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Autore: Brooke Davis24    27/10/2015    7 recensioni
One Shot Colifer ambientata pochi mesi dopo la fine di Once Upon A Time.
Può l'impossibile diventare possibile?
Dal capitolo:
"Le aveva spezzato il cuore, subito dopo averlo conquistato. Era stato per lei un amico, un confidente e, nel senso più platonico che la loro relazione conoscesse, perfino un amante. Perché, su quello non c'erano dubbi, l'aveva amata dal primo istante in cui i suoi occhi si erano posati su di lei e aveva rinnovato quella promessa di devozione ad ogni incontro, ad ogni sorriso, ad ogni più piccolo cedimento di quelle mura che ella aveva innalzato a protezione di sé e che Colin si era ripromesso di scavalcare da che l'aveva conosciuta. E c'era riuscito, in effetti!"
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: colin o'donoghue, Jennifer Morrison
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Io consiglio di ascoltare la canzone per tutta la durata del capitolo, ma la scelta è ovviamente vostra. Il link parte dal punto del video che meglio si presta alla storia. 
Buona lettura!

Colifer – Hello
 

https://youtu.be/YQHsXMglC9A?t=1m5s
 
“Salve, sono Jennifer! Lasciate un messaggio e sarete richiamati.”
 
Beep. Silenzio. Fine chiamata.
 
Con un sospiro rassegnato, ebbe fine lʼennesima, vuota conversazione con la segreteria e la cornetta del telefono prese a scivolare lentamente, inesorabilmente sul suo viso, prima che il braccio cadesse a precipizio per fermarsi, inerme, lungo il fianco, le dita ancora avviluppate attorno all'apparecchio per evitare che cadesse. Un po' come prossimi a cadere erano lui e gli sbagli che aveva commesso.
 
Guardandosi intorno con aria assente e accostandosi alla parete, la stanza gli rimandò l’immagine di sempre, quella che, da tre giorni a quella parte, aveva accompagnato ciascuna delle telefonate senza risposta che si era costretto a fare, e realizzò di detestare quel luogo come mai aveva fatto da quando vi si era trasferito. Lì, aveva vissuto alcuni tra i momenti più dolorosi e funesti della sua vita, teatro di sofferenza, incertezza e speranza come solo i corridoi di un ospedale potevano essere, nellʼincoerenza di un accostamento di emozioni che non avrebbe avuto, altrimenti, motivo di esistere. Lì aveva lasciato sua moglie, la compagna di una vita che avevano costruito insieme in un garbuglio così fitto di esperienze da rendere impossibile distinguere il punto in cui iniziasse lʼesistenza dellʼuno e finisse quella dell'altra. Lo sguardo che Helen gli aveva rivolto, con gli occhi ricolmi di lacrime mai versate, aleggiava ancora in quella camera come un fantasma del quale non sarebbe mai riuscito a disfarsi, quasi un promemoria di ciò che le aveva fatto e della distruzione che aveva portato con sé.
 
Era cresciuto con lei. Da ragazzo timido e spaurito qual era stato, le aveva aperto le porte della fortezza di autosufficienza presso la quale si era relegato in completa solitudine e non era più riuscito a cacciarla via, né a fare a meno di lei. Presto, era diventata la regina di quel castello e Colin l’aveva vista impossessarsi delle armi più disparate per lottare con le sue insicurezze e mostrargli che esse sarebbero state forti soltanto se fosse stato lui a dar loro quel vantaggio. Aveva conquistato il suo cuore e il suo spirito con gentilezza, fino a rendergli impossibile credere di poter desiderare qualcosʼaltro, qualcun altro con l’intensità con cui aveva desiderato avere Helen nella sua vita per il resto dei suoi giorni. Ma si era sbagliato!
 
Spinto dallʼincoraggiamento e dalla forza che quella relazione era in grado di infondergli, aveva accettato un lavoro lontano migliaia di chilometri da casa e il suo mondo aveva subito una scossa. Dʼun tratto, la fortezza presso la quale aveva vissuto non gli era più parsa sufficiente a contenerlo e le bellezze del mondo avevano iniziato a scintillare al di là del fossato. Che, tra quelle meraviglie, spiccasse la figura longilinea di una donna, che gli avrebbe chiesto più di quanto sua moglie non avesse fatto a suo tempo, aveva avuto il suo peso! Come Helen lo aveva pregato di consentirle lʼaccesso al suo mondo, Jennifer era arrivata per spingerlo ad uscire dalle mura confortevoli di quella roccaforte e avventurarsi ove, sì, non avrebbe avuto protezione ma neppure limiti. E, in un modo o nellʼaltro, che fosse per esigenza o curiosità, le aveva dato ascolto.
 
A quel punto, tornare a casa, alla vita che lui e Helen avevano sapientemente costruito, aveva finito per non fornirgli lo stesso tepore di un tempo, per non essere abbastanza e, a dispetto delle sue più nobili intenzioni, ben presto non era riuscito più a nasconderlo. In quel processo di riscoperta di sé, aveva conosciuto nuove pulsioni, nuove aspettative, nuove curiosità che non avrebbe potuto occultare per il solo fatto di volerlo. E quante speranze c’erano che riuscisse nell’impresa, se la verità era che non desiderava affatto sopprimere alcuna di quelle novità? In quel percorso di evoluzione e cambiamento, aveva coinvolto, toccato e stravolto più persone di quanto si fosse aspettato, cosicché, quando aveva aperto gli occhi e si era reso conto di cosa avesse fatto, barcamenarsi tra le conseguenze delle sue azioni aveva comportato più danni che guadagni. E Jennifer ne era stata vittima, forse più di tutti gli altri.
 
Le aveva spezzato il cuore, subito dopo averlo conquistato. Era stato per lei un amico, un confidente e, nel senso più platonico che la loro relazione conoscesse, perfino un amante. Perché, su quello non c'erano dubbi, l'aveva amata dal primo istante in cui i suoi occhi si erano posati su di lei e aveva rinnovato quella promessa di devozione ad ogni incontro, ad ogni sorriso, ad ogni più piccolo cedimento di quelle mura che ella aveva innalzato a protezione di sé e che Colin si era ripromesso di scavalcare da che l'aveva conosciuta. E c'era riuscito, in effetti! O, meglio, le aveva abbattute con la sapiente padronanza del mestiere di un carpentiere e ottenendo la stessa identica soddisfazione: le aveva sentite, dapprima, scricchiolare e, infine, venire giù in uno spettacolo grandioso e trionfale a un tempo per mostrargli la donna che l’avrebbe fatto innamorare a dispetto della sua educazione e del suo credo religioso.
 
Jennifer era un incanto. C’erano in lei una passione, eleganza e maestria così innate da dare l’impressione che ciascuna di quelle qualità fosse nata con lei. Negli anni in cui aveva lavorato e, più di tutto, vissuto al suo fianco come amico e collega, Colin l’aveva vista entusiasmarsi, sfidarsi e spronarsi continuamente e aveva desiderato fare altrettanto. Accanto a lei, gli pareva quasi di dimenticare la caricatura di uomo che era stato in passato, il ragazzo che non riusciva ad esprimere la vastità del mondo che aveva dentro se non con la musica, uno strimpellare timido e distratto a colonna sonora di unʼesistenza che aveva impiegato anni a valorizzare. E, non rendendosene conto, si era messo nella condizione di esigere di più da Jennifer e dalla loro relazione con un ardore sul quale non aveva avuto alcun controllo fino a che non era stato troppo tardi. Adesso, le uniche maglie che lo tenevano lontano dal baratro della sconfitta avevano le sembianze di un'apologia sciocca e inutile quanto insensato e irragionevole era stato il suo comportamento.
 
Doveva chiederle scusa, doveva spiegarle e, sebbene non sapesse ancora come fare ognuna di quelle cose, doveva farlo prima che la codardia che si era ostinato a combattere per tutta la vita prendesse nuovamente il sopravvento. Una risata breve e sarcastica venne dalla sua mente e gli suggerì di guardare in faccia la realtà, non abbandonandosi alle fantasie dello stupido adolescente che era stato: lei non lo avrebbe perdonato. Probabilmente, non sarebbe neppure stata a sentirlo. E non era nella posizione per biasimarla, non dopo aver rinnegato anni di emozioni latenti per salvare una famiglia che, alfine, non era riuscito a tenere insieme nonostante gli sforzi.
 
Aveva provato a dimenticarla, ci aveva provato davvero con l'ostinazione di un padre e un marito di famiglia, ma aveva scoperto ben presto che, per quanto ardentemente gli fosse parso di desiderarlo, il suo cuore non era pronto ad arrendersi. E l'aveva realizzato nella maniera più dolorosa possibile: dopo mesi di silenzio impenetrabile a seguito della fine di Once Upon A Time, le loro strade si erano incrociate ad un evento e Colin aveva appurato di non essere nulla per lei. Benché ella si fosse dimostrata cortese e sorridente, glieli aveva letti negli occhi, il gelo e l'indifferenza che mai era stata capace di riservargli, neppure quando l'aveva irritata con le sue stupide, insensate pretese; e si era reso conto che il legame che li aveva sempre spinti l'uno verso l'altra fosse stato completamente distrutto. Non semplicemente reciso. Era come se Jennifer avesse chiesto alla mano esperta di un chirurgo di intervenire per rimuovere alla radice non solo l'origine nella loro connessione, ma anche il segno della sua esistenza. Non era più niente per lei, se non l’emblema di quanto doloroso potesse essere avere il cuore spezzato.
 
Quella sera Colin aveva sentito l'orgoglio pungolare e il dolore premere prepotentemente contro il petto nel realizzare come il filo quasi magico che li aveva sempre uniti fosse legato solo a lui e pendesse desolatamente sul pavimento senza un appiglio alla sua altra estremità; e il peso di quella solitudine, considerata l’intensità del loro legame, lo aveva ingobbito fino a che non era riuscito ad ammettere che vivere con una donna in virtù di un amore che non provava più – non con quella sincerità, non con quella unicità – non avrebbe inferto che ulteriori ferite.
 
 I suoi passi risuonarono nella cucina vuota, mentre si trascinava verso il frigorifero con la mente piena di memorie del passato. Nei suoi ricordi, vedeva Jennifer ridere e sorridere al suo indirizzo, appoggiarsi a lui e cercare il suo sostegno, talvolta perfino la sua approvazione come se il suo parere contasse più di tutti gli altri. La vedeva arrovellarsi in pensieri e progetti più grandi di lei con un entusiasmo che era in grado di coinvolgerlo e renderlo migliore di quanto non fosse mai stato: più uomo e più bambino a un tempo, perché desiderava con l'ardimento del primo, ma sognava con l'assenza di limiti del secondo. E quei pensieri furono talmente dolorosi che batté la bottiglia di birra più forte del previsto contro la superficie del bancone e vide parte del liquido colare giù dalla fessura che quel colpo aveva aperto. Aveva rovinato tutto su tutti i fronti. Come aveva potuto ridursi a quel punto?
 
*
“Jen”.
 
Pausa.
 
Fine chiamata.
 
Con le spalle e il capo poggiati alla parete, Jennifer chiuse gli occhi e sospirò, il dito che ancora indugiava sul punto dello schermo che serviva ad interrompere la chiamata. Era l’ennesimo messaggio di una serie sconclusionata di tentativi di approccio ai quali non sapeva più come reagire. E non lo sapeva perché ciascuno di quei messaggi - brevi o completamente vuoti che fossero – sapevano così tanto di lui da cancellare d’un tratto i mesi di lavoro che aveva fatto su se stessa per superare l’ennesima delusione amorosa della sua vita. Non che potesse colpevolizzarlo del tutto, questo no, ma la ferita lasciata da quello strappo bruciava ancora al suono della vocina nella sua testa che le diceva che, no, una relazione come quella dei suoi genitori non l’avrebbe mai avuta.
 
«E’ ancora lui, non è così?»
 
«Mh?!»
 
La voce di Jamie attraversò la stanza fino a ridestarla e Jennifer si costrinse ad aprire gli occhi per tornare alla realtà. Quando la raggiunse e si accomodò sul divano accanto a lei, cadde sui cuscini con una pesantezza che era tutta dello spirito e che, se possibile, venne acuita dallo sguardo che le rivolse lʼaltra. Non era pietà, quella che le leggeva negli occhi, ma il sincero affetto di un’amica che avrebbe voluto alleggerirla di una parte del peso che le aveva visto trasportare a fatica negli ultimi tempi. Jamie le voleva bene ed era una persona insostituibile nella sua vita, perché era in grado di portare ordine e grazia ovunque regnassero il caos e l’indecisione. E la sua sfera sentimentale, da qualche mese a quella parte, era stata così infusa di confusione che l’arrivo dell’altra non avrebbe potuto che giovarle.
 
Jamie le passò dolcemente un braccio attorno alle spalle, finché Jennifer non si appoggiò a lei. «Perché non ascolti quello che ha da dirti?» fece e, contro ogni aspettativa, la sorprese. «Lo devi a te stessa.»
 
«Penso che l’unica cosa positiva che posso fare per me stessa, in questa circostanza, sia lasciarmi questa storia alle spalle,» si limitò a rispondere con voce sommessa, ma sapeva anche lei che le speranze di riuscirci erano ben misere, se tutti quei mesi di silenzio da parte di entrambi non erano bastati ad alleviare la mestizia di cui era preda il suo cuore. «Non posso vederlo, Jamie.»
 
Il modo in cui la sua voce si incrinò impercettibilmente non sfuggì all’amica, che strinse la presa  e la circondò con l’altro braccio. «Ma vuoi vederlo,» le fece notare e sorrise del lieve sobbalzo dellʼaltra: era come se il corpo di Jennifer rifiutasse anche solo l’idea di un simile sentimento e, perfino di più, l’eventualità di averlo di fronte. Così, aggiunse: «Io vorrei vedere Bryan.»
 
Jennifer sospirò. Avrebbe voluto dirle che non era propriamente la stessa cosa, che lei non si era innamorata di un uomo sposato, arrivando a provare sensazioni che, all’età di più di trent’anni, non aveva creduto di dover ancora sperimentare. Avrebbe voluto farle notare che lei non aveva la malsana abitudine di innamorarsi dei suoi colleghi di lavoro, al punto da farle dubitare della genuinità del suo trasporto e spingerla a credere che non fosse in grado di distinguere i sentimenti del personaggio dai suoi; che lei non fosse in bilico tra la consapevolezza di aver quasi distrutto una famiglia e quella di non aver fatto assolutamente nulla per giungere a quel risultato, vittima del destino e delle sue trame. Ma non disse nulla di tutto ciò, poiché nessuna di quelle affermazioni avrebbe cambiato il fatto che, sì, avrebbe voluto vederlo.
 
*
 
«Se il Vero Amore fosse facile da trovare, lo avremmo tutti.» Jennifer inclinò il capo con espressione esasperata, ma Ginnifer le sorrise con tenerezza, sapendo che quella citazione sarebbe servita allo scopo. «Guardati intorno,» le disse, lanciando una rapida ma felice occhiata al soggiorno di casa sua. «Credi che sia stato un percorso tutto in discesa, Jen? Abbiamo dovuto spezzare la nostra buona dose di cuori per poter avere questo! E chiamami pure egoista, ma non rimpiango nessuno di quegli effetti collaterali. E tu lo sai. So che lo sai.»
 
Gli occhi di Ginnifer brillarono di commozione alla luce della lampada. La maternità l’aveva resa più emotiva ed empatica di quanto non fosse già e Jennifer sorrise nel guardarla, poiché capiva, sapeva cosa intendesse dirle. Se il prezzo per stare con Josh e avere il bambino più buffo del mondo che zampettava per casa era costringere qualcuno ad una porzione di infelicità, Ginnifer non soltanto non rimpiangeva nulla di ciò che avevano fatto, ma avrebbe ripetuto ogni singola mossa infinite volte.
 
«Credi che non sia stato difficile per Josh divorziare da sua moglie o per me rompere il fidanzamento? Fidati, non lo è stato!» Il modo in cui pronunciò quelle parole diede a Jennifer l’impressione che interpretare il ruolo di madre e figlia non avrebbe mai potuto essere più semplice per loro due. «Non avevamo nessuna certezza che tutto sarebbe andato liscio, che non fosse un abbaglio, che non stessimo rovinando le nostre vite e quelle degli altri per un capriccio, ma valeva la pena provare,» le disse e, nel farlo, si protese verso di lei fino ad prenderle le mani tra le sue. «Perché quello che provavo per Josh e che lui provava per me valeva il rischio di un errore. E guardaci adesso!»
 
Jennifer le sorrise di un affetto che non avrebbe potuto simulare. «Biancaneve e il Principe Azzurro, sposati e con un bambino. Che cliché!»
 
L’altra ignorò la sua considerazione. «Pensi che sia una coincidenza che tu e Colin vi siate incontrati sul set di un telefilm che parla di favole e siate finiti ad interpretare due amanti?»
 
«Io e Colin non siamo Emma e Uncino, Ginni.»
 
«Ah no?» Il tono di sfida con cui Ginnifer ribatté rese chiaro che non si sarebbe arresa facilmente: era un osso duro, Jennifer lʼaveva appreso a sue spese, e, da qualche tempo a quella parte, si era autonomamente assegnata il ruolo di paladina dei sentimenti quanto alla vita sentimentale dellʼamica. «Vediamo un po’ se i miei calcoli sono esatti: Emma e Uncino vivevano in due mondi diversi e, in teoria, perfino in epoche storiche differenti, considerato che lui ha 300 anni. Eppure lui è sopravvissuto per secoli ed Emma è arrivata nella Foresta Incantata per uno stupido tranello. E dimmi se non è una coincidenza spaventosa che tu e Colin viveste a chilometri di distanza, tu negli Stati Uniti e lui in un posto dimenticato da Dio in Irlanda.» Jennifer fu sul punto di intervenire, ma l’altra non glielo concesse. «Quante sono le possibilità che un uomo come lui venga preso per interpretare l’iconico Capitan Uncino, pur avendo la metà dei suoi anni e un aspetto completamente diverso dal solito modo di presentarlo? Te lo dico io quante: una su cento.» Jennifer avrebbe voluto frenare il flusso di parole con cui l’amica la stava investendo, spiegarle che la vita non è una favola per tutti, che non ogni essere vivente era destinato ad incontrare l’anima gemella nel modo incantato in cui si erano conosciuti lei e Josh, che loro erano l’eccezione e non la regola, ma non ne ebbe il tempo. «Oh, devo anche aggiungere che, come Neal per Emma, anche in questo caso c’è qualcuno che sembra impedire l’evolversi delle cose?»
 
«Helen non è Neal, Ginni, e, soprattutto, non è un impedimento. Helen è sua moglie, la donna che ha avuto accanto tutta la vita, la madre di suo figlio,» disse e lo fece con un’esasperazione che, forse per la prima volta, mostrò a Ginnifer quali fossero i reali sentimenti dell’amica rispetto alla situazione che si era creata. «Lei è… la donna della sua vita! E Colin ha scelto lei: sto solo rispettando questa scelta nel modo che mi consente di proteggermi di più.»
 
Per un istante, brevissimo e fugace ma indicibilmente intenso, Ginnifer provò l’impulso di renderla partecipe di ciò che era accaduto, di raccontarle di come Colin avesse lasciato Helen nel realizzare che, sì, era stata la donna della sua vita, ma di una parte della sua vita che apparteneva al passato oramai, quantomeno in relazione al ruolo. Sapeva, però, di non poterlo fare, perché, se c’era qualcuno legittimato a darle quell’informazione, altri non era che Colin stesso. Se solo lei si fosse decisa a dargli una sola possibilità per spiegarle cosa fosse accaduto!
 
Ginnifer le sorrise, stringendole brevemente la mano. «Dovresti almeno sentire cos’ha da dirti.»
 
«Zia Jen,» la chiamò una vocina poco distante, storpiando appena le parole per formare un ‘sssia Scen’ che fece sorridere entrambe e le spinse a voltarsi verso Oliver.
 
«Signore,» fece Josh, entrando in soggiorno proprio mentre Jennifer raggiungeva Oliver e lo prendeva in braccio, prima di voltarsi verso di lui e sorridergli, «vado a prendere la cena.» Fu sul punto di andarsene, quando si voltò verso di loro per aggiungere: «Oh, vi saluta Colin!»
 
Jennifer distolse lo sguardo e si allontanò col bambino. Lo sguardo di Josh incontrò quello della moglie che, con fare sommesso, scosse il capo in segno di diniego.
 
Non l’avevano convinta neppure quella volta.
 
*
 
«Pronto?»
 
«Pronto? Sono io.»
 
La sentì indugiare un attimo e, subito dopo, realizzare chi fosse interlocutore all’altro capo del telefono.
 
Sospiro.
 
«Mi dispiace…»
 
Fine conversazione.
 
*
 
«Basta così!»
 
La voce di sua madre risuonò alle sue spalle, seguita dallo sbattere di un cassetto e da una successione di passi pesanti e decisi. Quando si voltò per osservare cosa stesse accadendo, Colin incrociò appena lo sguardo del padre per trovarvi la stessa confusione e, infine, tornò sulla donna per seguirne le ultime mosse. Fu una sorpresa realizzare che la ragione di tanta esasperazione fosse proprio lui! Osservandolo con espressione furente, gli strappò il telecomando di mano, spense il televisore e, gettandolo sulla poltrona più lontana dal figlio, posizionò entrambe le mani sui rispettivi fianchi.
 
«E’ per questo che hai mandato a puttane il tuo matrimonio?»
 
Non fu necessaria alcuna spiegazione ulteriore. Colin realizzò immediatamente quali fossero le implicazioni sottese al quesito postogli dalla madre e sospirò, lasciandosi scivolare appena sui cuscini. Aveva provato a chiamare Jennifer decine, perfino centinaia di volte senza mai ricevere risposta. Come il più patetico degli spasimanti respinti, era arrivato al punto da usare un numero che sapeva ella non avrebbe conosciuto nella speranza che rispondesse e tanto bastasse per instaurare un contatto iniziale. Ma non era stato così! Con due brevi parole di scusa, lei si era congedata e il telefono gli aveva restituito il suono cui era tanto abituato. Silenzio.
 
Cos’aveva fatto lui, a quel punto? Niente. Crogiolandosi nella convinzione che fosse troppo tardi, al cospetto di una refrattarietà come mai se ne sarebbe aspettate da Jennifer, non era riuscito a fare il passo successivo ed era rimasto in attesa di un segno che indirizzasse il suo cammino e gli dicesse cosa fare. E ne aveva ricevuti di segnali, più di quanti ne avesse aspettati: proprio quando pareva sul punto di rinunciare all’impresa, il mondo pareva complottare contro di lui e finiva per incrociarla di sfuggita all’uscita di uno studio televisivo, o, ancora, per scorgerne la figura in un film o in un’intervista mentre faceva distrattamente zapping. E, allora, si ritrovava a comporre nuovamente quel numero nella speranza che quella fosse la volta buona, nella speranza di sentire la sua voce e riuscire a sanare le ferite che le aveva inferto col suo fare maldestro e conservatore. Ma non era mai cosi!
 
«Cosa vuoi che faccia? Che la pedini e la costringa a parlarmi?»
 
«Accidenti, sì!» Sua madre lo sorprese. «Se fosse necessario, sequestrala e costringila ad ascoltarti. Da’ un senso a tutto questo,» gli disse e l’esasperazione prese a fluire per la stanza fino a raggiungerlo. Colin sapeva quanto quella situazione avesse frustrato e sconvolto la sua famiglia e, in parte, sentiva il peso di quella consapevolezza. «Non è così che ti abbiamo cresciuto!»
 
«Mary,» intervene il marito con lo stesso fare conciliante che usava adoperare quando sapeva di averla contrariata, «non sono affari che ci riguardano.»
 
«Ci riguardano eccome, Con,» ribatté prontamente lei, irata. «Non ti abbiamo cresciuto arrendevole, passivo e… codardo. Tutto quello che hai fatto non ha alcun valore, se non sei disposto a lottare per quello che vuoi. Hai compiuto più di metà del percorso. Perché fermarsi adesso?» Il marito fu sul punto di intervenire ancora, ma la donna fu risoluta nei rispedire al mittente qualunque lamentela. «Oh, lo so che siamo venuti qui per farlo ragionare! Ma gli abbiamo insegnato ad essere sincero con se stesso e lo è stato: non è Helen che vuole e non sarò io a imboccargliela a forza. O tu.»
 
Colin si alzò e oltrepassò la zona relax in direzione della cucina, percorrendo la distanza tra i due punti a grandi passi decisi. Codardo! Se c’era qualcosa che bruciava più del fatto di averlo realizzato da sé, era il sentirselo dire dai suoi genitori, dando al suo comportamento una caratterizzazione che si era rifiutato di dare per ovvie ragioni. E, a quel punto, si sentì tanto esasperato quanto irato: con se stesso, con Jennifer e la sua impossibile ostinazione, con i suoi genitori, perfino con Dio. Era in preda agli eventi e, insieme, alle sue debolezze, bloccato in un limbo di incertezza che rendeva l’attesa quasi più piacevole della definitiva determinazione delle circostanze. Cosa avrebbe fatto, se, una volta ottenuto il colloquio per il quale aveva così a lungo spasimato, questo fosse servito a nient’altro che spegnere definitivamente le sue speranze? Con quale coraggio avrebbe affrontato il biasimo del suo riflesso nello specchio, se avesse realizzato di aver sfasciato ciò che aveva amorevolmente costruito con Helen e, a un tempo, di aver perduto la persona per cui aveva messo in discussione se stesso e le sue convinzioni?
 
«Cosa farebbe Uncino?» La voce di suo padre richiamò la sua attenzione e, dopo un istante di istupidita incertezza, Colin scosse il capo e si passò stancamente una mano sul viso, massaggiando gli occhi. Suo padre lo raggiunse, costringendolo a prendere in considerazione quell’intervento. «Cosa farebbe Uncino, se Emma si ostinasse a non prestargli ascolto?»
 
Colin sospirò. «Lotterebbe fino ad ottenere la sua attenzione e persuaderla a farlo,» rispose e l’uomo dinanzi a lui annuì seccamente, un sorriso sulle labbra.
 
«Jennifer è una brava ragazza. Noi-» e guardò la moglie per ottenerne il consenso, «Noi le vorremo bene quanto gliene vuoi tu, ma devi darcene la possibilità. Dacci l’opportunità di capire perché hai fatto tutto questo.»
 
Gli occhi di Colin incontrarono quelli del padre e, per l’ennesima volta, provò un moto di infinita gratitudine nei confronti delle due persone che aveva innanzi. L’annuncio della sua separazione da Helen li aveva devastati, non soltanto per i dettami cristiani cui erano tanto devoti, ma anche per l’affetto che li legava alla giovane che avevano visto crescere in tutti quegli anni, la stessa che aveva dato alla luce il loro nipote e che consideravano un po’ figlia a loro volta. E, nonostante tutto, erano disposti a mettere in gioco tutto quanto per amor suo, a seguirlo in quella spirale di legami distrutti e da ricostruire se ciò significava vederlo felice.
 
«Avete ragione.»
 
*
 
1 messaggio in segreteria. Premere il tasto 1 per riascoltare.
 
Era il suo messaggio preferito. Il più lungo, il più sospirato, il più pregno di parole che Colin fosse riuscito a lasciarle. Di tanto in tanto, quando abbassava le difese e si concedeva il lusso di essere la versione più vulnerabile di sé, le capitava di riascoltarlo e di mettere in discussione la linea dura che aveva tenuto fino a quel momento. Era come se, complici il vino e la perfetta quiete di casa sua, le mura si abbassassero e, finalmente, le pressioni di chi le voleva bene riuscissero a sortire l’effetto sperato: nella sua mente, in un guazzabuglio vagamente stordito dall’alcool, risuonavano le considerazioni di Ginnifer, i consigli di Jamie, le parole dolcemente sussurrate di Josh, gli incoraggiamenti della sua famiglia e improvvisamente si sentiva sola in quella lotta ostinata nella quale si era buttata a capofitto, sola come non si era mai sentita se non in una sola occasione: nell’interpretare Emma.
 
Raggomitolandosi un po’ di più sul divano, strinse a sé il corpicino caldo di Ava e il legame che le teneva unite da anni ormai brillò di accresciuto amore. Perfino quando le pareva di essere stata abbandonata da tutti, compresa se stessa, Ava era lì a ricordarle che non le avrebbe mai concesso di sentirsi sola, che, fosse anche stato per la ragione più sciocca dell’universo, avrebbe avuto quantomeno lei al suo fianco. Quella constatazione le costò un battito, il più intenso che avesse mancato da mesi a quella parte, e lacrime calde e rassicuranti affiorarono ai suoi occhi, rigandole il viso di un dolore dolceamaro che sapeva di tutto e di niente insieme: sapeva di incertezza, di ostinazione, di fragilità e di forza, ma, soprattutto, aveva il sapore di un cuore spezzato che non era ancora riuscita a ricomporre a dispetto del suo impegno.
 
Le pareva di sentirli a volte, i cocci di ciò che era rimasto, cozzare tra di loro in occasione di movimenti più o meno bruschi e le capitava di guardarsi intorno con circospezione, come se temesse di essere colta sul fatto da qualcuno e di esserne soggetta al biasimo. Ed era in quei momenti che aveva lʼimpressione di aver sbagliato tutto e sentiva su di sé il peso dei suoi anni, poiché non importava quanti e quali risultati avesse raggiunto se non era in grado di tutelare il suo cuore, neppure dagli attacchi la cui pericolosità era apertamente manifesta.
 
Lo stava punendo, sì, e stava punendo se stessa. Non era in collera con lui per aver scelto di rimanere con la sua famiglia, né perché riteneva l’avesse sedotta e abbandonata: non sarebbe mai riuscita ad amare nessuno con l’intensità con cui amava Colin, se non fosse stato così dolorosamente genuino, onesto e gentile nella sua imperfetta umanità. Era adirata con lui per averle consentito di cadere a quel modo, per non aver posto un freno alla corsa dei suoi sentimenti anche quando i contorni di essi erano stati più nitidi della luce del giorno, per il modo dirompente in cui era entrato nella sua vita senza darle il tempo di prendere alcuna precauzione per cautelarsi. Ma, più di tutto, era adirata con lui perché era riuscito a fare ciascuna di quelle cose senza farle rimpiangere un solo istante di ciò che avevano vissuto. Pur contro ogni forma di buonsenso, se avesse avuto la possibilità di escluderlo dalla sua vita prima ancora che vi entrasse, Jennifer non avrebbe mai trovato il coraggio di rinnegare il loro percorso, neppure nella consapevolezza delle conseguenze che ne sarebbero scaturite.
 
Con un sorriso blando, premette il tasto 1.
 
Ciao, come stai? Spero bene.” Pausa. “Mi chiedevo se, dopo tutti questi mesi, ti andasse di vederci.” Pausa. Sospiro. “Ho bisogno di parlarti.”
 
Fine messaggio.
 
*
 
San Diego Comic Con.
 
Era strano essere lì in qualità di produttrice, strano ma piacevole. Le dava la sensazione di aver dato una nuova direzione alla sua vita, di aver battuto un sentiero che, fino a quel momento, aveva intrapreso con timidezza e circospezione per lasciarsi andare, finalmente, ad un passo sicuro e a testa alta. Si sentiva a suo agio, perfettamente padrona della scena ed entusiasta di sperimentare quel miscuglio di sentimenti che soltanto l’autore di un progetto ex novo poteva provare: la fierezza del lavoro compiuto, il dubbio di aver fatto tutto quello che avrebbe dovuto, l’incertezza di essere riuscito a trasmettere il messaggio per il quale molti insieme a lei avevano operosamente faticato, l’aspettativa di un riscontro sul quale non avrebbe potuto avere alcuna sicurezza.
 
Era strano essere lì senza il cast di Once Upon A Time, strano e in parte spiacevole. Benché detestasse l’idea di rimanere legata ad un ruolo troppo a lungo, le mancava tutto di quell’esperienza, le mancava tutto di quella piccola famiglia sgangherata: dal capirsi con uno sguardo alle risate prive di grazia, dal calore del pubblico alla certezza di aver toccato la vita di un’infinità di persone senza nemmeno averne avuto percezione. Quello show aveva davvero qualcosa di magico che prescindeva dagli effetti speciali, dalla trama e dai suoi personaggi incantati. Erano le persone, sia quelle che vi lavoravano che quelle che vi dedicavano tempo ed attenzione, a caricarlo di magia, speranza e amore con la loro devozione. E, quando entravi a far parte di quel nucleo familiare, finivi in qualche modo per sentirne sempre la presenza e, insieme, la mancanza.
 
Era strano fino al punto di dolere, si disse, mentre annuiva all’indirizzo del presentatore del panel e si allungava in direzione del suo co-produttore, nell’attesa che mettessero ordine e il pubblico venisse preparato per le domande di routine. Fu a quel punto che un lieve boato si sollevò dai presenti, costringendo Jennifer e gli altri al tavolo ad allungare lo sguardo per comprendere cosa stesse accadendo. La ricerca non si prolungò più del necessario: un uomo si schiarì la voce al microfono e l’attenzione di tutti fu immediatamente dirottata in sua direzione. Il cuore di Jennifer mancò istintivamente un battito, prima di accelerare la sua corsa: era Colin, in tutto il suo sorridente e timido splendore. Riusciva quasi a scorgere il lieve rossore sulle sue guance, in un misto di imbarazzo, sollievo e titubanza che lo identificava solo parzialmente, perché lui era molto di più di quello.
 
Era riuscito ad ottenere la sua attenzione senza dubbio, convenne Jennifer con se stessa, e lo aveva fatto allo stesso modo in cui l’aveva conquistata: silenziosamente, quasi subdolamente, lasciandole credere di avere il comando della situazione, solo per smentirla in modo plateale poco dopo.
 
«Ciao Jen!» disse e lo fece con un misto di timidezza e soddisfazione che la fece sospirare.
 
Decine di teste dal pubblico si voltarono verso di lei, cariche di aspettative. «Ciao Colin!»
 
*
 
Avevano litigato furiosamente dopo quell’episodio e l’acredine che era emersa dal loro alterco aveva lasciato sgomenti entrambi. Era come se avessero riversato la frustrazione accumulata per anni, a dosi più o meno massicce, in un unico confronto, rimproverandosi colpe che probabilmente sarebbe stato più corretto imputare a se stessi prima che all’altro. Per un arco di tempo che era parso infinito nella sua intensità, si erano detestati, disprezzati e giudicati in una spirale di sentimenti così vorticosi da lasciarli in balia di una furia che aveva impedito loro di sentire le ragioni del proprio interlocutore. Erano stati sordi, arrabbiati ed esasperati con un vigore che, alfine, li aveva sfiniti e ammutoliti, ma indicibilmente sollevati.
 
Era stato come togliersi un peso enorme dal cuore, elaborando ferite, delusioni e incomprensioni che avevano finito per martoriarli nel silenzio delle loro angosce, e poco importava che, nel processo per raggiungere quella liberazione, si fossero inferti altre ferite: al cospetto di ciò che quei mesi di distanza avevano fatto loro, la prospettiva di essersi fatti male di un’irruenza che aveva sembianze umane  risultava quasi consolante rispetto al silenzio freddo di un messaggio in segreteria. Adesso che la quiete era sopraggiunta, benché tutto fosse stato così incredibilmente caotico tra di loro fino a pochi istanti prima, Jennifer si guardò intorno e trovò conforto nell’intoccabile serenità di casa sua. D’un tratto, fu lieta di aver atteso che fossero in un luogo così discreto prima di intraprendere qualsivoglia genere di conversazione.
 
«Mi dispiace,» disse lui a quel punto, attirando l’attenzione di lei, e il suo volto apparve così stravolto da quanto accaduto che Jennifer non poté impedirsi di provare una fitta al petto. Detestava quando era così disarmante! «Volevo-» iniziò, ma si interruppe poco dopo, prendendosi il tempo per  trarre un sospiro liberatorio che gli restituì parte della padronanza di sé che aveva perduto. «Era questo che avrei voluto dirti, prima che ci dessimo addosso a quel modo.»
 
Ed era vero. Quando, alla fine del panel, lui l’aveva raggiunta e Jennifer gli aveva concesso l’opportunità di una conversazione in privato, non aveva avuto dubbi sul fatto che il loro colloquio sarebbe iniziato con quelle due semplici parole. E, invece, una volta che le porte dell’auto che li avrebbe condotti a casa di lei si erano chiuse, Jennifer aveva optato per quell’attitudine di composta cortesia che era in grado di fargli perdere ogni forma di controllo, di renderlo intemperante e iracondo come di rado gli capitava di essere. Se era in collera con lui, perché non urlarglielo? Perché non colpirlo una, due, dieci volte se necessario? Perché non dare voce a ciò che provava e lasciare che lui capisse?
 
Non avrebbe saputo dire chi avesse cominciato ad urlare per primo, nel momento in cui la porta di casa di lei li aveva isolati dal resto del mondo. L’ultimo rumore che ricordava distintamente, prima che le loro voci si accavallassero, era il tintinnio delle chiavi che Jennifer aveva posato sul ripiano in marmo della cucina. Ed era proprio quel tintinnio l’unica cosa che risuonava nella sua mente a litigata consumata! A quel punto, si sentiva svuotato, stupido e indifeso, come se la donna che aveva davanti avesse il potere di spezzargli il cuore e lui, ad onor del vero, fosse disposto a concedergli quel pareggio dei conti, se era quello che voleva.
 
Jennifer annuì brevemente, scossa e stravolta quanto lo era Colin. «Dispiace anche a me,» disse, reggendosi al bancone della cucina, ma non lo guardò.
 
Disperato, Colin compì un passo verso di lei. «Io e Helen ci siamo lasciati.» Fu un azzardo, ma riuscì ad ottenerne l’attenzione. Non poteva lasciare che si allontanasse da lui proprio a quel punto! «Era di questo che volevo parlarti. Ecco il perché di tutte quelle chiamate.»
 
L’espressione di lei subì un cambiamento drastico. Su quel viso etereo nella sua bellezza, si susseguirono in un’unica sfilata sentimenti esponenzialmente diversi e lo stupì la sua capacità di individuare con nitidezza ciascuno di essi, a dimostrazione di quanto bene la conoscesse: rabbia, esasperazione, senso di colpa, stanchezza, mestizia, dolore. Colin fece per avanzare verso di lei, ma Jennifer fu più rapida e, voltandogli le spalle, lasciò la cucina in direzione del salotto. Quando lui la raggiunse e la costrinse a fronteggiarlo, con l’espressione più confusa e sofferente che ella avesse mai scorto su quei lineamenti, il verde dei suoi occhi riflesse con pari intensità il grado di esasperazione che poteva leggere nell’azzurro di quelli dell’altro.
 
Nell’animo di lei, si agitavano la preoccupazione di aver cagionato quella rottura, il biasimo verso se stessa per non essere stata una buona amica e averlo respinto quando lui aveva avuto bisogno di lei, la consapevolezza di quanto male Colin le stesse facendo e di quanto sbagliato fosse coinvolgerla in una cosa del genere, la disperazione per il fatto di sentirsi sbagliata ancora una volta. Come avrebbe potuto sapere che la sofferenza che leggeva nello sguardo di lui dipendesse esclusivamente dal timore di poterla perdere? Che, sì, gli aveva spezzato il cuore lasciare sua moglie e penalizzare suo figlio per questo, ma che la sola prospettiva di vedere sparire proprio lei dalla sua vita riusciva a metterlo in ginocchio più delle conseguenze di un divorzio?
 
«Ti prego, Jen,» le disse, d’improvviso, in un sussurro, gli occhi annacquati mentre lottava con le lacrime nel tentativo di respingerle al mittente. «Io ti amo.»
 
Pur nella sua semplicità, quella rivelazione fu così inaspettata, sconvolgente e, a un tempo, illuminante per il suo animo che Jennifer non si accorse di essersi protesa verso di lui finché le loro labbra non si toccarono e le braccia di Colin la cinsero, stringendola a sé. Era stanca di parlare, stanca di resistere, stanca di giudicarsi e attribuirsi colpe che forse aveva, forse no, ma alle quali non aveva più intenzione di soccombere.
 
In tutti quei mesi, neppure per un istante l’aveva sfiorata l’idea che lui potesse aver messo in discussione ciò in cui più fermamente credeva e che potesse averlo fatto per amor suo. Nell’ipotesi più rosea che si era concessa di contemplare, Colin non voleva vederla sparire dalla sua vita, perdere la preziosa amica che era stata, senza, però, realizzare quanto tutto quello potesse farla soffrire. Neppure quando le aveva comunicato della separazione era riuscita a mettere tutti i pezzi insieme per avere una visione chiara della realtà, restia ad abbandonarsi a qualcosa che la vita le aveva negato per troppo tempo. Il giorno in cui si erano salutati per la fine delle riprese, si era ripromessa di non lasciare mai più che un’illusione la rendesse piccola e sciocca, sminuendo la donna che sapeva di essere. E, ironia della sorte, aveva finito per respingere l’unica illusione della sua vita che tale non sarebbe stata!
 
Una lacrima lasciò i suoi occhi, striandole la guancia per un breve tratto, prima di essere asciugata dall’impatto con il viso di Colin. Lui la baciò come non gli era mai stato concesso di fare, come aveva sperato e intimamente immaginato in più occasioni, senza lo stridore dei freni della ragione cui, sotto le pressioni dell’autorità del loro legame, era riuscito saltuariamente a sfuggire. La baciò come Colin e non più come Uncino, ma, come lui, apprezzò e incise a fuoco nella mente il momento in cui Jennifer gli diede completamente accesso a quella parte del suo essere che, decisamente più brava di lui, era riuscita a negargli e nascondergli in quegli anni. E la baciò come se il mondo fosse destinato a estinguersi in quel preciso istante e quello fosse il ricordo più intenso che voleva portare con sé nell’aldilà, ove le tenebre e il nulla avrebbero tentato di cancellare chi era stato senza poter intaccare ciò che provava per lei.
 
Aveva represso e travestito quel sentimento così a lungo che, per un po’, ne aveva quasi trovato soddisfacente l’aspetto. Adesso che le carte erano state scoperte, mentre la sua bocca aggrediva, leniva e amava quella di lei ed entrambi si muovevano in direzione della parete più vicina, Colin realizzò di aver lasciato che il timore oscurasse le sue capacità di giudizio fino a impedirgli di vedere quanto molti erano stati in grado di fiutare molto tempo prima. Ma poco importava, se il risultato era quello che stavano vivendo in quell’istante! Il pensiero lo fece sorridere e, quasi a dimostrazione della specularità dei loro spiriti, Jennifer fece altrettanto.
 
«Mi spiace,» sussurrò Colin col fiato corto e, nel farlo, le sue labbra sfiorarono ripetutamente quelle di lei, appiccando nel suo animo tanti incendi di modeste proporzioni, alcuni già conosciuti, altri completamente estranei. Era sempre così con lei. Era sempre come imparare qualcosa di nuovo! «Mi dispiace per tutto quello che ho fatto.»
 
Jennifer lo fisso a lungo e in silenzio, scandagliando le sue emozioni fino a conoscerle. «Come stai?» chiese, alfine, e Colin ebbe l’impressione di cadere ancora più in profondità vittima dell’incantesimo che lo aveva legato a lei. Le sorrise come non faceva da tempo e l’espressione di lei parve accendersi a sua volta, mentre gli occhi di lui riacquistavano quella luce vitale e maliziosa in grado di accrescere una bellezza che non aveva bisogno di fronzoli. «Spiace anche a me,» disse, «di non aver risposto a tutti quei messaggi.»
 
Lui la rimproverò con lo sguardo, quando scorse l’ombra di un sorriso piegarle le labbra. «A proposito,» fece con espressione improvvisamente seria, «credo di doverti chiedere una cosa.» Jennifer inclinò il capo, curiosa. «Potresti cambiare quel maledettissimo messaggio? Non credo che potrei sopportare di sentirlo di nuovo, fosse anche per una sola volta,» disse e l’esasperazione che trapelava dalle sue parole rese il suo accento irlandese ancora più marcato.
 
Jennifer avrebbe voluto ridere, ridere di cuore, ma si trattenne quel tanto che bastava per dire: «Salve, sono Jennifer! Lasciate un mess-»
 
Ma non terminò mai la frase. Avventandosi su di lei, Colin la baciò ancora, e ancora, e ancora. Se era un messaggio che voleva, quello era l’unico che era disposto a lasciarle.
 
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Spazio dell'autrice:

Giuro che non era in programma, che stavo scrivendo il capitolo di Nostos e che tutto remava contro questa One Shot, dalla mia incapacità di scrivere storie che si basano su personaggi reali alla mancanza di tempo. Ma, tra le foto BTS e Adele, è tutto venuto da sé senza che potessi oppormici! Ho ascoltato la canzone, mi è venuta davanti l'immagine e BOOM. 
Io tendo ad essere molto critica in generale, ma in queste occasioni sono proprio devastante con me stessa. Vedo, sento che manca qualcosa e, in effetti, è così: mentre con personaggi originali, creati in tutto e per tutto da me, posso giostrarmi senza problemi, quando scrivo questo genere di cose mi sento sempre in dovere di rimanere fedele alle persone che descrivo, per quelle poche informazioni che si riescono a carpire. E, sì, potrei fare di testa mia, ma proprio non ci riesco. Quindi, mi scuso per l'abbassamento degli standard, ma mi sento limitata dai miei limiti mentali... Insomma, quello!
Grazie a chi ha letto, a chi leggerà e mi dedicherà parte del suo tempo. Mi stupisco sempre quando succede, perché è come se mi lasciaste entrare nelle vostre vite per un po'. Quindi, grazie di cuore e, se vi fa piacere, fatemi sapere cosa ne pensate.
Buona lettura e buono shipping Colifer!

P.S. Oh, quasi dimenticavo! La colpa/il merito di questa One Shot è anche un po' di Mary. Quella ragazza è un uragano. E chi la ferma?!
P.P.S. Silviawhite, spero di non aver deluso le tue aspettative! <3

 
  
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