra alleanza, ma non avevo esitazione: avrei combattuto contro qualsiasi cosa impedisse a me e i miei amici di vivere in pace, lontano da quelle stupide rivalità.


 
∫ Einar ∫

Una volta arrivati sul ponte pensai che fosse un buon momento per lasciare il guinzaglio di Johannes. Tutti, sulla nave, lo tenevano d’occhio, per ovvi motivi: avrebbe fatto qualsiasi cosa per istigare i Romani ad attaccare e stavo iniziando a pensare che avrebbe giocato sporco, per quanto poco il suo microcefalo da figlio di Thor potesse concepire.
Astrid mi passò accanto e si andò a piazzare accanto ad Alex, salutando Annabeth. Le due iniziarono a chiacchierare, mentre, poco lontano, Helen e Nora stavano discutendo con Piper e Jason.
Johannes se ne stava in un angolo a farsi gli affari suoi, anche se lanciava continue occhiate di fuoco all’agglomerato di edifici poco lontano. Non mi era difficile intuire i suoi pensieri. Sperai che il capo avesse un’idea su come tenerlo a bada.
Di mio, speravo di poter ritrovare Nico e potergli parlare in pace – parola grossa, vista la situazione. Dopotutto, mi aveva detto che sarebbe andato a Nuova Roma e ci eravamo tenuti in contatto nonostante, da una settimana, non ricevessi notizie e la cosa mi preoccupava.
Sotto di noi, accanto alla cittadina, c’era quello che pareva un perfetto accampamento militare, protetto da robuste palizzate di legno, con torri di avvistamento, armate di balliste. Erano puntate su di noi, ma non facevano fuoco.
Intorno al loro Campo c’erano i segni di quella che doveva esser stata una dura lotta: crateri ormai spenti, residui di armi spezzate ed equipaggiamento non ancora ripreso.
Una colonna di semidei che indossava magliette viola marciava verso la città, seguendoci. Ormai eravamo quasi arrivati.
«Signori, ci siamo!» annunciò Leo, allegro, mentre preparava le ultime manovre di movimento per l’atterraggio.
Ma prima che potessimo spostarci di un altro millimetro, un forte scossone arrestò la nostra avanzata ed io finii a terra, così come Jason, Piper, Alex ed Astrid.
«Ci hanno attaccati! Lo sapevo!» urlò Johannes, appoggiandosi al parapetto.
«Calmati!» gli ordinò il figlio di Odino lanciandogli un’occhiataccia. «Non ci hanno attaccati, ci siamo solo fermati.»
«Esatto, barbaro!» gridò una voce. Una voce che veniva dalla statua che apparve al centro del ponte della nave, urlando minacce a squarcia gola. «Barbari! Germani e Greci insieme! Roma è in pericolo!»
«Calma» provò a dire Annabeth, che si era rimessa in piedi. «Siamo qui per parlare. Io sono Annabeth, figlia di…»
«So chi sei!» starnazzò il busto, squadrandola duramente. «Una figlia di Atena. E porti con te dei figli di Asgard! Voi Greci siete degli infidi e pure sciocchi! Noi sappiamo qual è il posto che compete a quella dea e ai suoi amici del Nord.»
Annabeth strinse la mascella, arrabbiata: si vedeva che quelle parole stavano mettendo a dura prova la sua pazienza.
«Terminus, ti prego. Siamo qui in missione diplomatica, dobbiamo atterrare subito» fece notare Jason, sperando che il suo rango di pretore lo aiutasse a convincere il “coso”.
«Impossibile! Jason Grace, tu sei un Pretore Romano, dovresti sapere chi sono i nostri nemici, però stai facendo entrare le serpi nel nostro confine! Abbassate le armi, arrendetevi e andatevene!» starnazzò ancora la statua che doveva chiamarsi Terminus.
Inarcai le sopracciglia: doveva essere parecchio fuori di testa o con manie ossessivo-compulsive degne da manicomio se riusciva ad urlare in quel modo senza gesticolare.
«Quale delle due? Deporre le armi o arrenderci?» chiese Leo, ghignando.
«Me lo stavo proprio chiedendo» rincarai, sorridendo. Tanto valeva divertirci un po’ con la statua pazza.
«Questo è tutto scemo» sbuffò Astrid, scuotendo la testa a metà tra il divertito e l’esasperato.
«Mi state prendendo in giro, per caso!? Vi meritate uno schiaffo! Lo sentite? È il potentissimo schiaffo che vi sto assestando» urlò il busto con voce da donna isterica.
«Basta così!» gridò Johannes, avvicinandosi con l’arma in pugno. «Io dico di demolire questo coso e di usarlo come ariete per…»
«Zitto!» urlò Alex, bloccandolo.
«Veniamo qui in pace» provò anche Piper, tentando di calmarlo con la sua lingua ammaliatrice.
«Non provare a fregarmi, figlia di Afrodite!» sbottò Terminus, mentre cercavo di trattenermi dal ridere. «Tu e i tuoi infidi alleati del nord verrete tutti massacrati. Andatevene o morirete!»
«Come fai ad ucciderci se non hai le braccia?» domandai, cercando di non soffocare per le risate che trattenevo.
«Einar» mi bloccò Lars, poggiandomi una mano sulla spalla, cercando di calmarmi.
Ma ormai ero a ruota libera.
«Forse mi vuoi mettere i piedi in testa… Ah, no, scusa, non hai nemmeno quelli» aggiunsi, scoppiando a ridere, contagiando Astrid e Leo, mentre Terminus sembrava andare in ebollizione.
«Credete di fare i furbi con me, sporchi norreni?» strepitò il busto, agitandosi nella sua stessa colonna.
«Ora basta!» sbottò Alex, piazzandosi tra me ed il dio, chinando leggermente il capo. «Chiedo scusa per i miei amici. Non sono proprio il massimo della diplomazia.»
«Infatti» convenne Nora, affiancandolo. «Ci scusiamo per eventuali minacce, ma non siamo qui con intenzioni ostili.»
«Ma davvero? Provatelo!» li sfidò Terminus, con un cenno di scherno del capo.
In quel momento, Annabeth si piazzò tra noi, facendo calare il silenzio. I suoi occhi stavano scrutando un punto preciso della folla che si era assiepata nella piazza principale di Nuova Roma. A quanto pareva, aveva individuato Percy Jackson, che risaltava tra i semidei Romani come un diamante in mezzo ai sassi.
«Terminus, non ci sono regole che impediscono lo stazionamento di navi sopra Nuova Roma, giusto?» chiese, con calma misurata, mentre mi lanciava uno sguardo tagliente.
Capii che dovevo stare zitto, se non volevo peggiorare la situazione.
«In effetti no» ammise il busto, pensieroso. Se avesse avuto le mani, avrei detto che si stesse massaggiando il mento.
«Esatto» rincarò Helen, che era stata zitta per tutto il tempo. «Potremmo stazionare sopra la città e scendere con delle scale di corda.»
«Esatto» convenne Annabeth, annuendo verso di lei con gratitudine. «Non porteremo armi a terra, rimarranno tutto sulla nave.»
«Mi piace essere puntiglioso» ammise Terminus, annuendo. «D’accordo, potete scendere, ma non un passo falso, o vi offriremo lo stesso trattamento che abbiamo dato ai vostri antenati.»
«Io mi ricordo che siamo stati noi a massacrarvi. E di certo non abbiamo bisogno di armi per ammazzarvi tutti quanti» ringhiò Johannes minaccioso, facendosi avanti.
«Ma noi non intendiamo far del male a nessuno» lo bloccò subito Alex, tirandogli un veloce calcio nel polpaccio, in modo che si zittisse. «Lo giuro sul mio onore di figlio di Odino» aggiunse, chinandosi davanti alla statua.
«Un figlio di Asgard che ha un minimo di gentilezza. Che cosa strana da vedere in giro» sbuffò con mezza sorpresa il dio dei confini prima di sparire, lasciandoci soli.
«Be’, come primo incontro è andato bene» commentò Lars, guardando verso il basso, dove i semidei romani ci aspettavano.
«Mi aspettavo ci attaccassero» concordò Jason con un sorriso tirato. «La prima impressione è andata, ma ora dobbiamo presentarvi di persona.»
Piper sorrise a tutti, cercando di contagiarci con il suo ottimismo. «Dai, sono certa che andrà tutto bene. Dopotutto vogliamo la stessa cosa. Sono certa che ci ascolteranno.»
«Spero tu abbia ragione, McLean» si augurò Nora, mentre seguiva Lars di sotto, per prendere una scaletta.
«Siamo sicuri? A me sembra che quelli non abbiano proprio buone intenzioni» fece notare Astrid, indicando una colonna di semidei romani armati che avanzava verso la cittadina.
«Dobbiamo avere fiducia» la rassicurò Alex, poggiandole una mano sulla spalla, per, poi, voltarsi verso Jason. «Ci fidiamo di te, cerca di farci uscire vivi da questa situazione.»
«Contate su di me. Giuro sullo Stige che andrà tutto bene» promise, scendendo dal suo piedistallo di legno.
«Perché ho sempre paura quando qualcuno giura su cose del genere?» chiesi a me stesso, mentre scendevo sotto coperta per aiutare con la scaletta.
 
☼ Frank ☼

 
L’arrivo degli amici di Percy mi lasciò davvero sorpreso, per non dire preoccupato. Durante l’ultima seduta del senato aveva parlato del Campo Mezzosangue e dei semidei greci. Già la cosa aveva lasciato dubbiosi molti, dando ad Octavian un altro motivo per volerlo fuori dai piedi – oltre al fatto che gli aveva soffiato il pretoriato da sotto il naso. La situazione era degenerata quando aveva iniziato a parlare del Campo Nord e di Asgard.
Per poco gli spiriti del senato non si erano ribellati. Avevano iniziato a protestare, dicendo che Percy era un traditore e che avrebbe fatto entrare a Nuova Roma il peggior nemico che potesse mai esistere, che non si poteva trattare con dei barbari e che avremmo dovuto fare fuoco a vista.
Octavian aveva gettato benzina sul fuoco, mettendosi dalla loro parte e facendo una delle sue solite arringhe urlando che era già una sua idea e che l’attacco era l’unica soluzione.
Alla fine, però, Reyna era riuscita a mantenere il controllo della situazione, congedando gli spiriti dei Lari e imponendo al discendente di Febo di calmarsi.
Si era deciso che avremmo accolto la delegazione greco-nordica senza ostilità a patto che loro stessi non rappresentassero un pericolo. A quel punto eravamo usciti e ci eravamo assiepati nella piazza principale di Nuova Roma, dove, ormai, era possibile vedere la nave volante che si avvicinava a gran velocità.
Intorno ad essa volavano quattro creature, simili a piccoli draghi, ma senza zampe anteriori, che si  dispersero non appena furono ai limiti del Campo Giove. La nave si fermò appena al limite della città per alcuni istanti, suscitando una certa irrequietudine tra di noi.
Di mio ero parecchio preoccupato: già il fatto che Percy si fosse rivelato un semidio greco e non romano mi aveva lasciato un po’ spiazzato. Non tanto per la rivalità tra Greci e Romani, ma per il semplice fatto che la situazione sembrava raggiungere livelli di assurdità piuttosto elevati. Già assimilare che mio padre era un dio non era stato facile, aggiungere il fatto che aveva sicuramente decine di altri figli dall’altra parte del continente ti metteva un po’ in crisi.
Qui, però, si parlava anche e soprattutto di un pantheon di divinità tutte nuovo e che, a quanto pareva, nemmeno era così bendisposto nei nostri confronti. Nonostante Percy si fidasse di loro – ed io di conseguenza di lui – non riuscivo a togliermi dalla testa il pensiero che potessero essere pericolosi e che non dovevano atterrare.
«Frank, tutto a posto?» chiese dolcemente Hazel, prendendomi il braccio con la mano.
Mi sentii affiorare un sorriso tirato alle labbra, mentre rispondevo: «Tutto a posto. Sono solo preoccupato. Tra poco atterreranno.»
«Non preoccuparti» mi rassicurò. «Percy ha detto che ci possiamo fidare, no? E poi, abbiamo bisogno di alleati contro Gea.»
«Hai ragione» convenni, annuendo, mentre calavano una scaletta davanti a noi.
«Reyna, per gli Dèi! Ordina l’attacco!» tentò Octavian un’ultima volta, mentre il primo a scendere era un ragazzo biondo, dalle spalle larghe ed i capelli lisci: Jason Grace.
«Sta’ zitto, Octavian!» lo zittì Percy, sbuffando irritato. Stava cercando di aggiustarsi la toga pretoria.
«Ascolteremo qualsiasi ambasciatore si presenterà, anche a nome dei semidei nordici. Se avessero voluto attaccarci sarebbero qui con un esercito» aggiunse Reyna, ispirando profondamente. Sembrava molto nervosa, ma cercava di non darlo a vedere.
Il figlio di Giove fu seguito da una lunga serie di semidei: dietro di lui venne subito una ragazza dalla pelle ambrata ed i capelli castani. Una bionda dagli occhi grigi che indossava una maglietta arancione – probabilmente del campo greco – ed un ragazzo con l’aspetto da piccolo elfo.
Appena lo vide, Hazel sussultò accanto a me, fissandolo. Mi parve che arrossisse, ma non ci feci caso perché, dietro di loro, apparvero i semidei nordici.
Un ragazzo alto, dai capelli neri mossi e con un occhio solo. L’altro era coperto da una benda e solcato da una profonda cicatrice che metteva soggezione. Emanava una specie di aura di comando: la stessa che sentivo ogni volta che mi trovavo da solo davanti a Reyna. Era non solo un semidio palesemente molto forte, ma anche abituato ad avere il peso delle responsabilità del comando sulle spalle.
Accanto a lui c’era una ragazza dagli occhi e capelli neri lisci e due vistosi orecchini. Aveva un’aria accigliata e guardinga. Indossava un paio di jeans neri e una maglietta dello stesso colore. Un ragazzo, poco più basso di lei, dall’aria furba, con i capelli castano scuri, e poi una ragazza dai capelli biondi tagliati corti e gli occhi grigi.
Infine, vennero una ragazza albina, che copriva la pelle bianca come la neve sotto pesanti vestiti, mentre i suoi occhi rossi ci scrutavano attentamente uno ad uno. Dietro di lei, due ragazzi biondi. Il primo si mise a fianco di quello che, ovviamente, li comandava. Aveva gli occhi marroni malinconici ed uno scudo sulle spalle. L’altro, invece incrociò le braccia sbuffando, assumendo un espressione disgustata. Aveva spalle larghe ed un collo taurino: sembrava Octavian sotto steroidi. 
«Jason Grace, il mio ex-collega» salutò Reyna, dopo aver osservato tutti attentamente, decidendo che non erano pericolosi.
«Già… Ave, Pretore Reyna» rispose il figlio di Giove, con aria colpevole, mentre teneva per mano la ragazza accanto a lui.
La figlia di Bellona stava per dire qualcosa, ma fu interrotta dalla ragazza bionda che si precipitò addosso a Percy.
«Ciao Ann…» incominciò a dire, prima di essere buttato a terra sotto gli occhi allibiti di tutti.
Provai a soccorrerlo, ma Hazel mi fermò.
«Aspetta» mi consigliò con un sorriso comprensivo.
«Se provi a lasciarmi di nuovo, giuro sugli Dèi che…» minacciò la ragazza, mentre, osservandola bene, mi parve che avesse gli occhi umidi.
«Alt! Mi considero avvertito, Sapientona» la fermò il figlio di Poseidone con un sorriso divertito, mettendosi seduto. «Mi sei mancata anche tu» aggiunse, abbracciandola.
«Vi presento i miei amici. Lei è Annabeth» si intromise Jason, presentando ad uno ad uno i nuovi arrivati.
«Piacere di conoscerti» la salutò Reyna, tendendole la mano. «Sicura di non essere un’amazzone? O magari romana?»
«Tratto così solo il mio ragazzo» garantì, stringendola in risposta.
«Loro sono Alex ed i suoi compagni, Astrid, Einar, Johannes, Lars, Nora e Helen» li presentò, indicandoli uno ad uno.
I ragazzi del Campo Nord si presentarono in modo cordiale, a parte l’Octavian sotto steroidi che sembrava molto infastidito di trovarsi tra i semidei Romani.
«Piacere di conoscervi» salutò il figlio di Odino, stringendo la mano a Reyna, cercando di essere educato.
«Il piacere è mio, sono felice di non dovervi incontrare come nemica» disse la figlia di Bellona, sorridendo loro.
«Anche se sarebbe stato meglio» brontolò Octavian, infastidito.
«Hai qualcosa contro di noi, biondo?» chiese il suo doppione gigantesco, incrociando le braccia che sembravano due tronchi.
Deglutii, pensando che non sarebbe stato divertente averle intorno al collo.
«Sto dicendo che mi sorprende che dobbiamo accogliere voi barbari nella nostra città» rispose il discendente di Febo, incredibilmente impertinente per essere molto più basso e magro del suo nuovo compagno di giochi.
«Taci, Octavian» lo redarguì Reyna, furiosa. «Smetti di importunare i nostri ospiti e di’ agli altri di prepararsi.»
«Intendi invitare questi graecus e barbari nel Senato? Sarebbe una sacrilega follia!» sbottò l’augure infervorato.
«Sentimi bene, tizio! Chiamaci barbari un’altra volta e giuro che…» stava iniziando Johannes, prima che Alex lo fermasse.
«Infatti non faremo una seduta. Pranzeremo qui fuori, dove potremmo parlare con i nostri ospiti in tutta serenità» spiegò la figlia di Bellona, facendo cenno di seguirla agli altri.
Mentre la seguivamo, Percy prese me e Hazel per mano e ci trascinò verso i semidei nordici, affiancato dalla sua ragazza, che sembrava intenzionata a non lasciarlo più.
«Alex!» salutò, appoggiando una mano sulla spalla del ragazzo con un occhio solo. «Felice di rivederti» aggiunse dandogli una fraterna pacca sulla spalla.
«Anche io!» convenne l’amico, rispondendo allo stesso modo. «Vedo che finisci sempre nei guai.»
«Non è colpa mia, questa volta. È stata Era a rapirmi» replicò il ragazzo con un sorriso divertito. «E poi anche tu ti cacci sempre nei guai, no? Ad ogni modo, volevo presentarti Hazel e Frank, sono i miei nuovi amici.»
«Piacere» dissi, stringendo la mano del ragazzo. Mi sorrise, ma nonostante tutto, mi sentii in soggezione. «Voi siete davvero semidei nordici?»
«Sì. Io sono figlio di Odino» rispose amichevole.
«Piacere. Io sono Hazel, e lui è il mio ragazzo Frank, siamo figli di Plutone e Marte» si accodò Hazel, che sembrava molto più espansiva di me.
Mi sentii molto imbarazzato: sarei dovuto essere un coraggioso figlio di Marte, non comportarmi come uno scolaretto.
«Sono felice che Percy si sia fatto degli amici anche qui. Altrimenti finisce sempre in guai impossibili da cui non riesce a uscire» scherzò il ragazzo con un occhio solo,  sorridendo.
«Be’, anche noi non siamo da meno» risposi, sentendomi imbarazzato, anche se ero felice di constatare che era molto alla mano, almeno non mi sentivo troppo in soggezione. «Anche noi siamo finiti in situazioni davvero orribili.»
«Davvero?» chiese il figlio di Odino, sorridendo in modo strano. «Allora sono proprio curioso di sapere cosa vi è successo e cosa mi sono perso, ultimamente. Scommetto che mentre non era sotto controllo, Percy ve ne ha fatte passare di tutti i colori.»
Dovetti trattenermi dal ridere, dopotutto era davvero un tipo a posto. «Volentieri. Ultimamente siamo stati un po’ sotto pressione.»
«L’ho notato…» ammise il figlio semidio nordico, guardandosi intorno. Doveva aver notato che molti di noi erano rimasti feriti nella battaglia contro il Gigante Polibote.
«Tutto a suo tempo. Prima finiamo questa storia e mandiamo giù un boccone, poi festeggeremo e ci racconteremo aneddoti» propose allegramente Percy, tirandoci verso il centro della piazza, dove stavano allestendo un veloce banchetto di benvenuto.
Mentre ci incamminavamo sussultai, come se mi avessero dato un colpo alla nuca, mentre una voce che conoscevo fin troppo bene, anche se l’avevo sentita una volta sola, mi rimbombò nella mente.
«UCCIDILO!» urlò mio padre, mentre Alex ed Hazel mi sorreggevano.
«Tutto a posto, Frank?» chiese lei, preoccupata.
Le sorrisi, cercando di essere rassicurante. «No, no, sto bene… Ho solo avuto un giramento di testa» mentii, per non farla preoccupare.
«Vuoi qualcosa?» domandò Alex, mettendo mano al suo zaino. «Ho qualche pozione o una barretta energetica.»
«No, grazie» rifiutai, agitando le mani leggermente, per non farlo preoccupare. «Ora mangeremo qualcosa e starò bene. Davvero.»
Lui non sembrava convinto, ma annuì e mi aiutò a riprendere l’equilibrio. Io non volevo parlarne con lui, perché sapevo che quelle parole che mio padre aveva urlato con tanta forza, erano dirette al figlio di Odino.
Strinsi la mano di Hazel, cercando il suo supporto e la sua fermezza, mentre mio padre continuava ad urlare nella mia mente.
«Uccidilo! Uccidi il figlio di Asgard!»

 
koala's corner.

BUONASERA, SEMIDEI!
Salve a tutti, semidei nordici, greci e romani. Dopo una lunga estate noi sminchiatori di Rick Riordan siamo finalmente pronti a ripartire con i nostri scleri sul fandom di Percy Jackson.
Evidentemente gli Dèi non ci hanno fulminato durante questi tre mesi, nonostante non stiano ricevendo una buona pubblicità con noi. A parte Loki. Lok riceve sempre una buona pubblicità.
E quale modo migliore per riportare in auge le avventure di Alex, Astrid ed Einar se non con un bombardamento su Nuova Roma? :P
Ormai il casino è una massima dei semidei e se c'è Alex di torno, morte e distruzione abbondano lol.
Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto e che la prolungata assenza non vi abbia tolto la voglia di continuare a leggerci - o l'annuncio di Magnus Chase. Rispondete all'appello numerosi. Alla prossima!

Soon on Vendetta del Nord: POV Astrid/Reyna dove le due ragazze tentano di essere coincilianti, ma finiscono ugualmente nei guai.
 
  
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