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Autore: Martiverse    19/10/2015    1 recensioni
Non pensava che avrebbe trovato qualcuno salendo sulla torre orologio; era vietato andare lassù.
C’erano in ballo troppe coincidenze provvidenziali, similitudini, orari esatti…ed anche se Axel non credeva in nessun potere superiore, quel giorno aveva dubitato.
Twilight Town era dolce come una madre, ma era anche una comunità piccola, fatta di gente che si conosce e riconosce ogni volta.
Tutti sanno tutto di tutti…e lui di segreti ne aveva davvero troppi.
[Parallel Universe / stesso ambiente ma fuori dal contesto di Kingdom Hearts]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Axel, Roxas, Saix
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessun gioco
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Kingdom Hearts AU

Twilight Town, more like Feels Town 

S
e non era stato il destino a farli incontrare, cosa poteva averlo fatto?
C’erano in ballo troppe coincidenze provvidenziali, similitudini, orari esatti…ed anche se Axel non credeva in nessun potere superiore, quel giorno aveva dubitato.
Non da subito, a dire il vero.
All’inizio era troppo assorbito nei propri pensieri anche solo per notarlo…
Quando era arrivato in cima alla torre orologio si era riempito gli occhi dei colori del tramonto ed aveva tirato un lungo sospiro.
Aveva allargato le braccia per accogliere il freddo della sera. L’aria gli aveva riempito i polmoni, espandendo il torace
Ossigeno che entra.
Ossigeno che esce.
Il lento dissiparsi dell’essenza…
C’era qualcosa di paradisiaco nel modo in cui Twilight Town ti entrava sotto la pelle, con quei suoi colori caldi dalle tonalità arancio.
Era tutta piccole case e vicoletti arroccati, aveva un che di avvolgente…come un abbraccio di madre.
Non tornava lassù da una vita.
L’ultima volta che ci era salito era stato insieme a Saïx, prima che cambiasse il suo nome in Isa e se ne sparisse per sempre.
Era stato un tempo di frivolezze infantili e illusioni infrante…guardando indietro riusciva solo a provare pietà e nostalgia per quei momenti.
Sinceramente?
Axel non era fatto per soffrire.
Era impermeabile solo da un lato, quindi il dolore lo attraversava e non ne usciva più. Veniva mascherato dietro a grandi sorrisi e battute divertenti…ogni volta che il suo cuore era sul punto di sanguinare si nascondeva con un buffo gesticolare esagerato.
L’amarezza, però, restava.
Aveva provato a trascinarla fuori a forza.
Si era fatto forare le guance da mille e mille aghi per creare delle lacrime sul suo viso…ma non era servito. L’inchiostro era rimasto sotto la sua pelle e non aveva espulso nessuna delle sue delusioni.
Ci aveva pensato bene…molto, molto a lungo.
Perché è vero che Twilight Town era dolce come una madre, ma era anche una comunità piccola, fatta di gente che si conosce e riconosce ogni volta.
Tutti sanno tutto di tutti…e lui di segreti ne aveva davvero troppi.
Ecco perché era diventata una madre troppo soffocante. Saïx se n’era andato…e a lui rimaneva da fare solo quella piccola cosa prima di salutare a sua volta la loro città natale.
Solo in quel momento una figura attirò la sua attenzione.
Era all’angolo più estremo del suo campo visivo e non l’avrebbe mai notato se quel ragazzino non avesse deciso proprio in quel momento di passarsi una mano sotto al naso.
Vedendolo seduto sul cornicione, con le gambe che penzolavano nel vuoto, Axel fece istintivamente un passo indietro dalla ringhiera.
Improvvisamente la torre gli sembrò altissima e fu assalito da un senso di vertigine.
“Ehi…” esclamò con voce tremante. Il tono gli uscì spezzato e poco convinto.
Non aveva idea di chi fosse, né una particolare intenzione di comunicare, ma istintivamente gli parlò.
Il ragazzino si voltò di scatto. Sembrava che anche lui non avesse notato la sua presenza fino a quel momento.
I suoi occhi blu si spalancarono per la sorpresa e stinse le mani con forza sul cornicione, come se avesse improvvisamente paura di cadere.
Probabilmente l’aveva spaventato a morte! Era vietato salire lassù, che l’avesse scambiato per un inserviente?
“Ah, tranquillo” sorrise Axel “Non sono della Torre. Ho saltato anche io il cordone di sicurezza all’entrata…”
“…Ah…” commentò il ragazzino, monosillabico.
La presa sul cornicione non si allentò e i due rimasero a fissarsi. Cadde un imbarazzante silenzio in cui nessuno aveva alcuna idee su cosa dire o fare.
Era come uno di quegli appuntamenti al buio terrificanti, ma in versione hardcore.
Così hardcore che non sai neanche di avere un appuntamento nel momento in cui ti siedi al tavolo ed ordini le tue patatine…
Cosa dire?
Che fare?
“Umh…mi dispiace di averti interrotto” si scusò Axel passandosi una mano sulla nuca “Credevo che non ci fosse nessuno.”
Stava gesticolando a vanvera.
Perché quel tipo era lì?
Perché proprio quel giorno?
“Non è un problema.” Il ragazzino si avvicinò di nuovo una mano al viso, lasciandosi uno stecchino di legno tra i denti.
Era uno di quelli piatti e lunghi, da ghiacciolo.
Axel vi intravide la scritta “Hai vinto”, ma non sembrava che il ragazzino vi facesse particolare attenzione.
Cosa non avrebbero dato Axel e Saïx per trovare quello stecchino, nei bei tempi andati…
Il sorriso sulle sue labbra morì inconsciamente. Gli angoli della sua bocca crollarono verso il basso, appesantiti dai ricordi.
“Fai pure quello che volevi fare, non mi dai fastidio…” detto questo il ragazzino riportò l’attenzione sul tramonto.
Axel cercò di recuperare il sorriso.
“Non ho fretta. Umh…com’è che ti chiami?”
“Roxas” rispose lui senza neanche voltarsi a guardarlo.
“Non ho fretta, Roxas. Quindi stai pure quanto vuoi, io posso aspettare.”
“Insisto” il ragazzino si voltò e scese dal cornicione con un salto “Mi sentirei molto stronzo a mettermi tra te e qualsiasi ragione tu abbia per essere salito fin quassù.”
“Ed io mi sentirei altrettanto stronzo a mettermi in mezzo ai tuoi affari.”
Rimasero ancora una volta a fissarsi.
Entrambi sembravano tenere particolarmente al loro momento di privacy sulla torre orologio, neanche fosse un territorio marcato.
Con mascherato servilismo lo stavano sottilmente difendendo con unghie e denti, imponendosi per essere gli ultimi a lasciare la balconata a seguito dei raggi del tramonto.
Non esisteva panorama più bello in tutta Twilight Town…
Fu in quel momento che la fede inesistente di Axel traballò.
Fissò gli occhi di quel ragazzino e ci rivide se stesso, notò solo in quell’attimo il livido che gli appesantiva l’occhiaia destra.
Perché era su quella torre in quell’attimo preciso?
Perché con quell’occhio malandato?
Come mai gli impediva con tanta fermezza di rimanere lassù…proprio quel giorno.
Non aveva idea di cosa stesse facendo. Era solo un ragazzino testardo che stava rivendicando la torre come sua, esattamente come tanto tempo prima facevano lui e Saïx con gli intrusi.
Non aveva idea di cosa stesse facendo…per lui.
 
Saïx e Axel erano stati fratelli, ma non di sangue.
Avevano quel tipo di amicizia che si crea sugli album di figurine dello stesso tipo, quel legame che nasce quando uno vive ad una porta di distanza dall’altro.
I loro nomi di battesimo erano Lea e Isa, ed erano gli unici in classe a non aver paura del buio.
Vi erano abituati.
Quando si convive con paure più grandi, il buio, i clown e tutte queste altre sciocchezze infantili diventano solo stupidaggini.
Erano diversi da tutti gli altri ragazzini, perché le voci corrono svelte a Twilight Town e le madri proibivano ai loro bambini di giocare con loro.
Nessuno poteva andare ai loro compleanni…guai se fossero entrati in quelle case!
Non mandare i porcellini nelle tane dei lupi cattivi. C’è il boogeyman là. L’Uomo Nero, la Strega Cattiva…
Si erano trovati nella sventura.

Si erano legati perché insieme erano più forti…ma soprattutto perché sarebbe stato impossibile vivere soli con quei fardelli.
Non se li erano mai raccontati, ma entrambi sapevano.
Casualmente?
Forse.
Forse il destino esisteva davvero.
Quando Saïx andava a casa di Axel fingeva di non notare le carezze insistenti che quelle lunghe e femminee mani di ragno riservavano al volto dell’amico.
Quando l’aveva trovato nudo a piangere nella stanza di sua madre, bruciando le lenzuola, l’aveva solo abbracciato.
Certo che aveva visto i lividi sulle sue cosce e sui suoi polsi, certo che sapeva…ma che bisogno c’era di parlarne ancora?
Parole di conforto non servivano, bastava la presenza.
Anche Axel sapeva, pur se non gli era stato detto niente.
Erano bastati i pomeriggi passati di fronte ad una console in mezzo ad un miliardo di lattine di birra vuote.
Aveva capito dalle grida fuori controllo del padre di Saïx, come se improvvisamente fosse diventato un animale.
Quando Saïx si era rifugiato in casa sua con il viso pregno di sangue, Axel l’aveva medicato.
Poi aveva deciso che la cicatrice ad X sarebbe stata il loro simbolo; erano due sopravvissuti, erano fratelli. Da quel momento erano SaïX e AXel.
La torre orologio era diventata il loro punto di fuga, visto che nessun altro luogo era sicuro.

Le loro case erano la fonte del pericolo e le strade avevano troppi occhi e orecchie sempre pronti a spiare.
Corrono le voci a Twilight Town, filano veloci.
Erano sopravvissuti per ventisette anni, poi Saïx era tornato ad essere Isa.
Tutta la città l’aveva saputo in un attimo perché la notizia era corsa di bocca in bocca, di porta in porta…veloce come il proiettile che Saïx si era piantato in gola.
Sulla sua tomba avevano scritto “Isa” …ed Axel l’aveva trovato così ingiusto.
Non era mai stato Isa, era sempre stato Saïx! Come osavano portargli via anche quello? Come potevano strapparlo così dalla sua protezione e rigettarlo tra le braccia del nome che tanto aveva odiato.
“Isaaa” ruggiva suo padre, spaccando le bottiglie a terra. Quello stesso padre che gli aveva sfigurato il viso con il vetro…quello stesso che adesso piangeva al funerale come se ne avesse il diritto.
Axel era arrivato a ventotto, ci aveva pensato bene…molto, molto a lungo.
Aveva aspettato l’anniversario della morte di Saïx per fare solo quella piccola cosa prima di salutare a sua volta la loro città natale.
Quel giorno, Axel, era andato sulla torre per buttarsi.
 
Roxas lo stava ancora fissando con quel cipiglio deciso che hanno i teenager. Le sopracciglia bionde aggrottate e la fronte appena un poco corrugata.
Era così determinato a non farlo rimanere ultimo sulla torre.
Sicuramente non sapeva che Axel voleva metter fine alla propria vita…ma glielo stava impedendo.
Non poteva certo saltare la ringhiera e lanciarsi nel vuoto di fronte ad un ragazzino!
“Perché?” si chiese Axel dentro di sé “Perché proprio oggi…perché proprio qui…”
Se non era stato il destino a farli incontrare, cosa poteva averlo fatto?
Un ragazzino dallo sguardo fiero ed un occhio pesto, proprio come Saïx.
Tra le labbra aveva ancora il bastoncino del ghiacciolo, ed Axel ne fu improvvisamente distratto.
HAI VINTO.
La scritta che per così tanto tempo avevano cercato. Tutte le speranze che avevano riposto dietro un premio illusorio che tanto avrebbero voluto poter afferrare insieme.
Avevano un accordo: Qualsiasi cosa avessero vinto l’avrebbero rivenduta e con i soldi avrebbero lasciato Twilight Town insieme…
“Andremo avanti insieme” era la promessa che si erano fatti battendosi il pugno a vicenda.
Axel sentì le lacrime salirgli negli occhi.
 
“Non vuoi che lo faccia, vero Saïx?”
 
La sua fonte si corrugò, le labbra gli tremarono ed improvvisamente non riuscì più a trattenersi e sentì le lacrime scorrergli sul viso.
Stava piangendo e riusciva a sentire il dolore fuggire da ogni poro della sua pelle.
Roxas gli rivolse uno sguardo indecifrabile, stordito da quell’improvviso cambio di personalità.
“S-sai” balbettò Axel sentendo le lacrime scivolargli in bocca “Il tuo ghiacciolo dice che hai vinto. Io sono ventotto anni che mi chiedo cosa si vinca, non è buffo?”
Cercò di sorridere ma non ci riuscì subito. Il suo volto si contorse in un’espressione quasi dolorosa, poi la sua bocca si piegò assecondando una sensazione reale.
Non era triste, era felice.
Felice davvero.
Finalmente tutta la sofferenza stava uscendo.
“Posso accompagnarti a ritirare il tuo premio, Roxas?” chiese sorridendo tra le lacrime.
 
Roxas era nato a Twilight Town, ma aveva vissuto tutta la vita sentendosi un’altra persona.
Nella sua testa gli aveva dato un nome; Sora, l’aveva chiamato.
Così aveva qualcuno con cui prendersela.
Sora era un tipo strano, era uno che cercava di stare sempre allegro. Si accettava per quello che era, perciò era un vero vincitore.
Roxas lo odiava perché non sapeva come altro affrontare la situazione…lo odiava perché si sentiva un perdente.
“Ti passerà” aveva detto sua madre “Non ti preoccupare. Io so chi sei davvero e non sei questo, Roxas.”
Chi poteva saperlo meglio di lei, che l’aveva portato in grembo e messo al mondo?
Una madre dovrebbe conoscere il proprio figlio, no?
Dovrebbe sentirle queste cose…no?
Ma più che cercava di convincersi, più che si sentiva immensamente solo…
La soluzione di suo padre era stata più pratica e decisa. Gliel’aveva sputata addosso con disgusto, senza neanche guardarlo negli occhi.
“Ti metterai a gareggiare nello struggle, senza obiezioni!” come se farsi prende a mazzate dai suoi compagni di scuola potesse in qualche modo convincerlo a cambiare.
Aveva obbedito.
Sora odiava lo struggle, ma Roxas aveva obbedito.
Quanto avrebbe voluto aver baciato Olette, quella sera!
Twilight Town era una città piccola, di mente chiusa e bocca larga.
Hayner non riusciva a guardarlo negli occhi mentre si fronteggiavano sul ring di sabbia.
Tutti sapevano, tutti quanti.
L’aveva detto solo ad Olette, ma una volta che le parole escono di bocca a Twilight Town sono già nelle orecchie di tutti.
Gliel’aveva detto perché quando non aveva voluto baciarla Olette aveva gli occhi lucidi e tristi.
Roxas aveva capito che si era sentita sbagliata, inadatta a lui…ed aveva pensato di…
…di fare cosa?
Pensandoci adesso sembrava così stupido. La notizia non l’avrebbe confortata affatto. Aveva creduto di vedere in lei la stessa solitudine…ma si sbagliava.
“Olette. Olette ti prego non piangere…davvero non sei tu il problema. E che credo…credo che mi piacciano i ragazzi…”
Non erano a lui che piacevano.
Cercava di convincersene per rimettere le cose a posto.
Non erano a lui che piacevano, era a quello stupido di Sora.
“Tenetelo fermo!”
Sora avrebbe saputo fronteggiarli…ma Roxas sentiva di meritarli, quei pungi.
Se li meritava per lo sguardo triste che gli aveva rivolto sua madre, per il tono di voce alterato con cui l’aveva rimproverato suo padre.
Li meritava per Hayner, il suo miglior amico che adesso non riusciva più a parlargli…
Doveva riceverli perché magari sarebbero riusciti a fargli sputare Sora e convincerlo a cambiare per davvero…
Stretto in una morsa di braccia e mani…Raijin da una parte, Fujin dall’altra. Roxas sentì il pugno di Seifer colpirlo sull’occhio destro ed assorbì gli insulti e gli sputi.
Ma nulla cambiava.
Sora restava lì.
Aveva iniziato a fuggire sulla torre orologio perché lassù nessuno poteva vederlo.
Comprava i ghiaccioli al sale marino e se li premeva sui lividi tumefatti dei tornei di struggle o delle punizioni di Seifer e il suo gruppo di bulletti.
Li guardava sciogliersi assieme alle sue lacrime e non riusciva a fare nulla per sbloccare quella situazione.
Di giorno in giorno si era trascinato in avanti…convincendosi che ci sarebbe stato un modo. Ma ogni volta che si ripeteva quella piccola bugia il vuoto nel suo petto si faceva più grande, si sentiva come se stesse perdendo il cuore.
Quella sera aveva comprato un solo ghiacciolo e l’aveva mangiato guardando il sole calare all’orizzonte.
Sora non l’avrebbe mai lasciato, perché era stato lui a crearlo.
Sora era lui.
…ma nessuno poteva vederlo, nessuno lo sentiva gridare.
Roxas era stanco, stanchissimo.
Aveva deciso che, finito il ghiacciolo, si sarebbe lasciato scivolare giù dalla torre orologio.
Nessuno conosceva Sora e a nessuno sarebbe mancato Roxas.
 
 
“Posso accompagnarti a ritirare il tuo premio, Roxas?” chiese sorridendo tra le lacrime.
…ed ora quest’uomo sbucato fuori dal nulla, che piangeva come se sapesse.
Non poteva essere consapevole del fatto che era arrivato proprio nel momento in cui si toglieva il bastoncino di bocca.
Eppure aveva insistito così tanto per essere l’ultimo a rimanere sulla torre…sembrava quasi che volesse impedirgli di saltare.
Si rivolgeva a lui come se non fosse un appestato…e l’aveva chiamato Roxas.
Roxas.
Non era solo il suo nome a farlo rimanere di sasso…era il concetto che vi aveva associato.
Gli aveva detto che Roxas era un vincente.
Se non era stato il destino a farli incontrare, cosa poteva averlo fatto?
Il sole stava ormai sparendo oltre le colline e Roxas fissò i riflessi arancio che avvolgevano il viso di quell’uomo mandato dal cielo.
Si tolse il bastoncino di bocca e sentì il proprio cuore farsi più leggero.
Sora entrò nella sua pelle e tornò ad essere Roxas.
“Come ti chiami?” chiese con quella spigliatezza che aveva sempre nascosto, sentendosi invaso di positività.
“Axel” rispose l’uomo rivolgendogli un sorriso che era più caldo di un abbraccio.
Roxas afferrò la mano che gli porse e la strinse sentendosi improvvisamente più sicuro.
Non aveva bisogno di nessun altro lui dentro di sé.
Era Roxas, solo Roxas…ed era perfetto così.
“Va bene Axel. Andiamo a ritirare questo premio…e quando scopriremo cos’è…lo dividiamo.”


my apologies, this is only a data-based projection
♖♜♖♜ In ogni cutscene con Axel e Roxas ho sempre temuto che qualcuno si buttasse.
Sarà che ho la fobia del vuoto, ma vederli sul bordo del cornicione a fissare tristi il tramonto m’ha sempre messo questa sensazione…
Almeno questa volta mi concedo un finale “felice”. Non che la storia sia stata poco colma di tristezza…ma almeno si sono trovati ed aiutati ad andare avanti!
Inoltre, durante la scrittura, “Same Love” di Macklemore & Ryan Lewis Ft Mary Lambert mi ha tenuto compagnia.
Detto questo spero che abbiate trovato la lettura interessante.
Recensioni, commenti, critiche o anche solo emoticon tristi sono più che apprezzate ♥
 
-         Marti
 
 
 
 
   
 
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