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Autore: Zury Watson    12/10/2015    4 recensioni
Mycroft Holmes, si reca al 221B di Baker Street per incontrare Sherlock e il buon dottore con l'intenzione di rivelare qualcosa che potrebbe sconvolgere suo fratello. Ritenendo che sia arrivato il momento per lui di conoscere la verità e sapendo che non sarà semplice spiegare, decide di portare con sé questo qualcosa.
«You know what happened to the other one» - Mycroft Holmes (3x03 - His Last Vow).
Aggiornamenti sospesi fino a terminata revisione dei capitoli online
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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The Other One


Trick or Treat

Piccole gocce scivolavano con grazia dalla tempia al mento della donna che aveva attirato su di sé lo sguardo di un uomo taciturno intento a correre sulla solita striscia scura, al sicuro dagli sguardi indiscreti dei comuni mortali iscritti ad una qualsivoglia palestra londinese.
Lui era Mycroft Holmes e la palestra ce l'aveva in casa. Così come sua sorella, la quale aveva deciso di restare.
La schiena imperlata di sudore e il top più scuro di una tonalità rispetto a quando aveva iniziato ad allenarsi, due ore e mezza prima.
Mycroft non aveva mai dato sfogo davvero alla rabbia esplosa in lui il giorno di Natale, quando era venuto a conoscenza di dettagli che fino a quel momento non aveva colto o, più credibilmente, non aveva voluto cogliere. Perché in fin dei conti era umano pure lui, fosse anche in minima percentuale rispetto al resto della popolazione mondiale.
Chi non lo conosceva davvero - e quindi tutte le persone alle sue dipendenze, nonché i frequentatori del Diogenes Club - non si sarebbe mai accorto del profondo turbamento che lo teneva sveglio fino a tarda notte e che quotidianamente pretendeva una buona fetta della sua attenzione.
Nonostante questo lui era impeccabile. Tutti i giorni manovrava, come un abile burattinaio, le sorti dell'Inghilterra senza mai sbagliare un colpo.
Dopo quel pugno sul tavolo, fratello e sorella non ne avevano parlato.
Non avevano più parlato di nulla.
La suoneria di un cellulare disturbò il silenzio di quell'ambiente e distrasse entrambi.
Mycroft smise di guardare sua sorella e focalizzò le cifre in movimento sul display del tapis roulant.
Lei diminuì gradualmente il numero di pedalate senza tradire alcun segno di irritazione per l'imprevisto, - ammesso che quella telefonata lo fosse - con naturale eleganza ricongiunse una gamba con l'altra e abbandonò, in totale silenzio, l'attrezzo ginnico.
Il numero che lampeggiava convulso sullo schermo del telefono non lasciava spazio ad equivoci.
«Sono impegnata», esordì in tono distaccato e sbrigativo, sperando di chiudere in fretta la conversazione mentre con un candido, soffice e profumato asciugamano si detergeva il sudore.
«Sicuramente non per me», mormorò una voce suadente all'altro capo.
Silenzio.
«Bene», soffiò con una punta di malcelata malizia. «Ho bisogno che tu mi raggiunga al solito posto».
«Hai appena commesso un errore», fece notare la giovane Holmes senza trarne alcuna soddisfazione.
In risposta una risata le riempì un timpano.
«Non più tardi delle cinque. Prendiamo un té insieme», disse infine. «So che ti piace». Ancora quel tono quasi indecente.
La Holmes riagganciò rapidamente prima di abbandonare con stizza il cellulare sulla scrivania di Mycroft. Ne aveva una quasi in ogni stanza, quasi che fosse un'indispensabile appendice del suo corpo. Poi si dileguò.

John Watson ed il suo coinquilino/folle genio/migliore amico - non necessariamente in quest'ordine - Sherlock Holmes scivolavano veloci per le strade umide di una frenetica Londra all'ora di punta, la prima delle tante nel corso di una giornata.
Il medico era ben contento di aver rinunciato al suo turno di lavoro quella mattina. Il consulente investigativo, infatti, aveva trovato un nuovo caso su cui lavorare, il che significava una momentanea tregua alla pericolosissima noia di Sherlock. John, difatti, riteneva più probabile che il suo amico si facesse del male annoiandosi che dando la caccia a criminali di fama internazionale. Senza preavviso, la sottile figura svoltò alla propria sinistra e solo una decina di passi più avanti John si rese effettivamente conto che Sherlock era sparito, così imprecò a bassa voce, fece dietro front e imboccò la traversa quasi correndo per raggiungerlo.
«Sherlock!», urlò sussurrando il nome in una sorta di rimprovero. L'ultima cosa che desiderava era attirare l'attenzione di qualcuno che non fosse lui, tanto più perché nei vicoli in cui entrambi si stavano inoltrando non regnava un'atmosfera molto rassicurante. Sherlock non faceva altro che imboccare traverse, ora a destra e ora a sinistra, facendo girare presto la testa a John che si spingeva al limite pur di stargli dietro. Quest'ultimo era così concentrato che sobbalzò emettendo un acuto, seppur strozzato, gridolino quando un grosso topo gli tagliò velocemente la strada. Rise di se stesso, ma non per molto. Notò che qualcosa era cambiato, o meglio aveva cessato di esistere e impiegò una manciata di secondi a capire che Sherlock si era fermato e che il grande assente della scena era l'eco ritmato dei suoi passi. Quando John lo raggiunse, Sherlock aveva lo sguardo attento fisso sul punto esatto da cui sapeva che John sarebbe apparso. Lo guardò e non gli chiese se tutto fosse a posto, ma John ebbe la sensazione che l'avesse fatto e quindi annuì.
Il consulente investigativo si arrestò dopo aver percorso circa un'altra trentina di metri, intimò a John il silenzio assoluto portandosi l'indice alle labbra piene e guardò in direzione del punto esatto in cui si trovava la persona che l'uomo stava cercando. Era uno dei suoi collaboratori di strada che ne sapevano una più del diavolo, ma almeno una decina in meno di Sherlock, e che costituivano il canale più veloce per le indagini incrociate di cui spesso Holmes necessitava.
Ad una prima occhiata John ritenne che l'uomo non dovesse avere più di trenta, trentacinque anni, ma trasandato com'era non gli fu possibile determinare con certezza la sua età. Perché avrebbe dovuto farlo poi? Eppure riuscì a smettere di pensarci soltanto quando iniziò a guardarsi attorno accorgendosi che non erano affatto soli. Poco distante da loro, un gruppetto di adolescenti tutti occhiaie scure e felpe lunghe interagiva senza alcun entusiasmo dando l'idea che anche solo sollevare una mano per gesticolare costituisse uno sforzo troppo importante, insostenibile perché valesse la pena impegnarvisi. Un paio di abitazioni più in là, affacciata ad una vecchia finestra stava una donna di mezza età dall'espressione torva. John si disse che la signora era lì per caso - del resto era libera di starsene alla finestra della propria casa, no? - e che non c'era da temere perché era con Sherlock. Oppure forse proprio per questo motivo era necessario preoccuparsi?
Mentre Watson si lasciava condizionare dall'ambiente attorno, l'uomo di Sherlock si alzò barcollando come fosse ubriaco e con la stessa andatura ciondolante si mosse verso di loro.
Al dottore sembrò un atteggiamento del tutto naturale e comprese in fretta che era proprio quello il segreto. Gli uomini che lavoravano per Sherlock erano tutt'altro che dei semplici senzatetto sprovveduti.
Il finto ubriaco passò loro accanto e sembrò ignorarli completamente, ma uno dei suoi sbandamenti lo portò a sfiorare accidentalmente il cappotto scuro di Sherlock e grazie a quel fortuito contatto quest'ultimo poté fornire le dovute indicazioni a chi di dovere.
Un quarto d'ora più tardi medico e consulente investigativo avevano abbandonato i cupi vicoli della malavita e procedevano a passo meno spedito.
«Devi metterci dentro qualcosa se vuoi che la smetta», constatò Sherlock riferendosi allo stomaco di John che brontolava a intervalli regolari da diversi minuti.
Watson non ebbe neanche il tempo di rispondergli che l'amico lo prese per la manica della giacca a vento e lo trascinò nel bar più vicino.

La giovane Holmes sapeva che "il solito posto" si trovava nel Sussex e quella volta, più precisamente, a Brighton.
Non era stato necessario ricorrere alla tecnologia al fine di rintracciare la telefonata per essere certa che fosse davvero quella la sua meta. Sapeva con sicurezza che la persona che le aveva telefonato possedeva più immobili nella storica contea, il che avrebbe potuto costituire un problema di non indifferente rilievo se nel corso della conversazione la sua mente non avesse percepito, registrato ed immagazzinato un dettaglio rivelatore: l'inconfondibile sciabordìo del mare.
Sotto la doccia si preparò mentalmente a quell'incontro consapevole che soltanto due persone potevano aver attirato il suo interlocutore nuovamente nei dintorni di Londra. E nessuna delle due opzioni la entusiasmava particolarmente. Ancor meno le piaceva l'idea di dover indossare capi d'abbigliamento con cui non si sentiva propriamente a suo agio, ma dal momento che rifiutare l'invito non era una possibilità degna di essere presa in considerazione, si arrese alla necessità di calarsi nei vecchi panni della donna in carriera.
Quando uscì dall'abitazione di Mycroft collant color carne le fasciavano le gambe lasciate scoperte dal ginocchio in giù, lo sguardo color ghiaccio aveva lasciato spazio ad un rassicurante marrone intenso e, sorretto gentilmente dal naso, regnava sul suo viso uno stiloso finto paio di occhiali da vista.
Se gli fosse stato possibile, il tassista l'avrebbe accompagnata fin dentro l'abitazione e sarebbe rimasto ad attenderla lì fuori per riaccompagnarla a Londra, ma dovette accontentarsi di una risatina civettuola accompagnata dalla speranza di rivederla prima o poi.
Una volta all'interno dell'elegante casa sull'oceano, appese la corta giacca all'appendiabiti a sua disposizione e camminò fino al grande salotto. Mancavano dodici minuti alle cinque.
«In orario perfetto», mormorò la voce familiare, soddisfatta.
«Era davvero necessario per un banalissimo té?», domandò retorica la Holmes indicando con un gesto leggero il non-abbigliamento della figura dinanzi a sé.
«Nascondere il mio naturale fascino sotto strati di inutile stoffa non è nei miei programmi, mia cara, non quando sono a casa. Accomodati», rispose con calma, sorridendo.
Ma la giovane donna era già sprofondata volentieri in una grande poltrona, accavallando le gambe con naturalezza. Non le rispose.
«Gli ho chiesto di cenare assieme», continuò.
«Di nuovo?», fece lei con una punta di scetticismo, senza chiedere di chi stesse parlando. Inviare sms ad una persona nella consapevolezza di non ricevere alcuna risposta era segno di una spiccata inclinazione al masochismo, ma forse in un caso così particolare la perseveranza avrebbe prima o poi ripagato il mittente. Dopotutto Sherlock le aveva salvato la vita.
Una sonora, musicale, risata riempì ogni angolo attorno alle due figure e solo quando si affievolì fino a spegnersi una ragazza spinse nella stanza il carrello su cui aveva precedentemente sistemato, su di un vassoio, due tazze, una teiera, un'alzatina su più piani ricca di pasticcini e una zuccheriera.
«Mrs Adler, il té».
Erano le cinque in punto e il reggicalze della ragazza le copriva una porzione di pelle più ampia in confronto allo striminzito completino intimo del tutto trasparente che indossava con la stessa grazia che usava per spostarsi sui vertiginosi tacchi a spillo che aveva ai piedi.
La Holmes alzò gli occhi al cielo.
Sorseggiarono la bevanda in silenzio, come in preghiera, e la gemella di Sherlock ne approfittò per concentrarsi sul proprio ruolo nelle vicende che coinvolgevano Irene Adler.
«Quando mi rivelerai il tuo nome?», chiese la Donna alzandosi in piedi. Iniziò a camminare lentamente - mostrando senza alcun pudore le sue grazie celate soltanto da un sottile strato di nylon nero che la ricopriva per intero come una sorta di muta da sub particolarmente sexy - fino a raggiungere il bracciolo della poltrona su cui era comodamente seduta la Holmes.
«Non fa parte dei nostri accordi», fece lei, lapidaria.
Irene Adler distese le labbra rosso rubino in un sorriso malizioso mentre allungava l'indice verso la guancia sinistra della gemella di Holmes, dettaglio a lei completamente sconosciuto.
«La tua pelle è così vellutata», soffiò melensa. «Avrei voluto esserci io con te nella mia tenuta di campagna, qui nel Sussex», aggiunse con l'intento di spiazzare la sua ospite.
Ma lei non si scompose né si ritrasse al contatto, anche se istintivamente avrebbe voluto farlo.
«Sei con me adesso», replicò ostentando calma.
La Donna si stese sul bracciolo appoggiandosi con un braccio allo schienale e accavallando le gambe. Perfettamente in equilibrio.
«Ne approfitterò più tardi. Parliamo del tuo biglietto adesso»
.
Le pupille della Holmes si dilatarono per la sorpresa che non raggiunse mai i lineamenti perfetti del suo viso. Tese invece prontamente le dita, il palmo verso l'alto, in direzione di Irene. Era certa di non aver lasciato, volutamente o meno, alcun biglietto nella tenuta in cui era stata insieme a suo fratello Sherlock diverso tempo prima su suggerimento - o meglio obbligo - di Mycroft e John, per una volta davvero coalizzati, quindi l'unico modo per saperne di più era farsi dare quel fantomatico biglietto, leggerlo e comportarsi di conseguenza.
Per tutta risposta la Donna le prese la mano, si alzò - costringendo anche la Holmes ad abbandonare la sua comoda posizione - e con atteggiamenti sensuali le indicò quella che entrambe sapevano essere la camera da letto, due stanze più avanti.


Sherlock Holmes aveva messo piede nella tenuta di sua sorella - della quale ancora non conosceva neanche il nome - appartenente in realtà ad Irene Adler con il pensiero fisso di scoprire perché le due si conoscessero senza che lui ne sapesse niente, come mai sua sorella possedesse le chiavi di una tenuta nella campagna del Sussex intestata alla Donna e in che modo quest'ultima fosse coinvolta nei giochi della fotocopia femminile di se stesso. Così aveva messo in moto un meccanismo.
Assicuratosi che sua sorella fosse impegnata in altre faccende, si era messo a scrivere con grafia anonima una lettera molto sintetica che poteva essere facilmente attribuita ad una persona intelligente e dedita al trasformismo quale era sua sorella. Nel biglietto esprimeva la necessità di un incontro e lanciava un'esca particolarmente appetitosa: alcune informazioni strettamente personali, come ad esempio il suo nome.





N.d.A.
Dopo veramente tanto tempo dall'ultimo aggiornamento, eccomi di nuovo qui alle prese con "l'altra".
Prima di dire qualunque cosa voglio ringraziare di cuore Amalia che non solo si è sorbita la OS in anteprima e a puntate, mi ha dato una spinta a continuare approvando il lavoro precedentemente svolto e ha trovato il titolo per questo capitolo, ma - ultimo non certo per importanza - mi ha anche aiutata ad arricchire le generalità della gemella di Sherlock. Sì, finalmente potrete presto chiamarla per nome. Grazie, sei indispensabile.
Inoltre un ringraziamento speciale va Relie Diadamat che ha pazientemente letto e recensito tutti i capitoli a disposizione dicendomi di volta in volta la sua, consigliandomi e stimolandomi a non fermarmi qui.
Spero di essere stata credibile, di non avervi annoiati troppo e di non aver deluso eventuali aspettative. In quanto al paragrafetto conclusivo è nient'altro che un flashback che fa riferimento alla OS/capitolo "Sussex".
Vi sarei davvero grata se condivideste con me le vostre impressioni.
Alla prossima!

   
 
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