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Autore: dilpa93    02/10/2015    5 recensioni
Castle corse verso l’entrata del Tardis e non appena le porte si aprirono fu travolto da quel ragazzotto dall’accento fortemente inglese.
“Richard Castle, il mio scrittore preferito!”, lo strinse a sé dondolando a destra e sinistra. “Beh, dopo Conrad e Agatha Christie, una donna adorabile. E ovviamente J. K. Rowling. Ah… il settimo libro, c’è di che piangere!”. Gli lasciò un’ultima pacca sulla spalla fiondandosi poi da Kate, che nel frattempo si era alzata ed era rimasta ad attenderlo con le braccia incrociate e quello sguardo da finita indispettita per essere stata messa al secondo posto. “E Kate Beckett, la miglior detective di New York.”
Genere: Avventura, Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Kate Beckett, Rick Castle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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"Ho sempre sentito dire che ogni fine è anche un inizio solo che non lo sappiamo in quel momento.
Vorrei credere che sia vero."
-cit.-





 
Corsero a perdi fiato per raggiungere il Tardis. Avevano vagato per quello che Castle aveva definito la copia esatta dello scenario di Jurassic Park, dovendo poi spiegare al Dottore di cosa stesse parlando. Fino a che, addentrandosi troppo tra i fitti grovigli di piante, si erano trovati nuovamente faccia a faccia con quel gigantesco T-Rex che, al loro arrivo, gli aveva dato l’indizio decisivo per capire dove fossero. Avevano raggiunto la radura ed erano riusciti a ripartire poco prima che gli arti anteriori del grosso dinosauro graffiassero il legno blu del Tardis.
Il Dottore digitò frettolosamente le nuove coordinate. Diede un paio di colpetti al vetrino del tachimetro e una martellata al campanellino, lo stesso campanellino che Rick aveva cercato più di una volta di suonare, vedendo sempre comparire al suo fianco il Dottore che puntualmente gli impediva di farlo.
“Ah, Asgard, anno 3040”, esclamò dopo essere uscito dalla cabina ed aver ispirato a fondo l’aria frizzantina.
Davanti a loro, sviluppato in verticale, il più antico palazzo Asgardiano e, tutt’intorno, uno splendido giardino gremito di gente che non sembrava più di tanto interessata o colpita dall’atterraggio del Tardis. Kate si strinse al braccio di Rick passeggiando per il parco, il Dottore restò alle loro spalle, camminando lentamente con le mani in tasca. Guardò Kate poggiare la testa sulla spalla di Richard. Non era mai stato un tipo sentimentale, o almeno gli piaceva credere di non esserlo, ma in quel momento qualcosa turbò i suoi due cuori. Gli sembrò di vederli, Amy e Rory, lei letteralmente aggrappata al braccio del marito trascinandolo per farlo affrettare, curiosa ed eccitata da tutto ciò che aveva intorno come sempre. Lui, l’ultimo centurione, che allungava il passo solo perché costretto, richiamandola con quella dolce lamentela, “Amy, rallenta”.
Erano passati mesi da quando si era separato da loro, da quando un angelo piangente, un sopravvissuto -come lo aveva definito-, li aveva strappati da lui. Aveva provato a convincere Amelia ad arretrare e rientrare nel Tardis, ma anche mentre la suppllicava di non staccare gli occhi da quell’angelo sapeva bene che non lo avrebbe mai ascoltato, che non avrebbe mai lasciato Rory -che era stato spedito chissà dove indietro nel tempo con il semplice tocco del dito di pietra- da solo. Poi c’era stata River, non aveva resistito a dire la sua, ad incoraggiare Amy a farsi toccare sperando così di raggiungere il marito. Come biasimarla, erano i suoi genitori, forse era colei che, più di tutti, aveva il diritto di dire qualcosa.
Fu in quell’istante, pensando a lei e alla sua imperturbabilità, che la vide.
Ci vediamo su Karfel, dolcezza!”, così gli aveva detto e questo significava che non avrebbero dovuto incontrarsi lì, ad Asgard.
Si fermò a guardarla.
Stava sorridendo e, volgendo lo sguardo nella sua stessa direzione, notò con chi stava parlando.
Era lui.
Non lui, lui. Un lui più giovane, il lui di prima. Decima rigenerazione cosiderando il cappotto e i capelli.
Non era possibile che si fosse dimenticato di quell’appuntamento, di essere stato con lei, ma con le loro linee temporali intrecciate e dirette in direzioni opposte tutto poteva accadere.
Il tempo ha sempre un pizzico di wibbly-wobbly timey-wimey, in un parola, è sempre un po’ traballante, specie per quanto riguarda la loro storia.
Ringraziò di essere atterrato piuttosto distante, non poteva certo permettersi che l’altro sé o River si accorgessero della sua presenza, sarebbe stato un disastro su tutta la linea. Correndo si posizionò davanti a Rick e Kate, allargando le braccia cercando di impedirgli di avanzare e di vedere oltre le sue spalle.
“Ah, ehm… ragazzi, credo sia meglio tornare al Tardis. Mi è venuto in mente un posto fantastico dove portarvi”. Kate sollevò la testa, indossando lo sguardo da detective. “Tutto bene, Dottore? Qui è bellissimo, niente autons, nessun dinosauro, non ci sono cybermen…”.
Per un istante fermò quella lista di nomi, arricciando involontarimente il naso. Se avesse sentito chiunque altro parlare con tale naturalezza di quelle cose gli avrebbe dato senza dubbio del folle, ed ora invece era lei, la scettica per eccellenza, a nominare alieni, uomini di latta ed altri mondi. Se anni addietro le avessero detto che sarebbe successo, non ci avrebbe mai creduto. “La giornata è splendida, abbiamo tempo”. Provò a fare un passo in avanti, vedendosi nuovamente bloccata.
“Ecco… fidatevi di me, abbiamo già visto il meglio che Asgard ha da offrire. Ci sono altri posti in cui andare. Vi ho mai parlato di Barcellona? Il pianeta, non la città. Vi ci porto, saremo lì in un baleno”.
Poggiò le mani sulle loro spalle costringendoli a voltarsi e spingendoli lungo la via da dove erano arrivati, proprio appena prima che River si voltasse nella loro direzione e potesse riconoscerlo.

Viaggiarono fino al pianeta di Barcellona e, come turisti in visita, si aggirarono in lungo e in largo, ridendo alla vista dei cani senza naso di cui tanto gli aveva parlato il Dottore mentre pilotava il Tardis.
Qualche giorno dopo si erano ritrovati al centro della Terra in compagnia della spedizione Ridcord, nel 2105. Rick non aveva potuto credere ai suoi occhi, si era agitato come un bambino toccando ogni cosa, ogni parete rocciosa, ogni luccichio che vedeva sebbene Kate avesse tentato in tutti i modi di fermarlo. Aveva lasciato Matt a casa, eppure si trovava a girovagare per lo spazio e il tempo in compagnia di due bambini, ma quando il viso del Dottore si era rabbuiato -dopo aver domandato al gruppo di spedizionisti i loro nomi- era stata la prima a capire, seguita dal capo della spedizione, Johnatan Radbur.
Il Dottore aveva letto di loro, i primi umani a mettere letteralmente piede nell’entroterra ma anche i primi a non uscirne vivi.
Il senso di giustizia di Kate aveva cominciato a divorarla dall’interno, aveva cercato di trovare una soluzione a quello che avrebbe scoperto essere inevitabile. “Non permetterò che accada”, aveva detto con fermezza al Dottore. Lui, spazientito, aveva preso a girare su se stesso stringendo i pugni. Quando si impuntava sapeva essere terribilmente testardo ed irremovibile, quello che sfortunatamente per lui non ricordava era che Kate riusciva ad esserlo ancora di più. Aveva serrato la mascella e fatto scorrere le mani tra i capelli, mormorando poi un va bene a denti stretti.
Passarono tre giorni con l’equipaggio della spedizione, ma quando si lasciarono il nucleo esterno alle spalle, dopo essere riusciti a recuperare il Tardis -precipitato appena arrivati a qualche centinaia di metri di dislivello sotto di loro-, si erano ritrovati soli sulla cabina. La morte dei cinque membri della Ridcord era un punto fisso, ma nonostante questo Kate non riusciva ad accettare la cosa. “Avevi detto che li avremmo salvati”, aveva continuato a ripetere come un disco rotto e la frase che seguì non avevano avuto occasione di sentirla nelle due settimane passate. “Regola uno, il Dottore mente”.
Fu Richard quella sera a consolarla, a spiegarle che le scelte del Dottore, per quanto sbagliate potessero sembrare, erano sempre volte ad aiutarli.
Non solo loro, ma tutta la razza umana.
Kate non poté fare a meno di sentirsi turbata, nonostante tutto non riusciva a vedere delle morti come necessarie e, ancora una volta, si era data della sciocca perché non voleva dubitare del Dottore, specie dal momento che, prima di allora, non gliene aveva mai dato modo, e sebbene non li avessero uccisi loro, si sentiva come la persona che li aveva condannati a quel destino infausto. Come in altre occasioni prima di quella, Rick riuscì ad alleviarle quel peso, mostrandole quanto anche il Dottore -alieno, con due cuori, che non muore ma cambia- fosse più umano di quanto sembrasse. Si sentiva anche lui in colpa per averli dovuti lasciare indietro. Lo aveva letto nei suoi occhi stanchi e vecchi nonostante il viso giovane, occhi che avevano visto tante guerre e tante morti, e ne aveva avuto la conferma quando lo aveva sentito parlare un paio di sere prima con Radbur.
Quella sera faticò ad addormentarsi e la mattina seguente fu più fredda del solito con il Dottore, ma lui comprese e non le forzò la mano per farle accettare ciò che era successo. Bastarono un paio di giorni, certo, il ricordo e quel sapore amaro ripensando all’accaduto non erano svaniti ma i sorrisi tornarono, così come le battute e il punzecchiarsi quando lei ancora si mostrava leggermente scettica verso i suoi racconti, e poi via, di nuovo diretti verso l’avventura.

Avevano esplorato le meraviglie dell’Antica Grecia, mentre Castle si pavoneggiava aggirandosi per la città, avvolto nella sua tunica bianca e con i sandali ai piedi che gli evidenziavano i polpacci muscolosi.
Erano stati nella Baltimora del 1843 e lì, nell’ombra della notte, avevano incontrato Edgar Allan Poe. Non si erano fermati, non lo avevano interrotto mentre passeggiava guardandosi attorno stranito e parlando da solo. Rick aveva riconosciuto immediatamente, nella sua follia, l’estro del genio e l’ispirazione fulminea. Aveva balbettato qualcosa e coinvolto il Dottore nel suo infantile balletto per aver appena visto uno dei suoi idoli, l’uomo a cui doveva il suo secondo nome, il nome che lui stesso si era scelto. Dopo essere stata costretta ad assistere a gridolini di entusiasmo e saltelli degni di un gruppo di adolescenti, Kate si era riservata il diritto di scegliere la tappa successiva, sperando che il Tardis non avrebbe deciso, ancora una volta, di fare di testa sua conducendoli chissà dove.
Con il su e giù di qualche leva e qualche bottone premuto, la cabina aveva vorticato nello spazio e nel tempo fino alla Firenze rinascimentale. Il Dottore si era lasciato rapire dalla bellezza dei palazzi e dei monumenti, sempre attento e pronto a reagire nel caso qualche alieno, oltre a lui, avesse improvvisamente intrecciato il suo cammino con il loro.
Gli venne alla mente Venezia, l’altra città italiana che aveva avuto occasione di visitare, uno dei primi viaggi di Rory ed Amy con lui, e poi Pompei. Le fiamme avevano invaso la città e Donna… oh Donna, lei lo aveva implorato di salvarli, di salvare uomini, donne e bambini, centinaia e centinaia di persone, ma non poteva farlo, proprio come non aveva potuto salvare i cinque della spedizione Ridcord. Eppure non aveva resistito agli occhi della sua amica ricolmi di lacrime, di paura e amarezza e una famiglia era scampata al disastro.

Gli unici superstiti dell’immenso eruttare del Vesuvio.

Mentre il Dottore, perso nel bagliore del tramonto, rimembrava i tempi andati, anche Richard e Kate si lasciavano andare ai ricordi, a quel viaggio in Italia che avevano fatto cogliendo l’attimo non appena avevano scoperto di aspettare Matt. Firenze era stata una delle mete prescelte, ma vederla nel suo fiorente periodo, ammirarla nello splendore del Rinascimento, era tutta un’altra cosa.
Il rientro sul Tardis, quella volta, fu diverso dai precedenti. Il Dottore si accorse subito di quel velo cupo sul viso dei suoi compagni, la loro spensieratezza sembrava essere sparita non appena varcate le porte della cabina blu. Fece finta di nulla, infrangendo il silenzio con un fiume di parole.
“Francia, 1804, andiamo ad incontrare Napoleone Bonaparte! Un personaggio curioso ma, mi raccomando, non fissategli la mano o fate commenti sull’altezza, è alquanto suscettibile a riguardo!”
“Dottore…”
“Okay, niente Francia, si potrebbe andare su Guzan, divertimento assicurato!”
“Dottore…”, tentò un’altra volta Kate.
“Ci sono enormi foreste e bizzarre creature, tipo conigli o scoiattoli, non saprei dire…”, si grattò la tempia senza smettere di smanettare alla consolle.
“Dottore, sembra tutto bellissimo”, il tono di Kate era calmo e dolce, quasi materno, ed era proprio quello il punto. “Siamo stati benissimo con te, ti adoriamo, non è vero Rick?”
“Senza dubbio”, la sostenne Castle.
“Ma noi dobbiamo tornare a casa.”
“Oh…”, fu l’unica risposta del Dottore. Non che non se l’aspettasse, ma non credeva che lo avrebbero lasciato così presto.
“Abbiamo amato queste settimane con te”, proseguì Rick al posto della moglie. “Ci sei mancato davvero tanto, ma non possiamo assentarci ulteriormente. Il Tardis è fantastico, e sappiamo che potrà riportarci a casa in ogni momento, come se neanche un giorno fosse passato ma ci manca la nostra famiglia, anche tu ne fai parte, lo sai, e sarai sempre il benvenuto, ma gli altri non capirebbero”.
Il Dottore si sforzò di mostrare un sorriso, ma non gli andava di essere ottimista, non in quel momento.
“E Poi c’è Matt, lui è piccolo e… ci manca, immensamente. Mi manca in un modo che quasi non credevo possibile”, sussurrò Kate con gli occhi lucidi e i denti che mordevano il labbro inferiore nel tentativo di non piangere. Non era da lei, ma la maternità le aveva alleggerito il cuore, amplificando il suo lato dolce e protettivo.
Le avventure avevano come fatto fermare il tempo, con quello che era accaduto sul Titanic e poi alla spedizione Ridcord, c'era stato davvero poco tempo per pensare. Ogni viaggio era come una droga. "Ancora uno", e si finiva per non smettere mai, ma quel viaggio in Italia aveva fatto sentire a Kate un vuoto nel petto e la mancanza di Matt si era fatta insostenibile. Lui probabilmente non si sarebbe neanche accorto dell'assenza dei suoi genitori, sarebbero state al massimo poche ore. Al loro rientro l'avrebbero trovato ancora addormentato, totalmente nel mondo dei sogni.
Il Dottore aveva sospirato silenziosamente, digitando numeri sulla tastiera della consolle. Senza dire una parola girò le manopole e tirò verso sé la leva del flipper. Del fumo prese ad uscire da ogni dove, ma bastarono un paio di colpi ben assestati per farlo smettere.
Quando il volo del Tardis si stabilizzò, il Dottore fece un solo cenno del capo indicando le porte, con un sorriso rassicurante, sebbene appena accennato sulle labbra rosee. Richard e Kate si avviarono verso le porte, appena le aprirono posarono i piedi sull’asfalto newyorkese, davanti ai loro occhi la facciata esterna del loft e sull’angolo il cartello con i caratteri puliti e precisi che indicavano la via, 595 Broome Street.
Rick si girò verso il Dottore alle sue spalle, poggiato alla sua amata cabina, con le braccia incrociate davanti al petto. “Siamo a casa…”, mormorò stupito.
“Non avevo in mente di tenervi in ostaggio”, rise, estraendo poi il cacciavite sonico dalla tasca della giacca in tweed e puntandolo verso il cielo. La luce verde si accese e il leggero ronzio si diffuse attorno a loro. Con un gesto da esperto lo spense, roteandolo in seguito tra le dita come farebbe un cowboy con la pistola. “Siamo esattamente nel momento in cui vi ho portato via da casa… beh, solo ad un paio d’ore di distanza.”
Kate gli andò in contro abbracciandolo. Girarono su loro stessi e staccandosi notarono un pizzico di gelosia, per quell’abbraccio durato evidentemente più del previsto, negli occhi di Rick.
“Giù le mani soldato”, il Dottore alzò le mani allontanandosi di un paio di passi, poi sia lui che Rick si sciolsero in una risata salutandosi con un abbraccio un po’ più virile.
Le luci tenue dell’alba iniziavano ad avvolgere la città, riflettendosi sui vetri delle grandi finestre facendo sembrare, per qualche istante, che i palazzi fossero in fiamme. New York era immersa in uno di quei rari momenti di silenzio, il sottile momento di transizione tra notte e mattino in cui i nottambuli sono appena andati a dormire, mentre le prima sveglie cominciano a suonare nelle camere da letto di lavoratori in attesa di iniziare la giornata.
“Ti aspettiamo presto, allora. Qualche volta potresti venire per cena, o a passare il Natale con noi, ci farebbe piacere.”
“Oh, beh, io…”, ma era difficile rifiutare davanti allo sguardo pieno di speranza di Kate, così si limitò ad annuire. Oltre novecento anni sulle spalle, undici rigenerazioni, e ancora riusciva a stupirsi della capacità del genere umano di provare e suscitare negli altri così tante emozioni diverse.
I coniugi Castle si avviarono verso l’ingresso. Rick lasciò un bacio sul capo di Katherine, mormorandole un “dammi un minuto”, vicino all’orecchio.
“Dottore”, lo richiamò Castle.
Uscì immediatamente dal Tardis, vedendo Rick avvicinarsi e Kate salutarlo un’ultima volta con la mano dall’androne del palazzo. “Non ti rivedremo più, giusto?”.
Sorrise, sistemandosi il papillon. “Certo che mi rivedrete!”, esclamò convinto. Un giro su sé stesso, un mezzo inchino, la mano fatta passare tra i folti capelli castani.
“Saremmo stati con te… sai, in circostanze diverse, avremmo viaggiato con te, per sempre.” Rick non si era fatto ingannare, quella sarebbe stata l’ultima volta che lo avrebbero visto. Non sapeva perché, non aveva intenzione di chiederglielo, né tanto meno di dirlo a Kate, non sapendo che anche lei aveva intuito ogni cosa.
“A presto, Richard Castle”, sebbene sapesse che lui aveva capito, non gli avrebbe mai detto addio. Odiava quella parola, più semplicemente odiava i finali, altrimenti per quale motivo strapperebbe sempre l’ultima pagina di ogni libro?
Con loro era stato bene, avrebbe voluto continuare a viaggiare. Avrebbe potuto lasciarli a casa e tornare tra qualche tempo, adorava fare le improvvisate, ma quando era atterrato e li aveva visti dirigersi vero la loro casa, così vivi e felici, aveva capito che era arrivato il momento di lasciarli. Aveva sconvolto a sufficienza le loro vite, aveva trascorso attimi stupendi con loro. Divertenti, tranquilli e rilassanti e alcuni pericolosi, così tanto che più di una volta aveva rischiato di perderli. Loro ancora respiravano, questo era l’importante. Li avrebbe ricordati così, vivi e felici e avrebbe sempre saputo, nel bisogno, dove trovarli. Doveva lasciarli andare.
“Arrivederci, Dottore”.
Come arrivato, il Tardis sparì e con lui il Dottore. Lo stridore dei freni si dissolse nell’aria di quella giornata estiva leggermente più fresca del solito.
Non volle aspettare l’ascensore, così corse per le scale, impaziente anche lui di tornare e vedere Matt, starlo a guardare mentre dormiva, controllarne il respiro attraverso i lenti e ritmati movimenti del pancino, aspettare che si svegliasse e coccolarlo per tutto il giorno.
Senza fiato arrivò davanti alla porta del loft nel momento in cui Kate aveva infilato le chiavi nella toppa e stava per abbassare la maniglia.
“Oh, Richard, Katherine, cari, come mai già a casa? Ho appena letto il biglietto. Avete dimenticato qualcosa?”, chiese Martha stupita, ancora in veste da camera, con il bollitore in mano e la tazza proprio di fronte a sé sul bancone in marmo della cucina ad isola.
“No madre, nulla”, si chiuse la porta alle spalle ispirando l’aria di casa.
“Vado da Matt”, disse semplicmente Kate prima di correre verso la camera del bambino al secondo piano, sentendo la voce di Rick pronunciare un "Ti raggiungo subito!".
“Caro, tutto bene, sta succedendo qualcosa? È il primo figlio ed è normale sentirne la mancanza, ma sembra quasi che Katherine non veda Matt da mesi!”, sentenziò prima di portarsi la tazza alle labbra, riempiendo la bocca del sapore dolce amaro del tè aromatizzato al limone.
Richard scoppiò a ridere di gusto. Sua madre non immaginava minimamente quanto si fosse avvicinata alla realtà. Settimane di viaggi in epoche e mondi lontani ridotti a due ore di assenza da casa.
“Ho detto qualcosa di sbagliato?”, lui scosse la testa avvicinandosi a lei, le prese la tazza dalle mani poggiandola sul banco. “Assolutamente no, madre”, la strinse a sé, lasciandole sul viso un’espressione di pura sorpresa, eppure anche lei alla fine si sciolse apprezzando quel momento senza dire una parola.
Rick alzò appena lo sguardo puntandolo al di là della finestra, il sole si stava alzando e fu certo di vedere una piccola macchia scura coprirne per un istante la superficie. Una macchia che aveva la forma di una cabina. Un ultimo saluto al Dottore con un tacito grazie, scritto invece nella prima pagina di quel libro che gli aveva lasciato in ricordo.

Uno dei primi che aveva scritto, una primissima copia.

Quando il Dottore lo trovò, si commosse per un attimo leggendovi le parole di gratitudine scritte a penna nell’antiporta. Lo sfogliò raggiungendo l’ultima pagina per poi strapparla. Stabilizzò il volo del Tardis lasciandolo sospeso nell’infinito spazio, aprì le porte e la lasciò cadere tra le stelle guardandola bruciare in una supernova.
Un saluto in grande stile. Le parole d’inchiostro su quella pagina avrebbero bruciato e bruciato per anni, quasi come immortali. Non ci sarebbe mai stata una fine, decretando così un legame che avrebbe unito lui a Richard e Kate per sempre.
Non era un addio e questo gli bastava.







Diletta's coroner:

Anche questa è finita! il Dottore è ripartito e i Caskett sono di nuovo a casa, come se non fossero mai stati via... rivedranno mai il Dottore?
Rick e Kate pensano di no, e anche lo stesso Dottore ne è convinto, ma non si sa mai u.u
Grazie di avermi seguito in questa piccola follia oltre il temp e lo spazio, spero ne sia valsa laeno un po' la pena ;)
Buon fine settimana!
Baci
  
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