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Autore: ChiiCat92    12/10/2015    4 recensioni
"Cuore.
Paura.
Vita.
Morte.
Per comprendere concetti astratti come quelli avrebbe avuto bisogno di una più alta consapevolezza di se stesso.
Invece di sé che cosa sapeva?
Il suo numero di matricola, 07XIIIS2002.
Il suo numero di modello, X-07.
La quantità di applicazioni funzionanti all'interno del suo sistema, 17813.
La quantità memoria libera nella RAM, 6 tera."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Axel, Saix
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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06/10/2015

 

I am Machine”

 

- Ti sei mai chiesto come sarebbe avere un cuore? -

No, ovviamente no. Perché avrebbe dovuto chiederselo?

E mentre il suo sguardo, vuoto e freddo come ghiaccio, catalogò, analizzò e giudicò le espressioni facciali programmate sul viso di X-08, non poté che chiedersi se per caso non stesse assistendo ad un malfunzionamento di sistema.

- Sciocchezze. -

Rispose, con il tono di voce piatto. Non un picco, non una traccia di emozione, positiva o negativa.

Arrivando alla conclusione che non valeva la pena continuare quella discussione, il suo interesse tornò sul nastro trasportatore, sui microchip che, dopo la prima lavorazione, passavano alla sua postazione perché li controllasse nel dettaglio.

Difetti, bolle d'aria, persino imprecisioni nella struttura chimica del materiale: se ci fosse stato qualcosa, lui se ne sarebbe accorto.

Solo con la coda dell'occhio notò che X-08 appariva leggermente scontento della sua reazione, della sua risposta, e del suo totale disinteresse nel dargli corda.

O, almeno, “scontento” era la parola che il vocabolario istallato nel suo sistema avrebbe potuto assegnare ad un'espressione come quella sul volto di X-08: le sopracciglia aggrottate tra loro, le labbra storte in una smorfia di dissenso, la testa leggermente stretta tra le spalle come se avesse appena incassato un colpo allo stomaco.

Conosceva ogni sfaccettatura di un volto umano, persino di uno che avrebbe dovuto simularne le espressioni, proprio come quello di X-08. E come il suo.

Tra tutte le applicazioni necessarie affinché il suo sistema girasse, X-07 trovava completamente inutile, appunto, il simulatore di espressioni. Non potendo arrestarne il funzionamento né disattivarlo dall'interno, cercava solo di avviarlo il meno possibile. Era fastidioso il modo in cui surriscaldava la sua CPU, e un'applicazione di tale dimensioni occupava spazio nella sua memoria che avrebbe potuto impegnare altrimenti. Per esempio, avrebbe potuto scaricare dalla rete la nuova versione del manuale metalmeccanico, che trovava decisamente più necessario avere. E invece non poteva.

Le sue mani attente sollevarono il microchip di metallo all'altezza degli occhi che subito corsero in ogni direzione per analizzarlo nel dettaglio. Stabile, buona densità, quantità quasi perfetta di atomi carichi positivamente: poteva mandarlo anche subito al montaggio.

Stava per appoggiarlo nuovamente sul nastro trasportatore, dopo aver stampato il proprio numero di matricola con il codice che indicava la buona qualità del prodotto, quando X-08 gli rivolse nuovamente la parola.

- Non sono sciocchezze. -

Si stava davvero ancora riferendo alla loro precedente conversazione?

Alzò appena lo sguardo su di lui, un messaggio scritto in piccolo sullo schermo interno della sua retina lo avvertì che avrebbe dovuto assumere un'espressione scocciata e arrabbiata e gli comunicò anche le istruzioni da seguire affinché il suo viso apparisse convincente. Non per la prima volta in quella giornata ignorò l'applicazione, e il suo volto rimase bloccato in una statica non-espressione, del tutto simile a quella stampata sul volto di una bambola.

- Dovresti concentrarti sul lavoro. -

Fortunatamente anche la sua voce era riuscita a sfuggire al controllo remoto dell'applicazione di simulazione emozionale, lasciando che fosse come desiderava: piatta, meccanica, fredda.

X-08, di nuovo, non sembrò contento della sua risposta. Spostò il peso del corpo da un piede all'altro con una sorta di broncio sulle labbra. I suoi occhi si chiusero un attimo, come se stesse riflettendo su qualcosa.

X-07 sapeva che il processore del partner di lavoro era migliore del proprio. Conosceva quei nuovi modelli perché ne erano stati inseriti una quantità incalcolabile in ogni settore della fabbrica nel giro di pochi anni.

Tutte poco concentrate e produttive le versione dalla 08 in poi. Ricordava i bei tempi quando divideva la postazione con X-06, quelle sì che erano giornate produttive: nessuna chiacchiera inutile, nessuna domanda, nessuna distrazione, solo lavoro, lavoro e lavoro.

Un piccolo bip, un segnale acustico del suo sistema interno, lo avvertì che aveva distolto l'attenzione dal suo interlocutore, che lo stava ancora fissando come se si aspettasse una risposta.

Secondo il suo manuale di comportamento, quella era una scortesia quasi imperdonabile: il fatto che trovasse stupida, inutile e una perdita di tempo tutta quella discussione non giustificava la sua maleducazione.

- No, non me lo sono mai chiesto, e non credo che dovrei perdere tempo a farlo, ho del lavoro da sbrigare. -

Stavolta si obbligò ad usare quello che un essere umano avrebbe definito “tono condiscendente”, pur cercando di mantenersi inespressivo, non voleva certo sovraccaricare la sua CPU per simulare condiscendenza anche nell'espressione.

Stavolta raggiunse il suo scopo: X-08 si zittì e tornò a concentrarsi su quello che aveva davanti. Le mani esili e frettolose sembrarono non sapere cosa fare e per un attimo X-07 pensò che avrebbe mandato a monte l'intera catena di montaggio per la sua disattenzione.

Eppure il modo in cui avvitò e controllò velocemente la scheda di memoria sugli hard disk che stava montando aveva un che di calcolato. Dovevano essere i suoi occhi, abituati ad un ritmo di lavoro più lento e preciso, a non concepire tanta velocità.

Era per questo che avevano messo X-08 a occuparsi di parti così piccole e importanti? Perché il suo processore era di una generazione più vecchio?

Lo pensò senza turbamento, senza emozioni, e archiviò quel pensiero in un angolo di quel computer che era la sua mente.

Il lavoro era decisamente più importante.

 

Nonostante ormai il 95% degli operai della fabbrica fosse composto da macchine, e nonostante quel restante 5% umano fosse comunque addetto a compiti puramente di ufficio o di supervisione, gli orari seguivano ancora un vecchio sistema, risalente al secolo precedente, quando il personale era totalmente umano e aveva bisogno di attenzioni particolari.

Gli androidi addetti alla catena di montaggio come X-07 non avevano bisogno di quella che gli umani definivano “pausa pranzo”, ma per qualche ragione erano comunque costretti a fermare la produzione per sessanta minuti. Sessanta minuti di totale nullafacenza che avrebbero potuto invece essere impiegati per incrementare il guadagno della giornata.

Ma erano le regole, e X-07 non infrangeva mai le regole.

Togliendo le mani dal suo piano di lavoro, X-07 contò, con lo scarto di un millesimo di secondo circa, a rovescio da cinque, e quando arrivò a 0 suonò la sirena che annunciava la pausa.

Non aveva bisogno di nutrirsi, né di riposare, il suo unico scopo era quello di portare a termine la quantità di lavoro assegnatagli per quel giorno.

Nonostante valutò buone le condizioni del suo corpo, si diresse comunque ad una postazione di ricarica. La batteria era al 60% ma non voleva ritrovarsi ad essere improduttivo perché non era stato previdente.

Mentre camminava, il passo marziale e secco, i suoi sensori lo avvertirono di una presenza meccanica alle sue spalle. Non si voltò neanche perché sapeva che si trattava di X-08.

Da quando gli era stato assegnato come partner di lavoro la sua esistenza era diventata...come definirla? Dovette sfogliare attentamente il suo vocabolario interno prima di trovare la parola più adatta.

Intollerabile?

Insopportabile?

Non erano sinonimi?

Lentamente, X-07 infilò una mano tra i capelli zaffiro. Con dita meccanicamente abituate estrasse da un piccolo sportellino sotto il collo un cavetto che subito collegò alla presa di corrente. Una luce verde agli angoli del suo campo visivo l'annunciò che la batteria era correttamente in carica.

- Posso stare qui? -

Ah, X-08. Per un momento l'aveva quasi dimenticato.

Girò la testa nella sua direzione e forse per la prima volta lo guardò davvero, soffermandosi sui dettagli e le migliorie apportate su quel giovane modello.

L'impatto visivo lo rendeva un prodotto piacevole, con quella chioma di capelli rossi, indomabili, spettinati come la criniera di un bizzarro leone. Il fisico longilineo, e gli arti esili stiracchiati verso l'alto gli davano l'impressione di un ragazzino cresciuto troppo in fretta, e così gli occhi, di un verde particolarmente intenso, lucido ed espressivo senza bisogno dell'intervento dell'applicazione apposita.

Fatto per piacere agli umani, X-08 rispondeva a tutte le richieste implicite dei consumatori già solo con le sue calde apparenze. Il suo viso, ben scolpito, sembrava programmato per ispirare un sentimento di fiducia e cordialità nell'osservatore, una simpatia spontanea necessaria per i prodotti della nuova generazione.

Tutto il contrario di quel che era X-07. Gli androidi di vecchia generazione come lui non avevano bisogno di apparire, quello di cui avevano bisogno era funzionare così come gli era richiesto, ed era quello che aveva fatto fino a quel momento.

Tutti quei “simulatori di vita” che aveva come dotazione standard il giovane androide erano solo suppellettili inutili per X-07.

Per l'ennesima volta, X-07 sentì quel nervoso bip che l'informava di aver nuovamente fatto scivolare l'attenzione lontana dall'interlocutore.

- Non vedo perché dovresti. -

Era una questione di logica.

I nuovi modelli non erano più costretti a ricaricarsi attaccandosi alla corrente, dato che erano dotati di cellule ad energia cinetica e solare. Quindi perché sarebbe dovuto stare lì con lui?

- Non so dove altro andare, non conosco nessuno. -

Adorabile” gli suggerì il proprio vocabolario interno venendo in soccorso al suo bisogno di definire la sua espressione.

Adorabile il modo in cui apparve a disagio, adorabile il modo in cui le sopracciglia rosse si strinsero tra loro, adorabile il modo in cui, pur essendo tanto alto, sembrasse così giovane e indifeso.

X-07 pensò marginalmente che tutti quegli aspetti rendevano la nuova generazione di androidi un'inutile paccottiglia di metallo, non adatta al duro lavoro in fabbrica.

Perché gli umani avevano questo morboso bisogno di renderli il più possibile simili a loro?

- Allora stai pure. -

Si costrinse a dire, rispettando l'educazione impostagli dal proprio sistema operativo.

Il rosso gli rivolse un sorriso, niente altro che un tenue allungarsi degli angoli delle sue labbra.

Il simulatore di espressioni tentò nuovamente di avviarsi per rispondere cordialmente a quel sorriso, ma X-07 lo soppresse e volse l'attenzione altrove.

Il giovane androide poggiò la schiena al muro tenendosi come ad una distanza di sicurezza da lui.

- Come ti chiami? -

Chiese, dopo quello che sembrò un silenzio felicemente destinato a durare per sempre. E invece no.

X-07 sollevò solo un attimo gli occhi su di lui, come a voler studiare il suo volto, poi tornò nell'attenta osservazione di un punto lontano.

- X-07. -

Rispose, come se fosse ovvio. Purtroppo il rosso non era al di fuori del suo campo visivo, quindi poté cogliere l'espressione corrucciata che venne fuori sul suo volto troppo perfetto, minuziosamente perfetto. Che bisogno c'era di modellare un naso così ben definito e donargli una texture così dettagliata per le labbra?

- Quello non è il tuo nome, è solo il numero del tuo modello. Intendo il nome che ti hanno dato all'accensione. - certo, certo che intendeva quello, l'aveva solo volutamente ignorato.

Non degnandolo di una risposta, X-08 arricciò il naso in un'espressione infantile che fece nuovamente pensare a X-07 che era spropositatamente inadeguato per il lavoro che doveva compiere. - Io mi chiamo Axel. -

Gli porse una mano.

La osservò per un lungo attimo, attento ai dettagli delle unghie su cui era stata disegnata addirittura una mezzaluna bianca alla base. Poi scrollò le spalle, non potendo far altro che rispondere con cortesia ed educazione: era stato programmato per essere servile e gentile, anche contro il proprio volere.

- Saïx. -

Gli disse alla fine, dopo un lungo silenzio in cui lui tenne la mano sporta in sua direzione. La strinse, ma solo per l'attimo necessario perché pronunciasse il suo nome.

Non suo. Non era suo, era solo il nome che un umano gli aveva assegnato quando era stato acceso, perché riferirsi a lui come “cosa” o come “androide” o “X-07” – che poi era l'unico nome con cui riusciva ad identificarsi – non rendeva confortevole per gli esseri umani rapportarsi con lui.

Perché gli umani avevano bisogno di quelle piccolezze?

- Come mai il tuo volto è sfregiato? -

La domanda di X-08 gli ricordò vagamente quella che un cucciolo di essere umano gli aveva rivolto molto tempo prima. Aveva usato lo stesso tono, aveva assunto la stessa espressione. E gli aveva dato, stranamente, lo stesso fastidio.

Il simulatore di espressioni sfuggì al suo controllo e increspò il suo volto di una smorfia. La reazione di X-08 si trasformò in qualcosa di indefinibile, un misto tra il dispiaciuto e il sofferente, come se potesse realmente sentire quelle emozioni. Come se provasse pietà per lui.

- Mi dispiace, se non vuoi parlarne... -

Interromperlo era scortese, ma non avrebbe lasciato che un androide bambino simulasse pietà per lui.

Tra tutti i sentimenti umani, quello era il più deprecabile, e anche il solo imitarlo surriscaldava in maniera critica la sua CPU.

- È stato un incidente sul lavoro, il tecnico non è riuscito a trovare la pelle sintetica adatta per ripararmi. -

- Che peccato. -

Ancora pietà. I sensori di X-07 quasi impazzirono, surriscaldati. Ventole dentro la sua testa giravano a mille e i pensieri si accavallavano. Quando una luce rossa si accese agli angoli dei suoi occhi si rese conto che il sistema stava andando in crash e si obbligò a resettare tutte le applicazioni inutili, alleggerendo il suo carico di lavoro. Se il suo supervisore si fosse accorto di questo piccolo malfunzionamento forse l'avrebbe costretto a farsi controllare da un tecnico, e non voleva assolutamente che qualcuno mettesse mano nel suo sistema. Il solo pensiero di mani umane, ed estranee, che frugavano dentro i suoi circuiti gli faceva scuotere la testa con disgusto, l'unica tra le poche emozioni umane che sentiva di poter condividere.

Forse il rosso androide dovette capire di aver detto qualcosa di sconveniente. Portò le mani avanti come a scusarsi e gli rivolse un sorrisetto imbarazzato.

- Mi dispiace, non volevo insinuare niente. È solo un peccato che non ti abbiano riparato. -

- In ogni caso non influisce sul mio rendimento lavorativo. -

Doveva essere una cosa ovvia, o almeno, per X-07 lo era. Perché avrebbero dovuto riparare un danno che gli permetteva comunque di svolgere il suo lavoro?

X-08 scosse la testa, senza perdere il sorriso. Quella capacità snervante di sorridere cominciava ad essere fonte di irritazione per X-07.

- Quindi hai detto che ti chiami Saix? -

- Saïx, con la ï. -

Ci tenne a puntualizzare, come se fosse una questione di principio. E sì, lo era. Non desiderava che quel ragazzino androide lo chiamasse per nome, ma se aveva intenzione di farlo quanto meno che lo facesse nel giusto modo.

- Saïx. - ripeté, stavolta nel modo corretto, X-08 - Tu puoi chiamarmi Axel. -

Anche se avrebbe voluto dirgli che no, lui non poteva chiamarlo Saïx, dovette mantenersi cordiale. Per evitare di dargli un permesso che non meritava, tenne per sé la risposta e si chiuse in un dignitoso silenzio, che sperò fosse esplicativo del suo bisogno di rimanere da solo mentre ricaricava la batteria.

70%, la barra si riempiva lentamente, ma non l'avrebbe comunicato al suo supervisore.

- Lavori qui da molto? -

Davvero aveva ancora intenzione di rivolgergli la parola?

Questi nuovi modelli erano stati fatti senza rispetto per i lavoratori più anziani o cosa?

Lo sguardo che gli lanciò fu freddo e distaccato, e Axel – o X-08, per lui non faceva tanta differenza – piegò appena di lato la testa in un'espressione confusa. Forse si chiedeva se avesse fatto qualcosa di male, ma X-07 non poteva e non voleva dirgli di essere lasciato in pace, non sarebbe stato professionale, né rispettoso. Era il suo partner di lavoro e volente o nolente doveva sopportarne la presenza.

Almeno finché non avrebbe ottenuto la promozione per cui stava lavorando tanto.

- Sì, una decina d'anni. -

- Wow. -

Sinceramente sorpreso, per quanto una macchina possa esserlo. Sarebbe stato più corretto dire che era sincero in modo simulato.

“Wow”. Non era neanche il primo a dirlo. Per i modelli appena messi in commercio come X-08 era normale pensare ad un arco di tempo di dieci anni come a qualcosa di lungo, lunghissimo.

L'unica cosa che pensava X-07 era che nessuno dei modelli precedenti era durato tanto a lungo. Lui era uno dei pochissimi rimasti.

X-08 rimase in silenzio per un lungo istante, tanto che X-07 finalmente sperò che si fosse deciso a chiudere quella sua giovane e ottusa bocca.

Perché non gli avevano istallato un sistema operativo dotato di un po' più di buon senso e di raziocinio?

Era quella generazione di nuovi modelli: tutti da buttare.

- Mi dispiace per quello che ti ho detto prima. - probabilmente fu l'impercettibile movimento delle sopracciglia blu che fece sorridere appena X-08, e lui si pentì di essersi fatto sfuggire quel movimento - Quella storia del cuore. Mi dispiace. Non avrei dovuto dirti niente. È solo che questo mondo è così...strano. - tipico di un bambino come lui. Da quanto tempo era stato attivato? Un paio di settimane probabilmente, e la sua percezione della realtà era amplificata da nuovi e potenti sensori. Doveva essere un'esperienza traumatica. Avrebbe imparato a gestirla. - Gli umani sono meravigliosi, così complessi! - non aveva intenzione di rispondergli, per come reagiva il suo viso e per come il suo sguardo lo attraversava, come se fosse trasparente, era indice del fatto che non era interessato ad una sola parola. - Ho scaricato un'applicazione qualche giorno fa, un'applicazione medica, avevo un po' di ram libera e ne ho approfittato. - X-07 dovette reprimere l'impulso elettrico del suo cervello che stava quasi per fargli gettare gli occhi al cielo. Perché sprecare la memoria interna con una cosa così inutile quando avrebbe potuto scegliere qualcosa di più...necessario per il lavoro che l'avevano creato per fare? - Insomma, è una specie di scanner, posso controllare lo stato di salute di una persona solo analizzandola e... -

- Questo non fa parte del tuo sistema operativo, esistono gli androidi medici per questo. -

- Lo so, lo so. - ma non sembrò interessato al modo piatto con cui lui aveva provato ad andargli contro, preso com'era a raccontargli la sua assurda storiella - Ma è un'applicazione che non ha alcun utilizzo medico, volevo solo vedere il cuore. -

- Il cuore. -

Non era neanche una domanda, era un'affermazione di stupidità: un androide che aveva interesse nel vedere il cuore di un essere umano. Che assurdità!

- Sì, il cuore. - annuì X-08, come se fosse una cosa seria - So che tutti gli esseri viventi hanno un cuore e volevo vedere com'era fatto. -

- E l'hai visto? -

Se assecondarlo era un modo per farlo stare zitto allora l'avrebbe fatto. X-07 sapeva com'era fatto un cuore, avrebbe saputo disegnarne un'immagine fedele e costruirne una copia funzionante anche ad occhi chiusi: due atri, due ventricoli, quattro valvole ad ala di rondine sistemate in modo da impedire il reflusso del sangue, sedicimilaquattrocento...

Si era distratto ancora una volta seguendo il filo dei suoi pensieri, X-08 lo guardava accigliato. Quella fastidiosa lucetta rossa agli angoli del suo campo visivo e quel bip continuavano a tormentarlo.

C'era da far controllare il sistema elettrico principale, non c'era dubbio.

- Sì l'ho visto. - continuò X-08, ripresosi dal momento di distrazione di X-07, come se non fosse successo niente. A conti fatti quell'androide era decisamente pieno di sé. Un ego gigantesco, una curiosità infantile, una sfacciataggine insopportabile: avevano un po' esagerato con il programma di simulazione emozionale, il suo chip della personalità doveva essere sovraccarico. - È strano, non ho visto niente delle cose di cui ho letto. Amore, gioia, tris... -

- Stai dicendo sul serio? - lo interruppe subito. Se c'era qualcosa che non poteva tollerare era l'ignoranza. - Se invece di perdere tempo a scaricare applicazione mediche di dubbia utilità scaricassi l'ultima versione di una qualsiasi enciclopedia sapresti che il cuore non è il centro emozionale dell'essere umano. Sono semplici reazioni chimiche del cervello che provocano quelle che gli umani chiamano “emozioni”. Il cuore ha il compito di pompare il sangue all'interno dell'organismo. Tutto qui. -

- Tutto qui? -

Il rosso non sembrava né convinto né tanto meno persuaso, anzi, il fatto che X-07 avesse aperto quell'argomento sembrava averlo infervorato.

Era ora di mettere fine a quella patetica charade.

- Basta così, devo tornare a lavoro. -

78%, non una carica che lo soddisfaceva, ma sempre meglio che rimanere lì con quell'androide sbullonato.

Staccò il cavetto e se ne andò, senza degnarlo di uno sguardo. Qualche secondo dopo suonò la sirena che segnalava la fine della pausa pranzo. Finalmente.

 

A sera, quando la fabbrica chiuse i battenti, X-07 era quasi a corto di energia.

Aveva sprecato ogni singolo atomo di elettricità presente nella sua batteria per ignorare X-08.

Disattivando l'apparecchio uditivo per isolarsi, aveva scelto di ascoltare quella che gli umani chiamavano “musica classica”. Le composizioni di Beethoven gli erano sembrate le più adatte da ascoltare considerando che era stato un musicista sordo: anche lui, in un senso del tutto diverso, si era reso sordo per ascoltare la musica che aveva in testa.

Mandando in loop le 9 sinfonie, dalla prima all'ultima, aveva sprecato buona parte della sua batteria, ma quanto meno il rosso non l'aveva più disturbato. C'era stato un tentativo di approccio in cui i suoi occhi avevano registrato il movimento delle sue labbra super texurizzate che avevano pronunciato un flebile “Saïx?”, ma era durato poco, vedendo probabilmente che non rispondeva. Dopo di che c'era stato solo il silenzio conciliante della musica di archi e fiati.

Secondo un articolo di giornale che aveva letto sul web la musica classica rilassava i nervi, e scoprire che funzionava anche con gli androidi era quasi un conforto.

Soltanto che, adesso, X-07 ondeggiava verso l'uscita, mortalmente stanco – prendendo in prestito un'espressione umana – a causa della batteria scarica.

Ne è valsa la pena.” continuava a dirsi, ed era comunque in modalità risparmio energetico: sufficiente per tornare “a casa”.

“Casa” era il termine che veniva associato al luogo dove si torna per dormire, e anche se X-07 non poteva farlo, lo standby della carica notturna ci si avvicinava abbastanza.

Il suo proprietario era un uomo facoltoso, talmente ricco da mandare gli androidi a lavorare al suo posto.

Ovviamente, non esisteva un sindacato per i lavoratori robot, cosa che sfiorava appena il senso di giustizia di X-07: non sentendo la fatica, non avendo bisogno di nutrirsi e idratarsi, non desiderando nulla di materiale, che cosa se ne sarebbe fatto di uno stipendio?

I soldi che guadagnava andavano nelle tasche del proprietario che si occupava del suo mantenimento.

Un supervisore che lo controllava ogni due mesi, un tecnico che si occupava di sostituire le parti non funzionanti – se mai ce n'erano –, una connessione ad alta velocità alla rete, una memoria ram espandibile con aggiornamenti sempre freschi, una postazione di carica notturna che apparteneva solo a lui: non aveva bisogno d'altro, e il suo proprietario glielo forniva regolarmente.

Gli unici sistemi attivi in quel momento erano quelli che si occupavano di muovere le sue lunghe e forti gambe metalliche. Qualche tempo prima aveva avuto un problema alla rotula e gli era stata sostituita con una in una diversa lega metallica rispetto a quella di fabbrica. Non si era mai del tutto abituato ad avere due rotule diverse e a volte aveva come l'impressione che non lavorassero allo stesso ritmo, ma poteva camminare e correre, volendo, quindi non se ne lamentava.

Aveva dovuto spegnere la musica, e la visione notturna, cosa che rendeva i suoi sensi del tutto simili a quelli di un essere umano: in testa aveva solo i propri pensieri e i suoi occhi vedevano solo ciò che era illuminato. Non aveva idea di quello che si nascondeva nelle ombre.

Avere la batteria scarica, in generale, voleva dire funzionare alla metà delle proprie possibilità, e X-07 non sopportava di essere inefficiente, anche solo per l'1%.

A quell'ora gli uffici si svuotavano, gli operai delle fabbriche sciamavano fuori come api da un alveare, le strade si riempivano di umani e androidi.

La percentuale di esseri meccanici lavoratori superava di gran lunga quella umana. D'altronde, come biasimare i datori di lavoro? Gli androidi erano sempre più efficienti, sempre più precisi, sempre più autosufficienti. A parte i vecchi modelli. Come lo era lui.

Avrebbe potuto identificare i nuovi modelli con una sola rapida occhiata. Quasi tutti avevano sembianze stravaganti e, obbiettivamente, ammalianti: giovani uomini alti e slanciati con sorrisi pronti per chiunque gli rivolgesse la parola, donne formose dai lunghi capelli fluenti. Gli standard di bellezza umana sembravano essere incontentabili.

I colori delle loro chiome variavano da verde impossibile ad arancione abbagliante, sfumature che nessun essere umano avrebbe mai potuto avere in dono dalla natura. X-07 era quasi sicuro che si trattasse di un modo per distinguere l'umano dall'androide, ma era ugualmente probabile che fosse solo una scelta stilistica: lui stesso aveva capelli color zaffiro che erano stati richiesti direttamente al suo costruttore, così come lo erano stati gli occhi color oro. Ne avevano montati un paio verde all'inizio, ma a quanto sembrava non incontravano i gusti di quello che poi sarebbe diventato il suo proprietario.

Per fortuna non mancava molto a “casa”. Aveva già programmato di passare quella notte a leggere qualcosa di tedesco: sulla scia di Beethoven si era scoperto interessato alla cultura germanica. Avrebbe spento tutti i sistemi, avrebbe lasciato acceso solo l'ebook reader e la notte sarebbe volata tra un libro di filosofia e uno di psicologia. Non era niente che riguardava la sua programmazione originale e quasi si pentiva di aver sgridato X-08 per quello, ma aveva il conforto della consapevolezza che si trattava del suo tempo libero e non di una perdita di tempo sul luogo di lavoro. E poi chissà, magari avrebbe trovato il modo di far ragionare quell'androide se avesse approfondito l'argomento “cuore” anche dal punto di vista scientifico. Aggiunse il promemoria “scaricare l'Anatomia di Grey” alla lista delle cose da fare e si ritenne soddisfatto.

Gli si prospettava una lunga e proficua nottata e non poteva essere più rilassato, anche se in parte quel rilassamento era dovuto alle scarsa carica che gli era rimasta, sufficiente per tornare a “casa” ma non per occuparsi di tenere dritta la schiena e sopportare un passo marziale e rigido.

- Stanco? -

TIP: gli esseri umani sobbalzano quando vengono presi alla provvista.” apparve in alto a destra sullo schermo interno della sua retina. Fortuna che non era un essere umano allora.

Si volse lentamente e per fortuna non era in grado di rivolgere al suo molestatore una smorfia infastidita, altrimenti sicuramente non si sarebbe fatto scrupoli ad avviare l'applicazione di simulazione delle espressioni.

X-08 gli si avvicinò, baldanzoso sulle gambe spropositatamente lunghe. Non si era accorto di quanto fosse alto finché non si era ridotto ad una copia curva di se stesso. Ma la spina dorsale richiedeva il 3% di batteria che adesso non poteva dedicarle.

- Scarico. - lo corresse. Per fortuna l'apparato vocale era un spesa di energia davvero irrisoria, e poté mantenere quel saldo, piatto e profondo tono di voce che lo contraddistingueva. - Solo gli esseri umani sono “stanchi”. -

X-08 gli rivolse un'espressione che lui poté tradurre con la parola “Dettagli”.

- Stai tornando a casa? -

TIP: accesso al database 'risposte sarcastiche'?” Evitò di acconsentire l'accesso per puro bisogno di tenere disattivate le applicazioni inutili.

- Sì. -

Cercò di sottintendere che non voleva aggiungere altro e che ogni tentativo di conversazione sarebbe stato rifiutato.

TIP: livello critico di carica.”

- Come fate voi vecchi modelli senza una postazione di carica? -

Non ci fu neanche bisogno, per X-07, di essere espressivo: aveva di fabbrica un'espressione quasi incattivita, e ne era contento dato che quasi il 99% di chi gli rivolgeva la parola sentiva il bisogno di portargli rispetto in maniera automatica, umano o androide che fosse. Evidentemente quel giovane androide rientrava nell'1% di chi invece non ne era intimorito.

- C'è una batteria di riserva nel qual caso si arrivi a consumare completamente quella principale. -

Batteria che gli era stata rimossa tempo addietro durante un aggiornamento, quando il suo proprietario aveva deciso di inserirgli un processore avanzato che occupava più spazio fisico del previsto.

Bip bip bip bip bip

Stava perdendo tempo inutile.

- Facciamo la strada insieme? Io ho il turno di notte in un altro stabilimento. -

La risposta sarebbe stata, in automatico, “No”. Se solo avesse avuto la forza per sputare fuori quell'unica sillaba.

Probabilmente doveva farsi istallare una di quelle nuove microbatterie per evitare di ritrovarsi ancora in un'imbarazzante situazione come quella. Ma non ebbe il tempo di inserire il pensiero nei promemoria.

TIP: Backup effettuato, spegnimento in corso. Goodbye!”

Il suo corpo era programmato per non crollare a terra come un cencio qualsiasi anche se la batteria arrivava allo 0% e il sistema si arrestava. Per cui rimase semplicemente immobile, gli occhi spenti, gli arti bloccati, quel “no” ancora impresso negli ultimi pensieri.

 

Caricamento informazioni...

Versione del sistema operativo: 1.7.0.

Ultimo aggiornamento: istallato correttamente.

Impianto sensoriale: funzionante.

Motivo dell'arresto forzato: batteria scarica, pericolo di dispersione di informazioni.

Localizzazione GPS: effettuata.

Stabilita connessione alla rete.

Inviato messaggio di conferma del funzionamento dell'unità X-07 al server.

Stato: in carica.

Accensione...”

X-07 riaprì gli occhi battendo piano le palpebre. La pupilla nera si strinse per mettere a fuoco il mondo intorno a lui.

- No. -

Pronunciò, in risposta a qualcosa che gli era stato chiesto ore addietro, come se non fosse passato neanche un istante.

Poi lesse attentamente tutti i messaggi inviatigli dal sistema. Se avesse avuto bisogno di respirare sarebbe stato quello il momento cui avrebbe sbuffato, e se avesse potuto provare un'emozione, di certo quello sarebbe stato un sbuffo di indignazione.

Avviò il programma di riconoscimento visivo, ma non ci fu bisogno di passare con lo scanner l'ambiente in cui si trovava: lo capiva ad occhio nudo che non si trovava più in strada, né era alla sua postazione di carica a “casa”.

Era una stanza completamente estranea in cui non era mai stato prima.

Toccò con cautela il cavetto che fuoriusciva dalla sua nuca. Era collegato all'impianto elettrico. A dargli pensiero fu che c'era stato bisogno di un adattatore per fare in modo che il suo spinotto entrasse nella presa.

Era davvero così vecchio che nelle abitazioni non esistevano più prese di corrente adatte a lui?

Valutò l'idea di archiviare quel pensiero e poi tornare a rifletterci su in un altro momento. Ora come ora aveva bisogno di capire dove fosse e come ci fosse arrivato.

Socchiuse gli occhi e recuperò le informazioni della sua telecamera di sicurezza, un piccolo gioiellino con carica autonoma che si occupava di monitorare ciò che gli succedeva intorno quando il sistema si spegnava in modo anche solo lontanamente anomalo e inviava subito le immagini al server principale. Essenzialmente serviva per evitare eventuali manomissioni, e per registrare chiunque avesse provato a inserirsi nel suo sistema una volta spento.

La registrazione cominciava dal momento in cui la batteria si era scaricata lasciandolo come un pupazzo formato extralarge inerme in mezzo alla strada.

TIP: non è possibile accedere alle immagini principali per modifica o eliminazione.”

Scosse appena la testa. Questo voleva dire che non avrebbe potuto cancellare quell'episodio: il suo supervisore l'avrebbe visto, anzi, probabilmente era già a conoscenza dell'accaduto.

“Umiliante” sarebbe stato il termine appropriato. Insomma, un'unità vecchia che si spegne nel bel mezzo della strada: non poneva di certo a suo favore.

- Saïx? Ti senti bene? Saïx? -

Distorto dall'obbiettivo della piccola telecamera di sicurezza, che aveva davvero pochi megapixel rispetto alle sue pupille, il volto di X-08 apparve preoccupato come quello di un essere umano mentre si sporgeva verso di lui.

La registrazione lo mostrava mentre provava a scuoterlo, lentamente, chiamando il suo nome come se bastasse per svegliarlo.

- Ti si è scaricata la batteria? -

Chiedeva l'X-08 della registrazione, e da come le sue sopracciglia rosse erano aggrottate tra loro sembrava in attesa di una risposta che per ovvie ragioni non potevano arrivare.

Dovevano aver risparmiato molto sul chip dell'intelligenza artificiale di quell'androide.

Osservò come X-08 gli passava una mano davanti agli occhi, oscurando per un attimo l'obbiettivo della telecamera di sicurezza, per accertarsi che fosse davvero spento, dopo di che lo vide sbuffare – sbuffare, proprio sbuffare – e mettere le mani sui fianchi.

- Okay, ho capito. Non ti lascio in mezzo alla strada. -

I dieci minuti successivi furono i più umilianti della sua vita. Attraverso le registrazioni delle telecamera poté vedere come X-08 sollevava il suo corpo e se lo caricava sulle spalle, come se fosse un sacco di patate, e lo trasportava per le strade senza smettere un attimo di ciarlare, cosciente o meno che lui sarebbe venuto a sapere tutto quello che aveva detto attraverso quelle registrazioni.

La visuale era puntata sui piedi di X-08, dato che la telecamera si trovava nei suoi occhi e aveva la testa penzoloni verso il basso, e gli dava un senso di fastidio pensare di essere stato trasportato così, senza riguardo. A tratti nell'inquadratura svolazzavano ciocche blu zaffiro.

Mandò avanti velocemente le registrazione arrivando a quando X-08 era entrato in un palazzo, aveva preso l'ascensore fino al tredicesimo piano – X-07 aveva calcolato il tempo della salita, considerando che continuava ad avere visuale solo dei piedi del suo molesto partner di lavoro – ed era entrato nell'appartamento in cui probabilmente si trovava adesso. Lo vide metterlo giù, sistemargli i capelli sintetici con cura, e poi cercare il cavetto della carica.

- Ma dov'è quell'affare...? -

Lo sentì borbottare mentre metteva le sue manacce ovunque.

TIP: cercare altri sinonimi di 'disgusto?'”

Dopo aver trovato il cavetto tra i suoi capelli seguirono cinque minuti buoni di frugare compulsivo alla ricerca di un adattatore per il suo spinotto. Poi, finalmente, lo attaccò alla presa di corrente.

Il sistema non sarebbe ripartito finché non ci fosse stata carica sufficiente per sostenere il sistema d'alimentazione base, ma X-08 non sembrava saperlo e rimase qualche minuto con le braccia incrociate ad aspettare che succedesse qualcosa, squadrandolo con quegli occhi verdi che la scarsa risoluzione della telecamera aveva reso slavati.

- Ci vorrà un po', vero? Okay. Io non posso rimanere, devo andare a lavorare. Cerca di riprenderti, eh? Tornerò tra qualche ora. -

Le successive quattro ore erano una noiosa ripresa della parete che aveva di fronte. L'unico evento degno di nota fu lo svolazzare di una farfalla entrata da chissà quale finestra che aveva riempito per un minuto e cinque secondi il suo campo visivo.

Dopo di che la telecamera di sicurezza si era spenta, e il sistema si era riavviato.

X-07 riaprì gli occhi e staccò subito il cavetto dalla presa di corrente. La batteria era carica, e lui lì non poteva più starci. Era notte fonda e non era rientrato dal posto di lavoro, se il suo supervisore aveva ricevuto le registrazioni era probabile che avesse già mandato qualcuno a prenderlo, d'altronde il suo chip di localizzazione era sempre acceso, e il sistema confermava che il GPS era in funzione.

Realizzò che non era molto lontano da casa, gli bastò giusto controllare il percorso su Google Maps per essere sicuro di dove andare.

Si avviò all'uscita e proprio in quel momento la porta si aprì, rischiando di arrivargli proprio sul naso. Aveva giù un'enorme X che gli solcava viso, l'ultima cosa che voleva era che qualcuno gli rompesse anche il naso in maniera irreparabile. Per fortuna si era tirato indietro in tempo.

Si ritrovò faccia a faccia con X-08 che, pronto come ogni altro androide della sua generazione, gli rivolse un sorriso.

- Sei sveglio! -

X-07 evitò di precisargli che non era “sveglio” ma solo “acceso”, però aveva come l'impressione che l'avrebbe ignorato, come qualche ora prima aveva fatto con “stanco” al posto di “scarico”.

Si limitò ad annuire, che secondo i suoi calcoli doveva essere il metodo migliore per rispondergli senza incappare in ulteriori domande.

Ma era evidente che con X-08 2+2 non faceva 4.

- Come ti senti? Ti sei imbambolato nel bel mezzo della strada, è stato strano, sembravi un automa. -

- Come mi sento? Sembravo? Ce l'hai o no un briciolo di intelligenza, X-08? -

Si ritrovò a sbottare X-07. Ammirevole fu la capacità di refrigerare i suoi circuiti prima di lasciare che l'assurdità di quel momento li facesse crashare.

- Axel, ti ho detto che puoi chiamarmi Axel. -

Sarebbe dovuto essere umano per sentirsi esasperato dal suo comportamento, ma la versione robotica della sua esasperazione non aveva niente da invidiare a quella umana.

- Devo andare. -

- No, aspetta, rimani. -

Strinse all'improvviso le mani intorno al suo braccio e quello sì, fece scattare automaticamente l'applicazione delle espressioni: probabilmente per la prima volta da quando lavoravano insieme – un mese? Forse – gli mostrò come appariva il suo viso quando le sopracciglia si inarcavano per simulare sorpresa e le labbra si stringevano l'una all'altra per formare una linea retta di indignazione.

- Non toccarmi. -

Si divincolò tanto aggressivamente dalla sua presa che per un attimo i ricettori del dolore si accesero per inviargli un fastidioso segnale.

Il dolore lo conosceva bene, il dolore fisico almeno. Era necessario per evitare di danneggiarsi senza accorgersene, soprattutto per lui che lavorava in un posto pieno di oggetti taglienti e appuntiti potenzialmente pericolosi. Era forse la prima e unica sensazione che fosse in grado di provare.

- Mi dispiace, Saïx. Non volevo. -

Non riuscì neanche a dirgli che non voleva essere chiamato da lui col suo nome.

TIP: senso di colpa, attivare simulatore di empatia?”

Certo che no, non avrebbe permesso al suo stupido sistema di fargli provare dispiacere per X-08, nonostante il suo viso fosse così espressivo e umano da confondere il suo dispositivo di riconoscimento facciale.

Era l'androide più verosimile che avesse mai visto.

Gli bastò concentrarsi sul suo petto, sull'assenza di un battito cardiaco, per convincere i controlli remoti che era davanti ad una macchina e non davanti ad un essere umano.

- Devo andare. -

Ribadì, e stavolta fu certo che X-08 non l'avrebbe fermato. Infatti si mise subito da parte mentre raggiungeva l'uscita.

- Saïx. - lo chiamò all'ultimo, quando era ormai quasi fuori. X-07 si costrinse a fermarsi, ma non a voltarsi. - Davvero, chiamami Axel per favore. -

Per un attimo, X-07 ebbe l'impressione che sapesse che fino a quel momento aveva pensato a lui con il suo numero di modello e non con il suo nome. Non annuì, non lo confermò, non fece niente che gli potesse fare pensare che aveva capito o anche solo sentito quello che gli aveva detto.

Riprese a camminare, pensando che Axel che era una macchina davvero strana.

 

*

 

Non era uno spettacolo piacevole né comune quando un vecchio modello veniva portato via con la forza.

X-07 lo conosceva, erano stati immatricolati insieme e avevano passato l'uno accanto all'altro i primi giorni della loro vita meccanica.

Lo ricordava perché era fisicamente più imponente di lui, l'aveva colpito l'ampiezza del suo torace, l'enorme stazza dei muscoli delle braccia e del collo, nonché il modo preciso in cui avevano realizzato le basette nere e il pizzetto.

Un modello dall'aspetto rude fatto per il lavoro in cantiere, per sollevare e gestire pesanti carichi.

X-07 non l'aveva più visto da quel momento, salvo poi ritrovarselo alla fabbrica come montacarichi.

Non si erano mai rivolti una parola in dieci anni, sia perché lavoravano in due parti completamente diverse dello stabile, sia perché non avevano nulla da dirsi in ogni caso. Qualche volta l'aveva incrociato alle postazioni di carica e gli aveva ceduto il posto, considerandolo in qualche modo più anziano di lui e quindi bisognoso di piccoli gesti di rispetto, benché fossero praticamente stati accesi nello stesso momento e avessero quindi la stessa “età”.

Nonostante non si potesse dire che avessero un qualche tipo di rapporto – d'altronde X-07 non aveva rapporti con nessuno – vedere X-03 trascinato da due guardie robuste tanto quanto lui ma evidentemente della generazione successiva mettevano in testa a X-07 strani pensieri.

O forse non era quella vista, forse erano semplicemente le sue urla. Il modo in cui scalciava. La forza che ci metteva per cercare di scappare, ribellarsi.

Non era uno spettacolo piacevole, né comune, appunto.

Gli altri androidi rimasero con la testa bassa, concentrati sul loro lavoro.

Era inevitabile che, un giorno o l'altro, sarebbero stati sostituti. I nuovi modelli non ci pensavano, non tanto quanto lo facevano i vecchi.

Era questione di efficienza e risparmio: se un'unità non funzionava più bene o era considerata troppo arretrata per il lavoro che doveva svolgere, doveva essere cambiata con qualcosa di più avanzato.

Non erano altro che oggetti intercambiabili, e ne erano così consapevoli da non pensarci più di tanto.

- POSSO ANCORA LAVORARE, POSSO ANCORA LAVORARE! LASCIATEMI FARE! -

La voce di X-03 risuonava potente da una parte all'altra della fabbrica. Era praticamente impossibile non sentirla.

X-07 rimase concentrato sul suo lavoro, gli occhi fissi sul microchip che stava controllando.

- Perché gli fanno questo? -

Il mormorio di Axel fu così sottile che X-07 quasi non lo sentì. Continuò a tenere la testa basta e le mani occupate. Il chip era perfetto, poteva passare ad un altro.

- È una vecchia unità, la sostituiscono. -

Rispose dopo un po', senza degnarlo di particolari attenzioni.

- Ma non sembra danneggiato, perché lo fanno? -

TIP: è la prima volta che assiste ad una scena del genere, è consigliato attivare il modulo 'comprensione genitoriale' e 'gestione di un trauma'”

X-07 batté velocemente le palpebre per cancellare dalla sua retina quelle notifiche moleste non richieste. Perché il suo sistema gli aveva richiesto di attivare quei due moduli? Normalmente succedeva solo in presenza di un essere umano scosso. E Axel era solo una macchina, un androide come lo erano tutti loro.

- Ci sarà un motivo per cui lo portano via, non lo farebbero altrimenti. -

A chiunque avesse orecchie per ascoltare era chiaro che le urla di X-03 erano di disperazione, e non solo simulata. Chi l'aveva capito e lo accettava erano quelli che tenevano maggiormente la testa bassa.

- Dobbiamo andare ad aiutarlo. -

Disse tutto d'un tratto Axel. X-07 allora alzò la testa e lo guardò con le sopracciglia inarcate. Sì, aveva attivato l'applicazione di simulazione di espressioni solo a quello scopo.

- Sei impazzito? Non dobbiamo fare niente. Rimani qui e continua a lavorare. -

Ma le mani di Axel erano ormai lontane dal pezzo che stava montando e le sue gambe erano già lanciate in corsa verso X-03 e i grossi androidi che stavano cercando di portarlo via.

- Fermi! Aspettate! Dategli il tempo di dimostrare che può ancora lavorare! -

Davvero? Davvero quel moccioso di ferro e metallo con il cervello piccolo meno di un nanobyte stava andando a mettersi contro due robot enormi? Anche se il suo ultimo problema in tutta quella storia era la stazza di quegli androidi.

- Indietro unità X-08, torna al tuo lavoro, non sono affari che ti riguardano. -

Sbottò meccanicamente uno dei robot, lo sguardo di ferro mentre squadravano il giovane rosso.

X-07 lo seguì con lo sguardo e per un attimo provò l'impulso di andare a salvare quel giovane androide. Sarebbe stato un peccato se fosse andato distrutto per un motivo così stupido, no? Però represse ogni stimolo e si costrinse a tornare con gli occhi sul suo tavolo da lavoro.

- No, sono affari che mi riguardano invece. Lavoro in questa struttura e quello è un mio collega. Per quale motivo lo state portando via? -

- Indietro X-08. -

Ribadì l'androide. Era un'impressione di X-07 o il suo tono si era fatto vagamente minaccioso? Ecco che di nuovo tornò ad alzare gli occhi sul giovane partner, sicuro che sarebbe stato portato via come X-03. Che spreco.

- Non hai risposto alla mia domanda! Perché lo state portand... -

Non poté finire la frase perché il secondo androide, che era rimasto in silenzio fino a quel momento, estrasse un taser dalla cintura e colpì in pieno Axel, sulla schiena. La scarica elettrica, mortale per un essere umano, causava in un androide un arresto forzato del sistema e un riavvio in modalità provvisoria che era l'equivalente umano di un brutto post sbornia.

A quel punto X-07 non poté che alzarsi. A differenza dei vecchi modelli, il corpo di Axel non rimaneva rigido dopo uno spegnimento improvviso in modo da fargli mantenere una posizione eretta, era programmato per crollare a terra proprio come se fosse stato un corpo umano.

Ci fu un sordo tonf quando toccò terra, un suono metallico e fastidioso che zittì le urla di X-03.

X-07 lo raggiunse, la guardia androide stava già per chiamare i tecnici.

- È il mio partner, ci penso io. -

Disse, vagamente, mentre lo sollevava tra le braccia. Solo in maniera marginale pensò che era curioso come i ruoli si fossero invertiti, anche se avrebbe preferito non essere costretto a trascinarsi per tutta la fabbrica quell'affare, nonostante fosse davvero leggero. Probabilmente era grazie ai nuovi materiali con cui costruivano quei modelli.

Le guardie robot non dissero nulla né sembrarono molto interessati alla cosa, tornarono a trascinare X-03 come fosse un peso morto. Solo che lui aveva smesso di dibattersi e i suoi occhi, viola come ametiste, erano puntati su X-07.

Solo per un istante lui ebbe l'impressione che volesse metterlo in guardia. Ma da cosa?

 

C'era un'infermeria nell'impianto, anche se, considerando che la percentuale di androidi era superiore a quella umana, sembrava più un'officina.

Quando X-07 entrò non c'era nessuno, né umano né meccanico. Si guardò intorno con aria critica e forse gli venne fuori una smorfia frustrata.

Se fosse stato un essere umano ad avere bisogno di aiuto?

Depositò Axel su un lettino senza troppo garbo, sperando che al suo risveglio lo vedesse nelle registrazioni della sua telecamera di sicurezza. Magari l'avrebbe aiutato a capire quanto era stato stupido e quanto l'aveva indispettito.

Privo di sensi, con gli occhi chiusi e gli arti penzoloni, Axel somigliava in tutto e per tutto ad un ragazzo umano. X-07 non gli avrebbe dato più di ventitré anni. Se solo non fosse stato per il fatto che nel suo petto non c'era un cuore e che il suo diaframma non si alzava e non si abbassava per assecondare la respirazione, X-07 sarebbe stato costretto dal suo sistema a cercare di rianimarlo.

Non poteva sottrarsi alle leggi della robotica.

Benché non avesse bisogno di stare seduto, prese comunque una sedia e si accomodò accanto al lettino su cui era sdraiato Axel.

Sentiva di dover rimanere lì a controllarlo, casomai si svegliasse e andasse a fare qualche altra stupidaggine.

Era costato un sacco di soldi all'azienda, non poteva permettere che venisse smantellato dopo così poco tempo di attività.

TIP: rilevato un malfuzionamento, il sistema sta ingannando se stesso, terminare l'applicazione?”

X-07 scrollò la testa e il messaggio in sovrimpressione sulla sua retina scomparve così com'era apparso.

Incrociò le braccia al petto e poggiò la schiena contro la sedia, gli occhi dorati che continuavano a scrutare il viso di Axel in cerca di una traccia di movimento.

Ancora una volta trovò assurdo il modo in cui era dettagliata ogni singola parte del suo viso, dalle ciglia, fitte e nere, che avrebbe potuto contare ad una ad una, alla curva del naso che sembrava modellata con lo scalpello.

Assurdo, chi ci aveva lavorato doveva aver passato ore ed ore ad occuparsi del viso. Chissà se anche altre parti del suo corpo erano così dettagliate.

Lo sguardo gli scivolò, senza malizia alcuna, lungo il collo bianco di Axel, sul petto, sull'addome e...

Riaprì gli occhi di scatto e si mise su a sedere emettendo uno strano versetto strozzato.

Fu interessante vedere come si passò una mano sul volto e poi sui capelli e vederlo apparire così...scioccato e confuso. Lo rendeva ancora più simile ad una persona vera.

Complimenti a chi l'aveva progettato.

Si volse verso di lui con un broncio molto infantile.

- Mi hanno fulminato. -

- Sei intelligente. -

E lui aveva lasciato che il suo sistema accedesse al database delle risposte sarcastiche.

Axel mugugnò qualcosa e socchiuse gli occhi, forse per analizzare con calma i dati della telecamera di sicurezza.

- Grazie. -

Disse, non appena ebbe finito, con un mezzo sorriso.

- Era mio dovere portarti in infermeria. -

- No. - Axel scosse di nuovo la testa - Intendo...grazie per esserti messo in mezzo dopo che mi hanno colpito. Chissà dove mi avrebbero portato se non fosse stato per te. - si passò le mani sulle braccia. Paura? Probabilmente era quello che il suo viso doveva simulare. - Non voglio che i tecnici mi...smantellino. -

X-07 rimase in silenzio pensando a cosa significasse per lui la parola “smantellare”. Sapeva che, prima o poi, sarebbe successo, non era qualcosa che poteva evitare o aggirare o ignorare: era una tappa necessaria della sua esistenza. Era stato costruito per essere poi un giorno smantellato, semplice.

Però per Axel sembrava qualcosa di più, qualcosa che contraeva il suo viso troppo reale in una smorfia umana.

- Sai come si chiama X-03? -

Chiese il rosso, e X-07 non pensò neanche a non dargli la risposta.

- Xaldin. -

- Pensi che... - tentennò appena ma poi continuò, gli occhi verde smeraldo fissi nei suoi dorati - Pensi che Xaldin si meritasse quel trattamento? Pensi che davvero non fosse più in grado di lavorare? -

X-07 valutò l'idea di mentirgli perché la sua CPU stava surriscaldandosi e non poteva avviare le applicazioni necessarie, e soprattutto perché lui aveva l'espressione di un cucciolo umano che voleva essere confortato, e non si nega il conforto ad un cucciolo umano.

Poi la sua incapacità di mentire lo sopraffece.

- Ha sicuramente subito molti danni durante questi anni, ma non credo che fosse da mandare allo sfascio. -

- Lo sospettavo. - mormorò Axel, lo sguardo basso - Succederà anche a te, Saïx? -

Lui dovette trattenersi, ancora una volta, ad alzare gli occhi al cielo. Mal tollerava che lo chiamasse con il suo nome.

- Quando sarà il momento, sì. -

- E quando sarà il momento? -

- Axel. - si costrinse ad usare il suo nome perché era quasi sicuro che avrebbe avuto più presa su di lui - Non lo so. Quando l'azienda avrà i soldi per comprare un modello più nuovo, qualcuno come te. -

- Come me? Perché dovrebbero sostituirti con uno come me? -

- Perché sei più umano. - rispose, senza avere il bisogno di pensarci - Lavorano ogni istante delle loro vite per creare qualcosa di artificiale che pure gli somigli, e tu sei la cosa che più si avvicina ai loro standard. Tu, voi, la vostra nuova generazione. -

- Tu non hai niente che non va, non è giusto che tu venga smantellato. -

Le sue labbra non erano abituate a sorridere, benché ne fosse in grado grazie alla sua applicazione, per questo quello che gli venne fuori fu una sorta di smorfia non proprio rassicurante.

- Sei ancora troppo giovane, non sai come funziona questo mondo. Torniamo a lavoro. -

Probabilmente avrebbe avuto qualcos'altro da chiedergli, Axel non sembrava essere in grado di tenere la bocca chiusa, ma Saïx gli volse le spalle ed uscì dall'infermeria, pensando per la prima volta a se stesso con il nome che gli avevano dato, e non come ad un numero.

 

*

 

La mattina successiva quando Saïx riaprì gli occhi dopo la lunga notte di carica, il suo primo pensiero cosciente andò, per qualche ragione, a X-03, anzi, a Xaldin.

Pensando e ripensando alle sue condizioni fisiche appurò che non c'era alcun motivo logico per smantellarlo.

In mezzo ai suoi file, dopo aver spulciato giga e giga di informazioni, aveva trovato un filmato risalente ai primi anni di lavoro in fabbrica, quando ancora perdeva tempo – e memoria – a registrare tutto quello che viveva giornalmente per poi analizzarlo la notte durante la carica. Era successo prima dell'incidente che aveva sfregiato il suo volto, quindi la sua accensione era piuttosto recente.

Xaldin, sollevando un carico di vecchi pezzi di scarto, aveva subito un danno ad una caviglia che gli era costata la sostituzione di tutto il piede. Nel video, Saïx assistette alla stessa scena del giorno prima: due grosse guardie avevano preso di peso Xaldin e l'avevano portato via. Lui non aveva obbiettato, non si era difeso, non aveva detto una sola parola.

Che cosa era cambiato da quel giorno?

Mentre ci rifletteva, senza trovare risposta, staccò il cavetto dall'alimentazione e si preparò per la giornata.

Che cosa era cambiato?

Pettinò con attenzione i capelli di zaffiro. Erano sintetici e tendevano a incresparsi e attorcigliarsi visto che il suo costruttore li aveva voluti lunghi.

Che cosa era cambiato?

Controllò che la divisa nera della fabbrica fosse perfettamente stirata: l'apparenza era tutto, e anche il minimo dettaglio era importante.

Che cosa era cambiato?

TIP: surriscaldamento della CPU, arresto del sistema?”

No, lasciò semplicemente perdere il pensiero e terminò tutte le applicazioni inutili.

Non era cambiato niente, e anche se fosse cambiato, lui non ne sapeva niente. E non voleva saperne niente.

 

C'era una cosa che saltava all'occhio – dato che mancava la sua molestia, la sua esplosione di capelli rossi, il suo “Buongiorno!” offerto con un sorriso così come gli esseri umani offrivano il caffè con il cornetto la mattina – ed era la presenza di Axel.

C'era un vuoto alla loro postazione che si riempiva tutto con un silenzio quasi desolante.

Saïx si guardò attorno, indeciso, e controllò l'orario in basso a destra sullo schermo interno dell'iride.

08:00, non era troppo presto, anzi, era quasi troppo tardi.

Perché Axel non era lì?

Finché non sistemò le sue cose fece finta di non pensarci, di non preoccuparsene troppo. Sarebbe arrivato, non poteva mancare.

Ma poi dalle 08:00 si fecero le 08:15, e le 08:15 diventarono le 08:30 e poi le 08:45.

C'erano solo due spiegazioni plausibili: o Axel era in ritardo o non sarebbe venuto affatto.

Non poté che lanciare uno sguardo alla posto accanto a lui, a come gli hard disk che normalmente Axel montava cominciavano ad accumularsi, in modo indegno avrebbe aggiunto. Quando sarebbe arrivato avrebbe dovuto fare le ore piccole per portarsi in pari con il lavoro.

Poi vide un androide avvicinarsi con passo marziale, l'espressione tipica in volto di chi ha ricevuto un compito e deve portarlo a termine.

Si sistemò accanto a lui e cominciò a fare il lavoro di Axel.

Cominciò a fare il lavoro di Axel.

Il lavoro di Axel.

Axel.

Un allarme trillò nella testa di Saïx e provò a sopprimerlo con tutte le sue forze, senza riuscirci.

- Posso chiedere il motivo della tua presenza? -

Gli disse, con il solito tono privo di interesse, piatto e pratico.

L'androide non gli rivolse neanche uno sguardo, continuò meccanicamente nel suo lavoro per quelli che sembrarono interminabili minuti in cui Saïx poté trovare un nuovo significato alla parola “indignazione”. E anche all'espressione “sentire la mancanza di”.

- Sostituzione, l'unità X-08 è stata mandata in assistenza tecnica questa mattina. -

- Assistenza tecnica? -

L'androide alzò il capo dal tavolo e voltò piano gli occhi su Saïx, squadrandolo con una vaga non-espressione che era tutto il contrario degli strani, reali sorrisi di Axel.

- Assistenza tecnica: il complesso dei servizi, consigli e opere che fabbricanti di macchine e apparecchi, concessionari di vendita, gestori di servizi, ecc., forniscono ai loro utenti e clienti perché questi operino con maggiore efficienza e sicurezza. -

Sciorinò, con una pronuncia perfetta, con un accento perfetto, dopo aver effettuato l'accesso al suo vocabolario interno.

- So cosa vuol dire “assistenza tecnica”. - si ritrovò a rispondere Saïx, con gli occhi appena appena sgranati e le sopracciglia sollevate in un'espressione incredula - Non era quello che volevo sapere. Perché è stato mandato in assistenza tecnica? -

- Mi dispiace se la risposta non è stata soddisfacente, ma la domanda è stata posta in modo scorretto. -

Stupide vecchie macchine con stupidi vecchi sistemi di personalità simulata.

Ma in fondo non era anche lui una stupida vecchia macchina?

Scosse la testa.

- Potrei sapere perché è stato mandato in assistenza tecnica? -

Provò, chiedendolo con tale pacatezza che non si sarebbe detto che la sua CPU stava rischiando l'implosione a causa del surriscaldamento.

- Non posseggo queste informazioni. -

Non aggiunse altro, tornò con la testa al suo lavoro, come se non ci fosse niente al mondo di più importante. In un altro momento, Saïx l'avrebbe pensata allo stesso modo. Ma non adesso.

 

Dovette aspettare la pausa pranzo per poter lasciare la sua postazione per andare a cercare Axel, anche se continuava a ripetersi che stava solo accertandosi di quelle informazioni mancanti e che non aveva niente a che vedere con Axel.

Il bip bip della lucetta blu che vedeva lampeggiare agli angoli del suo campo visivo la pensava diversamente.

Non riusciva a smettere di pensare a Xaldin, al modo in cui era stato trascinato via, e a come Axel era intervenuto per cercare di fermali.

Che c'entrasse qualcosa?

Accanto all'infermeria c'era un piccolo laboratorio, niente più che un paio di stanze con schermi e tastiere addossati ad una parete e lettini adatti agli androidi. Normalmente, i robot venivano mandati in assistenza tecnica in una di quelle due stanze.

Non si stupì quando, attraverso il vetro che dava in una delle stanze, vide Axel sdraiato su un lettino.

Non sembrava neanche lui collegato a tutti quei cavetti, con indosso un camice bianco, con i capelli rossi domati e legati in una coda bassa, con gli occhi spalancati nel vuoto in cui non si scorgevano le iridi verdi ma solo una serie di numeri che scorrevano velocissimi l'uno dietro l'altro. Sembrava una macchina.

Stava quasi per entrare quando sentì i passi umani dei tecnici. Non era difficile distinguerli da quelli robotici, più pesanti e calcolati, i loro erano frettolosi, lasciati quasi al caso, come se fossero ancora cuccioli non in grado di reggersi sulle zampe.

Fece in fretta a nascondersi dietro l'angolo, prima che i due tecnici arrivassero a scoprirlo.

- Hai sentito che cosa è successo ieri? Con l'unità X-03? -

Cominciò uno. Teneva in mano un sandwich e una tazza di caffè. Erano ancora in pausa pranzo.

- No, non ero di turno ieri. Raccontami! -

Gli umani e i pettegolezzi: Saïx ringraziò la loro brutta abitudine di scambiarsi informazioni in maniera non sicura ovunque si trovassero.

- Ha dato di matto all'improvviso. Qualche tempo fa gli è stato istallato un nuovo chip di personalità, uno di un modello più avanzato al suo, perché era ancora fisicamente buono ma la sua interfaccia emozionale era terribile. -

- Che modello? -

- Ah, uno di quelli nuovi! Da X-08 in poi. Insomma, ha cominciato a fare strane domande in giro, inquietava i dipendenti, così hanno deciso di mandarlo allo sfascio, probabilmente il suo sistema non era compatibile con il nuovo chip e ha fatto impazzire la CPU. Lo stavano portando via e proprio quell'unità X-08 - Saïx osservò attentamente come la mano del tecnico si puntò su Axel, come a volerlo chiamare in causa - ha cercato di fermare le guardie e s'è beccato una scarica di taser. -

- Wow. -

Commentò solo l'altro, con la bocca spalancata. Si stava sicuramente chiedendo come mai cose del genere succedevano quando lui non era a lavoro.

- Già! Per questo stamattina appena è arrivata hanno deciso di mandarla subito in assistenza. Pare che questi nuovi modelli siano difettosi, tutti quanti, in ogni loro parte. Ho sentito che altre strutture che avevano acquistato una X-08, ma anche delle X-13 e X-14, sono incappate in problemi simili e alla fine hanno dovuto rottamarle. -

- Ma...costano un sacco di soldi! Che spreco! -

- Vero? L'ho pensato anch'io! Però costa meno che continuare a tenerle malfunzionanti in fabbrica. -

- Pensi che la nostra X-08 farà la stessa fine? -

- Non lo so, sto ancora scaricando i file dal database. Mi hanno detto al massimo di fare un backup della memoria e di resettare tutto. -

- Queste macchine, eh? È come quel film, come si chiamava? “Le macchine ribelli”? -

- Mi sembra di sì! -

I due tecnici risero, Saïx non capì per cosa, ma risero.

Che cosa c'era da ridere mentre parlavano di distruggere Axel?

Saïx li ascoltò parlare di niente – anche se logicamente parlando non poteva accettare che qualcuno parlasse senza dire niente – per dieci, lunghi, frustranti minuti, finché non lasciarono il corridoio e lui poté entrare nella stanza di Axel.

Non sapeva perché, ma sentiva la necessità di controllare che stesse bene.

Cercò di non fare alcun rumore mentre si chiudeva la porta alle spalle e andò a controllare subito i dati che la stampante sputava fuori al ritmo di una musica che solo le macchine potevano apprezzare.

I suoi occhi d'oro percorsero velocemente le fitte righe alla ricerca di qualcosa, ma non sapeva neanche lui che aspetto dovesse avere questo qualcosa.

Poi lo trovò, trovò il suo qualcosa. Cominciava dove i valori sballavano e salivano verso l'alto in picchi di insopportabile intensità, in corrispondenza della domanda che il sistema centrale aveva posto a se stesso e poi anche ad altri: Ti sei mai chiesto come sarebbe avere un cuore?

 

Ecco cos'era cambiato in Xaldin. Ad un certo punto della sua esistenza meccanica gli era stato istallato un chip di personalità di un modello più avanzato.

Saïx non ebbe bisogno di fare alcuna ricerca per capire che non poteva essere stato quello a farlo impazzire: di per sé, anche a lui erano stati montati chip di generazioni più avanzate. La sua scheda audio lo era, e anche quella video, e non erano mai entrate in contrasto con la sua CPU.

Nonostante fosse tornato al suo lavoro e le sue mani continuassero a fare quello che era stato progettato per fare, una parte del suo cervello continuava a pensare a quella storia.

Digitò su Google “Malfuzionamenti di unità X-08, X-13, X-14” e saltarono fuori più di un migliaio di risultati.

Unità X-013 che si erano ribellate.

Unità X-14 che erano andate contro le leggi della robotica salvaguardando se stesse invece che un essere umano.

Unità X-08 che provavano emozioni.

Poi un pop-up riempì il suo campo visivo. Era una pubblicità relativa proprio ai nuovi modelli di androidi. Cliccò play e se avesse potuto avrebbe trattenuto il fiato: nel video c'era Axel, o meglio, tutta la generazione di unità X-08, stockate l'una accanto all'altra in scatole argentate mentre un umano, fissando nella telecamera, ne tesseva le lodi.

Acquistando un'unità X-08 la vostra concezione di androide cambierà per sempre! Perché? Perché queste unità sono state pensare per essere in grado di provare emozioni, empatia, ed esprimersi con espressioni mai viste prima!” l'umano si avvicinò ad un'unità X-08 accesa, seduta su una poltrona con le mani appoggiate in grembo, educatamente, i capelli rossi più corti di quelli di Axel, tagliati a spazzola “Ciao Lea, come va oggi?”

Molto bene, grazie.” rispose cordialmente quell'unità, con un sorriso che tutto sembrava tranne che programmato.

E dimmi, come ti senti?” continuò l'umano, rivolgendo un'occhiata divertita alla telecamera.

Felice!” rispose cristallino l'androide, sottolineando quella parola con un altro sorriso.

E perché ti senti felice?”

Perché sono vivo.”

L'umano occhieggiò ancora alla telecamera come a dire “avete sentito tutti?”, poi riservò una pacca sulla spalla a X-08 e continuò il suo tour tra le scatole di androidi ancora da attivare.

Le unità X-08 sono personalizzabili fino all'ultimo dettaglio, oppure potete scegliere un modello standard. Ognuna di queste unità potrà fornirvi esperienze più che umane, quindi...acquistatele subito!”

La pubblicità finiva con l'umano che rivolgeva un grande sorriso alla telecamera.

Subito dopo, Saïx trovò il link ad un articolo di giornale che aveva come titolo: “Androidi: sono pericolosi?” . Riproponevano la pubblicità che aveva appena guardata, soffermandosi sull'assurdità di ciò che aveva detto quell'unità X-08. Un androide non poteva provare felicità.

Confuso più di prima, con la ram che straripava di cookies non desiderati a causa della scarsa attenzione che aveva posto mentre navigava in rete, Saïx scosse la testa e chiuse tutte le finestre. Lasciò che Clean Master si occupasse di svuotare la cache mentre rifletteva.

Perché avevano creato una serie di androidi in grado di provare emozioni per poi sentirsene minacciati?

Era tutto così assurdo che non riusciva a trovarci un senso e...

E una mano gli si poggiò sulla spalla. Se fosse stato umano sarebbe saltato su per lo spavento, ma si limitò a voltare lo sguardo.

- Axel? -

Il rosso gli rivolse un sorrisetto soddisfatto, infantile e birbante come potrebbe essere quello di un bambino.

- Chi credevi che fossi? Un fantasma? -

All'improvviso Saïx si pentì di essersi interessato tanto di lui. Già riteneva insopportabile la sua espressione, il suo atteggiamento, la sua postura. Tutto.

- Mi avevano detto che eri in assistenza tecnica. -

Rispose, piatto, Saïx. Anche se dentro la sua testa continuavano a girare in loop le informazioni che aveva trovato, non poteva lasciare che lo influenzassero.

- Sì, mi hanno lasciato uscire ora. Non hanno trovato niente di strano. -

TIP: sta mentendo!”

Gli androidi possono mentire?

Per qualche ragione quel pensiero lo fece sentire a disagio.

- Allora torna a lavoro, stai perdendo tempo. -

- E tu perdi colpi, non hai visto che ore sono? -

No, in effetti non si era reso conto dell'orario. Gli bastò solo prestare attenzione allo schermo sulla retina: 20:30.

La giornata era finita e neanche se n'era accorto. Aveva perso così tanto tempo nelle sue ricerche?

Si preoccupò di quello che aveva prodotto durante la giornata. E se avesse garantito la qualità di un prodotto che invece era da buttare?

Mise in promemoria di controllare lo stock il giorno dopo.

Axel emise uno strano suono, scuotendo la testa. Prima di capire che quella era una risatina Saïx dovette concentrare tutta la sua attenzione su di lui.

- Cosa c'è da ridere? -

- Nulla. - scosse la testa il rosso. Interessante fu il modo in cui i suoi capelli seguirono il movimento, eleganti e leggeri. - Facciamo la strada insieme? Sai, non vorrei che ti imbambolassi di nuovo come l'ultima volta, è meglio che qualcuno ti accompagni. -

89%, la carica era sufficiente perché non succedesse, e trovò piuttosto fastidioso e arrogante il modo in cui lo guardò come se fosse scontato che si fosse ripetuto quell'episodio imbarazzante e spiacevole.

- Non ho bisogno che mi accompagni, sono perfettamente in grado di... -

Dall'espressione di Axel capì che erano inutile muovere una qualsiasi lamentela, per questo si permise di alzare gli occhi al cielo e annuì, dopo essersi pentito di essersi dato tanto da fare per lui.

 

- Saïx, posso chiederti una cosa? -

Casomai non avesse parlato per tutto il tempo, ricevendo solo qualche monosillabo in risposta. Sentiva quasi il bisogno di riempirsi la testa di musica e ignorarlo come aveva fatto qualche giorno prima. Ma gli rivolse, invece, una breve occhiata attenta.

- Dimmi. -

- Tu provi mai paura? -

Bip bip bip bip.

Saïx dovette sbattere le palpebre più volte per metabolizzare la domanda che gli era stata porta. Adesso puntò gli occhi sul rosso sollevando un solo sopracciglio.

- No, non posso provare paura. -

Ed era la pura e semplice verità.

Axel abbassò lo sguardo, come se l'alternarsi quasi naturale di gamba destra e gamba sinistra potesse confortarlo.

- Quando stamattina mi hanno detto che dovevo andare in assistenza ho avuto paura. - continuò, gli occhi verdi sempre fissi sui propri piedi - Perché mi hanno reso in grado di provare paura? A cosa serve? -

- Non lo so. - di nuovo, era pura e semplice verità. Non lo sapeva davvero, forse non l'avrebbe capito neanche se avesse potuto provarlo sulla sua pelle. - A nulla. La paura non serve a nulla. -

Axel scosse la testa, l'espressione turbata di chi non comprende.

- E allora? Perché? Perché posso provare paura pur non avendo un cuore? -

- Non è quello che fa provare emozioni, te l'ho già detto. -

- Sì. - sospirò il rosso con una smorfia di disapprovazione - Hai detto che è il cervello, che sono reazioni chimiche. Ma io non ho un cervello che possa causare reazioni chimiche. Quindi? -

- T hanno programmato per poterle provare, è un chip dentro la tua testa. -

- Allora perché vogliono smantellarmi? -

Saïx dovette fermarsi. Per un attimo fu come se qualcuno avesse bloccato le sue gambe da dentro, e dovette aggirare la CPU per sbloccare le giunture. Faticosamente riuscì a raggiungere Axel che sembrò non essersi accorto di nulla.

- Dove l'hai sentito? -

- Mentre ero in assistenza...dopo che te ne sei andato. - quindi l'aveva sentito, non era del tutto incosciente. “TIP: vergogna.” - Sono entrati dei tecnici...parlavano tra loro, dicevano che i miei valori erano strani e che avrebbero dovuto approfondire le ricerche. Sono convinti che non durerò un altro mese. Ho paura che vogliano smantellarmi. -

- Smettila. - disse, secco, Saïx, fermandosi di botto e stavolta per sua volontà. Axel lo guardò come a chiedergli che cosa stesse facendo. - Smettila di dire e pensare queste cose, e non ti smantelleranno. -

- Ma non capisco... -

- Non devi capire. Devi solo lavorare. -

- Non ci riesco, non riesco a lavorare e basta. -

- Allora ti smantelleranno, è questo che vuoi? -

- Io voglio un cuore. -
Qualsiasi cosa Saïx avrebbe voluto dire rimase incastrata in gola; il suo apparato vocale era andato in tilt di certo, altrimenti non si spiegava il continuo bip bip bip bip bip di una sirena dentro la sua testa.

- Cosa...cosa stai dicendo. -

Riuscì a tirare fuori in qualche modo Saïx, impegnandosi a fondo in modo che la lingua gli si sbloccasse e articolasse correttamente le parole. All'improvviso tutti gli articoli di giornale che aveva letto sulle unità X-08 gli tornarono in mente insieme con uno sfondo rosso che voleva dire “pericolo”. Se ne sentì quasi sopraffatto.

Axel gli rivolse solo un sorriso, un piccolo, affranto sorriso, e Saïx per la prima volta poté scorgere negli occhi di un androide quello che non aveva mai visto prima: una paura che stento riusciva a comprendere.

Poi scosse la testa e riprese a camminare, lo sguardo ora più alto, come se guardasse lontano, a qualcosa che non poteva raggiungerlo.

Per riattivare il suo impianto motorio Saïx dovette usare tutta la concentrazione di cui era capace: i controlli remoti avevano bloccato il sistema in modo che neanche lui potesse attivarlo da dentro. Un crash di dimensioni epiche che gli costò uno sforzo enorme.

Ma alla fine, a dispetto delle sue articolazioni bloccate, riuscì a tornare a camminare e raggiungere Axel, benché il suo passo fosse più rigido che mai.

- Perché? Perché è così importante per te? -

Riuscì a dirgli, con una curiosità seppellita a regola d'arte da tonnellate di finto e artificiale disinteresse.

Ma una parte del suo sistema fremeva di elettricità, solleticato e stimolato dal desiderio di ottenere una risposta.

- Che cosa succede quando si muore? -

Chiese ancora Axel, senza rispondere alla sua domanda, lo sguardo sempre fisso su quel punto lontano che sembrava essere la sua direzione ultima.

Saïx dovette battere le palpebre per reprimere la serie di informazioni inviatigli dalla rete che riguardavano la morte.

- Niente, è la fine di tutto. -

- Gli esseri umani credono che ci sia qualcosa dopo la morte. -

- Noi non siamo esseri umani. -

Stavolta toccò ad Axel fermarsi, immobile per un attimo, come se stesse riflettendo. Il programma di riconoscimento facciale di Saïx catalogò la sua espressione come “amara”, ma non riuscì a capire perché.

- Cosa credi che succeda agli androidi smantellati? -

- Non me lo sono mai chiesto. -

Ancora una volta era una risposta sincera, che scatenò una guerra alla ricerca della risposta all'interno del web. Cosa succede agli androidi smantellati? Perché su internet non trovava nulla a riguardo?

E perché era diventato così necessario saperlo?

- Sei arrivato. Buona ricarica. -

Saïx sollevò lo sguardo, fino a quel momento incollato a Saïx, e si ritrovò davanti all'entrata di “casa”.

Non doveva essere stato difficile per Axel reperire l'indirizzo sul web, d'altronde appariva nel suo portfolio online nel qual caso fosse stato smarrito, e da qualche parte addosso lo aveva stampato a fuoco nel silicone morbido che era la sua pelle.

- Ci vediamo domani? -

Saïx non seppe perché e da dove fosse venuta fuori quella domanda, e nonostante il tono pacato, piatto che aveva usato, c'era qualcosa che turbava il suo sistema e impregnava ogni parola.

- Certo. -

TIP: sta mentendo.”

Ma non gli chiese niente. Lo osservò allontanarsi, gli occhi dorati fissi sulla sua schiena, sul movimento ondeggiante dei suoi capelli rossi, luminosi nonostante il cielo fosse buio, sul modo in cui, con la mano come un bambino, lo salutò mentre se ne andava.

E per una volta sperò che il suo segnalatore di menzogne fosse rotto.

 

*

 

Cuore.

Paura.

Vita.

Morte.

Per comprendere concetti astratti come quelli avrebbe avuto bisogno di una più alta consapevolezza di se stesso.

Invece di sé che cosa sapeva?

Il suo numero di matricola, 07XIIIS2002.

Il suo numero di modello, X-07.

La quantità di applicazioni funzionanti all'interno del suo sistema, 17813.

La quantità memoria libera nella RAM, 6 tera.

E se si fosse concentrato avrebbe potuto sapere anche da quanti chip e microchip era composto il suo cervello meccanico, da quanti pixel erano composte le sue iridi, persino quanti capelli di zaffiro erano stati impiantati nella sua cute.

Tutto, poteva sapere tutto di se stesso. Ma era come se non sapesse niente.

Dal punto di vista umano – benché non fosse abituato a pensare dal punto di vista umano – era ancora un bambino.

Era acceso solo da dieci anni, dieci anni e il suo corpo ne dimostrava più del doppio. Dieci anni, come tanti di quei cuccioli umani che vedeva correre e schiamazzare per le strade la mattina quando andava a lavoro.

Dieci anni, e probabilmente loro ne sapevano di se stessi più di quanto lui potesse mai sperare di saperne.

Sì, aveva l'illimitata conoscenza della rete, l'illimitato accesso ad informazioni che si presentavano a lui solo battendo le palpebre. Ma stentava a comprendere la maggior parte di quei dati.

Che senso aveva la conoscenza senza la comprensione?

Cominciava a chiederselo, ma non capiva perché. Probabilmente perché gli serviva un cuore per raggiungere la risposta.

“Cuore” poi non era neanche la parola corretta. Quelle cinque lettere condensavano insieme un'infinità di concetti che non si escludevano a vicenda, rendendo impossibile il concentrarsi su uno alla volta.

Oltre ad un cuore, gli serviva un'anima, gli serviva essere umano.

Ti sei mai chiesto come sarebbe avere un cuore?”

Fisicamente parlando, avere un cuore sarebbe rumoroso. Rumore nella diastole, rumore nella sistole, rumore per ogni singolo battito, rumore per il furioso pompare del sangue nelle vene. Rumore di vita.

Un cuore senza sistema circolatorio non sarebbe servito a niente, come una porta che da su un muro, per cui avrebbe avuto bisogno anche di altre cose come polmoni, reni, fegato, stomaco, intestino, tutti organi che avrebbero riempito lo spazio vuoto del suo addome.

E dopo un cuore, un sistema circolatorio e degli organi in cui far scorrere il sangue, avrebbe avuto bisogno della vita, perché un ammasso di carne, organi e sangue rimaneva tale senza vita.

Così tornava al punto di partenza. Non poteva analizzare quel concetto in modo logico, incastrarlo tra muri di solido ragionamento perché, alla stregua di un fiume che rompe gli argini, trovava modo di sfuggire alla sua comprensione.

Che cos'era la vita? Quando si poteva considerare vita? Bastava solo aprire gli occhi, muoversi e parlare per essere vivi?

Bastava avere una coscienza?

E lui ne aveva una?

Essere dotato di un'intelligenza artificiale lo rendeva diverso da un tostapane o un frigorifero?

In un senso stretto del termine non era altro che un elettrodomestico in grado di badare a se stesso, non più di un computer semovente con il raziocinio necessario per svolgere un lavoro.

Cosa aveva di diverso da quei giocattoli creati per interagire con i bambini?

Paura.

Avrebbe dovuto avere un cuore ed essere vivo per avere paura.

Paura che la sua esistenza fittizia venisse stroncata sul nascere, paura di essere un errore di programmazione, paura di non essere all'altezza delle aspettative di chi era stato creato, paura di venire un giorno distrutto.

Distrutto.

Perché, a dispetto della sua minuziosa programmazione, aveva desiderato, o pensato di desiderare, un cuore, una vita e provare paura.

Distrutto.

Perché certi desideri e certi pensieri non erano fatti per appartenergli.

Morto.

Un essere con un cuore, vivo, che prova paura, non può essere distrutto.

Il termine corretto era “morto”.

Anche per pensare a se stesso come morto e non come distrutto implicava una maggiore consapevolezza della sua esistenza. Consapevolezza che non aveva.

Per quanto si impegnasse, per quanto cercasse e scavasse e frugasse nella rete, nel suo cervello, nel profondo della sua programmazione, trovava sempre un muro contro cui non poteva nulla.

Gli mancava qualcosa per poter superare quel muro, qualcosa che lui non aveva, qualcosa di cui non era stato dotato e che non poteva sviluppare da solo, qualcosa che lo rendeva un essere imperfetto e incompleto. Qualcosa che Axel aveva.

Forse avrebbe potuto prenderlo da lui, forse avrebbe potuto impararlo da lui. Forse.

Per questo aveva fretta, fretta nel raggiungere la fabbrica, fretta nel percorrere quei pochi metri che lo separavano dalla sua postazione.

Per cosa lavorava, poi. Non sapeva neanche a cosa servissero tutti quei chip e quegli hard disk che era costretto a controllare ogni giorno. Non sapeva da dove arrivavano né dove andavano quando lasciavano il suo tavolo da lavoro.

All'improvviso gli sembrava così necessario saperlo.

Ci vediamo domani?”

Certo.”

Non riusciva a non pensare a quella risposta come ad una menzogna ed ogni volta che le immagini si ripresentavano i suoi sensori lampeggiavano, dolorosamente.

Ci vediamo domani?”

Certo.”

Bugia, era una bugia. Non lo accettava, tutto lui, e anche quelle parti di sé che non comprendeva, non lo accettavano.

Ci vediamo domani?”

Vuoto. Vuoto al suo posto. Vuoto negli occhi dell'androide che occupava quello che sarebbe dovuto essere lo spazio di Axel. Vuoto. E silenzio. Non una parola, non un molesto susseguirsi di parole inutili e frasi sbocconcellate tra un clangore di metallo e un altro.

Axel non era lì. Gli aveva mentito.

Una piccola parte di lui registrò un'ondata di sollievo, perché non si era sbagliato, perché i suoi sensori non erano rotti, perché aveva capito sin da principio che era una menzogna.

Ma quella parte era davvero misera rispetto a quella enorme e piena di domande che confusamente faceva girare al contrario il suo sistema.

Non dovette neanche pensarci, sapeva benissimo dov'era. Per questo non si fermò, superando la sua postazione, anche quando i suoi occhi registrarono il mucchietto metallico di chip da controllare che cominciava ad accumularsi sul suo piano di lavoro.

Per questo continuò a camminare ignorando il richiamo di una voce metallica alle sue spalle, forse dell'androide che gli era stato messo accanto, forse del se stesso che era qualche giorno prima e che la sua memoria remota non riusciva a cancellare.

Per questo andò dritto al laboratorio, sicuro di trovarlo lì, sicuro di essere ancora in tempo.

Accasciato sul lettino, con il camice bianco e i capelli legati e gli occhi sgranati, Axel non somigliava più ad una macchina. Era un essere vivo.

Lo sportello sul petto aperto mostrava la mancanza di cuore al suo interno e la presenza di chilometri e chilometri di cavi elettrici attorcigliati tra loro, e benché il buon senso e il suo logico e quadrato ragionamento gli dicessero che non poteva provare paura, l'evidenza mostrava tutt'altro.

Axel aveva paura.

E così anche Saïx.

L'avevano lasciato solo a morire in quella stanza, mentre braccia meccaniche si prendevano ogni parte di lui come avvoltoi che beccano la preda e la sbrindellano in piccole parti. Solo, mentre ciò che avevano creato veniva distrutto per capriccio.

Non avrebbe lasciato che accadesse.

Saïx registrò solo lontanamente il tonfo che fece la porta quando vi si gettò sopra con una spallata per aprirla. La serratura scattò all'improvviso e lui si trovò dentro. Così come registrò in modo vago anche la sirena che riempì l'aria con le sue urla gracchianti.

Il computer non poté che svolgere il suo lavoro, e Saïx non lo biasimò per questo: anche lui, prima, avrebbe fatto come il suo sistema ordinava.

Braccia metalliche, dal soffitto, si lanciarono su di lui per afferrarlo, per separarlo da Axel. Ma si divincolò e lottò con tutte le sue forze per sciogliere le cinghie che tenevano il rosso androide fermo sul lettino.

- Che stai facendo?! -

Urlò lui, quegli occhi verdi così minacciosamente belli lo distrassero per un attimo dal suo compito, un attimo solo, perché le sue mani tornarono subito attive.

- Ti libero. -

Fu l'ovvia risposta di Saïx. E anche se una mano metallica gli si infilò tra i capelli e tirò indietro, strappandogli un verso di dolore, si spinse in avanti e slacciò l'ultima cinghia. Axel era libero.

- Saïx! -

Quasi un singhiozzo, forse furono i suoi occhi a ingannarlo, ma avrebbe detto che Axel stesse per piangere.

Gli androidi potevano piangere?

- Vattene Axel, vattene subito. -

Piccolo, dimesso, magro e spaurito, Axel sembrava un uccellino appena uscito dall'uovo, troppo fragile per il mondo che aveva intorno, troppo speciale per non esserne ferito.

- No! Non voglio! -

Quanto tempo aveva ancora?

Sentì dolore quando una delle mani metalliche gli artigliò un braccio e tirò verso l'alto, quasi a volerlo staccare dal busto. Era un dolore che non aveva mai provato prima, attraversò il suo sistema da capo a piedi e lo ustionò come fuoco.

Ma non fu niente in proporzione al dolore che provò quando vide Axel imprigionato all'improvviso nella stessa morsa, gli occhi verdi così grandi di paura e dolore.

Non importava, era solo un braccio.

Saïx tirò, con tutte le sue forze, opponendosi alla presa dell'artiglio metallico che stringeva il suo braccio. Tirò dalla parte opposta, facendo perno con tutto il corpo per liberarsi dalla presa. Tirò finché non sentì uno sprizzo metallico di scintille e cavi spezzati, finché non si sentì libero di muoversi, con il braccio divelto alla spalla.

Gli bastò solo un passo per raggiungere Axel, ignorando il dolore, ignorando l'allarme nella sua testa, rompendo il quadrato logico dei suoi pensieri. Afferrò il braccio metallico che lo teneva fermo con l'unica mano rimastagli e forzò le dita affinché lasciassero la presa.

- Corri. -

Non c'era affanno né urgenza in quell'unica parola, era solo un'affermazione rigida, un ordine.

- Saïx... -

Mormorò Axel, libero ma ancora stupidamente immobile al suo posto.

- Sapevi che ti avrebbero smantellato oggi, non è così? - il silenzio del rosso fu più che sufficiente come risposta - Vattene Axel. -

Una delle mani metalliche si strinse attorno al suo collo e non ebbe più voce per parlare: il suo apparato vocale scricchiolò e si ruppe sotto la presa di quelle dita.

Via, vattene via, scappa!”

Axel corse, corse davvero, proprio come gli aveva ordinato. Corse fuori da quella stanza, lontano dalla portata delle braccia metalliche che ormai avevano bloccato Saïx.

Sollievo, sicuramente fu quello che provò quando lo vide al di là del vetro, al sicuro.

Il computer era programmato per lo smantellamento di un'unità, poco importava quale fosse, e ora che nella stanza era rimasto solo lui tornò a fare quello che era stato programmato per fare.

Le mani metalliche furono gentili nel posizionarlo sul lettino, così come furono gentili nel legargli i capelli per scoprire il collo.

Mentre quelle dita agili, forse soddisfatte di poter adempiere al loro compito, gli aprivano il petto e ne studiavano il contenuto, Saïx si volse verso il vetro, verso Axel, ancora immobile là fuori.

Ora era al sicuro, lo sapeva. Nonostante l'allarme scattato poco prima ora che sul lettino c'era di nuovo un'unità da smantellare il messaggio di errore doveva essere stato sostituito con un semplice “tutto okay, problema risolto”. Le macchine erano così semplici da ingannare.

Saïx si riempì gli occhi di Axel, del modo in cui quelle labbra dalla texture impossibile tremavano appena, del modo in cui i capelli scompigliati dalla lotta gli coprivano il viso, del modo in cui gli occhi rimanevano fissi su di lui pieni di paura.

La paura era buona, la paura lo rendeva vivo, la paura l'avrebbe fatto sopravvivere.

- Com'è avere un cuore? -

Sillabò, sicuro che Axel avrebbe capito.

Click, all'improvviso ci fu silenzio, e anche se non volle guardare, sapeva che le mani metalliche, frugando nel suo petto, dovettero aver staccato l'alimentazione al suo apparato uditivo.

Anche se non poté sentire la sua voce, Saïx la immaginò nella sua mente, mentre le labbra di Axel si muovevano per rispondere alla sua domanda.

- Com'è avere paura? -

Chiese ancora Saïx. Il suo corpo si irrigidì. La testa bloccata, gli arti immobili, gli occhi spalancati. Non poteva più muoversi, le mani meccaniche avevano staccato anche il sistema motorio.

- Com'è essere vivi? -

Per la seconda volta, ebbe l'impressione che Axel piangesse, che quegli occhi di smeraldo fossero pieni di lacrime trasparenti come diamanti che rotolarono giù sulle sue guance. Addirittura ne vide una depositarsi sul labbro inferiore proprio mentre parlava.

Ma non poté esserne sicuro, perché gli fu tolta anche la vista e tutto divenne buio.

Com'è essere morti?”


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A tutti quelli che credono ancora che io sia una scrittrice...decente e che mi hanno spronato a non lasciar perdere.
Se avete pianto tanto quanto me che l'ho scritta sarà un successo.

Chii

   
 
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