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Autore: Tigre Rossa    09/10/2015    4 recensioni
Dis gli tirò un pugno sul braccio, sorridendo “Hai dimostrato che è sempre un errore sottovalutare uno hobbit di Erebor.”
Lo hobbit arrossì, troppo sorpreso e felice per parlare.
Uno hobbit di Erebor . . .
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Può uno piccolo hobbit crescere tra i nani di Erebor e sentirsi a casa?
Potrà mai diventare uno di loro e trovare il proprio posto, prima che le fiamme di Smaug annullino ogni cosa?
Bilbo!raised by dwarves AU - Bagginshield
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Bilbo, Thorin Scudodiquercia, Un po' tutti
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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Figlio di Erebor – I’ll follow you until my last breath

 

 

Prologo – Una nuova casa

 

 

 

 

 

 

“Nessuno di noi può scegliere il proprio destino, e a nessuno di noi è permesso sfuggirgli.”

 

-Merlin

 

 

 

La pioggia cadeva, forte e violenta, sulle dure rocce, antiche come il tempo, che riempivano il paesaggio, e sul carro trasandato la giovane viaggiatrice riusciva con chiarezza a riconoscerle una per una.

Si strinse forte nel suo mantello verde ed oro, mentre i suoi occhi color del mare salivano verso l’alto, ad osservare il regale profilo della sua meta, ormai più vicina che mai.

Un lieve ma sincero sorriso le illuminò il volto, ed il suo cuore prese a battere come un tamburo impazzito nella vista di quella che, tanto tempo prima, aveva imparato a chiamare casa.

Al suo fianco, il vecchio Gandalf tirò fuori la pipa, soddisfatto.

“Ormai ci siamo, amica mia.” sussurrò allegramente con voce roca “Tra meno di mezz’ora saremo finalmente ad Erebor.”.

La piccola donna annuì, e le sue mani sottili corsero, veloci e lievi come un sospiro, a sfiorare il minuscolo fagottino che stringeva al caldo tra le sue braccia.

“Finalmente.” ripeté con voce leggera, abbassando lo sguardo su di esso e, dentro di sé, tirando un sospiro di sollievo.

 

 

“Mi dispiace tantissimo per la tua perdita, Bella.” mormorò piano il Grigio Pellegrino, sedendosi di fronte a lei e torturandosi le lunghe dita in una morsa nervosa.

La giovane hobbit annuì, trattenendo a stento un sospiro “Grazie, Gandalf. E grazie di essere venuto. So che ti ho fatto chiamare di tutta fretta e così all’improvviso, ma . . .”.

Il vecchio alzò la mano in un gesto rassicurante “Non preoccuparti, mia cara. Capisco benissimo. La scomparsa di Bungo . . .” la sua voce si spezzò, ma solo per un momento, prima che egli riprendesse a parlare con più decisione e forza “è stato un duro colpo per tutti. Per te in particolar modo. Eravate sposati da così poco, dopotutto.”.

La donna si morse appena il labbro, prima di rispondere “Si, è stato brutto. Brutto ed improvviso. Ma la morte è sempre così, in fondo. Non chiede mai il permesso. Arriva quando meno te l’aspetti, e difficilmente puoi fare qualcosa per impedirlo.” Si strinse nelle spalle, ed il suo sguardo si fece deciso “Ma non è di questo che voglio parlare. Non ora.”.

Gandalf fece un segno d’assenso “Lo so.” esitò, prima di continuare “Sei proprio sicura di voler partire?”.

Ella annuì “Più che sicura. Non posso restare qui, Gandalf, e tu lo sai meglio di me. La Contea mi andava stretta fin da quando era solo una bambina, e sono scappata via in cerca di avventure alla prima occasione. Ed ora, l’unica ragione per cui ho rinunciato alla vita che tanto a lungo avevo inseguito se n’è andata per sempre. Non posso restare qui a fare la brava hobbit che cura il giardino o sforna tre dozzine di torte al giorno, non da sola. Non potrei sopportare una vita del genere, senza di lui.” I suoi occhi blu erano coperti da un’ombra e lontani, ma la giovane scosse appena la testa per riscuotersi  e aggiunse “Questa non è più casa mia, e io non voglio né posso trascorrerci un secondo di più, restare qui a guardare questo buco-hobbit ora vuoto e chiedermi come sarebbe stata la vita se la Nera Falciatrice non mi avesse tolto ciò che avevo di più caro.”.

Lo stregone sospirò “Capisco.” rispose, la voce tesa e pesante “Ma non credo che partire ora sarebbe la scelta migliore, considerando . . .”

“Considerando cosa, Gandalf?” lo interruppe freddamente la piccola donna “Le mie condizioni? Se non parto ora che la gravidanza è ancora all’inizio, credi che riuscirò a farlo più avanti? Quando il bambino nascerà, forse, ed avrà bisogno di ogni cura possibile? Quando crescerà e sarà capace di comprendere? Quando sarà ormai grande e qualsiasi cambiamento sarebbe per lui un trauma? No, amico mio. Devo partire ora. E devo farlo anche per lui.”

Una mano corse a circondare la pancia, come a voler proteggere fisicamente la nuova vita che stava sbocciando dentro di lei “Non voglio che mio figlio cresca qui, in un posto dove verrebbe disprezzato per il suo lato Tuc e qualsiasi suo comportamento verrebbe osservato con occhio critico e giudicato. Ci sono già passata io, e se questo bambino mi somiglierà anche solo un po’ so che non sarà facile per lui abituarsi a questa vita. Noi Tuc non siamo fatti per una tranquilla esistenza a guardare il cielo ed a fumare l’erba-pipa. Non è nel nostro sangue, Gandalf. E io non voglio che mio figlio debba sentirsi fuori luogo o vivere una vita che non gli appartiene.”.

L’anziano mago scosse la testa “E credi che ad Erebor sia la soluzione alle tue preoccupazioni? E’ un regno di nani, il più potente, ricco ed orgoglioso regno dei nani. Tu e il bambino potrete anche essere accettati, ma non sarete mai come loro.”.

La hobbit scosse la testa “Non è questo che intendo. So che sarà difficile, soprattutto all’inizio, nonostante l’amicizia di re Thror e di Thrain, ma quello è l’unico posto dove io mi sia mai sentita a casa, prima di Bungo. E so che sarà lo stesso anche per mio figlio.”.

Gandalf alzò gli occhi al cielo e sospirò “E’ inutile discutere con te, Belladonna Tuc. Testarda peggio di un esercito di nani, ecco cosa sei. Ci credo che tu gli vada tanto a genio.”

Belladonna sorrise, il primo vero sorriso da tanto, troppo tempo “Allora, mi aiuterai?”.

Lo stregone si sistemò meglio il cappello sulla testa “Pensi davvero che ti lascerei vagare da sola per le Terre Selvagge? Allora ancora non mi conosci bene, mia cara. Certo che ti aiuterò. Ti accompagnerò ad Erebor, come ai vecchi tempi”.

 

 

Quando giunsero, silenziosi e protetti dalla notte, alle porte del regno dei nani, Gandalf non fece in tempo ad scendere dal carro che dall’alto una forte voce, fiera e possente ma allo stesso tempo inconfondibilmente femminile giunse fino a loro, sovrastando il rumore della pioggia.

“Fermi, stranieri! In nome di Thror, Re Sotto la Montagna, identificatevi!”.

Belladonna, riconosciutola, si sporse dal carro e rispose “I figli di Erebor adesso lasciano sotto la pioggia i loro amici, o Drifa la Forte?” e, pronunciate quelle parole, si calò il cappuccio.

Un grande silenzio avvolse il Cancello per qualche momento, fino a quando la voce, adesso emozionata, gridò “M’imnu Mahal! Aprite le porte, aprite subito le porte!”.

Poco dopo le porte si spalancarono e il piccolo carro si infilò dentro le maestose mura di Erebor.

I due viandanti scesero dal loro mezzo di trasporto, e la giovane hobbit non fece in tempo a guardarsi attorno che venne travolta inaspettatamente da quello che per un attimo le sembrò un piccolo uragano.

“Tu, lulkh! Sono secoli che non ti fai viva, maledetta hobbit! Katakhigerun! Ero così in pensiero! Ishkh khakfe andu null! “ gridò la voce, mentre l’uragano si affrettava a stritolarla nelle proprie braccia possenti.

“Ohi, Drifa…” gemette la donna, cercando di liberarsi da quella stretta spacca-ossa “Sono felice anche io di vederti e si, hai ragione, sono una persona terribile, ma per favore, potresti allentare la presa? Credo che tu stia uccidendo non solo me, in questo momento.”

A quelle parole, la stretta improvvisamente si allentò fino a scomparire, e il piccolo uragano indietreggiò di qualche passo.

Non si trattava realmente di un uragano, beninteso, anche se ne aveva tutta l’energia; era in realtà una austera nana dallo sguardo di fiamme e la lunga barba nera, intrecciata in una corta e pratica treccia. Il suo volto, solitamente serio e feroce, era trasfigurato dallo stupore e dall’emozione, ed una ciocca ribelle di capelli corvini le ricadeva davanti agli occhi. Indossava i vestiti del Capitano della Guardia e al suo fianco pendeva la più grande ascia che Bella avesse mai visto in vita sua.

“Cosa . . . oh, Mahal!” esclamò la guerriera, mentre i suoi occhi scorgevano il piccolo fagottino che l’amica stringeva con dolcezza a sé. Alzò lo sguardo, la confusione che si rifletteva nel suo volto “E’ . . .?”.

Belladonna annuì, stringendolo ancora di più a sé, ed abbassò il volto, non riuscendo a sopportare di vedere la delusione nel volto dell’amica “So che non ti ho detto nulla. Non lo sa praticamente nessuno, tranne Gandalf. E’ che sono successe tante cose, in questo ultimo periodo. Troppe cose.”.

La nana sollevò un sopraciglio “Cosa è accaduto?” domandò, avvicinandosi piano.

La hobbit esitò, prima di rispondere con voce tesa e fragile “Bungo è morto.”.

Drifa si bloccò e trattenne il fiato, scioccata. “Io . . . Birashagimi, Bella.” sussurrò, incerta su cosa dire e colpita dalla notizia sconcertante e dal dolore sul volto dell’amica, per poi afferrarle le mani e stringerle nelle sue, callose e rovinate ma calde e familiari “Mi dispiace davvero tanto.”

Lei sospirò, e rialzò lo sguardo “Per questo sono venuta qui. Non potevo restare nella Contea,  non ora, non con lui.” fece un cenno verso il fagottino, che continuava a restare silente e tranquillo “Così ho pensato, beh, di tornare. Re Thror una volta aveva detto che ci sarebbe sempre stato un posto per me, qui.”.

La guerriera sorrise, un sorriso dolce e sincero “E re Thror non mente mai.” decretò, mentre una luce tornava ad illuminarle il viso “Vieni, ti porto da lui. Sarà più che felice di rivederti.” Lanciò uno sguardo a Gandalf, il quale era rimasto indietro per lasciare alle due donne un po’ di intimità. “Tu resta qui, mio marito Fundin ti mostrerà presto le tue stanze.”.

Lo stregone annuì, e la nana si rivolse nuovamente all’amica.

“Andiamo, Bella.” le fece, voltandosi e facendole strada per i lunghi corridoi della bella Erebor, anche a quell’ora piena di vita ed energia.

La hobbit la seguì senza esitazione.

 

 

Bella scese dal suo pony, facendo un breve cenno a Gandalf.

“Dammi solo qualche momento.” disse con voce atona, cercando di controllare il lieve ed impercettibile tremito che le attraversava le mani.

“Ma certo.” rispose lo stregone con dolcezza, i grandi occhi chiari che tentavano di nascondere al tristezza “Prenditi pure tutto il tempo che ti serve.”.

La hobbit si voltò, per poi iniziare a salire la bassa collina, fino a quando davanti a lei comparve un grande e maestoso melo.

Si fermò, cercando di riprendere fiato, e poi si avvicinò pian piano, attenta a non far rumore. Il vento soffiava forte attorno a lei, quasi a voler farla sentire meno sola, ma non poté fare niente contro la nuova pugnalata che quella incisione sul melo, da lei stessa fatta appena qualche settimana prima, le inflisse.

‘Qui giace Bungo Baggins, hobbit della Contea e signore del mio cuore.’.

La piccola donna trattenne a stento un sospiro di dolore. Era stata lei, poco tempo prima, a scegliere quel posto come il luogo del riposo eterno di suo marito. Su quella collina, dove si erano incontrati per non lasciarsi mai più. Sotto quel melo dalle foglie verdi e dai frutti dolci, dove le loro labbra si erano sfiorate per la prima volta e Bungo le aveva chiesto di diventare la sua sposa. Aveva voluto per lui un luogo di pace, che potesse cullarlo nei ricordi di quella calda felicità che era sfiorita troppo presto. Ma avrebbe voluto ancora di più poter riposare al suo fianco per il resto dell’eternità.

‘Ciao, amore.” sussurrò piano al nulla, avvicinandosi lentamente all’albero “Sono io. Sono venuta a dirti che . . . che sto partendo.”

Esitò, cercando di calmare il battito impazzito del proprio cuore “Lo so, è un po’ inaspettato, ma tu sai come sono fatta. Non riesco a restare ferma in un posto tanto a lungo, soprattutto se questo posto è la Contea.”.

Deglutì, per poi continuare piano “Per te l’avrei fatto. Sarei rimasta qui per sempre, e l’avrei accettato con cuore leggero e l’anima lieta. Ma ora . . .” una piccola lacrima scivolo lungo la sua guancia, e lei se l’asciugò con il pugno chiuso “. . . ora non posso. Senza di te, non posso più restare qui. Ogni cosa mi ricorderebbe te e quello che avevamo. E io non posso andare avanti da sola, non questa volta. Ho bisogno della mai famiglia. Ho bisogno della mia vecchia casa. Capisci, non è vero?”.

Restò in silenzio, quasi aspettandosi di sentire la voce allegra e dolce del suo Bungo risponderle che certo, lui capiva, aveva sempre capito. Ma ormai non avrebbe più potuto udire la sua voce, e lei lo sapeva fin troppo bene.

“Io sto ritornando ad Erebor. Se Thror me lo permetterà, crescerò lì mio figlio. Staremo bene, o almeno farò in modo che lui stia bene.” aggiunse, posando entrambe le mani sul grembo “Farò in modo che cresca sereno, e che riesca a trovare il suo posto nel mondo. Gli starò accanto fino a quando potrò. E, soprattutto, lo amerò come avresti fatto tu. Te lo prometto.”.

Chiuse gli occhi, e per un attimo le parve di sentire la sua mano sfiorarle la gota, esattamente come faceva quando era ancora in vita. Sorrise in silenzio, e dentro di sé il dolore per un attimo si acquietò.

Riaprì gli occhi, ed osservò per l’ultima volta quel luogo dove la sua felicità e la sua sofferenza più grandi sarebbero rimasti, eterni ed immutabili, ad aspettare per sempre il suo ritorno.

‘Arrivederci, mio amato Bungo.” sussurrò, certa che il vento gli avrebbe portato le sue parole, e dopo aver mandato un bacio al cielo si girò ed iniziò a ridiscendere la collina.

Non si voltò indietro nemmeno una volta.

 

 

Drifa condusse la piccola donna nella Grande Sala del Consiglio dove il Re , il Principe Ereditario ed i suoi due figli più grandi dovevano aver appena terminato la riunione serale con i propri consiglieri.

Fece un cenno alle guardie che stavano di fronte alla porta, che si misero subito sull’attenti, e bussò con decisione. Dall’interno della stanza giunse una voce rauca ma allo stesso tempo forte “Avanti.”.

La nana si voltò verso l’amica, facendole segno di aspettare fuori, ed aprì la porta.

All’interno della sala, ancora seduti attorno ad un grande tavolo rotondo in ossidiana, c’erano quattro persone con lo stesso sguardo fiero e fiammeggiante.

Seduto al centro stava Thror, il Re Sotto la Montanga, dalla lunga bianca argentata e la ricca corona posata sui lunghi capelli chiari, che da tanto tempo guidava Erebor con la mano di un padre severo ma giusto ed amoroso allo stesso tempo. Al suo fianco c’erano il Principe Ereditario Thrain, il volto solcato dai segni di grandi sofferenze ancora non del tutto dimenticate, ed il suo primogenito Thorin, giovane principe nanico dai lunghi capelli corvini ed occhi di ghiaccio. Accanto a quest’ultimo stava infine suo fratello, l’appena ventisenne Frerin, luminoso come l’oro e prezioso quasi di più di questo metallo tanto ricercato.

La guerriera entrò, per niente intimorita dalla famiglia reale che conosceva quasi meglio di chiunque altro, si inchinò profondamente e disse “Mi spiace interrompervi, Vostre Maestà, ma di fronte alle nostre porte è giunto un’ospite inaspettato che credo vogliate vedere.”.

Thror lanciò uno sguardo sorpreso a proprio figlio Thrain, il quale dopo un attimo di esitazione annuì. Il re allora si voltò di nuovo verso Drifa e rispose lentamente “Fallo entrare, allora.”:

La nana trattene a stento un sorriso soddisfatto, uscì e fece cenno alla hobbit di entrare.

Belladonna prese un respiro profondo e, dopo aver sfiorato il suo fagottino con lo sguardo, entrò con fare sicuro nella stanza.

Il re spalancò gli occhi, sorpreso, ed i due nani più giovani si lanciarono uno sguardo, quasi chiedendosi a vicenda conferma di ciò che stavano vedendo.

“Belladonna!” esclamò a metà voce Thrain, incredulo e stupito.

La giovane donna sorrise, e fece un profondo inchino “Sono lieta di rivedervi, re Thror e principe Thrain. Ed anche di vedere voi, principi Thorin e Frerin. E’ passato molto tempo dall’ultima volta.”.

Il volto del Principe Ereditario si illuminò, ed egli si alzò di scatto dalla tavola e corse incontro alla hobbit, per poi stringerla in un abbraccio soffocante del tutto simile a quello che Drifa.

“Oh Bella, è meraviglioso vederti!” gridò felice, dimenticando per un attimo l’etichetta, per poi staccarsi da lei ed osservarla con gli occhi che brillavano “Non abbiamo tue notizie da secoli. Iniziavamo a preoccuparci.”.

La giovane scosse la testa “Mi spiace, Thrain, ma ho avuto molte . . . cose per la mente.” E, con quelle parole, strinse più forte a sé il piccolo fagottino.

Solo allora Thrain lo notò, ed il suo volto divenne confuso. Aprì la bocca per parlare, ma venne anticipato da suo padre.

“E’ una gioia rivederti, Belladonna Tuc.” fece il re, un sincero sorriso sulle labbra, ma lo sguardo serio e preoccupato “Siediti, e raccontaci cosa ti ha riportato qui alla Montagna. Non abbiamo notizie da dopo il tuo matrimonio.”.

La hobbit annuì e prese posto di fronte all’anziano nano, mentre Thrain si sedeva accanto a lei.

Esitò, prima di iniziare a parlare “Sono successe molte cose da allora, mio signore. Io e mio marito ci eravamo appena trasferiti in un piccolo buco-hobbit ad Hobbiville, quando un giorno decidemmo di fare una gita sul fiume Brandivino. Andava tutto bene, ma poi, all’improvviso . . . la barca si rovesciò.”.

Thrain sobbalzò, ma lei strinse la labbra, decisa a non mostrare alcun segno di debolezza “Cercammo di restare a galla e di chiamare aiuto, ed io riuscii ad aggrapparmi alla barca capovolta. Cercai di afferrare Bungo e ti aiutarlo a stare a galla, ma lui era un Baggins, non sapeva nuotare, entrò nel panico e, nonostante cercassi di salvarlo, annegò di fronte a me.”.

La hobbit chiuse per un momento gli occhi, cercando di scacciare quelle immagini familiari che continuavano a tormentare le sue veglie e le sue notti, per poi riaprirli e continuare, mentre il principe Ereditario le stringeva la mano in un gesto di affetto e comprensione “Poco dopo il funerale, iniziai a sentirmi male ogni giorno. Non riuscivo a dormire, avevo la nausea, vomitavo. All’inizio pensavo fosse legato a ciò che era successo, ma poi capii che non era così. Aspettavo un bambino.”.

I suoi occhi blu scivolarono verso il fagottino che stringeva tra le braccia, dove il suo piccolo dormiva ancora placidamente. Poi alzò il mento, deglutendo “All’inizio pensai di restare lì, nella Contea, e crescere questo figlio da sola, ma poi, con il passare del tempo, io … mi sono resa conto che non ne sarei stata capace. Non potevo affrontare una vita da sola nella Contea. Continuavo a pensare alla Montagna Solitaria, ad Erebor, e la malinconia cresceva sempre di più dentro di me. Alla fine, non ce l’ho fatta più. Continuavano a tornarmi in mente le vostre parole, la promessa che per me ci sarebbe stato sempre un posto nel vostro regno, ed ho deciso di . . . tornare. Per sempre, se voi mi concederete di restare.”.

Gli occhi dell’anziano re, fino a quel momento cupi, vennero illuminati da una scintilla di dolcezza “Non hai nemmeno bisogno di chiederlo. Sei stata e sei una grande amica del nostro popolo, Belladonna. Sei stata al nostro fianco in battaglie e missioni, ed hai salvato la vita a mio figlio più di una volta. Pensi che un paio di anni di lontananza abbiano cancellato tutto quello che hai fatto per noi?”.

Accanto a lei, Thrain annuì e continuò “I nani non dimenticano mai i propri amici, Bella, né li abbandonano nel momento del bisogno. E per noi sarebbe un onore avere te e tuo figlio qui.”.

Belladonna si illuminò e sorrise, sollevata “Io . . . non ho parole. Vi ringrazio davvero di cuore.” mormorò, chinando appena la testa in segno di rispetto “Avrete per sempre la mia gratitudine, miei signori.”.

Thror sorrise, e il Principe Ereditario scosse la testa “Tu non ci devi nulla, amica mia.” le sorrise anche lui e poi fece un segno ai suoi due figli. “Thorin, Frerin, accompagnate Belladonna la Coraggiosa da Fundin e fate in modo che le assegni gli alloggi migliori e le dia tutto ciò di cui ha bisogno.”.

I due principi annuirono e si alzarono dal tavolo. Frerin, che nel tempo trascorso dalla hobbit ad Erebor si era molto affezionato a lei, le si avvicinò con un sorriso gigantesco e le porse la mano allegramente. “Venite, signora Bella.” fece allegramente, mentre il fratello maggiore lo raggiungeva con aria seria.

La giovane mamma accettò la sua mano e si alzò a sua volta, attenta a non fare movimenti bruschi per non svegliare il bambino. Fece un altro profondo inchino in direzione dei due nani più anziani, e si fece guidare dai ragazzi fuori dalla sala.

Il piccolo trio camminò per un po’ in silenzio, attraverso le vaste sale ed gli interminabili corridoi, ma alla fine il giovane Frerin, che fremeva d’impazienza ed era da sempre uno dei più curiosi nani mai nati sotto la Montagna, si voltò verso la hobbit e domandò, non senza una punta d’imbarazzo “Potrei vedere il vostro inùdoy, Belladonna?”.

Thorin lo fulminò con lo sguardo “Non disturbare la nostra ospite, Frerin.” lo rimproverò con voce bassa “Ha fatto un lungo viaggio, e questo non è certo il momento di fare simili richieste.”.

Ma Belladonna rise dolcemente e fece un segno di diniego al giovane “Non si preoccupi, principe Thorin. Non è un problema, anzi.” Sorrise, e facendo molta attenzione porse il fagottino al biondo, scoprendogli il viso in modo che potesse guardarlo meglio.

Il nano si fece più vicino e spalancò gli occhi, mentre vedeva per la prima volta il piccolo hobbit che, avvolto in quei stracci dai colori vivaci, riposava tranquillamente. Aveva già un ricco ciuffo di riccioli scuri sopra la testolina pallida, e due orecchie a punta quasi più grandi del resto del suo volto. I suoi occhi erano chiusi, ed uno dei minuscoli pungi era infilato nella boccuccia socchiusa.

Era molto diverso dai piccoli nani che vedeva ogni giorno, e sembrava incredibilmente fragile.

“E’ dolcissimo.” mormorò il principe, ed al suo fianco Thorin, che aveva ceduto anch’egli alla curiosità e si era avvicinato per vederlo, annuì.

Frerin si mordicchiò il labbro, prima di domandare “Avete già scelto come chiamarlo, signora Belladonna?”.

La hobbit sorrise, accarezzando la testa del bambino con la punta della dita “Oh, si.”.

Guardò il piccolo addormentato, e sussurrò “Il suo nome è Bilbo.”.

“Bilbo.” ripeté piano Thorin, senza mai staccargli gli occhi di dosso, mentre sentiva bruciare nel cuore una strana emozione.

Dentro di sé, qualcosa gli diceva che quel frugoletto dalle orecchie grandi e l’aria delicata, nel bene e nel male, presto sarebbe diventato una parte molto importante nella sua vita.

“Bilbo.”

 

 

 

 

 

La tana dell’autrice

 

 

Si, l’ho rifatto. Ho altre long in cantiere eppure non ho potuto resistere alla tentazione di buttare giù anche questa. Perfetto. Non imparo proprio mai, eh?

Allora, credo che ormai anche le pietre in Cina siano a conoscenza della mia passione per i nani e soprattutto per il meraviglioso regno di Erebor. Cioè, a differenza della maggior parte delle persone che conosco e che adorano gli Elfi, gli Uomini o anche gli Hobbit, io adoro il coraggioso, chiassoso ed unico popolo dei nani. Se la maggior parte dei fan di LOTR vorrebbe vivere a Gran Burrone, a Mordor o anche nella Contea, io vorrei alla follia vivere nella leggendaria Erebor, prima o dopo della venuta del Drago, non mi interessa. Se molti darebbero tutto ciò che hanno per poter far parte della Compagnia dell’Anello e si dannano per imparare almeno i saluti e i titoli in Elfico, io mi strapperei il cuore dal petto per accompagnare Thorin e gli altri alla riconquista di Erebor e sto imparando allegramente tutto quello che trovo in Khuzdul, soprattutto le parolacce e gli insulti -perché ja, so troppo fighi gli insulti detti dai nani-. Fa un po’ strano come cosa in effetti, ma non posso farci niente. Queste personcine diversamente alte, con un gran cuore ma delle maniere degne degli uomini preistorici e con una barba da fare invidia a Babbo Natale sono diventate la mia ossessione fissa. E così, nella mia mente stupida e malata è nata questa Au, che non sono stata davvero capace di lasciare chiusa in un cassetto.

In pratica, ho immaginato come sarebbe stato se Bilbo ci fosse stato dall’inizio, da prima della venuta del Drago fino alla battaglia delle Cinque Armate. Come sarebbe stato se fosse cresciuto con i nani e come uno di loro, se il suo legame con la Compagnia si fosse formato negli anni, se si fosse innamorato pian piano, se avesse lottato ogni giorno per guadagnarsi il pane in esilio, se la sua scelta di partire per quella missione così rischiosa fosse stata dettata dal suo legame con la Montagna e con il suo popolo, e non dal ‘semplice’ desiderio d’avventura. E così è nata questa piccola long, pazza e un bel po’ fuori dagli schemi.  Per riuscire ad inserire Bilbo in questo contesto, ho dovuto ritoccare parecchio avvenimenti e date, di cui l’unica canon è rimasta quella dell’arrivo del Drago, il 2770.

Ah, si tratta dell’ennesima Bagginshield, ma questa volta, diversamente dal solito, cercherò di non trasformare l’amore dei miei fagottini di angst preferiti nell’unico tema della storia. Eh si, almeno all’inizio Belladonna avrà un ruolo abbastanza importante, perché mi ha sempre incuriosita come personaggio. Inoltre ho accennato che all’inizio il nostro hobbit ha i capelli più scuri perché in una scena tagliata del film ‘Un viaggio inaspettato’ si vede Gandalf ad una festa alla Contea che gioca con un piccolo e dolcissimo Bilbo Baggins, il quale ha stranamente i capelli scuri. Glieli farò schiarire con la crescita, non preoccupatevi.

Ovviamente questo è solo il prologo, e quindi più avanti tutto ciò che al momento può sembrare poco chiaro, come la ragione di questa grande amicizia tra i nani di Erebor e la nostra piccola hobbit  verrà spiegato nei prossimi capitoli.

Tolkien probabilmente starà sfasciando la tomba a forza di rigirarcisi dentro, ma beh, pazienza.

E’ tutto, per ora. Fatemi sapere cosa ne pensate!

Tigre rossa e la sua nuova e super figa collana a chiave di Erebor vi salutano!

 

T.r.

 

 

Studiamo insieme . . . –pillole di Khuzdul-

 

M’imnu Mahal : La barba di Mahal

 

Lulkh: Idiota

 

Katakhigerun : Maledizione/Vecchia canaglia

 

Ishkh khakfe andu null: frase usata anche nel film ‘La desolazione di Smaug’  e che uso per insultare mio fratello quando mi fa arrabbiare; secondo il cast dovrebbe significare ‘I defecate on your head and the head of all your kin’ –non fatemi tradurre in italiano, che è meglio- . Sempre educati i nani di Erebor, eh!

 

Birashagimi: Mi dispiace

 

Inùdoy : Figlio

 

P.s. Come ho detto prima, so giusto qualcosina di Khuzdul, imparato su internet e attraverso le fan fiction, quindi le mie note potrebbero non essere del tutto correte . . . ma l’importante è l’impegno, no? :)

 

 


  
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