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Autore: BowtiesAreCool    06/10/2015    3 recensioni
“Mio caro! Hai sentito la splendida notizia?”
“Cosa accade, mia cara?” Chiese il signor Jonh, ancora intento a far scorrere la penna lentamente sulla carta. “Ho incontrato la signora Lucas che mi ha avvertito che Griffith Park é stata finalmente affittata. A dei gentiluomini!” Cianciò, tutta eccitata. Il tramestio incuriosì anche Jane ed Elisabeth –Rispettivamente secondogenita e terzogenita della coppia- che si unirono al resto della famiglia nel piccolo salottino. “Ascoltate bambine mie!” Riprese Elisabeth, “La casa é stata affittata da un certo signor Rogers, scapolo e con una rendita annuale di diecimila sterline!”
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Agente Phil Coulson, Altri, Clint Barton/Occhio di Falco, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nota Autrici
Ed ecc
oci alla conclusione di questa piccola ff. Speriamo vi sia piaciuta e che ci lascerete un segno del vostro passaggio!
Alla prossima

Gosa&Nemeryal

 





Capitolo Tre
 
 
 


 
Pochi giorni dopo la partenza di Barton, anche lui dovette tornare a casa, dove lo accolse un po' di trambusto a causa dell'arrivo del fratello di sua madre, Nicholas e sua moglie Maria con i suoi tre cugini piccoli. Sembrava che avessero progettato un piccolo viaggio per le contee vicine e avrebbero lasciato i bambini lì alle cure delle meravigliose cugine maggiori. Il ragazzo era molto affezionato agli zii e fu invitato a partecipare al viaggio, occasione che lui prese subito al volo per potersi allontanare ancora per un po’ dalla famiglia. Fu tentato, molte e molte volte di rendere partecipe sua sorella Jane della verità, ma gli sembrava inopportuno rivelare ciò che sapeva senza il permesso dei diretti interessati, senza contare la tempesta che avvertiva nel cuore e nello stomaco a ripensare agli occhi di Clint mentre gli rivelava i suoi sentimenti. Li considerava sbagliati e inopportuni, eppure non poteva fare a meno di pensare a quanto sarebbe stato bello stringersi a lui e vedere lo stesso sorriso che gli aveva rivolto quel giorno, sul prato, dopo la cavalcata.
Prima di partire fu messo al corrente delle intenzioni dei signori Lucas di portare Lydia con loro per un piccolo viaggio sulla costa. Phil non accolse la notizia nel migliore dei modi, considerando la sorella molto immatura e sciocca per essere lasciata da sola. Il signor Jonh, però, le diede il suo consenso, convinto che quel viaggio lontano dalla famiglia l’avrebbe aiutata a crescere.
Dopo un paio di settimane Phil, insieme agli zii, si mise in viaggio verso la contea vicina, dove scoprì vi era Hawksfield, proprietà del signor Barton. Cercò di dissuadere gli zii dall’andarci –Vi era, infatti, all’interno un piccolo museo che sua zia desiderava vedere- ma alla fine si fece convincere dal fatto che il proprietario non sarebbe stato in casa. Così, pochi giorni dopo essersi sistemati in un paesino a circa cinque miglia dalla casa, si diressero a Hawksfield.
La sorpresa che Clint ebbe nel rivederlo fu tale da farlo arrestare sul sentiero di casa e sbiancare di improvviso. Era egli in monta ad Enosictono, il cavallo che aveva acquistato durante la permanenza a Griffith Park, e indossava una tenuta appena più consumata rispetto a quelle che era solito portare, segno che quella era la sua prediletta e se ne vestiva ogniqualvolta tornava a casa. Strinse le dita attorno alle briglie ed il cavallo, avvertendo il suo turbamento, recalcitrò e graffiò il terreno con gli zoccoli. Clint si sporse a dare una carezza sul collo dell'animale e a quel gesto la faretra sulla schiena tintinnò al metallico tramestio delle frecce che conteneva. "I miei omaggi, signori." Li salutò, chinando il capo con cortesia. "Perdonate se ho disturbato la vostra passeggiata: stavo recandomi nel bosco e alcuni accorgimenti di manutenzione mi hanno costretto a prendere questa via più dismessa, piuttosto che l'altra. Ma prego, prego." Affondò appena i talloni ed Enosictono si scostò. "A voi la precedenza."
Phil, a bordo del calessino, aveva sbarrato gli occhi a scorgere la sua figura sul sentiero; ma mise da parte la propria sorpresa. Si sollevò appena e lo salutò con un cenno, "Signor Barton, spero stiate bene." Disse con un piccolo sorriso, "Posso presentarvi i miei zii, i signori Fury?"
Il giovane sbarrò impercettibilmente gli occhi, quasi non credesse alla situazione. "Signor Coulson." Fece allora, in dubbio se sentirsi sollevato oppure in ansia. "Per me sarebbe un onore. Sono lieto di rivedervi."
"E' un onore conoscervi, signore." Rispose Nicholas, "Volevamo visitare il vostro museo ma credevamo non ci foste, se avessimo saputo della vostra presenza non saremmo venuti a disturbarvi."
"Oh, nessun disturbo." Clint rivolse loro un sorriso cordiale -Gli occhi si volsero appena a cercare quelli di Coulson. "Al contrario, se mi farete l'onore andrò a dire a casa di preparare due stanze per voi, cosicché possiate essere nostri ospiti."
"Voi ci fate troppo onore, signore." Rispose Maria, sorridendo. "Siamo solo a cinque miglia da qui, signore." Riprese la parola Philip, "E non vorremmo davvero invadere i vostri spazi."
"Permettetemi almeno di invitarvi per un tea."
Coulson annuì, "Un tea lo accettiamo molto volentieri, signore, grazie." Rispose Nicholas, proseguendo per la strada.
"Vi attenderemo per le cinque, allora." Barton li guardò allontanarsi e stette ritto sul cavallo per lunghi minuti. Invece che uscirne attutiti, i sentimenti per il giovane Philip si era acuiti dolorosamente dopo il suo rifiuto, dopo gli occhi che l'avevano trafitto di delusione ed odio. Si era ripromesso di non cadere più in alcun tranello della sorte, eppure eccolo, di nuovo, a soffrire per quel sentimento che non sarebbe mai stato ricambiato. Ma invece della disperazione, il vento di quel piccolo sorriso che Coulson gli aveva rivolto aveva rinfocolato le ceneri della speranza e dell'amore. "Sei uno sciocco, Clint. E presto sarai uno sciocco sbattuto in prigione e gettato in pasta al pubblico disprezzo."
Sua madre Edith ben accolse l'idea di ospiti. Suo padre, Harold, non fu della stessa idea. Egli non era mai della stessa idea della donna ed era burbero e freddo e aspro d'animo tanto quanto la moglie era di spirito gentile e di cuore buono. Lei si rattristava del non vedere il figlio ancora ammogliato, lui lo biasimava. Lo aveva spinto più di una volta a chiedere finalmente la mano di Daisy e ogni ritardo era stato per Harold motivo di ulteriori improperi ed esclamazioni rabbiose. Una fanciulla, disse quando seppe della visita di Coulson, Ecco chi avresti dovuto portare alla mia tavola!
Phil e i signori Fury arrivarono puntualissimi e furono accolti dalla padrona di casa in maniera molto gentile. Il ragazzo era non poco nervoso e aveva cominciato a strofinarsi le mani sui calzoni, sorridendo timido al ragazzo e a sua madre a cui riservò un piccolo baciamano.
Edith parve deliziata dall'aspetto e dai modi gentili del ragazzo. Lo invitò a sedersi, gli servì il tea e si informò sulla famiglia, sulla tenuta, su come avesse conosciuto Clint e dove. "Ah, Stark!" Berciò ad un certo punto Harold, allungatosi a tendere un sigaro a Nicholas. "Figlio borioso di un altrettanto borioso commerciante. Scapestrato nullatenente, ho sempre aborrito il fatto che Clint lo frequentasse. Ha grilli per la testa ed il cervello riempito di fanfaluche e stupidaggini letterarie francesi. Dileggia chiunque tenti di ammogliarlo e se ne sta sempre in giro a gozzovigliare, invece di pensare ai doveri verso il padre e la famiglia."
"L'ho trovato un uomo molto ammodo e dai modi garbati." Gli rispose Phil, bevendo il suo tea e lanciando, di quanto in quanto, un'occhiata a Clint. "Ma capisco il suo punto di vista, signore. I figli maschi devono occuparsi della propria famiglia d'origine e così ci viene insegnato fin da bambini. Ma nessuno ci dice che, spesso, per occuparsi della famiglia, si deve rinunciare alla possibilità di essere felici."
"Il dovere é dovere e la felicità che tanto millantate, perché non la si dovrebbe trovare nell'adempiere a questo dovere? Non c'é felicità più grande della propria famiglia, di una buona rendita e di un'ottima posizione sociale." Edith soffuse la bella bocca di un tenue sorriso. "La felicità sta nelle piccole cose." Sussurrò. "E nelle piccole cose sta la felicità più grande. Mio figlio, ad esempio, o la vostra compagnia. Molti li considererebbero orpelli di nessun conto ed invece impreziosiscono di tante perle il filo della mia vita. Questo, ritengo, é ciò che mio marito voleva dire."
Phil annuì e posò la tazza, spostando gli occhi su Clint, "Non ho potuto far a meno di notare lo splendido laghetto nella vostra proprietà. Vorreste farmi l'onore di accompagnarmi?"
Il giovane Barton piegò la testa in cenno di assenso, quindi la levò verso il padre. "Andate pure e vi chiederei, signor Coulson, di donare a mio figlio un poco di ragionevolezza, giacché egli non sembra più bendisposto verso la signorina May come lo era prima della sua partenza a Green Park. Se gli é venuta la balzana idea di non maritarsi con lei, fatelo rinsavire proponendo una delle vostre sorelle e facendogli fare un paio di conti sulle rispettive doti." A quelle parole tanto sferzanti, Edith rispose assumendo un colorito rossastro sulle gote e Clint gelando sul posto. La madre cercò di stemperare l'atmosfera con un sorriso, augurando ai due giovani buona passeggiata e invitando Phil a guardare ben bene i fiori che ella stessa aveva voluto piantare, per dirle poi il suo pensiero in merito.
Phil si limitò ad annuire all'uomo, sorvolando sull'offesa ricevuta -Non era tipo da litigio e bloccò con uno sguardo anche i suoi zii che stavano già per ergersi a difesa delle nipoti. Seguì Clint all'aperto, aspettando di essere abbastanza lontano dalla casa prima di cominciare a parlare. "Dovreste davvero sposarla. Daisy é una ragazza molto buona, sono sicuro che saprebbe rendervi felice."
"Ma io non saprei rendere felice lei. Vi chiedo perdono per mio padre." Clint girò il volto nella sua direzione. "E per l'offesa che vi ha arrecato."
"Non importa, ci siamo più abituati di quanto possiate pensare." Strinse le mani dietro la schiena, "Raccontatemi di Ward. Non riesco a dimenticare ciò che mi avete scritto ma non vi ho trovato ne spiegazione ne soddisfazione."
"Essere abituati a qualcosa, non significa comunque che essa sia giusta." Il giovane abbassò il capo. "Cosa vi ha raccontato lui, perché vi venissi così in odio?"
Il ragazzo si fermò all'ombra di un albero, sedendosi sull'erba e poggiando la schiena al tronco con un sospiro. "Che era innamorato della signorina Natasha ed era ricambiato. E che voi avete ostacolato la loro relazione per poter stare con lei."
Barton appoggiò la mano sulla corteccia, rimanendo ritto sopra Phil e gettando la testa all'indietro in una risata priva di allegria. "Niente di più falso! Natasha non lo amava ed egli la voleva unicamente per la dote."
"Raccontatemi." Chiese, sollevando la testa per guardarlo in viso.
Gli occhi di Phil, la sua espressione, il suo sguardo che dal basso gli si arrampicava addosso e lo cercava, lo chiamava in silenzio, zittirono Clint per un istante e per due egli rimase incapace di distogliere l'attenzione da lui, da come i raggi del sole gli cadevano sui capelli e frinivano d'oro sul volto, le guance, le ciglia, e restassero sospese sulla sua bocca come un bacio ancora non dato. "Ci siamo conosciuti a San Pietroburgo." Si riprese di scatto, nell'accorgersi di quanto sconveniente fosse quel comportamento. "Io e Natasha eravamo soli, Anthony e Steve s'erano fermati a Mosca e avevano deciso di attendere lì il nostro ritorno. Incontrammo Ward ed il soldato James Barnes ad un ricevimento di una cugina dello Zar. Grant era affabile di modi e sapeva rendersi assai simpatico, tuttavia per quanto provasse e tentasse, non gli riusciva in alcun modo di attirare le attenzioni di Natasha. Esse erano tutte per Barnes, verso cui provò sin dal principio una forte tenerezza di sentimenti. Ma Ward, sentito l'ammontare della dote di Natasha, decise che per nulla al mondo l'avrebbe persa. Cominciò a screditare Barnes presso gli amici, quindi presso i superiori, a chiunque prestasse orecchio. Fece allontanare tutti, lo privò di ogni aiuto, di ogni sostegno. Mezze frasi, sussurri, accenni, orchestrò talmente bene il suo piano, ordì la sua tela con così tanta maestria che Barnes fu cacciato dall'esercito con disonore, ridotto alla miseria, dileggiato dalla corte. Natasha tentò di risollevare il suo nome e di riaverlo con sé... Ma non vi riuscì. Ward fece di tutto per esserle vicina ad ogni momento, ad ogni occasione. Le si finse amico, riportando notizie fasulle su uno scarso interessamento di Barnes alla sua persona: non amore, bensì la vanità che ogni soldato ricerca nel conquistare quante più donne possibili. Allo stesso tempo fece in modo che a Barnes fosse riferito quanto tempo la signorina Rogers trascorresse con lui e modificò i fatti perché la credesse innamorata di lui e pronta a sposarlo. Barnes ne uscì distrutto e pazzo di dolore." Clint prese un respiro. "Quando venni a sapere per caso una delle bugie raccontate da Ward, era troppo tardi per James: egli era fuggito e il cuore di Natasha con lui. La portai via da San Pietroburgo in sordina, perché si salvasse dal piano di Ward di avere la sua mano e la sua dote. E questo é quanto."
Phil aveva notato il suo sguardo e le guance gli si erano appena imporporate per poi perdere tutto il colorito all'udire il racconto. "Ma é terribile." Fu l'unica cosa che riuscì a dire dopo alcuni istanti di silenzio, inorridito da tanta cattiveria. "Avete mai più visto il signor Barnes?"
"No." Barton si sedette al suo fianco e flesse le gambe al petto. "Natasha ancora non si dà pace."
"Posso comprenderlo." Phil inclinò il capo in avanti, fissando lo sguardo sull'erba, "Mia sorella pensa ancora al signor Rogers." Sussurrò, qualche minuto di silenzio dopo, sollevando di nuovo gli occhi su di lui. "Credete che se le dicessi la verità potrebbe stare meglio?"
"Temo di no." L'altro scosse il capo e fissò gli occhi nei suoi, prima di abbassarli nuovamente. "Immaginate che vi diano una notizia simile. Come reagireste?"
"Non lo so." Rispose, non distogliendo gli occhi dal suo viso, "Ma non riesco a vederla star male... Potreste sposarla voi." Sorrise, "Così avreste una scusa per potermi vedere, se vi farebbe piacere."
"E voi sareste d'accordo, forse, a fare di vostra sorella un mero mezzo per salvare le apparenze? Non potrei, Philip."
"Vi farete uccidere se continuerete così." Rispose di rimando, "Jane capirebbe e non é detto che non potreste essere felici, insieme. Ed é sempre meglio che sposarsi solo per una dote o una rendita, non credete?"
Clint tornò con gli occhi su di lui e li abbassò di nuovo.
"Clint." Lo chiamò, in un sussurro. "Io non potrei mai vivere come Rogers e Stark e non sono ricco. Se i miei genitori morissero prima che tutte le mie sorella si maritassero, dovrei occuparmi io di loro. Non potremmo mai stare insieme."
Barton voltò lo sguardo nella sua direzione. "Ma mi vorreste?"
Phil sollevò gli occhi nei suoi e rimase a guardarlo per alcuni attimi prima di rispondergli. "Potrei."
"Voi...?"
Aggrottò la fronte, in un'espressione perplessa. "Siete sorpreso?"
"Credevo di esservi in odio e che i miei sentimenti per voi vi risultassero ripugnanti e contro Dio e l'Uomo." Clint si girò completamente verso di lui e gli pose la mano sulle nocche -Non chiuse le dita, ma tenne ben saldo il contatto tra il proprio palmo e la sua pelle. "Vi amo." Mormorò. "Posso dirvelo? Posso ripetervelo?"
"Potete." Rispose l’altro, piegando appena le dita perché si accomodassero meglio contro il suo palmo. "E mi dispiace per ciò che vi ho detto. Credevo che Rogers amasse mia sorella e che voi l'aveste allontanati per la sua condizione e per l'inadeguatezza della mia famiglia. E pensavo Ward fosse un uomo rispettabile, non certo un simile imbroglione." Sospirò, "Lasciate che ne parli con Jane e Lizzy. La prima non vi negherebbe aiuto e la seconda preferirebbe mille volte voi che essere obbligata da mia madre a sposare qualche borioso solo per la sua rendita."
"Il vostro cuore, amico mio, non ha eguali. In una vita di fuga, sapere di poter essere accettati e avere aiuto..." Clint chiuse gli occhi, a fermare il moto di commozione che gli aveva stretto la gola. "Perdonate le mie azioni, il mio comportamento. Temevo per lui, per loro, finanche per me. Avevamo paura ed eravamo stanchi di averne."
"Posso capirlo ma io non credo che riuscirei a vivere perennemente in fuga, perennemente nella paura... Temo che questo sia più forte di qualsiasi sentimento io possa provare."
Le dita di Clint si sollevarono soltanto per sfiorare il dorso della sua mano in una lenta carezza. "Nessun sentimento dovrebbe mai essere messo alla prova dalla paura. Essa non lo rafforza, lo indebolisce. Pensate a Stark e a quanta gelosia ha tenuto nel cuore." Disegnò un piccolo cerchio tra le sue nocche. "Posso toccarvi." Sussurrò. "É meraviglioso."
Philip inclinò il viso, tanto da sfiorargli le ciocche chiare con i suoi capelli, voltando la mano a toccare il palmo col suo. Socchiuse gli occhi, beandosi di quel contatto così caldo e piacevole che gli faceva battere forte il cuore e sentire le farfalle nello stomaco. "Voi pensate che possa esserci una soluzione?"
"Permettetemi di baciarvi, prima. La soluzione verrà dopo."
Le guance del ragazzo presero quasi fuoco, "Baciarmi?" Chiese, titubante.
"Un bacio." Annuì l'altro e avvicinò lentamente il volto al suo, senza costringerlo a nulla che non volesse, dandogli la possibilità di respingerlo e andarsene, se avesse voluto. "Se é il primo che donate, posso chiedervi la cortesia di averlo per me?"
"Come fate a sapere che é il primo?" Bisbigliò quasi sulle sue labbra, inclinando di più il viso per meglio accordarsi col suo respiro.
"Lo speravo." E unì la bocca a quella di Phil, in un contatto non più lieve di una piuma.
La mano di Philip corse subito al viso di Clint: il palmo si appoggiò alla guancia e all'orecchio, mentre le dita affondavano piano tra i suoi capelli.
"Vi amo, Philip."
"Era il primo anche per voi?" Chiese ingenuamente il ragazzo, accarezzandogli il viso.
"Daisy voleva un bacio, di quando in quando, ma senza il sentimento che lo guidi." Clint fece scorrere le nocche sul suo zigomo. "Un bacio é niente. Solo un toccarsi di labbra. Voi siete dunque il primo bacio vero, Philip."
"Credo che lei sia molto innamorata di voi..." Si avvicinò a dargli un secondo bacio, socchiudendo appena le labbra per far scivolare la lingua sulla sua bocca in una lenta carezza.
"E io lo sono di voi." Il giovane schiuse le labbra, gli appoggiò una mano sulla spalla e inclinò la testa -La sua bocca era calda, così l'incavo delle guance, sulla punta della lingua riposava ancora una stilla di tea.
Dopo alcuni secondi Philip si allontanò da lui e gli sorrise. "Rimarremo in paese per ancora una settimana e io vi debbo ancora una cavalcata."
Clint gli diede un bacio sulla fronte. "Vi farò vedere la tenuta e ogni luogo in cui sono cresciuto."
Il ragazzo annuì. "E' bene rientrare, ora. Potrete dire a vostro padre che vi ho quasi convinto a sposare una delle mie sorelle."
 
 
*****
 
 
Nessuna leggerezza del cuore sarebbe mai stata capace di eguagliare quella che Clint avvertì la mattina, alzandosi, e tornando con la mente ed allo spirito al pomeriggio trascorso, alla pelle di Philip contro la propria, alle sue labbra ed alle sue carezze. Si sentiva ebbro e si sentiva forte, il mondo non gli faceva alcun timore. Sua madre si rallegrò del suo umore, suo padre gli chiese se fosse rinsavito ed egli rispose "Chissà!" Ah! Quanto avrebbe festeggiato la sua Natasha, una volta ricevuta la missiva che aveva tutta l'intenzione di scriverle nel pomeriggio. Certo, c'era la questione del matrimonio che Philip gli aveva proposto, da considerare, ma dell'argomento si sarebbe parlato a settimana esaurita, quando la realtà si sarebbe sostituito alle dolcezze, la mancanza alla presenza. Il giovane Barton montò su Enosictono e si diresse veloce alla casa dove Philip soggiornava e spronava il cavallo a far più presto, più veloce, ancora, coraggio! Perché non un solo istante di quel giorno fosse sprecato ed ogni attimo vissuto nel pieno del suo splendore.
Ma quando arrivò, trovò la carrozza pronta e con già i bauli caricati, mentre Philip sellava un terzo cavallo scuro in volto, le labbra livide e gli occhi che vagavano sul nulla, mentre sistemava le briglie e recuperava una piccola borraccia d'acqua.
Clint ne fu parecchio scosso e si affiancò al giovane, rimanendo in sella. "Philip." Lo chiamò. "Che mai succede, amico mio, perché voi ve ne andiate tanto in fretta?" E già temeva di averlo offeso, di esser stato scoperto, si vide in prigione e i suoi amici con lui, e i brividi gli agguantarono le membra.
Phil quasi trasalì nell'udire la sua voce. "Mi é giunta una lettera." Disse, affettato, "Sembra che mia sorella Lydia sia fuggita con Ward mentre era a Brighton con i signori Lucas." Appuntò meglio la sella e si girò a guardarlo. "Non la credevo così sciocca! Devo tornare immediatamente a casa e poi raggiungere mio padre a Londra dove li sta cercando." Si strofinò il viso per riprendere un po' di colore. "Perché lei? Non ha un soldo e le spettano meno di cinquemila sterline di dote!"
"Verrò con voi a Londra. Steven ed Anthony sono là: ci daranno una mano nelle ricerche."
"Non voglio coinvolgervi, signore." Salutò frettolosamente gli zii che lo avrebbero raggiunto a casa e salì in groppa. "E' colpa mia, avrei dovuto dissuadere mio padre."
"Io e Ward abbiamo molto da dirci, Philip." Gli occhi di Clint erano feroci, rigidi come lame. "Non gli permetterò di disonorare vostra sorella."
"Temo che per quello sia già troppo tardi." Inclinò appena il viso verso di lui, "Accompagnatemi per un po', vi prego. Temo la solitudine in questo momento."
"Ovunque voi desideriate ed anche oltre, se necessario."
Philip lo ringraziò con un pallido sorriso e poi spronò il cavallo al galoppo.
Clint lo tallonò senza fatica, le nari di Enosictono che palpitavano e battevano, bianche di spuma; il manto nero si striò ben presto di polvere, si lustrò di sudore. "Una volta a Londra." Abbaiò Barton, al di sopra della sferza del vento. "Batteremo la città palmo a palmo."
"Avete idea di dove potrebbe essere?" Chiese, quasi affannato, come se fosse egli stesso a correre e non il cavallo."
"No. No, ma ci informeremo sulle proprietà e chiederemo notizie nei caffè e nelle vie: se il nome di Ward é stato fatto, in che ambito, noi lo sapremo."
A poche miglia da casa, a quasi ora di desinare, Coulson fermò il cavallo, piegandosi sul collo dell'animale quasi stremato. "Temo che da qui le nostre strade devono dividersi, amico mio."
"Naturalmente. Voi andate dalla vostra famiglia, io vi precedo a Londra."
Phil allungò una mano a prendere la sua, "Grazie per il vostro aiuto."
Clint si portò le dita dell'uomo alle labbra. "Per voi questo e molto altro, Philip."
Il ragazzo si mordicchiò le labbra, "Se non dovessimo trovarli o... Se li trovassimo e non fossero sposati... Voi sapete cosa vuol dire, vero?"
"Disonore." Lo sguardo dell'altro si rabbuiò. "Ma non attardiamoci su tali pensieri. Cercheremo di rendere favorevole una fatalità ora avversa. Andrà tutto bene, amico mio. Nello sconforto, pensate a me: nel mio cuore vi ho sempre tra le braccia."
"Non solo questo." Rispose l'altro, "Toccherà a me rimettere le cose in ordine. Dovrò sposarmi e al più presto anche."
La stretta sulle sue dita si fece appena più serrata. "Vorrà dire che vi presenterò mia cugina Kate e vi trasferirete ad Hawksfield." Rispose Clint, non riuscendo nell'intento di racimolare un sorriso. "Non parliamone ora, vi prego."
Phil annuì, "Ci vedremo a Londra, amico mio." Gli baciò le dita e le nocche, spronando poi il cavallo, arrivando a casa poco tempo dopo. Ad accoglierlo trovò Jane che lo mise subito al corrente dell'accaduto: sembrava che Lydia fosse andata ad un ballo con alcuni amici dei signori Lucas e da lì dritta tra le braccia di Ward. Cosa volesse da lei, però, non era dato saperlo. Suo padre era in città dove erano stati visti camminare per strada, e aveva chiesto che il figlio lo raggiungesse il prima possibile. Sua madre era a letto, preda di crisi nervose e non faceva che piangere e lamentarsi e urlare che la sua bambina era perduta, insieme a tutti i suoi figli. Il tempo di preparare il suo cavallo che Phil si rimise di nuovo in viaggio, arrivando a Londra quasi a notte fonda. Arrivò all'albergo dove il padre lo stava aspettando, ma era già addormentato e non volendolo svegliare uscì e si mise a girovagare per le strade buie, senza una meta, solo con lo scopo di trovare sue sorella e salvarla prima che fosse troppo tardi.
"Philip! Philip Coulson!" La voce affannata di Anthony Stark lo prese di sprovvista alle spalle. L'uomo, con indosso un lungo cappotto dall'aspetto vissuto e l'aria di chi non si fa un buon sonno da parecchio, lo raggiunse e lo affiancò. "Buon Dio, Coulson! Girovagare da solo a quest'ora di notte, vi sembra sensato?"
"Signor Stark!" Phil lo guardò stanco e sfiduciato, "Cosa fate qui?"
"Come che ci faccio qui? Sto cercando Ward e vostra sorella." Anthony si chiuse nelle falde del pastrano "Clint ci ha detto dell'accaduto."
Quello annuì, "E' con voi?"
"Ci siamo divisi un paio di ore fa, per coprire il maggior numero di bettole, caffè e locali ancora aperti." L'aria era appiccicosa della pioggia in procinto di cadere ed il marciapiede palpitava del riverbero di fumosi globi di luce; le scarpe scricchiolavano e ciangottavano sulle pietre. "Nessuna notizia, di alcun matrimonio."
"Lo immaginavo." Sussurrò Phil. "Devo trovarla e riportarla a casa prima che mia madre peggiori e la veda direttamente nella tomba."
"Non accadrà. La troveremo, dobbiamo solo trovare dove essi alloggiano. Ma voi gelate!" Disse l'altro corrugando la fronte. "Barton mi inseguirebbe fin nell'Inferno, se vi lasciassi perire al freddo londinese. C'é un caffè non troppo becero, poco più avanti: raccoglieremo informazioni e vi riscalderete."
"No, non importa. Indicatemi una direzione e io la seguirò. Non conosco la città purtroppo."
"Venite." Stark gli pose una mano dietro la schiena e lo condusse verso una svolta, quindi per dritto alcuni metri, fino ad un angolo dove si spandeva un chiarore illuminato ai bordi dalle sfumature verde assenzio del vetro che dava sulla strada. "La puntualità non é la mia virtù e mi é stato più volte fatto notare, tuttavia vorrei scusarmi per il comportamento avuto la sera del ballo. Temo di essere stato alquanto detestabile e di aver perso il favore e la stima di voi tutti."
"Non sbagliate, signore, ma in questo momento ho altro cui pensare." Coulson lo seguì senza realmente capire dove stessero andando, "Mio padre ha percorso tutte le strade principali quindi quelle possiamo anche evitarle."
"Lo sappiamo, lo abbiamo veduto e vedendolo abbiamo battuto altre strade." Stark lo spinse all'interno del locale, un vaporoso effluvio di alcool e sigari, caffè stantio, liquori a basso prezzo. Fece accomodare Coulson in un tavolinetto stipato nell'angolo e "Ohilá! Ohilá!" Batté la mano sul legno, richiamando l'attenzione generale. "Sia da tutti servito da bere, ché stasera si festeggia un amico che si sposa!"
Phil lo guardò confuso, "Cosa state facendo? Io devo trovare mio sorella!"
Tony gli indirizzò un'occhiata tagliente. "Sorridete e state al gioco."
"Cosa?"
L'altro gli fece cenno di tacere e quando s'avvicinarono loro due nerboruti avvinazzati, ampliò il sorriso. "Bevete, signori miei! Bevete! Alla salute del mio amico! Del buon Grant Ward che si sposa!" I due ubriaconi risero di risate sdrucciolevoli e sdentate. E tanto che se andavano, lo sguardo di Stark scandagliava all'intorno, come a voler sondare gli effetti della notizia che aveva gettato a piene mani sugli astanti e del nome che in maniera tanto audace e prodiga aveva fatto risuonare tra le pareti unte. "Ward?" Li raggiunse una voce strascicata e sarcastica. "Grant Ward? Sposato? Che dite? Tiene la colombella alla corda, ma solo per divertimento." Fingendo ingenuo stupore, Stark arcuò le sopracciglia. "Prego? Chi é lei che con tanto fervore dileggia il mio conoscente?"
"Lance Hunter." Rispose il ragazzo dall'aspetto selvatico e si accomodò accanto a Coulson, quando Tony gli fece cenno. "Ho accompagnato i due all'albergo e la colombella non faceva che chiedere il matrimonio e lui a negarglielo, dandole della sciocca."
Phil era rimasto fermo e scioccato dalle azioni di Stark, per poi riprendersi all'udire le parole di quell'uomo. "In quale albero? Dove?" Chiese affannato.
"Greenchurch Street."
"Santa Vergine! E dite che non si sposa?" Continuò Stark, nella sua farsa. "Ah! Ed io che dilapido qui il mio patrimonio per lui! Bevete, buon Hunter, bevete! E che il conto." Gridò. "Sia messo a nome di Grant Ward!" E nell'allegria generale, Tony fu lesto ad alzarsi, a battere una mano sulla spalla di Coulson ed indicargli l'uscita. "Cielo, non mi ricordavo che fosse così facile a Londra. Per avere informazioni del genere a Parigi, quanto champagne doveva essere versato! I francesi hanno certo più gusto per gli affari."
Phil, sordo alle sue parole e interessato solo a trovare la ragazza, lo afferrò per le spalle e lo scosse con forza, "Dov'é questo albergo? Dove?"
"State calmo! Andiamo da vostro padre, vi condurrò là appena lo avrete avvertito!"
"No!" Rosso in volto, gli occhi quasi spiritati, continuò a stringere le mani sulla sua giacca. "Lui mi impedirebbe di uccidere quell'infame. Ditemi dov'é!"
"Ve lo impedirei anche io, Coulson, per l'amor del Cielo, calmatevi!"
"Se fosse la vostra famiglia sull'orlo del disonore pubblico, anche voi agireste così! Ditemi dov'é o lo troverò da solo!"
A quel punto Stark, che di certo aveva più posa che pazienza, gli diede uno schiaffo in pieno viso e lo investì della più forte ira. "Non parlate di disonore a me." Sibilò. "E adesso seguitemi, coraggio."
Phil rimase basito e si portò una mano alla guancia offesa. "Non ho chiesto io il vostro aiuto! Andatevene! Farò da solo!" Quasi urlò spintonandolo, poi e correndo sulla strada principale.
Ma fu raggiunto da Stark pochi metri oltre appena. "State sbagliando strada." Mormorò e nella notte cadente, egli pareva per la prima volta meno brillante di quanto fosse mai stato. Meno artificioso. Più uomo. "Venite, state sbagliando strada."
"Non voglio il vostro aiuto." Rispose l'altro, "Indicatemi solo la strada."
"Di qua." E sordo alla sua richiesta, lo condusse per mezz'ora almeno attraverso vicoli e strade bagnate di lordura, dove nessun gentiluomo si sarebbe mai fatto vedere volentieri, né di propria sponte. Arrivarono poi ad un'alta palazzina, di certo a buon mercato, con vernice scrostata sui muri e l'insegna cigolante.
Phil l'aveva seguito continuando a massaggiarsi la guancia offesa, confuso, stanco e sfiduciato. Arrivati alla palazzina si bloccò e guardò l'entrata. "Signore mio come ha fatto ad essere così sciocca?"
"L'amore, oppure ciò che lei credeva tale, l'ha spinta." Anthony stava per aggiungere qualcosa, quando si sentì chiamare e venne raggiunto da Steven e da Clint, entrambi coi vestiti stazzonati, le guance rubizze, il sudore che imperlava loro le fronti. "Offrire bevute...?" Ansimò Rogers, prendendo il compagno per le braccia. "Davvero...?"
"Credevano tutti che fossimo Grant Ward, ho visto la mia rendita andare in fumo." Clint si avvicinò a Coulson e gli sfiorò la manica del soprabito. "Lascia che venga con te."
Il ragazzo si scostò, spostando la mano dalla guancia, rossa e appena gonfia. "No. Avvertite solo mio padre."
"Naturalmente." Barton occhieggiò a Stark e Rogers dietro di loro, quindi si chinò in avanti a controllargli il volto. "Amor mio, chi vi ha fatto questo?"
"Il vostro amico." Sibilò, spintonandolo di lato e marciando all'interno dell'albergo. Le pareti paglia gli diedero il voltastomaco -O aumentarono quello che aveva da quando Stark lo aveva colpito- e l'uomo che lo guardò mezzo ubriaco dietro il bancone gli diede i brividi. Per fortuna aveva una gran voglia di chiacchierare e gli indicò subito la stanza in cui si trovava Ward. Salì di corsa le scale e bussò alla porta, preparando già le mani a pugno.
Fu Ward stesso ad aprire e l'espressione furibonda non ebbe il tempo di mutare in alcun modo, non per la sorpresa di vedere Coulson lì davanti. Aprì la bocca e cercò di sorridere nel suo modo tanto affabile, sollevò addirittura le mani come a volersi già schermire.
Ma Phil gli si gettò contro, colpendolo al viso una, due, tre volte, facendolo sbattere contro il muro della parete opposta. "Phil!" Lydia si lanciò sul fratello e riuscì ad allontanarlo dal ragazzo prima che potesse colpirlo di nuovo.
"Philip, amico mio che vi succede?" Grant si asciugò il sangue che colava dalla bocca e sollevò il viso accattivante, sebbene quella espressione mutasse dapprima in odio, insofferenza e quindi... Panico. "Buonasera, signor Ward." La voce glaciale di Barton avrebbe potuto rivaleggiare col metallico schiocco di un pugnale estratto dalla guaina, e la rabbia vibrava in lui, nel suo tono tremante quale nerbo teso e pronto a far partire la freccia. "Che ci fate qui?" Ward appoggiò il palmo della mano sulla parete e si rimise malamente in piedi. "Vi porto i saluti di Natasha, signor Ward. A San Pietroburgo non ne abbiamo avuto il tempo."
Philip aveva appena guardato la sorella, ammonendola con solo lo sguardo tanto che ella lo lasciò e si sistemò in un angolo con gli occhi pieni di lacrime. "Non ho bisogno del vostro aiuto." Disse, fronteggiando di nuovo il soldato, "Spero per voi che non abbiate toccato mia sorella neanche con un dito o prima ve ne farò pentire e dopo vi obbligherò a sposarla rovinando la vostra vita per la vostra infamia e quella di mia sorella per la sua stupidità."
"Se vi duole il mio aiuto non temete: siete stanto abbastanza chiaro e pensavo di esserlo stato io quando ho detto di esser venuto per l'onore di Natasha." Grant sputò a terra un grumo pastoso di sangue e saliva. "Non ho disonorato vostra sorella. Ella mi ha seguito, la sciocchina, e subito ha cominciato a parlar di matrimoni e ninnoli e quant'altro!"
"Perché l'avete portata qui?" Gli chiese, afferrandolo per la camicia e ignorando la voce dell'altro.
"Perché ero il suo innamorato, che la faceva ridere e tanto teneramente la trattava." Ward contrasse la mandibola e dai suoi tratti emerse finalmente il grottesco rimescolio del suo animo limaccioso e corrotto. "Finché non ha cominciato a voler di più dal suo bel cavaliere, é stato finanche divertente."
Il ragazzo lo colpì di nuovo con tutta la forza, scorticandosi le nocche e digrignando i denti per il dolore, "Ti va bene che non proverei soddisfazione nell'ucciderti, ma sta sicuro di una cosa: diverrò il tuo peggior incubo."
"Diverrò parte della tua famiglia, se vorrai salvarla dal disonore!"
"Disonore? Ah!" Clint appoggiò una mano sulla spalla di Coulson perché si scostasse, quindi pose un ginocchio a terra e allungò una mano, per sollevare il mento ed il volto tumefatto di Ward. "Ho una splendida notizia per voi, Grant." Sussurrò, mellifluo. "Giunta proprio al mio arrivo a Londra: abbiamo ritrovato James. Sta venendo in Inghilterra." E prima che l'altro potesse replicare, il giovane Barton aggiunse il proprio pugno a quelli già distribuiti da Phil.
Ascoltandolo a stento, sentendo l'adrenalina sfumare e la stanchezza, il dolore, la preoccupazione prendere il sopravvento, Philip guardò la sorella che corse da lui, in lacrime, stringendosi al suo petto. "Dimmelo, Lydia, ti ha toccato?" Chiese in un sussurrò, ma quella scosse la testa, negando con enfasi. "Papà ci sta aspettando, andiamo."
"Anthony é andato ad avvisare vostro padre." Sussurrò Clint -E teneva gli occhi bassi, giacché sapeva in cuor suo che in quella notte aveva perso il diritto di alzare lo sguardo sull'uomo che amava. "Steven vi attende di sotto, nel caso abbisogniate di qualcosa. Altrimenti, aiuterà me a portare Grant dove essi alloggiano, per tenerlo in custodia fino a quando non avremo deciso il da farsi."
Phil stringeva la sorella al petto che non aveva smesso di piangere neanche per respirare e lui stesso si sentiva sul punto di rigettare e crollare. "Non abbiamo bisogno di nulla, grazie. Voglio solo tornare a casa e rassicurare mia madre e le mie sorelle."
Clint chinò il capo, in cenno di assenso. "Fatemi sapere quando avrete preso una decisione riguardo a lui." Indicò Ward, incosciente. "Steven vi darà l'indirizzo cui recapitare la missiva."
All'uscita dalla struttura trovarono il signor Coulson che subito abbracciò la figlia, sussurrandole parole di conforto e dispiacere all'insieme e Phil colse l'attimo per poggiarsi ad uno dei lampioni della strada strofinandosi il viso per scacciare la stanchezza e digrignando i denti alla risposta dolorosa della guancia gonfia.
"Mi dispiace per il gesto di Anthony." Steven, sotto il cono di luce pallida, non era più che un volto che spuntava dalle pieghe blu scuro del pastrano. "Sono infinitamente desolato e vi chiedo perdono per il suo comportamento. Lui ha..." Serrò le labbra. "Un carattere non facile. Il fatto che sia venuto così alle mani, dico davvero, é increscioso e non so come scusarmi."
"Non importa." Phil stornò lo sguardo da lui, "Grazie per il vostro aiuto, ma é meglio che andiate via, ora. Chiederò a mio padre di non fare parola sulla vostra presenza qui."
Rogers si portò una mano al cuore e abbassò la fronte. "Mi dispiace." Sussurrò. "Per tutto il dolore che vi ho arrecato." E così dicendo, mosse un passo all'indietro e quindi girò la schiena per salire le scale che portavano al cubicolo dove avevano trovato Ward. Anthony si avvicinò appena a Coulson e lo sfiorò con sguardo indecifrabile. "So cos'é il disonore. So cos'é l'onta. É l'ultima cosa di cui mi accusò mio padre, prima che il suo corpo lo tradisse, prima che io partissi assieme a Steven. Ho disonorato mio padre amando lui e ho l'onta di averlo reso un infermo: il mio segreto é custodito dietro una bocca che non fa trapelare che saliva e vagiti. Non venite a parlare a me di disonore." Sparì anch'egli nell'albergo, in un guizzo lampeggiante degli alamari d'oro nascosti dal cappotto. D'improvviso venne il silenzio. La pioggia cominciò finalmente a cadere su Londra.


 
*****
 
 
Quasi tre mesi dopo lo spiacevole incidente, la vita nel tranquillo paesino di Thorneywood era tornata alla solita quotidianità. Per mettere a tacere le malelingue, pochi giorni dopo il loro ritrovamento Ward e Lydia erano convolati a nozze, anche se era stata una condanna per entrambi. Phil voleva certamente punire la sorella per la sua stupidità ma renderla infelice a vita, per lui era una vera crudeltà. Il signor Coulson, però, era stato categorico: o il matrimonio o la diseredazione. E per la povera quattordicenne non c’era stata scelta. A Ward furono date le tremila stelline che l’aspettavano come dote e i due si erano trasferiti a Bryghton dove Ward era stato destinato con il reggimento. Intanto, a Netherfield, ad appena tre miglia dalla proprietà dei Coulson, due gentiluomini si erano stabiliti per la stagione di caccia e, nel giro di appena un mese, entrambi avevano chiesto la mano delle due figlie maggiori di Jonh ed Elisabeth, il che aveva reso la signora la donna più felice della terra: in soli due mesi aveva sistemato tre delle sue figlie, la proprietà era in mano a Philip e Mary e Kitty si sarebbero sistemate con un po’ di tempo. Ma il ragazzo, seppur felice per le sorelle minori, aveva cominciato, pian piano, a perdere il sorriso, la carnagione era diventata pallida e smunta e nonostante la premura della famiglia, nessuno riusciva a capire a cosa si doveva quella perdita di vita. Il ragazzo era diventato ancor più chiuso, schivo, l’unica compagnia che apprezzava era quella del padre e delle due sorelle anche se neanche con loro aveva detto una sola parola. Del signor Barton non vi erano state più notizia: dopo quella notte a Londra, ognuno aveva preso la propria strada e, anche se cercava di negarlo a se stesso, Philip avvertiva la mancanza del giovane e si incolpava per averlo allontanato così in malo modo senza avere neanche la possibilità di dirgli quanto si fosse innamorato di lui. Sapendo che sarebbe stato comunque impossibile lo stare insieme a causa dei pregiudizi e della legge, quando sua madre gli presentò la signorina Barbara, ragazza di buona famiglia e con una dote di cinquemila stelline, egli si comportò al meglio, sapendo che, da lì a poche settimane, sarebbe stato obbligato a chiedere la sua mano.  


Arrivò, d’improvviso, una lettera da Griffith Park –Dove sembrava che il signor Rogers fosse ritornato da pochi giorni, che invitava Philip da loro per incontrare il soldato James Barnes, di ritorno dalla Russia e poter così trascorrere in letizia il loro ritorno alla tenuta. Che fosse una riconciliazione, quella che Steven e gli altri cercavano, lo si leggeva bene tra le righe. La mano era stata tesa, toccava a Philip la prossima mossa.
E Phil accettò l'invito. Il giorno dopo cavalcò fino alla casa beandosi dei ricordi che ogni albero e fiore gli suggerivano. In compagnia di Clint o delle sorelle gli tornavano alla mente solo sensazioni meravigliose che gli riempivano il cuore. Smontò da cavallo poco lontano dall'entrata e si sfilò i guanti neri, prendendo un enorme sospiro e camminando a testa alta.
Steven lo attendeva sulla scalinata di ingresso. Pareva più magro, appena più smunto sulle guance. Ma la luminosità del suo sorriso, la vivacità degli occhi azzurri, quella non era mutata. "Philip." Lo salutò il giovane, scendendo la scalinata. "Quanto ho pregato perché tu accettassi l'invito!"
"Signor Rogers." Il ragazzo inclinò appena il viso, "E' un piacere rivedervi. Come state?"
"Mia sorella Natasha é di nuovo felice ed io non posso che essere felice con lei. Voi?"
Annuì, "Abbastanza bene, grazie. Suppongo abbiate saputo del fidanzamento delle mie due sorelle."
Steven annuì. "É anche per questo che vi ho mandato a chiamare. Ma ne parleremo diffusamente davanti ad una tazza di tea." Sorrise e indicò con il braccio teso l'entrata dell'abitazione. "Prego."
Phil entrò e lo affiancò, perplesso, "Cosa vuol dire che mi avete invitato anche per questo?"
"Tutto a suo tempo. Abbiamo molto di cui discorrere." Nella Sala, Anthony si stava occupando del tea e indossava la medesima veste da camera che Philip gli aveva visto la prima volta a Griffith Park. All'entrata di Coulson sollevò la testa e gli sorrise: aveva minuscole insenature, piccolissime rughe alla terminazione delle palpebre e un aspetto assai più malinconico di quanto gli si confacesse. Clint, in piedi davanti alla finestra si voltò e gli occhi corsero a quelli di Philip. Vi si aggrapparono e c'era in loro un tale calore, tale attaccamento e amore e affetto che nessun saluto mai avrebbe potuto esprimere.
E gli occhi di Coulson corsero subito a quelli di Clint e vi si aggrapparono, affondarono nell'azzurro e nel grigio tanto che per alcuni istanti dimenticò dove si trovasse, preda dei frenetici battiti del cuore. Poi si riscosse e accennò a Barton e Stark inclinando il capo.
"Felicitazioni per le vostre sorelle." Disse Tony, rispondendo al saluto. "Sono bravi giovani coloro con cui si sono fidanzate?"
"Gentiluomini dall'animo e dal cuore buono. Sono animati da sincero affetto, non potrei chiedere di meglio." Si accomodò su uno dei divanetti e intrecciò le dita sulle ginocchia, "Sono molto felice che la signorina Natasha stia bene e sia felice."
"Non ci aspettavano il ritorno di James." Ammise Steven, sedendosi sulla poltrona per avere Anthony perfettamente davanti. "Non ho mai visto Natasha così allegra, fa bene il cuore."
"Posso capirlo." Rispose, "E mi fa piacere sapere che state bene."
Steven annuì, prese la tazza che Tony gli stava porgendo e rimase alcuni secondi in silenzio. "Credete, signor Coulson, che voi ed alla vostra famiglia possa far piacere partecipare ad un ricevimento privato qui, a Griffith Park, prima della nostra partenza?"
Phil rimase in silenzio per alcuni istanti. "Credo, signore, che non sia il caso. Per Jane in special modo. Non é stata bene dopo la vostra partenza e mi sembrerebbe di farle un torto, ora che é serena."
"Comprendo." Rogers si allungò a prendere una busta sul tavolino accanto alle tazze da tea e la porse a Coulson. La luce sfrigolò sulla cera recante il suo simbolo e le sue iniziali. "Datele questo. Come regalo di nozze."
Prese la busta e se la rigirò tra le mani, "Posso chiedere di cosa si tratta?"
"L'atto di possesso di Griffith Park."
Spalancò gli occhi e posò la busta sul tavolino come se scottasse. "Non possiamo accettare, signore. E non so se considerarla un'offesa o un regalo."
"Vi prego." Steven gli passò di nuovo la busta. "Non é nemmeno il minimo per il male che vi ho procurato. Vi prego."
"No." Phil scosse la testa e si alzò, "Se non vi conoscessi sarei già andato via per una simile offesa. Non abbiamo bisogno di carità e il signor Bingley é ricco abbastanza da rendere felice mia sorella."
"Philip." Gli intimò Clint. "Sedetevi."
"Non intendo recare offesa a vostra sorella, né ritengo il signor Bingley incapace di donarle l'amore coniugale che merita." E per la prima volta, lo sdegno incupì lo sguardo altrimenti benevolo di Steven. "É mia intenzione lasciare l'Inghilterra e voglio, é il mio desiderio che la tenuta passi a Jane. Credete forse che io sia uomo da insultarla con simile mancanza di rispetto?"
"Non era nelle vostre intenzioni, eppure l'avete fatto. Ne io, ne Jane, ne i mie genitori accetteremmo mai una simile offerta. Vi sentite in torto? Allora ditele la verità o consentite a me di farlo! Quella poverina ha passato mesi a chiedersi cosa avesse fatto di sbagliato nei vostri confronti e in quelli del signor Stark per subire un simile trattamento. Come pensate che mi sia sentito io a conoscere la verità delle vostre azioni senza poterle dire nulla e vedere una delle mie più care sorelle soffrire? Volete fare a menda? Allora ditele la verità!"
"Sapete cosa ci aspetta." Tony fu calmo, stranamente freddo. "Se le cose ci dovessero sfuggire di mano."
"Se pensate che sia cosa da farsi, allora le parlerò." Ci fu un silenzio attonito. "Steve..." Il giovane stornò gli occhi dal compagno e li conficcò in quelli di Coulson. "Le parlerò."
"Potete essere sicuro che preserverà la cosa nel cuore per il resto della sua vita."
Rogers annuì di nuovo e si portò la tazza alle labbra, anche per nascondere il colorito improvvisamente pallido della bocca. "Sapete, Coulson." Fece Stark, accomodandosi sul divanetto. "Mi mancherà il vostro piglio deciso."
"Egli é coraggioso." Mormorò Clint, guardando Philip con un sorriso. "Egli é un uomo di nobile animo e grande cuore."
"E sa essere anche piuttosto sfrontato. Ne sono deliziato."
Phil tornò a sedersi e sorrise appena. "Conosco e comprendo la vostra paura, signore, ma dovete credermi quando vi dico che il vostro segreto." E qui si girò a guardare anche Stark e Barton, "E' al sicuro con me e Jane."
"Quando pensate potrò avere un colloquio con vostra sorella?" Si informò Steven. "Io ed Anthony partiremo per la Grecia tra cinque giorni."
"Le parlerò appena tornerò a casa e domani potrei portarla qui, così che possiate parlare in tranquillità."
"Grazie." Disse Steven. "E grazie anche a voi per non aver fatto parola di tutto questo."
"E col mio usuale ritardo." Intervenne Stark. "Vi chiedo perdono per lo schiaffo."
Il ragazzo abbassò lo sguardo sulle sue mani, evitando di rispondere all'uno e all'altro. "Se non c'é altro, é meglio che vada. I preparativi per i matrimoni ci tengono tutti molto impegnati."
"Immagino." Steven si alzò dal divano e fece segno al compagno di fare lo stesso. "Vi lasciamo un istante." Disse Rogers e mise una mano sulla schiena di Stark, per condurlo fuori dalla stanza.
"Mi siete mancato." E, sdegnato ogni pudore ed ogni buona etichetta, Clint raggiunse Philip a grandi passi e lo strinse tra le braccia. "Dio quanto mi siete mancato."
Phil non esitò neanche un istante a stringersi a lui, chiudendo gli occhi per meglio godere del suo calore e il suo profumo. "Come stai?" Chiese in un sussurro molti minuti dopo.
"Bene, ora che sono al tuo fianco. Bene, ora che ti ho qui con me..."
"Raccontami." Disse, portandogli le mani al viso per una dolce carezza. "Dimmi di te, di cosa hai fatto, di chi hai conosciuto. Dimmi tutto."
Clint gli diede un bacio sulla fronte. "Ho aiutato Natasha a riunirsi con James e trovare una sistemazione. Ho fatto sì che Steven e Anthony avessero tutta la tranquillità possibile per decidere di abbandonare l'Inghilterra e andare a vivere in Grecia, nonché a preparare l'atto notarile per il passaggio di proprietà di Griffith Park. Ho incontrato mia cugina Kate e... Rotto il fidanzamento con Daisy."
Inclinò il viso, "Suppongo che tuo padre non l'abbia presa bene... Cosa hai deciso di fare?"
"Mio padre mi aspetta ad Hawksfield per sapere il motivo della mia decisione. Dopo che mi avrà diseredato avendo saputo che non ho alcuna intenzione di sposarmi, andrò a vivere in una piccola tenuta che ho acquistato alcune settimane fa. É in campagna ed il primo, sparuto gruppo di case dista dieci miglia."
Phil unì le labbra alle sue in un leggero sfiorarsi, "Ne sei davvero convinto?"
"Ho già preso ogni cosa per il tiro con l'arco, nonché alcune galline, due mucche ed una capretta." Gli rise l'altro sulla bocca. "Ne sono sicuro."
Sospirò appena, "I miei genitori stanno già programmando il mio matrimonio con una signorina di buona famiglia." Sussurrò, poggiando la fronte sulla sua.
Le mani di Clint, appoggiate ai fianchi dell'altro, ebbero un fremito. "Potrete venire a trovarmi quando volete." Bisbigliò. "...Potresti venire con me."
"Sarebbe meraviglioso." Sorrise, "Potremmo cavalcare tutti i giorni e non avere pensieri o paure." Chiuse gli occhi e si strinse maggiormente a lui, "Lo voglio." Bisbigliò.
"E allora andiamo e non guardiamoci indietro. Dimmi quando vuoi partire."
"Dammi un po' di tempo per organizzarmi. Posso dire ai miei genitori che voglio aspettare e viaggiare, nel frattempo. Con tre sorelle sposate mia madre é molto più serena e posso contraddirla ora." Ridacchiò e gli sfiorò di nuovo le labbra. "Potremmo andare dopo che sarai tornato da Hawkfield."
Il giovane gli prese le mani e gli baciò le nocche. "Verrà il giorno in cui non dovremmo combattere e difenderci unicamente perché amiamo. Fino a quando non sarà così, sarò sempre in armi. Sono fiero di battermi per te, di battermi per noi."
Annuì e arrossì, sorridendogli, aumentando la stretta sulle sue dita, "Devo andare ora ma promettimi che ci vedremo domani."
"Domani. Conterò le ore." Clint gli accarezzò le guance. "Ti ho pensato ogni giorno in cui siamo stati separati."
"Anche io. Sono stato così stupido, perdonami amor mio. Quella notte ero così sfiduciato e impaurito e mi sono comportato così male con te. Perdonami."
"Eravamo nervosi tutti e tu avevi così tanto da perdere e così tanto per essere preoccupato..."
"Ma non é una scusante per il mio ignobile comportamento." Sospirò e si allontanò appena da lui, "Quando Stark mi ha colpito mi sono sentito così debole e sbagliato, così inadeguato a prendermi cura della mia famiglia e, egoisticamente, ho pensato a quanto quella cosa avrebbe potuto intaccare me e te e... E l'amore che provo per te."
Barton non gli permise di scostarsi al punto da abbandonare la stretta delle mani. "Perché lo hai pensato?" Gli domandò. "Puoi parlarmi di ogni tua paura, senza timore alcuno."
Egli scosse il capo, "Perché avrei dovuto sposarmi per riparare alla sua fuga. Uno di quei matrimoni forzati e di convenienza che ci avrebbe allontanati e mi avrebbe spento giorno dopo giorno."
"Mi sarei spento con te e non sarei riuscito a vivere un solo giorno."
"Amor mio." Phil unì le labbra alle sue e lo baciò, ancora e ancora, incapace di lasciarlo andare.
"Sarà così ogni giorno." Gli bisbigliò Barton all'orecchio. "Saremo insieme e nessuno ci disturberà. Vivremo la nostra vita."
"Lo faremo." Sussurrò di rimando, rimanendo tra le sue braccia ancora qualche minuto prima di lasciarlo e ritornare a casa. Lì parlò con Jane che si disse disposta ad incontrare Rogers e parlò anche con i suoi genitori: anche se sua madre si disse contraria, suo padre appoggiò la sua scelta di aspettare per il matrimonio -Infondo era ancora così giovane e avrebbe avuto tempo per trovare una ragazza più di suo gusto.
 
 
*****
 
 
Il sorriso di Steven tradiva il suo nervosismo, gli occhi avevano un cerchio appena più pallido all'estremo dell'iride. Si felicitò con Jane, giacché il signor Bingley era davvero un giovane dai modi affabili, di buona famiglia e dall'indole onorevole. Le parole sfumarono nel silenzio da cui erano venute, quindi Steven condusse la ragazza nel salotto e le fece cenno di accomodarsi ovunque preferisse.
Phil aveva accompagnato la ragazza e poi si era unito a Clint per una passeggiata in giardino mentre i due parlavano. Aveva rassicurato la sorella, ma ella continuava a sentirsi in imbarazzo davanti al ragazzo, tanto che le guance le si erano subito imporporate e gli occhi non riuscivano ad incontrare i suoi se non per pochi secondi. "Spero voi stiate bene, signore." Ruppe il silenzio con voce incerta.
"Sì, vi ringrazio per l'interessamento." L'altro le versò del tea e spinse la tazza verso di lei. "Jane, io vi ho fatto un grande torto."
"Forse ve ne ho fatto anch'io in qualche modo, signore." Rispose prendendo la tazza.
"No, Jane. No. Voi siete cara e l'affetto che provo per voi, quello é profondo e sincero. Tuttavia..." Steven chiuse gli occhi, intrecciò le dita e le appoggiò, così chiuse, sul mento. "Tuttavia vi ho illusa e vi ho fatto intendere che avrei potuta rendervi felice. Siete un'amica, Jane, la più intelligente e bella e soave tra le fanciulle. Ma non é per colpa di indole vostra, né per vostro carattere che non ho potuto sposarvi. Voi non avete colpa. Io vi voglio bene come una sorella e siete un'amica cara al mio cuore. Per mia natura, però, nessuna... Donna susciterà mai in me sentimento superiore alla stima e all'amore fraterno."
"É il signor Stark, vero?" La ragazza sorrise, "Sapete ho ripetuto nella mia mente ogni singola parola che mi ha detto quella sera. E ho capito. Deve amarvi davvero molto."
Steven spalancò appena gli occhi. "Voi avete capito...?"
La ragazza annuì e prese un sorso di tea. "L'ho capito solo in questi mesi, ripensando a quello che mi ha detto. Chiedendomi se avessi fatto qualcosa di riprovevole nei vostri confronti ho ripercorso con la mente ogni ricordo e ho notato che molti dei vostri sguardi, dei vostri gesti, delle vostre parole mi erano sfuggite a causa della mia illusione verso di voi."
"Jane, mia cara Jane..." Steven scosse la testa. "Mi dispiace. Sono stato causa del vostro dolore, della vostra sofferenza. Mi dispiace..."
Quella scosse la testa, riponendo la tazza sul tavolino, "Posso capire le vostre ragioni e non avete nulla da rimproverarvi, mio caro signore. Sono felice di sapere di non aver perso la vostra amicizia e quella del signor Stark. Spero non sia ancora arrabbiato con me."
"Anthony non era veramente arrabbiato con voi, Jane. Credetemi. Non perderete mai la nostra amicizia, mai."
Jane si piegò appena in avanti e poggiò lievemente la mano sulla sua, "Non avete nulla da temere, signore, il vostro segreto é al sicuro con me e vi auguro ogni bene e felicità. Lo meritate davvero."
Rogers le serrò la mano di rimando e le sorrise, con il più dolce affetto. "Jane. Sarò sincero: io ed Anthony non possiamo più stare qui. Partiremo per la Grecia fra quattro giorni e ci stabiliremo lì, in via definitiva. Natasha rimarrà a Londra e sappiate che potrete sempre contare su di lei e che vi sarà sempre amica. Se vorrete mantenere una corrispondenza anche con me, rivolgetevi a mia sorella e avrete saldo aiuto. Inoltre, e qui la questione si fa delicata, vi é un atto notarile per la cessione di Griffith Park. É a vostro nome e se vorrete accettarlo quale mio dono di addio, ne potrete disporre a vostro piacimento. Stabilirvi qui o venderla, se la accetterete, la scelta spetta a voi. É il mio... Il nostro dono. Non vi stiamo facendo carità, né riteniamo il signor Bingley incapace di provvedere a voi. Il vostro cuore, cara Jane, la vostra amicizia sono state una casa, un luogo dove per la prima volta ci siamo sentiti sereni e liberi. Vorrei che Griffith Park rappresentasse per voi lo stesso."
Lo stupore sul viso della fanciulla era palese. Gli occhi azzurri e la bocca rosea le si erano aperti sorpresi e perse la capacità di parlare per lunghi secondi. "Signore, la ringrazio infinitamente, ma non posso accettare. E' davvero troppo."
"Niente sarebbe mai troppo, per voi. Prendete almeno la lettera e decidete poi in seguito come agire." Steven le prese le mani fra le proprie e si tese a darle un bacio lieve, di commiato, di addio. "Siete stata un dono, per me." Mormorò. "Vi auguro ogni bene, ogni felicità, tutto l'amore di cui siete degna. Sarete sempre nei miei pensieri e nelle mie preghiere. Per il dolce crimine di cui sono peccatore Egli non guarda più a me, ma sono certo che i Suoi occhi, trattandosi di voi, non vi lasceranno mai."
Jane si alzò e si sedette accanto a lui. "Il Signore é amore e non punisce una persona solo perché ama. Non importa a chi sia diretto questo amore finché é puro e sincero." Sorrise, "Sarete sempre nelle mie preghiere e nei miei pensieri."
Steven le cinse le spalle con un braccio e le appoggiò la fronte contro la tempia. Stark li trovò in quella posizione e ne rise di cuore. "Quando avrai finito di monopolizzare l'affetto della signorina Jane, vorrei poterla salutare anche io ed augurarle tutto il bene -Se mi é lecito, dopo la maniera in cui mi sono comportato."
 
 
*****
 
 
"Dirai a tua sorella della tua decisione?" Domandò Barton, che passeggiava nel giardino della tenuta con la mano intrecciata a quella di Philip. E non un pensiero al mondo li coglieva, se non la reciproca compagnia.
"Cosa ti fa pensare che non l'abbia già fatto?" Philip girò il viso per guardarlo, un enorme sorriso sulle labbra.
Clint gettò indietro la testa e rise. "Avrei dovuto immaginarlo!" Esclamò. "Allora adesso non potrà esimersi dal venirci a far visita!"
"Suppongo di no. Lei e Lizzy saranno obbligate a portarci notizie dal mondo esterno, visto che ho intenzione di tenerti solo per me."
"Dovrei esserne in qualche modo interdetto? Finanche preoccupato?" Scherzò l'altro, piegando il volto per poter raggiungere l'angolo delle labbra in un rapido bacio.
"Direi proprio di no." Rise e si fermò, "Quando tornerai a Hawkfield?"
"Parto domattina. C'é un paesello non molto distante, a nome Carsonville. Da lì potremo partire per la nostra meta." Un sorriso gli scivolò sulle labbra. "Ogni volta che la pronuncio, il suono di questa frase si fa più dolce."
“Ti attenderò qui e poi potremmo partire. Vuoi che ti accompagni? Non credo tuo padre sia una persona così calma e prenderà male la notizia.”
"Mio padre é collerico e poco incline a tenere gli altri lontani dalla propria furia: é probabile che tu venga travolto dalla sua ira. Attendimi qui, arriverò il più presto possibile,"
"Ne sei sicuro? Non vorrei ti facesse del male."
"Mio padre mi ha cresciuto con una educazione non esente da ammonizioni fisiche: con gli anni, esse hanno avuto il pregio di diventare prevedibili, dandomi la possibilità di schivare ogni colpo senza fallo."
"Clint." Gli prese le mani e gli baciò le nocche, "Ricomincerò a respirare solo quando ti avrò di nuovo tra le braccia."
"Sarà solo questione di poche ore, non temere."
Annuì e si girò quando sentì un chiacchiericcio avvicinarsi a loro. Lasciò le mani del ragazzo e un attimo dopo Jane comparve a braccetto di Rogers e Stark mentre parlavano amabilmente. "Vedo che é andato tutto bene."
"Oh, a meraviglia." Fece Tony. "Tanto che siamo venuti qui anche per perorare la causa di Jane perché le venga permesso di venire in visita in Grecia."
"Dovrà chiedere il permesso al signor Bingley, ma non credo lui riuscirebbe a negarle nulla, quindi verrà a trovarvi prima di quanto pensiate." La ragazza arrossì e sorrise, "Spero di avere almeno voi al mio matrimonio, signor Barton."
"Il signor Bingley dovrà permettervi di soggiornare da noi dopo le nozze o la riterrò un'offesa alla mia persona." Steven rise. "Anthony, via, tu prendi anche l'offesa al buon gusto come una offesa alla tua persona!"
"Ciò mi rende un uomo sensibile e attento ai gravi problemi che affliggono la nostra società." Clint le sorrise. "Verrò. Farò ogni cosa in mio potere per assistere al coronamento della vostra felicità."
La ragazza lo ringraziò e poi furono tutti richiamati all'ordine da Philip. "Ci dispiace abbandonare la vostra compagnia, ma dobbiamo andare, ora. Verremo a salutarvi prima della partenza."
"Ah, vorrei ben vedere!" Esclamò Stark. "Se non mi veniste a salutare, non potei perdonarvelo." Clint si avvicinò a prendere le mani di Phil tra le proprie. "Il nostro futuro, Philip. É così vicino che possiamo quasi toccarlo: domani sarà nostro."
Intimidito dalla presenza della sorella e degli altri, Coulson si limitò ad annuire e stringergli le dita, "Ci vedremo domani."
 
 
*****
 
 
Aveva il labbro gonfio e l'occhio destro pesto, un rigagnolo di sangue che dalla fronte s'era seccato fino al sopracciglio. Eppure non sarebbe potuto essere più felice. Clint abbassò il cappuccio del manto da viaggio che indossava e strinse le briglie di Enosictono tra le nocche sbucciate. Steven ed Anthony erano alla scalinata d'entrata, Natasha con loro e Bucky –Un giovane dagli occhi vecchi, per nulla loquace ma dal cordiale sorriso- pronti a salutarli, ad augurare loro ogni bene. "Addio, Philip." Natasha gli prese la mano destra tra le proprie. "Potrà mai vostra madre perdonarmi per non aver cercato di cedere alle vostre mai avvenute offerte di matrimonio?"
"In questo momento, mia cara amica, mia madre é fin troppo felice per i matrimoni delle mie sorelle che il mio può passare in secondo piano." Le strinse la mano di rimando e salutò affettuosamente anche Steve e Tony. "Ci scriveremo e verremo a trovarmi una volta che vi sarete sistemati."
"Buona fortuna, amico mio." Steven lo strinse di rimando, con calore e affetto. "Grazie. Dieci, cento, mille volte grazie."
Phil li guardò andare via con una piccola stretta al cuore: quante cose erano successe e cambiate in quei lunghi mesi dacché si erano conosciuti, eppure mai avrebbe sperato in un futuro più roseo di quello che l'attendeva con il compagno.
Steve aveva stretto Clint a lungo e così Anthony. Natasha, per un momento, parve incapace di lasciarlo andare. Non pianse, tuttavia nei suoi occhi si vedeva la più cupa tristezza, la più dolce malinconia. Sorrise e gli baciò la fronte, lo abbracciò di nuovo. Clint montò in sella e prese un respiro. "Al galoppo." Disse. "Al galoppo e non guardiamoci mai indietro: il nostro avvenire é solo in avanti."
Phil montò sul suo cavallo e si allungò a prendere le sue mani, "Avanti, sempre avanti, senza timori e paure."
Clint gli strinse le dita. Alla luce della tenuta di Griffith Park, l'ombra delle loro braccia era un'unica linea.

Senza confine.

Unite per sempre.
 
   
 
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