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Autore: Lely_1324    27/09/2015    8 recensioni
AU Capitainswan
Emma e Killian. Swan e Jones, sempre gli stessi eppure così diversi.
Dopo la burrascosa fine della sua storia con Killian, Emma decide di dare una svolta alla sua vita. Cambiare città sembra la scelta più adatta, e Washington sembra la meta perfetta. Una taglio netto è quello che le serve. Nuovo ambiente, nuovo lavoro, nuova casa. Ma il destino non sembra essersi arreso, a differenza loro.
"Erano già passati due anni.
Due anni dal suo nuovo inizio.
Due anni dalla loro fine.
Lo aveva detto lui, entrambi meritavano di più: più della paura di rivelarsi cosa fossero, e più di un forse.
E un forse era proprio ciò che gli aveva dato lei. Non a parole, non ce n'era stato bisogno, lui lo aveva letto nei suoi occhi
Da quel giorno non aveva mai più visto Killian."
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: David Nolan/Principe Azzurro, Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Mary Margaret Blanchard/Biancaneve, Ruby/Cappuccetto Rosso
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Talk to me softly 
There's something in your eyes 
Don't hang your head in sorrow 
And please don't cry 
I know how you feel inside I've 
I've been there before 
Somethin's changin' inside you 
And don't you know 
(Don't Cry, Guns'n Roses)

Due anni prima


Si mosse con passo incerto lungo gli atrii e i corridoi, fino a quando arrivò alla stanza di Emma.

Si fermò, mettendo la mano sinistra sulla porta.

Dietro di lui c’era la postazione delle infermiere ed un corridoio in penombra e vuoto, illuminato dal bagliore etereo dello schermo di un computer e da alcune lampade da tavolo. Ogni cosa era ferma: tutto era immobile.
Anche lui. Nonostante stesse tremando.

Spinse la porta di vetro, facendola scorrere di lato, prima di passare attraverso una cortina di tende abbassate
Il calore lo colpì all’istante.
Quello della stanza, quello della luce tenue e quello degli occhi di lei.

Chiuse dolcemente la porta dietro di sé e l’urgenza di arrivare se ne andò, ora che era finalmente lì.

Camminò lentamente fino al suo letto, prima di sedervisi accanto riconoscente. Si sentì davvero esausto nel profondo e  avvertì il peso degli anni addosso, mentre stava seduto lì. Si passò la mano sinistra sul viso, rivelando la stanchezza, prima di lasciare che i suoi occhi si focalizzassero su Emma.

Lei sembrava stanca almeno quanto lui, ma portava questa spossatezza con molta più grazia. Gli sorrise dolcemente, mentre gli occhi minacciavano di far cadere le lacrime.
Lui le sorrise di rimando – “Hey”

“Hey” replicò lei.

Killian tirò un sospiro di sollievo, mentre chiudeva gli occhi e si piegava verso di lei, il più vicino possibile – “Ero spaventato che potesse essere stato solo un sogno, amore”

Il sorriso di lei si allargò, prima che i suoi lineamenti diventassero seri.

“Killian” lo richiamò.

Lui volse la testa verso di lei e deglutì alla vista dello sguardo che lesse nei suoi occhi verdi.
La mano  di Emma  si allungò fino a posarsi sul suo viso, appena sotto la mascella, ricoperta da una barba incolta.
“Non è stata colpa tua”

Qualcosa dentro di lui si ruppe.

Poté sentire quasi fisicamente la frattura, riecheggiare dentro di sé.

Era come la fisioterapia: Prima il più leggero movimento ti causa una quantità infinita di dolore. Poi il fisioterapista lavora gentilmente, facendo pressione nel modo giusto. Tu gridi per l’agonia, per lo spasmo che sembra pervadere ogni muscolo del corpo, ma poi arriva il sollievo, il dolore sembra sparito.

Emma  gli aveva preso il cuore e l’aveva avvolto tra le sue mani.
Il dolore si stava affievolendo.
Stava guarendo da quel crampo.

“Non è stata colpa tua” ripeté lei, dolcemente.

Le lacrime, che aveva combattuto così strenuamente, sgorgarono dagli occhi di Killian.
Non avrebbe voluto piangere, non in quel momento.
Non ne aveva il diritto, non lui. Ma dopo tutti quei giorni passati a cercare di essere forte abbastanza da poter sostenere anche lei, le chiuse erano crollate.
Si piegò ulteriormente in avanti, nascondendo il viso sul ventre piatto di Emma. 
Le passò il braccio sinistro attorno ai fianchi, stringendola forte, come a non volerla lasciare mai più, mentre le dita delicate di lei gli accarezzavano i capelli.
Non ci fu alcun suono, mentre le sue lacrime filtravano attraverso le coperte e si accumulavano sullo stomaco di Emma: i suoi singhiozzi furono silenziosi, mentre le braccia gli tremavano. 
Lei non disse nulla, perché sapeva che le parole sarebbero state di poco conforto: le sue stesse  guance si rigarono di lacrime.

Piansero per se stessi, per l’altro; piansero per l'ingiustizia del passato e per le incertezze del futuro.

Alla fine, quando non ci furono più lacrime, per cui piangere, il sonno minacciò di avvolgerli.

Con il capo ancora poggiato sullo stomaco di lei, Killian alzò lo sguardo, puntando i propri occhi in quelli di Emma, che scoprì lo stavano guardando. Tracce di lacrime versate, erano presenti anche sul suo viso.
Sorrise contro il suo stomaco, mentre il braccio continuò a rimanere stretto attorno ai suoi fianchi, spaventato di lasciarla andare.
Gli occhi gli si chiusero: la stanchezza lo raggiunse, mentre il sonno lo avvolgeva, grazie ai movimenti gentili delle dita di Emma tra i suoi capelli.

Ed anche quando il suo respiro divenne regolare ed il ritmo cardiaco rallentò, la sua stretta su di lei rimase salda.



«Emma...»
Fu più un sussurro che un richiamo, ma in qualche modo ebbe la sensazione che la donna ne fosse uscita rassicurata, avendo notato la tensione scivolarle impercettibilmente via dalle spalle.
Le mani adesso sfregavano contro le gote, a catturare coi palmi le stille saline che le avevano invase probabilmente, e solo dopo parecchi di quei movimenti David la vide finalmente girarsi -seppur lievemente- verso di lui.
«È tutto a posto?»
Si morse la lingua dandosi dello stupido non appena ebbe sentito l'ultima sillaba di quella domanda così retorica scivolargli via dalla gola. Bastava uno sguardo per capire che no, non era tutto apposto. E tuttavia, cos'altro avrebbe potuto dirle -o chiederle- senza apparire indiscreto?
Un timido accenno di sorriso le solcò però il volto, e David ne fu egoisticamente rinfrancato, pur consapevole che, lungi dall'essere spontaneo, Emma s'era costretta a farlo per aiutare lui.
Seguirono sguardi e silenzi, accompagnati dal rumore dei passi di lui che, diligentemente, lo avevano guidato fino al letto per poi con saggezza consigliargli di sedervisi, giusto accanto a lei che, posizionata sul pavimento a un soffio da lui, sembrava essergli grata di quella silente offerta di conforto. Lo ringraziò strizzandogli brevemente il palmo della mano, in un gesto che in tanti anni mai si erano concessi, ma che suonò normale a entrambi, addestrati a volersi bene in un modo professionale ma ugualmente intenso. Trascorsero così alcuni minuti, fisicamente vicini ma mentalmente lontani, con la testa di lei che -David lo sapeva- era distante anni luce da quella stanza, approdata verso luoghi a lui ignoti e senza dubbio dolorosi, da cui però non sentiva più l'urgenza di strapparla con discorsi vuoti, avendo ora chiaro in mente che il suo solo compito in quel momento era attendere che lei fosse pronta a tornare, e a parlare, se avesse voulto. 
«Dovrei alzarmi da qui, è una cosa così ridicola...»
«Non c'è alcuna fretta»
«Sì invece, giù è pieno di sedie comode e invece io me ne sto seduta qui sul pavimento ghiacciato, perdendomi oltretutto il matrimonio dei miei amici. E per cosa, poi? Mary Margareth si sarà preoccupata non vedendoti tornare »
«Non preoccuparti di questo, Victor è andata a chiamarla»
Quest'ultima frase sembrò sortire un effetto insperato sulla donna che, come risvegliatasi da un letale torpore, quasi inciampò nella frenesia del rimettersi in piedi, dimentica d'improvviso di tutta la fatica che pareva averle ostacolato ogni movimento fino ad allora.
«No, mio Dio. Sto già trattenendo te qui, ho già fatto abbastanza. Non è  necessario. Io sto bene, beh... starò bene. Possiamo almeno fingere che sia così?»
«Sono certo che il resto degli invitati scambierà i tuoi occhi rossi per commozione»
«Direi che è perfetto. Vogliamo andare allora?»
«Certa di sentirti pronta?»
«Sì»
Eppure la sua mano rimase fermamente avviluppata intorno alla maniglia della porta. A dispetto della sicurezza nella voce, il resto del corpo era in aperto conflitto, e non ebbe difficoltà a indovinarne il perché ancora prima che lei desse un nome alla sua esitazione.
«Killian... lui è di sotto?»
«In realtà credo se ne sia andato»
«Bene, andiamo»
Quella risposta si rivelò essere quella giusta, e come una chiave si intrufolò nella serratura della porta facendola scattare, liberandoli entrambi dalla prigionia di quelle quattro soffocanti mura.
«E, David...grazie»
«Non dirlo neanche. Solo, Emma» quel richiamo a un passo dall'uscita gli fece guadagnare un'occhiata curiosa dalla bionda, ora in attesa, con gli occhi puntati su di lui «qualunque cosa voi due stiate combinando non fateci aspettare troppo, intesi?»
La curiosità lasciò il posto a un risolino privo d'alcuna ilarità, sullo sfondo di un sorriso ben più amaro di quanto si fosse augurato.
«Dubito ci sia qualcosa da attendere ormai»
Aveva intuito che la ferita era ancora troppo fresca e profonda per sperare che almeno lei, in quella coppia di stolti, potesse ragionare con lucidità e vedere quello che a lui appariva così chiaro e lampante da sfiorare quasi il ridicolo. 


Due anni prima. Ore 8:30 am

Si svegliò lentamente, godendosi la sensazione delle mani di Emma, che si muovevano sui suoi capelli.

Il suo braccio sinistro e la testa erano incredibilmente caldi e ben riposati, mentre il resto del corpo era scomodamente freddo ed irrigidito.
-Giorno-.
Si lamentò dolcemente contro il suo ‘cuscino’.

Cercò di mettere meglio a fuoco, strizzando gli occhi a contatto con la forte luce del mattino.
Attraverso il solo occhio aperto guardò la figura ben riposata della sua Swan. 
“Giorno” mormorò  contro il suo addome.

Fu riluttante a muoversi, ma la sua parte destra era completamente in agonia. Alzò lentamente la testa, combattendo il desiderio di riabbassarla, mentre gli occhi si adattavano alla luce. Il peso della sua mano passò lungo il ventre piatto di lei, che aveva imparato a conoscere alla perfezione, facendo rabbrividire Emma quasi visibilmente.

-Deduco dalla distinta mancanza di neurologi nella stanza, che tu non abbia parlato con nessun altro- disse, inclinando leggermente la testa.

-No. Dovevo… -  fece una pausa, cercando di trovare le parole giuste – Volevo assicurami che tu stessi bene, prima di parlare con Whale-

-Eri preoccupata per me?- chiese incredulo - sei tu quella che è quasi morta per causa mia, Emma…-

-Non è stata colpa tua- gli disse esasperata.

- Ho lasciato che ti sparassero- replicò lui a voce alta.

-Tu mi hai salvato Killian- 




Due anni prima. Ore 23:45

Killian spense la luce della stanza ed accese una lampada, che immergeva la camera in una penombra molto delicata e tenue. Tirò le lenzuola del letto, per coprirla fino al mento e le tolse il telecomando di mano, per poi abbassare il volume della televisione.
Dopo tre episodi di una sitcom in seconda serata Emma si era addormentata.
La guardò per tantissimo tempo, desiderando di poter vedere i suoi sogni.
Dopo nemmeno quaranta minuti di sonno, lei incominciò a lamentarsi.
Killian si tese: tutto il suo corpo s’irrigidì, quando sentì il primo delicato suono uscirle dalle labbra.

“No” sussurrò lei, mentre tremava, nonostante stesse sudando.
Si chinò su di lei, chiedendosi cosa fare.

“No” disse lei a voce un po’ più alta.
“Tesoro, cosa c’è che non va?” le chiese in tono dolce e rassicurante, nella speranza che lei continuasse a dormire e si dimenticasse sia delle sue parole che dell’incubo.

“Lui ha una pistola” mormorò, immergendosi nel calore della mano di lui, che ora le accarezzava i capelli.

“Lo so, Emma- le disse in tono tranquillo- non gli permetterò di farti di nuovo del male” aggiunse in un sussurro.

Sentendo i muscoli di lei rilassarsi ancora una volta ed i suoi incubi svanire Killian si addormentò non molto tempo dopo, ma così facendo non poté sentire i lamenti di lei.
Presto fu troppo tardi, per evitare che Emma si svegliasse con un urlo acuto, che spezzò la quiete della notte.
Killian si svegliò all’istante.

Un’infermiera irruppe nella stanza pochi secondi dopo, facendola urlare ancora una volta per lo spavento.
“Esci ” la supplicò Killian, senza preoccuparsi di svegliare mezzo ospedale: l’unica paziente, di cui si preoccupava al momento, era quella che avrebbe avuto tra le braccia pochi attimi dopo.

Si sedette sul letto, vicino al suo fianco e l’avvolse tra le proprie braccia, mentre lei si buttò sul suo petto, tremando come una foglia durante una crudele tempesta d’inverno. 
Non disse nulla.
Non c’era nulla da dire.

Non le disse che gli dispiaceva, perché non sarebbe stato abbastanza.

Lei gli aveva detto che non era responsabile dell’accaduto, però Killian non riusciva a togliersi dal corpo e dalla mente la sensazione di essere stato il solo ed unico responsabile di tutto quello.

Con queste sensazioni continuò a tenerla tra la braccia; fino a quando le lacrime non terminarono, fino a quando il suo respiro non rallentò.

“Scusa” gli disse lei non appena tornò padrona della situazione, portandosi la coperta al petto.
Le era improvvisamente venuto freddo.
“Non hai niente di cui scusarti, Emma”
"Killian mi sono resa ridicola, ho urlato in piena notte per uno stupido sogno. Non riesco ancora a gestire questa cosa come vorrei e a farne le spese sei sempre tu”
“Quello che è successo stasera non mi ha fatto certo cambiare opinione su di te, Emma. Rimani la donna più forte che io conosca. Concedimi solo di restarti accanto, lascia che io ti ami”
Lei annuì in silenzio con gli occhi ancora bassi.
" Vuoi parlane, del sogno intendo?"
Emma scosse la testa energicamente in risposta
" Allora proviamo a dormire, tesoro" lui si chinò in avanti e le appoggiò le labbra sulla fronte, facendole indugiare lì per qualche secondo, mentre la mano le accarezzava gentilmente il collo teso.
Ma Emma quella notte vinse il sonno, spaventata di poter sognare un uomo con una pistola e di poter sentire la mancanza di quel bacio.





“Buongiorno” disse  in tono esausto, vedendo che Killian iniziava a svegliarsi.

“Giorno” - replicò lui, prima di sbadigliare rumorosamente e stiracchiarsi le braccia – “Come hai dormito?”

“Non ho dormito” gli disse con onestà.

“Oh” – disse lui con leggera trepidazione 
-Potevi svegliarmi-
-Killian sono giorni che non dormi-
-  A quanto pare anche tu, dovresti dormire Emma-
-Non voglio. Non posso-
-Qual è dei due il motivo?- insistette lui
-Non lo so-

Stettero in silenzio per qualche minuto, ad ascoltare i suoni dell’ospedale, che si svegliava intorno a loro: lo stridere delle ruote dei carrelli; il rumore dei passi delle infermiere ed dei motori delle macchine di pazienti e dottori, che andavano e venivano in modo incessante dal parcheggio.


-Non voglio perdere il controllo- ammise Emma.

Il rumore dei suoi respiri superficiali e leggermente faticosi fu l’unico suono all’interno della stanza.
Ogni volta che i suoi polmoni si dilatavano, questi tiravano i punti e le facevano premere la spalla contro il letto.

-Non voglio dormire. Non posso dormire o perderò il controllo- spiegò in tono calmo.
-dovrai dormire prima o poi, amore-  
- Lo so, solo non adesso, per favore- gli disse con voce tremante, come se stesse cercando di trattenere le lacrime.
-Okay, okay- 

In qualche modo lei gli finì di nuovo tra le braccia, con la testa premuta contro l’incavo del suo collo.

Non pianse, perché questo era un altro modo di mantenere il controllo; per non permettersi di lasciarsi andare. La mano di Emma si chiuse a pugno attorno alla camicia di Killian, desiderando di non lasciarlo andare, neanche quando il suo respirò rallentò. Lui, in quel momento, fu sicuro che lei si fosse involontariamente arresa a quel sonno, di cui aveva paura.

L’avrebbe dovuta svegliare?
Avrebbe dovuto lasciarla riposare?
Non c’erano risposte a queste domande.

Ma non ci fu tempo per rispondervi perchè Emma urlò con quanto fiato aveva in gola nel risvegliarsi appoggiata a lui, e s’immerse ancora di più in quell’abbraccio per un momento, prima di ritrarsi con uno sguardo seccato e meditabondo negli occhi.

-Vattene- gli disse in tono piatto.
-Cosa?- le chiese lui, totalmente confuso.
-Per favore, vattene-
-Ma...Emma ..-
-Killian, dannazione vattene!- gridò lei, con un fuoco bruciante negli occhi.
- Va bene-  acconsentì, ancora confuso, ma incapace di andare contro i suoi desideri, e  preoccupato per il suo repentino cambiamento d’umore e per la sua riluttanza a ritornare a dormire.

Sul punto d’alzarsi, fu fermato dalla mano di lei, che gli circondò il collo, mentre il delicato tocco delle sue dita, premute contro la sua pelle, lo fecero bloccare sui propri passi. Mentre lui era ancora completamente confuso, Emma se lo tirò vicino e premette le proprie labbra su quelle di lui.

-È troppo facile addormentarsi, quando tu sei qui- gli disse a fior di labbra- per questo devi andare 
-Buono a sapersi che la mia compagnia è così piacevole- disse appoggiando la sua fronte su quella di lei: era contento di sapere che ci fosse una ragione dietro il suo improvviso desiderio, di volerlo fuori dalla stanza.
Unì nuovamente le loro labbra, approfondendo il bacio fino a quando ad entrambi non mancò il fiato.
-Killian- sussurrò Emma leggermente esasperata- non credo che ti lascerò uscire da questa stanza se continui così-
- Okay vado- le concesse con un sorriso malizioso.




Spalla a spalla David e Victor osservavano Emma seduta al tavolo degli sposi, accanto Ruby e Mary Margareth
«Beh, che ti ha detto?»
«Niente Victor, non mi ha detto niente»
«Come niente? E tu non hai indagato? Ma che razza di detective sei?»
«Uno che non è in servizio! Prima la pistola, poi l'interrogatorio... vuoi anche chiedermi di inseguire il sospettato o pensi di potermi lasciar fare soltanto il testimone oggi?»
«Scusami, hai ragione, è che..»
«Lo so»
«Ok, ci penseremo più tardi a queste cose. Oggi si pensa solo al matrimonio!»
«Bene, perché ho un discorso da fare nei prossimi cinque minuti e con tutto questo trambusto non ricordo assolutamente più nulla di ciò che dovevo dire»



Due anni prima. Ore 15:30

I mormorii del detective Campbell raggiunsero ovattati le orecchie di Killian, mentre il poliziotto si presentava insieme al collega Quinn.
Sapeva che qual momento sarebbe arrivato prima o poi.
Dopo aver lavorato al fianco di Emma al distretto, una delle cose che aveva capito era senza dubbio l'importanza delle deposizioni.
Solo sperava che quel giorno sarebbe arrivato più tardi.
Lui aveva già dato la propria, era stato attento e minuzioso sperando che questo potesse in qualche modo dissuaderli dal porre ulteriori domande ad Emma, che la sua versione potesse bastare, ma a quanto pareva si era sbagliato.
Entrando nella stanza al seguito di Campbell e Quinn poté quasi sentire la paura e la trepidazione di Emma, che gli gridavano e lo imploravano di darle quel conforto, che sembrava potesse ottenere dalla sua  presenza.

Le presentazioni si conclusero
Poi il silenzio.
Loro stavano aspettando che lui se ne andasse.
La stanza era stracolma di tensione: Campbell era ai piedi del letto con il suo fidato registratore in mano, Quinn si era appostato in un angolo buio, che sembrava completamente confacente alla sua natura ed Emma era in mezzo a tutto questo, con le pupille leggermente dilatate a causa della paura e dell’ansia che le scorrevano nelle vene.

Lui cercò di sorridere per infonderle un po’ di sicurezza, ma non poté.

Era impossibile fingere d’esser felici, dopo aver ricordato quel giorno.

E lei avrebbe dovuto riviverlo da sola.
Aveva già chiesto di poter restare con lei, ma il no che aveva ricevuto in risposta era stato categorico.
Killian si accigliò e si mosse verso la porta, anche se ogni fibra del suo corpo gli stava dicendo che quella in cui stava andando era direzione sbagliata.

“Killian…” gli gridò Emma.

Lui si girò.

“Detective, per favore, non voglio…” – disse lei, guardandosi la mano sinistra, che si era chiusa a pugno attorno alla coperta, prima di guardare negli occhi Quinn -
 “Voglio che lui resti qui”
" Sa che questo non è possibile"
" Io resto" intervenne Killian
Sapeva che era troppo presto, per colpa dei demoni che le invadevano i sogni: lei non era pronta per affrontare tutto questo da sola.

Forse un giorno, ma non ora.

Quinn annuì con un sospiro di disappunto- lo consideri un favore da collega a collega, detective Swan-

Killian seppe istantaneamente che sentire questa versione dei fatti sarebbe stato molto peggio, che redigere la propria testimonianza.
Superò i detective e, facendo attenzione a mantenere il più possibile le distanze da loro, si sedette sulla sedia accanto ad Emma.
Lei lasciò andare la coperta ed afferrò la sua mano.
Killian rafforzò la sua presa per un momento, quando sentì la mano di Emma tremare nella sua.
"Ci potrebbe dire cosa è successo quella mattina, detective Swan?” le chiese Campbell.

Lei contraccambiò la sua stretta, prima di rispondere alla domanda.
La sua voce  incominciò a raccontare quella scena che non aveva mai dimenticato.
Ad ogni parola, ad ogni descrizione, le emozioni, che aveva pensato di poter controllare, gli crebbero dentro.
Poté sentire il proprio corpo tremare scosso dal fortissimo desiderio di avvolgerla tra le braccia,  fermare la sua voce che raccontava uno dei peggiori giorni della sua vita e obbligare i poliziotti ad andarsene dalla stanza. 
Ma si trattenne: trattenne le proprie emozioni e le proprie lacrime.
Questo passo doveva essere compiuto.
Odiò ogni secondo di quella tortura, e detestò il tremore delle proprie mani, che stringevano quelle di Emma.
Ma tutto questo doveva essere affrontato.
La voce di lei si riversò su di lui come un’ondata di sicurezza forzata e controllo a mala pena mantenuto.
Lei parlò del caso che stavano seguendo, dell'incursione e dello sparo.
Parlò del dolore, che le aveva pervaso il corpo.
Poi di lui. 
La pressione applicata sulla ferita, il calore della sua mano ed il tono della sua voce, che le aveva tranquillizzato la mente, presa dal panico.
Killian guardò il pavimento, per non vedere cosa ci fosse negli occhi dei detective e, ancora di più, cosa ci fosse negli occhi di Emma. La stretta sulla sua mano gli disse abbastanza.
Scoprì che era stata cosciente fino all’ambulanza, prima che il buio l’avvolgesse. Poi il racconto finì.

La mano sotto la sua divenne improvvisamente fredda e così lui fece scorrere le proprie dita quasi bruscamente fino alle nocche di lei, cercando di far ritornare il calore in quelle dita fredde.
Campbell annuì, prima d’incominciare a parlare in maniera de tutto monotona delle formalità legali e delle procedure da seguire, ma Killian non sentì nulla di tutto ciò, concentrato com'era nel riscaldare quella mano fredda.

Quinn tossì, come a voler terminare la conversazione, mentre si staccava dal muro.

Quando s’alzò, Killian la guardò negli occhi, per la prima volta da quando Emma aveva iniziato a parlare.

Lo stomaco gli si contorse in modo doloroso. Si sentiva svuotato
Ma lei gli sorrise ed il calore di quel sorriso si riversò nella sua anima e gli riempì il corpo provato. 
Attraverso la stanchezza, anche lui le sorrise.

Seguì i detective fuori dalla porta, dopo aver ricevuto uno sguardo riconoscente da parte di Emma.
Ma sapeva che la richiesta di lei di essere lasciata sola era ancora valida.



Elegantemente accomodata sulla sedia, Emma vagava con lo sguardo per la sala senza davvero fermarsi a osservare nulla, dimentica di sé e di tutto ciò che aveva intorno.
Aveva provato ad affrontare con sé stessa ciò che era accaduto solo un'ora prima in quella camera da cui lui era letteralmente fuggito, ma ogni pensiero o conclusione a riguardo si erano rivelati semplicemente troppo pesanti da gestire in quel frangente, dove l'idea di mettersi a nudo col proprio dolore era inevitabilmente impossibile da attuare. Aveva dunque provato a concentrarsi sul resto, su ciò che non erano loro, ma nonostante un inizio promettente aveva capito d'aver nuovamente fallito quando, dal discorso agli sposi, s'era improvvisamente trovata catapultata nel pieno di una nuova sessione di balli, incapace di dire cosa fosse successo tra un episodio e l'altro, e soprattutto che ruolo avesse avuto lei in quel lasso di tempo che pareva aver rimosso. E quasi avrebbe persino potuto credere che non fosse affatto trascorsa un'ora tra i due fatti, se a tradire il trascorrere del tempo non ci fosse stato il crepuscolo, che fuori dalla finestra stava lentamente inghiottendo ogni ombra sul suo passaggio.
In quello stato di dolce apatia in cui era lentamente scivolata gli giungeva solo qualche stralcio di musica di tanto in tanto, che ovattata la cullava sul posto. Non riusciva a distinguerne le parole, troppo concentrata a mantenere il silenzio nella propria testa, ma a giudicare dagli assaggi di melodia che riusciva a racimolare, sapeva che avrebbe amato quella canzone -se solo si fosse data pena di ascoltarla. 
Persa in quel groviglio d'indolenza a malapena lo vide avvicinarsi, e solo quando una mano -grande, forte, e sicura- le fu tesa davanti agli occhi prese coscienza di chi avesse di fronte, sobbalzando vistosamente per la sorpresa.
Quello aveva tutto l'aspetto di un invito a ballare.
Eppure l'uomo in piedi davanti a lei era lo stesso che solo un'ora prima era fuggito abbandonandola sul pavimento freddo di una stanza d'albergo, chiudendosi dietro la porta di quella stessa camera e del suo cuore.
Era lo stesso uomo sì, ma lo sguardo era cambiato, tintosi di una sfumatura a cui lei non riusciva in alcun modo a dare un nome.
Si chiese se dovesse odiarlo. Se dopo quello che era successo, dopo il modo in cui era fuggito e l'aveva rifiutata, lei dovesse mettere da parte ciò che voleva per salvaguardare gli ultimi scampoli del proprio orgoglio ferito. Si chiese se fosse davvero in grado di ballare con un uomo che aveva appena frantumato tra le proprie dita il suo cuore, a prescindere da chi avesse ferito chi per primo.
«Adesso cosa significa questo Killian?»
«E' solo un ballo. A questo punto, che vuoi che sia. Fidati di me.»
Ma la propria mano aveva già deciso, protesa in aria verso la sua, e ognuna di quelle domande contava poco adesso che il calore delle sue braccia tornava a ghermirle il corpo.



Due anni prima. Ore 17:00

Retrocedette fino a quando non superò le porte dell'ascensore e camminò all’indietro fino a quando il freddo metallo gli fu premuto contro la sua schiena.

Chiuse gli occhi.
Era stanco.
Tanto stanco.

Avrebbe potuto rimanere lì per ore, semplicemente ad ascoltare il suono del proprio respiro ed il mondo intorno a sé; a godere della freddezza del muro, che gli penetrava in corpo attraverso il sottile materiale della camicia.

Un suono squarciò l’aria del pomeriggio.
Un urlo.
Killian sbiancò.
Sarebbe  potuto essere solo un suono di passaggio oppure se lo sarebbe potuto immaginare, ma poteva giurare che fosse stata Emma ad urlare.
Guardò i numeri salire, mentre il suono di quelle  grida gli rimbombava ancora nelle orecchie.

Le porte si aprirono con riluttanza, come se non avessero voluto esporre gli occupanti, protetti dall’ascensore, al caos che c’era fuori.

Urla e  pezzi di equipaggiamento medico, popolavano la camera di Emma.
All'inteno regnava la confusione più totale.
Una confusione di cui lui, presto,fu parte.

La stanza era in disordine: il letto era in un angolo del muro, la cassettiera era stata  spostata dal proprio posto ed un armadietto, contenente rifornimenti medici imballati, era stato rovesciato. Fortunatamente non c’erano vetri rotti per terra.
Le infermiere erano in piedi, ferme ed atterrite.
Due medici, tra cui lo stesso Hopper osservavano la scena senza sapere come intervenire.
Emma  si era ritirata in un angolo, accovacciata per terra ed era appoggiata con la schiena tra le due pareti. Le lacrime le scendevano lungo le guance ed aveva una macchia rossa sulla vestaglia all’altezza della spalla. 
Hopper tentò di avvicinarglisi ma il gridò che lei lanciò in risposta lo fece desistere.
Lo stridere dell’aria, che le entrava nei polmoni mandava dei brividi lungo la schiena a tutti quelli che si trovavano nella stanza.

Killian  attraversò velocemente quella piccola schiera di persone e si lasciò velocemente cadere al suolo, accanto ad Emma.
Lei alzò le proprie mani ora strette a pugno, pronta a difendersi dai demoni dei suoi sogni, che avevano raggiunto il mondo reale.
Lui ignorò i suoi colpi, poi, si piegò in avanti, per prenderle tra le mani il viso, e desiderò che i suoi occhi incontrassero i propri.

Lei scoppiò in un pianto angosciante e silenzioso e chiuse gli occhi, mentre altre lacrime le iniziarono a scendere lungo le guance già bagnate.

“Emma” sussurrò lui.

Lei si lamentò ed aprì con cautela gli occhi.

I suoi pugni si rilassarono.

Il silenzio scese sulla stanza per la prima volta dopo minuti, nel momento in cui lei lo guardò negli occhi.

“Mi hanno sparato, lui mi ha sparato di nuovo” - sussurrò lei con voce rauca e distrutta – “Fa male”

Chiuse di nuovo gli occhi.

Guardando in basso Killian poté vedere del sangue, filtrarle attraverso la vestaglia a livello della spalla.

“Emma, amore" – disse con calma, ma lei continuò a tenere gli occhi chiusi.

“Emma! Guardami!” ripetè alzano il tono, con le mani che ancora le cullavano la testa, mentre i pollici le scostavano i capelli appiccicati alle guance umide.
La mano destra, ancora provata dall'incontro ravvicinato che aveva avuto con il muro solo pochi giorni prima, gli pulsava ad ogni oscillazione del viso di Emma.

Lei sbatté le palpebre un paio di volte, prima di lasciare che i loro occhi s’incontrassero.

“Quel suono…era il ritorno di fiamma di una macchina. Non ti hanno sparato: sei caduta dal letto e sei atterrata sul fianco, tirando i punti e facendoli sanguinare. Ecco perché senti dolore, ecco perché fa male” - le disse.
Sospirò accarezzandole lentamente il viso “Non ho intenzione di permettergli di farti di nuovo del male” mormorò.

Lei annuì, accettando le sue parole.

Killian poté vedere l’esatto momento in cui la comprensione ed il sollievo l’attraversarono.
Nuove lacrime sgorgarono copiose lungo le sue guance.
Lacrime di sollievo, per il fatto d’esser viva.
Lacrime di vergogna, per la propria reazione a quel suono.

Killian s’accigliò leggermente, prima di sistemarsela in grembo. Poi l’avvolse tra le proprie braccia e la cullò molto delicatamente: lei singhiozzò silenziosamente contro la sua spalla e gli passò il braccio sinistro attorno alla vita afferrando con forza la porzione di camicia sulla sua schiena.
Killian  fu così concentrato su Emma, che quasi si dimenticò che dietro di lui, la stanza era piena di persone, che guardavano increduli.

Su una spalla le calde lacrime di lei gli stavano impregnando la camicia raggiungendo la pelle,  mentre sulll’altra brillava una scia di sangue, proveniente dalla ferita di Emma.
Il sangue di lei fu su di lui ancora una volta.
E lui ne era ancora il responsabile.

Passarono alcuni minuti in totale silenzio.

“Amore…”

Tutti videro le nocche di lei diventare bianche per la forza con cui stringeva quella camicia, ma solo Killian poté sentire la forza di quella presa, che fu come una morsa intorno al suo cuore.

“Devi alzarti” le disse in modo rassicurante, mentre le frizionava le mani sulla schiena.
La sua stretta di lei rimase salda, mentre scivolava  ancora di più in quell’abbraccio.
Ancora più sangue si riversò sulla camicia di Killian.

“Sarò qui”- le sussurrò, sfiorandole la fronte con le labbra - “Te lo prometto”

Era l’unica cosa che le poteva promettere.
Non poteva prometterle che sarebbe andato tutto bene.
Non poteva prometterle che sarebbe stata bene.
Ma poteva essere lì per lei, per quel tanto che poteva fare.

Si alzarono insieme, lentamente ed in modo impacciato, mentre lei si tenne vicino al petto di lui per tutto il tempo.
Killian si girò leggermente, per vedere una stanza piena di persone, per non parlare del numero indefinito di occhi, che li guardavano dal corridoio.

Non c’era da chiedersi perché lei non volesse alzare lo sguardo.

“Okay, tutti fuori ora! - intervenne Hooper-  E che qualcuno chiuda queste tende, per l’amor di Dio!”





Sospirò delicatamente, quando si girò verso il letto.
Hopper se ne era appena andato, dopo aver suturato la spalla di Emma che ora se ne stava 
rannicchiata su se stessa in quel letto che sembrava grandissimo, mentre lei cercava di rimpicciolirsi sempre più.
La stanchezza si liberò da lei ad ondate incessanti e penetranti, mentre gli occhi le rimanevano a mala pena aperti, nel tentativo di sconfiggere il sonno.

"Vuoi che me ne vada di nuovo?” le chiese delicatamente.

Spaventato che gli dicesse di sì.
Spaventato che gli dicesse di no.

“No, voglio che tu stia qui. Se devo dormire, ti voglio qui”

“Perciò pensi che io sia più spaventoso dei tuoi incubi?"

“Sì” – gli disse con semplicità – “Li hai mandati via la prima volta”

“Ok” replicò lui, con voce tremante e leggermente insicura.

Emma  gli rivolse un mezzo sorriso sonnolento e chiuse gli occhi.

Si addormentò quasi subito.



Non ci furono altre parole, se non quelle della canzone: incisive e taglienti, parevano descrivere la loro storia. Due sconosciuti le cui strade s'erano intrecciate in una notte qualunque, con gli sguardi, i sorrisi e una palpabile attrazione a far da sfondo al più improbabile degli incontri, e l'amore -caldo e accogliente- ad appena un passo.
Love song. Aveva già ballato quella canzone con Killian. 
Una volta, in un passato che pareva troppo lontano, lui le aveva dedicato quella canzone e l'avevano ballata insieme, al centro della cucina, solo loro due.
E adesso rieccoli insieme in un ballo , l'equilibrio finalmente ristabilito seppur per il breve tempo di una canzone. 
Ed Emma, stretta al suo petto come se da questo dipendesse la sua intera esistenza, non riusciva a non chiedersi come avrebbe fatto a lasciarlo andare quando inevitabilmente fosse giunto il momento, ora che ricordava la sensazione di stare semplicemente tra le sue braccia, senza passionali pretese a sconvolgere la dolce semplicità di quel gesto.




Cara Ragazze, eccomi qui!
Manca meno di un giorno alla nuova puntata! 
Questi tre interminabili sono finalmente finiti e per festeggiare ho deciso di lasciarvi il nuovo capitolo.
Come sempre ci tengo a ringraziavi tutte, perchè senza di voi questa storia non esisterebbe. Siete il cuore di ogni capitolo. 
Quindi GRAZIE. Ormai non ho più parole! 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, un abbraccio, Elena.
  
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