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Autore: Mitsuko_Ayzawa    25/10/2015    0 recensioni
Erano accadute molte cose, a Beacon Hills, nelle ultime settimane.
Un inizio traballante, e la prima tessera del domino era caduta, trascinando inevitabilmente con sé tutte le altre. E così, un piccolo incidente era diventato una tragedia. Ed essa, a sua volta, era diventata un bagno di sangue.
Tuttavia, tutti avevano commesso lo stesso, identico, sbaglio. Tutti, senza esclusione, si erano concentrati esclusivamente su sé stessi, sui loro piani, sui loro obbiettivi, dimenticandosi del mondo intero intorno a loro.
Ma non per questo, quello aveva cessato di esistere. Non per questo, il mondo del soprannaturale aveva smesso di tenere d’occhio Beacon Hills. Di giudicarla, di agognarla, di ambire a far parte di tutto quello.
E a loro volta, tutti coloro che erano fuori erano stati troppo occupati a guardarsi le spalle, affinché nessuno approfittasse del caos scoppiato per farsi avanti, per agire. Tutti, tranne uno, che aveva visto nella distrazione degli uni e nell’esitazione degli altri la sua occasione.
E quel qualcuno aveva fatto la sua mossa, inevitabilmente, ed altre tessere del domino erano cadute.
(Post season 5A, in cui tutto è andato a puttane, ahem. Qui succederà di tutto. E ci saranno nuovi personaggi. E tanto sangue. Pace.)
Genere: Azione, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Il branco, Nuovo personaggio, Theo Raeken, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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«So, you found him. Your brother».
«I did». […]
«There are only two people who fit the description. Jude and Skye Norton, brother and sister, both young, both arrived yesterday in the morning» […]
«Seems like we have found our masks» […]
«Liam, did you see her? Did you see who is under the mask? Do you know who she is?»
«Is my sister. Under the mask, there’s my sister».
 
Episode 5
Under the Masks



«Cosa?» fu la prima cosa che Stiles esclamò, dopo che Liam ebbe finito di raccontare con poche ma significative parole dell’incontro con la maschera. Skye. Sua sorella «Hai una sorella?»
«Gemella» precisò il ragazzo.
«Perché non me lo hai mai raccontato?» Più di Stiles, era Mason a essere il più sconvolto. Le cose stavano prendendo una piega sempre più allucinante. Prima i Dread Doctors, poi Theo e le chimere che ritornano in vita così, praticamente a caso. E ora saltava fuori che Liam aveva una sorella gemella morta che invece morta non era, e che era diventata una specie di super ninja ammazza-chimere. Il ragazzo non sapeva più dove sbattere la testa.
«Credevo che fosse morta, lo credevano tutti. Dopo l’incidente non è mai stato trovato il suo corpo, ma era impossibile che fosse ancora viva» Liam aveva la voce che tremava. La sua mente continuava ad altalenare tra la primavera di sette anni prima e quei pochi minuti trascorsi con la sorella, avvenuti nemmeno due ore prima.
«Che cosa è successo sette anni fa?» chiese Scott, sporgendosi in avanti e appoggiando i gomiti alle ginocchia. Il ragazzo se ne stava seduto su una di quelle sedie da scrivania con le ruote e si muoveva nervosamente avanti e in dietro. Gli altri ragazzi erano seduti dove capitava, oppure se ne stavano in piedi, appoggiati al bancone dell’ambulatorio veterinario, o ai muri e gli stipiti. Liam provò a deglutire, ma era come se all’improvviso la gola fosse diventata carta vetrata. Se prima era facile fare vaghe illusioni come “l’incidente” o “sette anni fa”, quella domanda lo poneva di fronte alla realtà. Raccontare ciò che aveva visto, e che non aveva dimenticato. Il ragazzo aprì la bocca, cercando di trovare un modo per creare una frase di senso compiuto, ma la verità era che non aveva alcun senso
«Non lo sappiamo» esordì «La polizia non è mai riuscita a capire esattamente cosa fosse accaduto, e io… non c’ero, quel giorno. Ero a casa di un compagno di scuola, a dormire. Ci hanno chiamati in piena notte, e mi hanno riaccompagnato a casa. Quando siamo arrivati c’erano poliziotti ovunque, e anche i federali, e mi hanno fatto un sacco di domande. Mi hanno detto che forse c’era stata una rapina finita male e i miei genitori erano morti. Mia sorella, invece, era dispersa» Liam aveva lo sguardo abbassato sulle proprie mani, intrecciate sulle ginocchia, le dita fredde e le nocche bianche.
Scott incrociò le braccia sul petto.
«Archiviarono il caso come irrisolto, e il certificato di morte legale di mia sorella venne firmato in tribunale l’anno dopo, ma quando venni a saperlo ero già stato adottato».
«Come sono morti i tuoi genitori?» domandò Stiles, mentre il suo istinto da figlio di un poliziotto prendeva il sopravvento. Liam lo guardò negli occhi per un secondo, prima di rispondere.
«Sono stati fatti a pezzi» la sua voce tremava lievemente «Violentemente. O almeno è quello che mi hanno riferito. Non mi fecero andare a vedere» il ragazzo cercò di mandare giù il blocco che aveva alla gola, ma gli sembrava come se gli si fosse pietrificato l’esofago «Il caso era passato nelle mani dei federali, il dipartimento per i crimini violenti, e la polizia non era autorizzata a diffondere nessuna informazione. Ho rinunciato da anni a scoprire qualcosa a proposito di quello che era successo».
Scott McCall ebbe un idea, sentendo le parole di Liam. Se il caso era veramente passato sotto l’FBI, solo i federali avevano le credenziali per leggere i fascicoli. Federali come suo padre.
«Potrei avere un modo per avere accesso al fascicolo di tua sorella» disse allora. 
«Cosa?» esclamò Liam, con gli occhi chiari sbarrati.
«Tuo padre» fu Stiles a dare la risposta, accarezzandosi il mento con le dita affusolate «Credi che tuo padre si procurerà il fascicolo per te?»
«Me lo deve» rispose Scott «E al momento non sappiamo che altro fare. Forse fare luce su quello che è accaduto alla famiglia di Liam ci farà capire cosa vuole sua sorella da noi» La proposta pareva allettante per tutti, in particolare per Liam, e d’altronde l’alfa aveva ragione. Che altro potevano fare? Rimanere in attesa fino alla prossima mossa di Theo? Fuori discussione. Le due Maschere sembravano a conoscenza di molte cose, e forse avevano risposte che il branco di Beacon Hills non aveva ancora ottenuto.
«Un momento» Malia, che fino a quel momento aveva detto ben poche parole, era saltata in piedi «E come la mettiamo con Theo? Non dovremmo cercare di anticipare la sua prossima mossa?»
«Noi non sappiamo nemmeno quale sia, la prossima mossa di Theo, Malia» fece notare Scott.
«Posso pensarci io» disse Stiles, incrociando le braccia sul petto esile «Tu e Liam potete pensare ad ottenere il fascicolo di Abigail…»
«Skye».
«Cosa?»
«Quando mi ha visto ha detto che ora si fa chiamare Skye» precisò Liam. Un nervo pulsò sotto la pelle della mascella di Stiles, mentre le dita si muovevano nervose.
«Il fascicolo di Skye, allora, mentre io e Malia possiamo occuparci di Theo. Sono giorni che non faccio altro che pensare e pensare ad una strategia. Potrebbe essere arrivato il momento di metterla in atto» i cinque ragazzi si guardarono negli occhi. In tutti loro c’era una luce diversa, una sfumatura più decisa.
Erano cambiate molte cose, tra di loro, in quei giorni.
Avevano cambiato approccio.
Nelle settimane passate, molto di quello che era successo era stato causato da una mancanza di fiducia gli uni negli altri. Ognuno si era chiuso in sé stesso, cercando da solo di venire a capo di quella situazione. Quante cose si sarebbero potute evitare se solo si fossero messi tutti intorno ad un tavolo come in quel momento e avessero parlato. Se avessero raccontato quello che sapevano, ogni dettaglio, ogni teoria, tutto. Se lo avessero fatto... Forse le cose avrebbero iniziato ad assumere una logica - o un senso - e ogni tassello sarebbe andato al suo posto.
Per questo avevano deciso che, d’ora in avanti, qualunque cosa fosse successa, non sarebbe rimasta segreta. Basta omissioni. Era ora di fare quadrare quella situazione del cazzo.
I cinque rimasero ancora un minuto a parlare degli ultimi dettagli, illustrando come si sarebbero mossi.
Mentre stavano per congedarsi, la porta della clinica sbatté e Lydia fece il suo ingresso nell’ambulatorio, in un turbine di capelli rossi e orli svolazzanti dei vestiti.
«Ragazzi!» esordì «Io e Parrish abbiamo novità» disse mentre recuperava il fiato «Abbiamo scoperto chi sono le maschere».
«Arrivi tardi» disse Mason «È saltato fuori che è la sorella gemella non morta di Liam» indicò il ragazzo alla sua sinistra con un dito.
Lydia rimase un secondo immobile.
«Un momen… Cosa?»


Quel pomeriggio aveva iniziato a piovere. Stephen e sua sorella Holly stavano compiendo a piedi il tragitto che separava la fermata dell’autobus da casa loro, stretti nelle loro giacche e cercando invano di ripararsi con gli ombrelli. Tirava anche molto vento, e la pioggia scendeva in diagonale da ogni direzione, e i due ragazzi si ritrovarono bagnati come pulcini dopo solo pochi metri di strada.
Holly si teneva ben stretta all’asta metallica dell’ombrellino, cercando di non fare troppo caso alle dita che le parevano pezzi di ghiaccio. Suo fratello, che camminava pochi passi dietro di lei, invece, aveva preferito abbandonarsi al classico ma infallibile metodo delle parolacce, inveendo contro le nuvole che avevano deciso di aprirsi per l’ennesima volta in quei giorni. Aveva piovuto molto spesso nelle ultime settimane, e non pareva che la situazione sarebbe migliorata, non con l’inverno alle porte.
I due ragazzi intravidero i fanali di un automobile fendere la cortina d’acqua, mentre una vettura nera si avvicinava, e, nel passare accanto ai ragazzi, una ruota finì in una pozzanghera, inondandoli entrambi di acqua sporca. Holly emise un urlò stridulo, lasciando andare di botto l’ombrello, mentre il fratello fece un salto indietro, evitando la maggior parte dello schizzo. L’auto inchiodò dopo un paio di metri, mentre un uomo scendeva dalla vettura, stringendosi nel bavero della giacca.
«Oh cielo, scusatemi ragazzi» urlò per farsi sentire al di sopra del frastuono dell’acqua «Non ho visto che c’era una pozzanghera».
Stephen fece un gesto noncurante.
«Non si preoccupi, non è colpa sua se sta piovendo» disse mentre tirava a sé la sorella, aiutandola a raccogliete il suo ombrello.
«Lasciate almeno che vi riaccompagni a casa» insistette l’uomo, indicando dentro la vettura «Mia figlia Maria non mi perdonerebbe se vi lasciassi a piedi dopo avervi innaffiato d’acqua».
Il ragazzo si sporse leggermente in avanti, e vide che, effettivamente, seduta sul sedile davanti c’era una ragazzina, che guardava la scena sporgendosi da dietro l’imbottitura. Stephen e la sorella si guardarono un secondo, decidendo sul dal farsi.
«Va bene» annuì il ragazzo «accettiamo volentieri».
L’uomo con la macchina nera sorrise «Vi faccio strada».


Il vice sceriffo Jordan Parrish non sapeva cosa stesse succedendo al di fuori delle mura della centrale. Sapeva solo che tutto ciò che prima considerava una priorità era stato accantonato a tempo record per far fronte ad una nuova emergenza.
All’inizio era stata Clarke ad assumersi quel caso, mentre il giovane uomo e Lydia, davano una mano a Scott nella sua ricerca, ma tempo poche ore e Clarke non aveva potuto fare a meno di chiedere aiuto al collega e a tutto il dipartimento di polizia di Beacon Hills. Avevano ancora poche ore a disposizione, e se non avessero trovato qualcosa prima, avrebbero dovuto chiamare i federali. E se c’era una cosa che Parrish non poteva permettere che mettesse piede a Beacon Hills, era l’FBI.
Il vice sceriffo si passò una mano tra i capelli corti, guardando le foto attaccate su una lavagna. In due giorni, erano spariti cinque ragazzini. Normalmente non si sarebbe eccessivamente preoccupato, la gran parte dei ragazzini che spariscono tornano a casa dopo un paio di giorni pentiti e piagnucolanti. Ma Jordan Parrish sapeva cosa si aggirava per le strade, e sapeva che non erano sicure.
Non se ne erano andati, di questo era certo. Qualcuno li aveva presi.
Il giovane uomo fece un passo indietro, come se facendolo potesse avere una prospettiva migliore della faccenda.
Emily Carr, dodici anni. Tyson Lewis, quindici anni. Holly e Stephen Haddon, tredici e quindici anni. Maria Sage, quattordici anni. 
Tutti spariti nelle ultime quarant’otto ore, in circostanze sconosciute, e nessun testimone oculare.
In primis Parrish aveva ponderato l’idea che Theo stesse cercando nuovi ragazzini per trasformarli in chimere, ma dalle loro cartelle cliniche non risultavano trapianti su nessuno dei cinque scomparsi. Quindi o era opera di qualcun altro, o Theo aveva deciso di fare qualcosa che implicava ragazzini che non fossero già chimere genetiche.
Entrambe le opzioni non prevedevano belle cose.
Parrish si alzò in piedi, andando a cercare il cellulare tra le tasche della sua giacca. Compose il numero e attese che dall’altra parte Lydia rispondesse.
 «Pronto?»
«Lydia, sono Jordan. Ho bisogno che torni qui in centrale il prima possibile, possibilmente con Stiles. C’è una cosa che dovete vedere».


Dopo aver lasciato la clinica si erano separati. Compartimentazione. Scott e Liam avevano preso l’indirizzo che Lydia aveva dato loro, e si stavano recando al B&B. Liam voleva parlare con Skye, e nulla sarebbe servito a dissuaderlo. Voleva capire con tutto te stesso, forse più di quando rivolesse  indietro Hayden.
Malia invece aveva preso Mason e si erano recati a casa di Stiles, come il ragazzo aveva detto loro di fare. Mason aveva passato tutto il tempo con le unghie conficcate nel sedile della macchina, mentre la ragazza guidava.
Stiles e Lydia, invece, si stavano dirigendo in centrale.
Mentre la banshee guidava, Stiles sentiva la nostalgia della sua jeep blu. La macchina della ragazza era nuova di zecca e filava sull’asfalto come olio, e lui la sentiva quasi come innaturale, dopo aver passato gli ultimi tre anni e mezzo guidando quel catorcio. Gli mancava la sensazione del motore che scoppiettava, cercando di non fondersi, o dell’andatura singhiozzante con le sospensioni andate. 
Sedeva sul sedile davanti, le mani posate sulle ginocchia ossute, e guardava distrattamente fuori dal finestrino. Il suo cervello era già in moto, in parte chiedendosi che cosa avrebbe visto di lì a poco, in parte ad affinare la sua strategia.
Non aveva ancora smesso di piovere, e l’acqua formava dei rivoli sottili sul vetro. I due guidarono in silenzio per qualche minuto, prima di parcheggiare davanti alla centrale. Smontarono rapidamente, correndo fino a sotto la tettoia nel vano tentativo di non bagnarsi, ma entrando nell’edificio lasciarono due serie di impronte bagnate, come se due figure invisibili stessero camminando dietro di loro.
E forse era proprio così.
Da settimane, ombre invisibili camminavano dietro tutti, muovendosi alla stessa velocità, allo stesso modo. Ombre che adesso avevano un nome, quello di Theo. Per lo meno, uno dei nomi, era quello di Theo.


I due ragazzi si erano seduti sotto il portico del B&B, ai capi opposti di un tavolino rotondo di plastica ricoperto da uno strato di finto legno. Skye si rigirava tra le dita due dati, che urtandosi emettevano lo stesso rumore delle nocche di una mano quando scrocchiavano. Tra i due ragazzi, posato sul tavolo, stava un tavoliere con trenta pedine circolari. Skye lanciò i dadi che rotolarono sulla superficie. Uscirono un quattro e un due.
Jude ridacchiò soddisfatto.
«Non puoi muovere».
Skye rimase ancora qualche secondo a scrutare il tavoliere, prima di allungare una mano e muovere una pedina con calma glaciale. L’espressione di Jude cambiò radicalmente, mentre la ragazza prendeva prigioniera una delle pedine del compagno, che rimase a bocca aperta. 
«Ma come…?» 
«Ti ricordo che gioco a Tapa da molto più tempo di te» disse la ragazza, senza staccare gli occhi dalle pedine «Sono stata io a insegnarti».
Jude la guardò, mentre le sue labbra si stiravano in un sorriso involontario. Prese i dadi dal tavolo con la mano destra, mentre guardava l’orologio sull’altro polso.
«Penso che sia ora» disse mentre riportava lo sguardo sulla giovane «Arriveranno a momenti». 
La ragazza annuì «Lo so» per la prima volta da molti minuti alzò gli occhi, posandoli in quelli di Jude «Ma nulla mi vieta di stracciarti a Tapa per l’ennesima volta, nel frattempo».
Il ragazzo rise di nuovo mentre tirava i dadi. Due e due.
«Uh uh, raddoppio» sorrise il ragazzo, mentre iniziava a muovere le pedine. 
In quel momento, una macchina parcheggiò davanti al vialetto, e alcuni ragazzi smontarono. Skye fece un sospiro, socchiudendo gli occhi, e da sotto il tavolo Jude allungò un piede sfiorandole in una caviglia. Un silenzioso incoraggiamento, un “io ci sono” che per la ragazza significava più di qualunque cosa.
Jude e Skye rimasero in attesa, mentre Scott e Liam si avvicinavano, fermandosi a pochi passi dal porticato. Solo allora Skye girò la testa. 
«Ciao, fratello» disse con un lieve sorriso «Sapevo che saresti venuto». 


La ragazzina urlò quando il coltello arroventato si posò sulla sua carne. Il suo corpo si tese fino allo spasmo, ma era bloccato da cinghie all’altezza di polsi, caviglie, spalle e ginocchia. La lama bollente venne premuta nel suo fianco ancora per un secondo, prima di essere estratta. Dopo pochi secondi, la ferita pulsante iniziò a rimarginarsi.
L’uomo spostò lo sguardo dal fianco al volto della ragazzina, osservandone i lineamenti distorti dal dolore, o gli occhi che nella semi oscurità brillavano di giallo. Allungò una mano, raccogliendo con il pollice una lacrima che le stava scivolando dall’angolo dell’occhio, e la ragazzina provò a tirare indietro la testa, emettendo un gemito lamentoso. L’uomo sorrise.
«Ottimo lavoro, mia cara» sussurrò «Ti stai comportando benissimo».  
La ragazzina emise qualche gemito sconnesso, mentre lui le camminava intorno, sfiorandole la pelle con la punta della lama, che andava raffreddandosi, lasciandole piccoli solchi sottili che si rimarginavano dopo pochi attimi.
«Davvero molto brava» continuò a sussurrare, mentre si portava alle sue spalle. Le posò le mani intorno al collo, e Emily le trovò gelide, in netto contrasto con il coltello. Singhiozzò appena.
«Shhh» sussurrò l’uomo, chinandosi verso il suo orecchio e intimandole di fare silenzio «Ascoltami bene, mia cara. Quello che sta per succedere farà molto, molto male, ma non sarà reale. Sarà solo nella tua testa, capisci? Tutto qui dentro» le picchiettò un dito sulla fronte un paio di volte, prima di allontanarsi. Le poche e fioche lampadine che pendevano sopra la testa della ragazza iniziarono a tremare, e a spegnersi e accendersi a intermittenza. La ragazzina emise qualche gridolino spaventato. Poi li vide.
Tutti intorno a lei, gli occhi bianchi che lampeggiavano nell’oscurità. Ombre, demoni. Tutte intorno a lei.
«Adesso» sussurrò l’uomo alle sue spalle, e le ombre si gettarono sulla ragazzina, senza esitare.
Emily Carr urlò con quanto fiato aveva in corpo.


Jude si era spostato di una sedia a destra, per lasciare a Liam il posto di fronte alla sorella, mentre lui si era trovato davanti Scott.
Aveva sentito parlare molto del vero alfa, e lo aveva visto in azione la notte della super luna, ma non lo aveva mai osservato da vicino. I due si scrutarono, mentre il ragazzo inclinava il volto. Ora che lo notava, un po’ si assomigliavano. 
Scott e Liam, dal canto loro, stavano osservando i due ragazzi con lo stesso interesse. Il più grande dimostrava poco più di vent’anni, aveva lineamenti armoniosi, forse resi ancora più morbidi dai boccoli scuri e dagli occhi di un caldo color miele. Aveva un fisico tonico, il ragazzo aveva le braccia incrociate sul petto muscoloso mentre se ne stava seduto rilassato sulla sedia, ma l’alfa non metteva in dubbio che sarebbe stato in grado di scattare in piedi e tirargli un pugno sul naso prima che potesse anche solo concepire l’idea. La ragazza, invece, era l’esatto opposto. Fisico snello, nervoso, occhi taglienti come l’acciaio, e quella sua aria algida, dalla pelle nivea ai capelli biondissimi, la facevano sembrare ancora più spigolosa, e non bastava la forma morbida del seno, o le labbra a cuore, per addolcirne i tratti.
«Da dove dobbiamo iniziare?» chiese Skye, interrompendo quel silenzio imbarazzante che si era venuto a creare.
«Potreste iniziare dicendoci chi siete» rispose Scott.
«Jude Norton» rispose il ragazzo «Non preoccuparti, non è un falso nome, nel caso te lo stia chiedendo».
«Io suppongo di non avere bisogno di presentazioni» rispose la ragazza. Guardò il fratello «Cosa hai detto su di me?» 
«Quello che so. Ovvero niente» rispose il ragazzo «Skye, dove sei stata tutti questi anni? Perché non mi hai fatto sapere che eri viva? I nostri genitori erano morti! Mi hai lasciato solo!»
Al nominare i loro genitori, una vena pulsò sulla tempia della ragazza, prima che il poco colore le defluisse dal volto «Fino a due settimane fa non sapevo nemmeno dove fossi» l’onestà traspariva dagli occhi chiari della ragazza «Ti ho cercato per anni, te lo giuro. Penso ci sia un motivo se ti ho trovato proprio adesso».
«Cosa intendi dire?» intervenne Scott.
«Che vi serve il nostro aiuto, vi serve la nostra protezione. Theo Raeken è qualcuno che non sarete mai in grado di battere, nelle vostre attuali condizioni» la ragazza si sporse in avanti «Non avete organizzazione, non avete un piano. E soprattutto, non avete addestramento. Se non imparate a combattere, sarete fatti a pezzi, e lo sapete».
«Noi non uccidiamo nessuno, Skye» le rispose Scott «Noi non facciamo così».
«Non sto dicendo che l’omicidio è l’unica soluzione possibile, Scott McCall, ma nemmeno la morte. Ed è quello che succederà a voi se non accettate l’aiuto che vi stiamo offrendo».
Liam la squadrò. Si era accorto subito che la ragazza aveva cambiato argomento, al nominare della notte di sette anni prima. Liam si convinse che stesse nascondendo qualcosa, e il dubbio si insinuò in lui come un cancro. E se lei sapesse chi era l’assassino? Se sì, perché non voleva dirglielo? Aveva a che fare con lui, o lei?
Mentre la conversazione tra Skye, Jude e Scott continuava, facendosi sempre più accesa, le domande si accalcavano l’una sull’altra. 
«Liam?» il ragazzo si riscosse, rendendosi conto di essere osservato.
«Cosa?»
«Ti abbiamo fatto una domanda?» il giovane beta non rispose, rivolgendosi invece alla sorella.
«Hai cambiato argomento» disse solamente «quando ho parlato di mamma e papà. Hai cambiato argomento».
La ragazza fece una lieve smorfia «Non mi sembra il momento di parlarne».
«Invece sì, Skye. Ho il diritto di sapere. Se sai qualcosa sulla morte dei nostri genitori devi dirmelo. Che cosa è successo sette anni fa?»
«Non ho intenzione di parlarne adesso» rispose duramente la giovane. Liam perse il controllo, battendo con forza una mano sul tavolo, facendo saltare tutte le pedine colorate disposte sul tabellone.
«Sì invece!» urlò «Questo è esattamente il momento per parlarne. Ho aspettato sette anni per avere delle risposte».
Lei lo fissò, uno sguardo che il fratello non seppe decifrare, ma di un intensità tale da fargli venire i brividi. Uno sguardo che avrebbe potuto dire molte cose, se solo Liam avesse voluto veramente capirle.
«Tu non vuoi sapere la verità, Liam. Fidati di me».
«E invece sì».
A questo dialogo, Jude assisteva silenziosamente, sapendo di non poter intervenire. Era una cosa tra i due, una cosa che il ragazzo aveva messo in conto. Un eventualità, che sarebbe potuta accadere. Ma Skye non l’aveva fatto, si era limitata a sperare di poterlo guardare da lontano, di invidiarne la purezza, l’ignoranza. Di invidiare tutte quelle esperienze che lui non aveva vissuto, e che lei portava incise addosso.
Ma ora che era accaduto esattamente quello che lei temeva di più, ma che Jude aveva capito essere inevitabile, lui non poteva fare nulla, se non sostenerla. Se non lasciare che fosse lei a prendere le proprie decisioni, su cosa fosse meglio o meno dire.
E mentre la ragazza apriva la bocca, pronta a dire qualcosa, qualunque cosa, un cellulare squillò.
Scott rispose.
«Pronto?» rimase in ascolto per pochi secondi «Che cosa? ... Oh mio dio, voi state bene? … ok… sì… certo, ci sono anche loro… d’accordo, ci vendiamo là».
Si alzò in piedi, riponendo il telefono in tasca.
«Temo che dovrete affrontare la questione un'altra volta, ragazzi, abbiamo novità. Pare che Theo abbia fatto la sua mossa».



   
 
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