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Autore: Akane25    13/02/2009    8 recensioni
SPIN-OFF DI NOTTE ROSSA DI PLENILUNIO.
Può un angelo togliersi la maschera e mostrarsi per quella che è realmente? Gli è concesso,solo per una volta, essere una normale persona con i suoi dubbi e le sue incertezze? Può l’angelo del focolaio perdere le ali? A volte basta un niente per far cadere la maschera di sentimenti che copre il volto e l’anima, come la più forte delle protezioni. A volte basta solo un po’ di pioggia e un abbraccio sincero, per lavare via il dolore accumulato negli anni. Si dice che le gocce di pioggia siano lacrime degli angeli, che piangono per le persone care che hanno lasciato sulla terra. Ma può l’angelo di casa Tendo permettersi di piangere?
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kasumi Tendo, Nabiki Tendo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '**NOTTE ROSSA DI PLENILUNIO**' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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SPIN OFF DI

NOTTE ROSSA DI PLENILUNIO

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Creato da Monica

 

 

 

“Dedico questa spin-off al senpai Kuno84,

senza il quale non avrei avuto

 l’idea per scrivere questa spin.

 Grazie mille!”

                              

Attenzione:

la canzone di accompagnamento della spin è di

Lee Ryan-Guardian Angel

(da leggere dopo il consueto simbolo ****)

 

 

 

 

 

 

***ANGEL'S TEARS***

 

-        Le lacrime di un Angelo –

 

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Creato da Robbykiss

 

Può un angelo togliersi la maschera e mostrarsi per quella che è realmente?

Gli è concesso,solo per una volta, essere una normale persona con i suoi dubbi e le sue incertezze?

Può l’angelo del focolaio perdere le ali?

 

 

 

Quest'ora sembra attendere un evento,

voi mi chiedete la causa delle mie lacrime.

Non posso dirvelo: e' il segreto non ancora rivelato.

Rabindranath Tagore

 

 

E' sincero il dolore

di chi piange in segreto.

Marziale

 

Le lacrime sono lo sciogliersi

del ghiaccio dell'anima.

  Hermann Hesse

 

 

 

 

 

 

Il leggero picchiettio della pioggia la teneva compagnia quella mattina uggiosa.

Seppur l’inverno se n’era andato da qualche settimana, non accennava a smettere di piovigginare.

Non era un vero e proprio temporale, quando il crepitio dei tuoni e il bagliore dei lampi rendono l’aria carica di elettricità, ma una pioggia sottile, con gocce impalpabili e costanti che bagnavano tutto il distretto di Nerima.

 

Scostò le tendine e fissò l’orizzonte, al di sopra dei tetti delle case.
Il cielo era di un colore pallido,  simile alla madreperla, ma più opaco, come se un pittore maldestro avesse dipinto un quadro, dimenticandosi di colorare la volta celeste.

Dava l’impressione che il cielo fosse una grande coperta bianca, sporcata dalla polvere e dal tempo, che incombeva sulle case come una cappa, quasi a volerle soffocare.

 

Uno spiffero di aria umida entrò tra le imposte della finestra provocandole un brivido.

Si strofinò le mani sulle braccia, coperte da un golfino di lana rosa corallo per allontanare la sgradevole sensazione dell’umidità che le penetrava nelle ossa.

Dopo aver chiuso la finestra, finì di piegare i panni con cura, ordinandoli in una piccola pila.

“Ecco fatto” si disse soddisfatta Kasumi Tendo, mentre aleggiava nell’aria il buon odore di ammorbidente alla lavanda.

Osservò di sfuggita l’orologio che segnava le tre del pomeriggio e la sua espressione si fece pensierosa.

Probabilmente a quell’ora suo padre e il signor Genma dovevano essere arrivati, suppose calcolando mentalmente le ore trascorse dalla loro partenza.

Erano andati nei boschi per allenarsi. Sarebbero stati lì per qualche giorno, il tempo necessario a far cambiare un po’ aria a Soun e riprendersi un po’.

L’idea del viaggio fu del signor Genma, per impedire all’amico  di pensare alla triste situazione che stavano vivendo.

Dalla partenza di Ranma e degli altri, Soun era ripiombato di nuovo in uno stato di catalessi, alternato a crisi isteriche, talvolta notturne, per la mancanza di sua figlia minore, Akane.

A peggiorare le cose era il silenzio surreale e monotono della loro casa, abituata a trambusti, lotte e schiamazzi notturni.

Persino Nabiki, la più fredda e la più forte di casa, si inventava mille scuse per poter stare fuori più tempo possibile.

Talvolta era davvero insostenibile rimanere lì dentro.

Anche per lei lo era?

Anche per lei era difficile stare in quella casa fredda?

Scacciò via quel pensiero come un insetto, focalizzandosi sul mucchio di vestiti. Li prese tra le mani e si incamminò al piano di sopra.

 

Ma prima di poter salire le scale, udì il campanello suonare.

Prontamente andò ad aprire la porta, spostando il peso dei vestiti su una mano.

“Buon pomeriggio signorina Tendo” davanti a lei si presentò un ragazzino, che aveva si e no 14 anni. Portava i capelli castani lunghi fino ai lobi delle orecchie, coperti in parte sia dal berrettino nero e rosso di una famosa squadra di basket, sia dal cappuccio della felpa carminio.

Kasumi fece un sorriso salutando calorosamente il giovane ragazzo che lavorava nel supermercato dove lei andava abitualmente.

“Buongiorno a te Itachi” rispose con fare materno.

Il ragazzo era in groppa ad una mountain bike nera, un po’ vecchiotta a giudicare dallo stato della vernice scrostata sulla canna e sotto il seggiolino.

Con una mano teneva il manubrio, mentre con l’altra sorreggeva un ombrello.

Si sporse un po’ verso la giovane e le tese una busta bianca di plastica.

“Questa è la sua frutta. Il Signor Takeno si è raccomandato che la consegna fosse veloce e la invita a tornare al più presto al negozio.”

Il sorriso di Kasumi si ampliò ringraziando il giovane “Vuoi entrare?” Chiese gentilmente “Una tazza di thè caldo ti farebbe bene.”

Il ragazzo scosse la testa ringraziandola a sua volta “No grazie, ma ho altre consegne da fare.” Così dicendo i due si salutarono e ritornarono alle loro mansioni.

 

Kasumi posò la busta della spesa sull’avambraccio, mentre con le mani portava la pila di vestiti puliti.

Di nuovo la casa si fece silenziosa e immobile, come se il tempo si fosse fermato.

Sospirò fissando il portone prima di chiudere la porta.

 

Da quando gli altri erano partiti alla volta di Kagoshima, circa sei mesi prima,  Kasumi non aveva messo un piede fuori di casa. La spesa se la faceva portare sempre da Itachi e per le varie commissioni chiedeva cortesemente a Nabiki, grata alla sorella di avere la scusa di scappare da lì.

Scappare.

Si soffermò su quella parola mentre saliva lentamente le scale.

Una parola così estranea a lei.

Fuggire via, abbandonare tutto e tutti. Essere libera.

Che le faccende domestiche e prendersi cura del padre fossero solo una scusa?

Non voleva uscire da quella casa per paura di non voler più tornare?

Non voleva evadere dal suo mondo per timore che lo avrebbe lasciato?

Il respiro le si mozzò in gola nel realizzare quei pensieri. Traballò per qualche secondo avvertendo un fastidioso disorientamento. Si appoggiò con la spalla al muro rimanendo ferma in mezzo alle scale, aspettando che quei pensieri fluissero via da lei.

Perché pensava a quelle cose?

Probabilmente perché era la prima volta che si trovava da sola in quella casa con i propri pensieri.

Di solito era sempre piena di gente, piena di rumori e di vita a tal punto che le impedivano di riflettere su se stessa.

Perché tutto ad un tratto le pareti di quella casa sembravano così strette e soffocanti?

 

“Basta! Che ti prende Kasumi?” Mormorò con voce rauca abbassando lo sguardo.

Tenendo i panni in bilico su una mano, si portò l’altra al collo dove era nascosta una piccola collanina di argento con un ciondolo raffigurante il simbolo del coraggio.

 La strinse forte.

Era del Dottor Tofu, gliel’aveva messa al collo l’attimo prima di partire, chiedendole tacitamente di avere fiducia in lui e negli altri.

Si sentì la guance avvampare al ricordo di quella notte, dove forse aveva smesso di essere la Kasumi-mamma, la Kasumi-sorella, per essere, almeno per una volta, la Kasumi-donna.

Si erano dichiarati sotto le stelle quasi senza rendersene conto.

 Erano entrambi timidi ed impacciati, e l’aveva stupita molto la semplicità con la quale si erano avvicinati.

Era come se nell’aria ci fosse stata una strana elettricità che la spingeva tra le braccia del bel dottore, da sempre segretamente innamorato di lei.

Si erano baciati come se fosse la cosa più naturale del mondo, la cosa più giusta da fare.

Chissà come sarebbe stata la loro vita insieme.

 

Una vena di malinconia e tristezza le incupì il volto, mentre, come un automa, si dirigeva verso la stanza di Nabiki per sistemarle i vestiti.

Li posò sul letto con precisione maniacale cercando di non spiegazzarli.

Gli occhi appannati dal velo di lacrime che stava trattenendo.

Purtroppo Kasumi da qualche mese era giunta ad una conclusione.

Lei non sarebbe mai stata felice, non poteva e non doveva.

Il suo destino era un altro.

Contrasse il volto per evitare che tutto ciò che teneva dentro le fuoriuscisse come lava incandescente, bruciando la sua facciata impeccabile e immacolata.

Nonostante avesse il numero, non chiamava il Dottor Tofu da quando l’aveva avvisata del loro arrivo al tempio. Non lo chiamava, anche se dentro di lei era tutto ciò che desiderava.

Non era giusto illuderlo, era stata scorretta ad accettare la sua proposta di matrimonio.

Lei non poteva sposarsi, non poteva abbandonare la sua famiglia.

Suo padre, o suo marito?

Le sue sorella, o le sue figlie?

Aveva promesso a se stessa che avrebbe sostituito sua madre perfettamente facendo in modo che Akane, Nabiki e Soun non ne sentissero la mancanza.

Non importava se la sua vita veniva distrutta, non importava se non aveva vissuto la sua gioventù. Lei doveva occuparsi di loro.

Li amava con tutto il cuore, ma delle volte la ragazzina che era in lei scalpitava fremente per poter uscire e assaporare la vita, che non era in quelle quattro mura.

Il respiro le si affannò, quasi a volerla strozzare, ma lo placò.

Se Akane aveva l’irascibilità e Nabiki l’astuzia, Kasumi possedeva un abilità affinata in quegli anni: l’autocontrollo.

Strinse le mani a pugno per bloccare il tremore.

Conosceva a memoria il suo corpo e sapeva dominarlo per evitare di cadere, per evitare che la crisi la invadesse facendola crollare, prima che il gelo si sciogliesse in lacrime.

Alzò lo sguardo e fissò fuori dalla finestra la pioggia che aveva preso a scendere intensamente.

Ora lo scrosciare dell’acqua sul tetto era più forte e rumoroso.

Una volta sua madre le disse che le gocce di pioggia non era altro che lacrime degli angeli, che piangevano per gli umani vedendoli tristi.

Diceva che quando si era tristi, bastava starsene un po’ sotto la pioggia per ritornare sereni, come se gli angeli lenissero tutte le sofferenze.

 

*****************

Chissà se in quel momento la pioggia avrebbe potuto lavare via il dolore dal suo volto

Chissà se alcune di quelle stille piovane erano di sua madre.

Stava piangendo perché la vedeva infelice?

 

 

Do you ever think there's someone out

There looking over you

Watching everything you do

Looking after you

 

[Pensi mai che ci sia qualcuno lì fuori che sta vegliando sopra di te

Sta guardando ogni cosa che fai

si sta prendendo cura di te]

 

 


Evitò di guardare il suo riflesso sui vetri rigati dalla pioggia.

Una ragazza di appena diciannove anni con lo spirito di una donna anziana, senza più voglia di assaporare nuove esperienze. Il solo pensiero la fece sentire estremamente stanca.

Non voleva vedersi sofferente, non poteva mollare.

Lei era la dolce e cara Kasumi, il pilastro di casa Tendo, il porto sicuro dove rifugiarsi quando la tristezza li sopraffaceva.

Lei non poteva permettersi le lacrime.

 

 

In your eyes I see you've been broken

And you shadow it hides from the sun

As a picture with words left unspoken

Are you wondering who you are

 

[Nei tuoi occhi vedo che sei stata spezzata.

E la tua ombra è nascosta dal sole

Come un'immagine di parole lasciate non dette.

Ti stai chiedendo chi sei]

 

 

Si prese un'altra manciata di minuti per calmarsi, anche se i battiti del suo cuore non accennavano a diminuire e gli occhi non smettevano di bruciarle.

Poi si voltò con la busta in mano per uscire dalla stanza.

 

Improvvisamente un tuono rimbombò fragorosamente in cielo, quasi a volerlo squarciare.

Fu inaspettato tanto che Kasumi sussultò violentemente alzando il capo, e facendo cadere a terra la busta.

Per un solo attimo le sembrò che in quel tuono ci fosse l’urlo di rimprovero e disperazione della sua povera madre.

Rimase imbambolata, mentre dentro di lei la ragazzina si aprì un varco.

 

 

“Sono a casa!” Urlò Nabiki, scuotendo l’ombrello fradicio e rimettendolo a posto insieme all’impermeabile.

“Kasumi?” la chiamò a gran voce, scrollando il suo caschetto sbarazzino.

Silenzio.

Nabiki sbuffò, evitando di soffermarsi su quel silenzio inquietante di casa Tendo.

Fu grata al rumore della pioggia, che almeno le teneva compagnia.

Andò in cucina, ma fu sorpresa di non trovarvi la sorella maggiore.

“Magari è di sopra” ipotizzò, prendendo furtivamente un biscotto e salendo le scale.

Un tuono rombò feroce facendola sobbalzare.

“Dannato tuono, mi hai fatto venire un colpo” inveì nervosa guardando il soffitto.

Continuò a chiamare la sorella fin quando non vide che la porta della sua camera era socchiusa.

“Kasumi? Kasumi sei qu…”

Si bloccò immediatamente avvertendo un brivido percorrerle la schiena, facendole venire la pelle d’oca.

 

 

Would you believe that I could be your guardian angel

Do you believe that this is true

 

 

[Vorresti credere che potrei essere il tuo angelo custode

Credi che questo sia vero?]

 

 

 

Era la prima volta che Nabiki Tendo, la freddezza fatta persona, rimase inerme di fronte a quegli occhi vuoti e senza vita di sua sorella Kasumi. Quegli occhi che per lei erano una garanzia, la sicurezza che tutto sarebbe andato per il meglio, che tutto in un modo o nell’altro si sarebbe risolto, ora erano vitrei e ricoperti da un velo di lacrime.

Rimasero per qualche secondo a fissarsi senza dire nulla. Il silenzio le avvolse, anzi le avviluppò nelle sue trame fino quasi a strozzarle.

Improvvisamente per Nabiki in quella stanza mancò l’ossigeno, tanto da iniziare ad affannare.

Poi, veloce come un battito d’ali, Kasumi chiuse gli occhi e li riaprì, abbozzando un sorriso alla sorella minore.

Abbassò lo sguardo, vedendo tutta la frutta sparsa sul pavimento.

“Che maldestra che sono” mormorò come se tutto fosse tornato normale. “Ho fatto cadere la spesa.”

Con lentezza si inginocchiò e cominciò a raccogliere la frutta.

Anche Nabiki, sfuggita a quel contatto visivo incatenante, si rianimò, destandosi da quell’incubo.

Prontamente le fu accanto, inginocchiandosi a sua volta.

Non sapeva cosa fare, e così decise che avrebbe improvvisato.

Cominciò a prenderle di mano le arance “Lascia, faccio io” asserì con voce decisa.

Kasumi scosse la testa prendendo altra frutta. Fu allora che cambiò improvvisamente, muovendosi più velocemente e a scatti “Non ti preoccupare, ci penso io” mentre la sua voce si alzava si tonalità.

 

 

Your thoughts get lost in the ocean

And your prides as strong as the sea

Your heart is blocked by a raincloud

Only thunder and rain can be seen

 

[I tuoi pensieri si sono persi nell'oceano

Il tuo orgoglio è forte come il mare

Il tuo cuore è bloccato da una nuvola di pioggia

Solo il Tuono e la Pioggia possono averti vista]

 

 

 

Nabiki allora incalzò quel ritmo “Kasumi cosa è successo?”

“Non è successo niente.”

“Kasumi fermati!”

“Non posso, devo preparare la cena”

“Kasumi posa quella frutta!”

“No, io non posso, io…”

“Kasumi fermati. Ti prego!” Il tono della secondogenita si fece quasi implorante, ma la stretta era ferma attorno al polso della sorella.

Avvertì un tremito.

Le accarezzò con delicatezza la mano, mantenendo la presa.

Non si era mai resa conto che le mani della sorella fossero così ruvide e screpolate.

Forse rappresentavano la fatica che faceva ogni giorno Kasumi per loro?

Con l’altra mano la costrinse a fissarla negli occhi, alzandole il mento.

Stavolta non trovò il vuoto nei suoi occhi, ma soltanto tanta tanta tristezza che non chiedeva altro di uscire fuori.

Sussultò. La prese con forza dietro la nuca e l’attirò a sé.

“Vieni qui.”

Kasumi non oppose resistenza.

 

 

Say the words and I will be there

Hold my hand cause I am scared

 

[Pronuncia le parole ed io sarò lì

Prendi la mia mano perché sono spaventata]

 

 

 

Per la prima volta in tutta la sua vita, lasciò che la maschera le scivolasse via dal volto e almeno per quella notte diede sfogo alla sua tristezza.

Posò la testa nell’incavo del collo di Nabiki, che l’abbracciò con forza, e pianse come non aveva mai fatto.

La disperazione la assalì, impadronendosi di lei.

Per quella notte Kasumi non era né la madre, né la sorella, né la moglie.

Per quella notte Kasumi ritornò bambina tra le braccia di sua sorella minore, alla quale si aggrappò con tutta le sue forze.

Non era più Nabiki ad abbracciarla e ad accarezzarle i capelli, ma sua madre.

Nabiki aveva il suo stesso odore, il suo stesso tono di voce.

*Mamma, mamma aiutami. Cosa devo fare?*

Finalmente, dopo la sua morte, ritrovò di nuovo la sensazione di essere figlia, la sensazione di ricevere anziché dare.

 

Rimasero per un tempo indefinito nella stanza di Nabiki, inginocchiate a terra l’una nelle braccia dell’altra, con solo lo scroscio della pioggia come sottofondo.

A poco a poco i singhiozzi si calmarono, le spalle smisero di tremare.

“Nabiki, io…”

“Shhh!” La zittì la sorella “Non c’è bisogno che tu dica niente” posò la guancia sulla nuca della maggiore, cullandola ancora per un po’.

Al silenzio soffocante, si sostituì uno più rilassante che le coccolava, invece di opprimerle.

Kasumi si sentì la gola gonfia e tossì un paio di volte cercando di eliminare la brutta sensazione.

“Ricordi quando la mamma è morta?” La sua voce era ancora rauca.

Nabiki annuì, sopprimendo un brivido, giocando con una ciocca della sorella.

“Voi eravate molto piccole e papà era molto fragile in quel periodo. Ricordo che ogni notte piangeva come un bambino?” Aprì gli occhi arrossati.

Nabiki sorrise amareggiata “Beh papà non è mai stato forte, nemmeno quando mamma era viva.”

“Non avercela con lui Nabiki” la ammonì rassegnata la sorella “Fa parte del suo carattere. Ha sempre avuto bisogno di qualcuno che si prendesse cura di lui.”

Nabiki strinse gli occhi, non condividendo a pieno i pensieri di sua sorella.

Per quanto amasse suo padre, certe volte non riusciva a perdonarlo per la sua mancanza di spina dorsale.

 

“Sai c’è stato un periodo dopo la morte di mamma che vi ho odiati.”

 

 

You believe the world can be strange

Please take away my pain

 

[Credi che il mondo possa essere strano

Per favore porta via il mio dolore]

 

 

La semplicità e la trasparenza con la quale Kasumi aveva fatto quella rivelazione, fu per Nabiki una doccia fredda, uno schiaffo in pieno volto.

Questa volta furono i suoi occhi a dilatarsi per lo stupore.

Li aveva odiati!

Lei era sempre stata convinta che fosse la cosa più naturale del mondo che Kasumi si prendesse cura di loro.

Solo in quel momento capì che sua sorella era stata costretta dalle circostanze in quel ruolo, forse troppo impegnativo per una ragazzina di poco più di dieci anni.

Non aveva avuto altra scelta se non quella di seguire quella strada.

Lo aveva fatto per loro, unicamente per loro.

Aveva messo da parte la sua vita e i suoi sogni, per accudirli, per non far sentire loro la mancanza della madre.

In quel momento si sentì uno straccio.

Dopo la morte di sua madre ricordava che al dolore ben presto si sostituì la rabbia e poi il cinismo.

Da allora era sempre stata fredda ed egoista con tutte le persone, spillando soldi a chiunque, infischiandosene dei loro problemi.

Ma soltanto con Kasumi, Nabiki, tirava fuori quella briciola di umanità che le era rimasta. E adesso invece si ritrovava faccia e faccia con la verità.

Era stata egoista anche con sua sorella, la persona che più stimava e rispettava al mondo, la persona più buona e dolce che potesse esistere.

Ma che razza di persona era?

 

Si morse il labbro, avvertendo le lacrime rigarle il volto.

“Mi dispiace tanto Kasumi.”

La maggiore sorrise asciugandole una lacrima “Oh Nabiki, non devi dispiacerti per me. All’inizio è stata dura, ma poi quando ho visto papà riprendersi e te e Akane ricominciare a sorridere” sospirò sentendosi per la prima volta leggera “Ho capito che la vostra felicità era tutto ciò che desideravo. E sapevo che se noi eravamo felici, forse lo sarebbe stata anche mamma da lassù.” Una nota malinconica si insinuò nella sua voce.

Nabiki la accarezzò, ingoiando quel groppo alla gola.

“E io che credevo che la più forte della famiglia fossi io” celiò ritrovando la sua espressione arguta.

Kasumi alzò il busto ponendosi di fronte alla sorella “Sono una buona attrice” scherzò di rimando.

Nabiki sorrise a sua volta “Tanto da ingannare me.”

 “Grazie Nabiki” rispose di cuore la maggiore.

 

 

 

Would you believe that I could be your guardian angel

Do you believe that this is true

If you say yes I'll fall and i will be able

To look at anyone so true I love you

 

 

[Vorresti credere che potrei essere il tuo angelo custode

Credi che questo sia vero?

Se dici di sì, cadrò e sarò capace di

guardare qualcuno così vero, ti voglio bene]

 

 

La seconda, alzò un sopracciglio

“Se fossi stata Akane a quest’ora le avrei chiesto già 3000 yen.”

Kasumi alzò gli occhi al cielo “Allora mi ritengo fortunata.”

Ci fu un altro minuto di silenzio.

Nella loro mente un unico pensiero.

“Chissà cosa starà facendo in questo momento” sussurrò Kasumi con voce piena di dolore.

Nabiki le si avvicinò mettendole una mano sulla spalla.

“Akane è forte. Più di quanto immaginiamo. Se la caverà” il tono in cui lo disse aveva una nota speranzosa.

“E poi c’è Ranma. Lui non permetterà a nessuno di farle del male. Quei due, anche se distanti chilometri e chilometri, hanno lo strano potere di difendersi a vicenda.”

Kasumi si convinse e sul suo volto si riaccese la speranza.

Nabiki annuì con forza.

“Inoltre Ranma sa che se non ci porta a casa Akane, lo spedisco in uno zoo di quart’ordine, sperduto in chissà quale continente.”

 

Due risate cristalline ruppero finalmente il silenzio, spazzando via le lacrime e ridando vita a quella casa.

L’atmosfera si alleggerì di molto.

Poi, senza perdere il vizio, lo sguardo attento di Nabiki si spostò dal volto della sorella, al suo collo.

“Non l’hai ancora chiamato” più che una domanda, era una constatazione.

E non ci voleva un indovino per capire di chi stesse parlando.

Kasumi abbassò lo sguardo “Non è giusto illuderlo.”

Nabiki sbuffò in maniera teatrale. Si avvicinò velocemente a Kasumi e le prese il volto tra le mani.

“Ascoltami bene donna della casa…” cominciò prendendola in giro.

“… Tu meriti di essere felice.” La sua espressione si fece intensa e scandì bene ogni parola di quell’ultima frase.

“Ma io…”

“Niente ma. Tu meriti di avere una vita che non sia fra queste mura. Meriti di essere amata come solo Tofu può amarti.”

Di nuovo gli occhi di Kasumi si riempirono di lacrime, ma stavolta erano per l’emozione di quelle parole che si incisero a fuoco nel suo cuore.

La voce di Nabiki era dura e calda, proprio come quella di sua madre.

“Ora se non lo chiami entro cinque minuti, ti spillerò tanti di quei soldi che tu nemmeno immagini. E non osare contestare.”

Le labbra di Kasumi si stirarono in un sorriso luminoso mentre abbracciava con foga, tempestandola di baci, una Nabiki riluttante e, anche se non l’avrebbe ammesso mai, imbarazzata.

Cercò in tutti i modi di riprendere il contegno di Nabiki-Miss-Ice-woman-Tendo, ma i suoi tentativi furono vanificati dall’entusiasmo della sorella che, come un treno, scese giù correndo.

Nabiki la seguì, ma rimase di stucco quando Kasumi, invece di correre vicino al telefono, uscì fuori al cortile. “Ma dove?”

Rimase incantata sulla soglia di casa, osservando Kasumi che girava su se stessa a braccia aperte e con il volto felice verso il cielo piovoso.

Anche se fuori faceva freddo, la sua risata era come il sole, scaldava ogni cosa.

“Ti voglio bene mamma” la sentì sussurrare “Grazie.”

 

Quella notte, dopo una lunga telefonata tra Kasumi e Tofu e un bel bagno caldo,  le due sorelle dormirono insieme nello stesso letto.

Nabiki fece finta di non vedere la sorella alzarsi durante la notte e scrivere una lunghissima lettera destinata sicuramente al suo bel dottorino.

Come non fece finta di vedere le sua guance arrossire ogni volta che scriveva una parola, e il bacio finale che scoccò alla busta, una volta chiusa.

La vide guardare ancora la pioggia sorridendo e arricciando gli occhi.

 

Non aveva mai visto Kasumi così felice,così spontanea, così libera dai suoi tormenti.

Di nuovo, nella sua mente, apparve l’immagine della sorella che danzava sotto la pioggia.

 

Era come se l’avesse osservata per la prima volta.

Non più sotto le spoglie di casalinga e mamma, ma soltanto di Kasumi Tendo, una ragazza semplice e dolcissima con tutte i sogni e le speranze di qualunque altro giovane.

Sua madre sarebbe stata senz’altro fiera di lei.

Era davvero l’angelo custode della casa.

 

 

 

 

A volte basta un niente per far cadere la maschera di sentimenti che copre il volto e l’anima, come la più forte delle protezioni.

A volte basta solo un po’ di pioggia e un abbraccio sincero, per lavare via il dolore accumulato negli anni.

Si dice che le gocce di pioggia siano lacrime degli angeli, che piangono per le persone care che hanno lasciato sulla terra.

 

 

 

 

Le lacrime non sono espresse dal dolore,

ma dalla sua storia.

Italo Svevo

 

 

 

 

 

FINE SPIN-OFF

 

 

 

Note dell’autrice:

Un piccolo regalino ai lettori di NRDP, spero vi sia piaciuto!

Vi avviso che entro la settimana prossima metterò on-line il capitolo 26 e colgo l’occasione per ringraziare tutte le persone che mi hanno recensito, grazie a tutti.

Un bacio enorme allo staff: monica, robby, saty, kikka e mary. Ragazze vi adoro!

   
 
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