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Autore: Abby_da_Edoras    29/10/2015    5 recensioni
STORIA IN REVISIONE: PER FAVORE NON LEGGERE
Bucky è finalmente guarito dalla sua infezione al braccio e il desiderio di Steve sta per realizzarsi: porterà il suo compagno allo Smithsonian di Washington e spiegherà a tutti che il Sergente Barnes è ancora vivo e combatte al suo fianco. In quest'impresa lo aiutano gli amici Tony Stark e Bruce Banner, ma... anche Banner avrà i suoi problemi nella gestione del giovane e impulsivo Pietro Maximoff...
Grazie a tutti quelli che spenderanno un po' del loro tempo per leggere le mie fantasie. :)
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Steve Rogers
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Till the end of the line'
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Unconditionally (seconda parte)

Unconditionally (seconda parte)

 

Il quinjet atterrò sul tetto di un grattacielo di Washington che si trovava dalle parti del Museo Smithsonian e Stark si rivolse a Steve e Bucky.

“Voi andate pure al museo e fate tutte le vostre dichiarazioni ufficiali” disse, con un sorrisetto. “Io e Banner resteremo qui di guardia, io ho con me la mia armatura e se servisse un codice verde… beh, ci siamo capiti, no? Non credo che Von Strucker abbia intenzione di presentarsi allo Smithsonian con grande spiegamento di forze, l’Hydra è molto più subdola di così, ma è sempre meglio essere prudenti.”

Steve ringraziò di nuovo e calorosamente Stark e Banner, poi insieme a Bucky entrò nel grattacielo per scendere con l’ascensore e recarsi allo Smithsonian. Stark, invece, si rivolse a un Banner che appariva più depresso che mai.

“Noi due approfitteremo di questo tempo per fare un bel discorsetto, chiaro?” gli annunciò.

 

Steve e Bucky oltrepassarono la soglia dello Smithsonian e si fermarono all’ingresso della sala dedicata a Captain America. Entrambi erano sopraffatti dalle emozioni, ma ciò che ognuno dei due provava era molto diverso.

Steve ricordava l’ultima volta che era stato lì, mesi prima di ritrovare Bucky. Allora credeva che il suo compagno fosse morto e si sentiva vuoto e triste mentre guardava le foto e i filmati in cui apparivano insieme. Per lui era meraviglioso ritrovarsi adesso nello stesso luogo ma con Bucky accanto e con la prospettiva di annunciare pubblicamente che il sergente Barnes era vivo; quello era un sogno al quale mesi prima non sarebbe nemmeno riuscito a pensare senza sentirsi straziare dalla nostalgia e dal rimpianto. Invece ora era tutto vero…

Le sensazioni provate da Bucky erano confuse e lo destabilizzavano. La sua mente, pur avendo ritrovato la maggior parte dei ricordi riguardanti la sua infanzia e adolescenza a Brooklyn, si era sempre rifiutata di ritornare sui mesi trascorsi in guerra. Ogni volta che un piccolo frammento di memoria di quel periodo si affacciava, era subito seguito dalle spaventose immagini della caduta dal treno e del risveglio sul lettino operatorio del dottor Zola. Perciò la mente del giovane Soldato aveva rimosso il più possibile i ricordi di guerra, ma in quel salone, con tante immagini e filmati di lui, Steve e dei loro compagni della Howling Commandos, era impossibile non pensarci.

Steve si accorse che Bucky, accanto a lui, si era irrigidito e tremava.

“Bucky, va tutto bene?” gli chiese premurosamente, passandogli un braccio attorno alle spalle.

Barnes si strinse a lui, aggrappandosi alla solidità del compagno come a una tavola di salvezza in mezzo all’oceano.

“Steve, io… io non posso ricordare i giorni in cui combattevamo insieme” mormorò, stretto a lui. “Ogni volta che ci provo, rivivo… rivivo il momento in cui sono caduto… quella paura, il terrore del vuoto e…”

“No, Bucky, no, quello non c’è più, è passato per sempre, ora sei con me ed io non lascerò che ti accada mai più nulla di male” lo rassicurò Steve, abbracciandolo e accarezzandogli i capelli finché non lo sentì rilassarsi. “Coraggio, ora è il grande momento, entriamo, ti va?”

Ancora poco convinto, ma tranquillizzato dall’affettuosa presenza di Steve al suo fianco, Bucky annuì e lo seguì nella sala.

I due giovani sia accostarono insieme al pannello con la foto e le informazioni su Bucky Barnes. Al museo c’era poca gente, quel giorno, un giovedì, e in quel momento nella sala non c’erano visitatori. Vi era solamente una guida, una donna sulla quarantina minuta e dall’espressione dolce, che aspettava qualche turista. Quando vide i due, si avvicinò per offrirsi di condurli a visitare la mostra dedicata a Captain America e… restò senza fiato quando si accorse di trovarsi di fronte a Captain America in persona.

“Oh, cielo! Lei è… lei è… non ci credo… è Steve Rogers?” chiese, sul punto di avere un collasso.

“Sì, sono io” rispose il Capitano con gentilezza. “Si sente bene, signora? Io e il mio amico vorremmo…”

La donna non lo lasciò nemmeno finire.

“Vado immediatamente a chiamare il direttore! Sarà emozionatissimo di sapere che Captain America è qui!” esclamò, e in pochi secondi uscì dalla sala come se avesse dovuto correre i 100 metri.

Pochi minuti dopo la sala era piena di gente: la guida, Beverly Doyle, aveva avvertito non solo il direttore del museo, ma anche tutte le guide impegnate nelle varie sale espositive; ovviamente, pure i pochi turisti che quel mattino si trovavano al museo erano accorsi per incontrare Captain America di persona.

“Buongiorno, signor Rogers, sono il professor Edward Kendrick, direttore dello Smithsonian Museum” si presentò l’anziano studioso. “Sono onorato di averla ospite qui. Che cosa posso fare per lei?”

Kendrick strinse calorosamente la mano a Steve, che era molto imbarazzato da una simile accoglienza. Bucky invece pareva intimorito da tante persone che lo accerchiavano da ogni parte: teneva la mano di vibranio nella tasca dei jeans neri e si guardava intorno con gli occhi di un animale preso in trappola, mezzi nascosti dalle ciocche ribelli che gli ricadevano sul viso.

Notando il turbamento del compagno, Steve gli passò un braccio attorno alle spalle e si rivolse al direttore.

“Professor Kendrick, la ringrazio della sua cortesia” disse. “Sono qui per dare a tutti voi una bellissima notizia: il giovane accanto a me è il sergente James Bucky Barnes che credevate morto in azione durante la guerra. In realtà ha dovuto sopportare delle sofferenze indicibili, è stato rapito dall’Hydra e manipolato per costringerlo a compiere azioni malvagie, ma ora è libero, sta bene e presto si unirà a me e agli altri Avengers.”

Gli occhi di tutti si spostavano dalla foto del sergente Barnes che appariva sul pannello a lui dedicato al volto del giovane in piedi accanto al Capitano: la somiglianza era evidente, gli stessi occhi, la stessa espressione imbronciata…

“Il sergente Barnes?” ripeté il direttore, incredulo.

“Temo che dovrete modificare il pannello e aggiornarlo con le vere informazioni” aggiunse Steve con un sorriso.

“Che cosa significa che è stato rapito e manipolato dall’Hydra?” chiese una delle guide.

“Significa molto semplicemente che quell’uomo è il Soldato d’Inverno, ecco cosa significa!” intervenne, aspro, un turista di mezza età. “E’ un assassino e un terrorista e non dovremmo fidarci di lui.”

Queste parole sconvolsero Bucky che si avvicinò ancora un po’ a Steve, guardandosi attorno con l’espressione di una bestia braccata.

“Te l’avevo detto, Steve, andiamo via, per favore…” mormorò.

Steve lo strinse a sé per rassicurarlo e poi si rivolse alla gente che li circondava.

“Bucky non era consapevole di ciò che faceva: l’Hydra ha compiuto su di lui esperimenti dolorosissimi per spersonalizzarlo e renderlo simile a un automa” precisò. “Lui non ne ha alcuna colpa, è una vittima di quei mostri, esattamente come i gemelli Maximoff che adesso fanno parte degli Avengers.”

“Steve, lascia stare, andiamo via, ti prego, lo sapevo che sarebbe finita così…” ripeté Bucky, in preda all’ansia, aggrappandosi convulsamente al braccio di Steve. I suoi peggiori incubi stavano diventando realtà, la gente lo guardava e vedeva in lui un mostro, un assassino… Nessuno, nessuno mai l’avrebbe perdonato per ciò che aveva fatto, Steve era un illuso!

“Ma non vedete che lo state torturando?” esplose allora il Capitano, furioso nel vedere che l’ostilità di quelle persone feriva e spaventava il giovane Soldato. “Bucky ha già sofferto abbastanza e soffre ancora per il rimorso di quello che l’Hydra lo ha costretto a fare. Lui era un eroe della Seconda Guerra Mondiale, un ragazzo che ha lasciato il suo Paese per andare a combattere contro i nazisti e si è ritrovato rapito e manipolato proprio da coloro che più odiava! Lo hanno sottoposto a prove e addestramenti atroci per farlo diventare una macchina per uccidere e ora che sono riuscito a liberarlo e che voglio rendergli giustizia voi lo trattate così? Non vi vergognate?”

Il direttore del museo e le altre persone presenti cominciarono a sentirsi piccole e meschine. Era molto raro vedere Rogers arrabbiarsi e, se lui se la prendeva così tanto, sicuramente aveva ragione. In fondo era Captain America, non il primo venuto, non si sarebbe mai fidato di uno qualsiasi.

“Signor Rogers, io… ecco, vorrei chiederle scusa a nome di tutti” cominciò il professor Kendrick, mortificato.

“Sì, è vero…” aggiunse Beverly Doyle.

“Ho esagerato, mi scusi, signor Rogers” disse il turista che aveva iniziato a prendersela con Bucky.

“Non è a me che dovete chiedere scusa, bensì a Bucky… anzi, non a Bucky, al sergente Barnes!” affermò Steve, scandendo bene le parole e guardando in faccia tutti quelli che ora si mostravano pentiti e avviliti.

“Le chiedo scusa a nome mio e di tutto il personale e i visitatori del museo Smithsonian, sergente Barnes” dichiarò allora il direttore del museo, rivolgendosi a Bucky.

Gli altri, pieni di vergogna, si limitarono ad annuire alle parole dell’uomo.

Bucky si sentiva a disagio adesso che era al centro dell’attenzione quanto lo era stato prima, mentre la folla gli era ostile. Si limitò a un lieve cenno del capo, abbassando lo sguardo per l’imbarazzo.

“Farò correggere quanto prima il pannello e vi sarà riportata tutta la sua storia, sergente” riprese allora Kendrick. “Tutti sapranno la verità e nessuno oserà mai più accusarla di niente. Siamo doppiamente fieri di ospitare nel nostro museo due figure così importanti per il nostro Paese: Captain America e il suo più fedele amico, il sergente James Buchanan Barnes!”

A quel punto un applauso liberatorio coinvolse tutti i presenti, facendo imbarazzare ancora di più lo schivo Bucky e riempiendo di lacrime di commozione gli occhi di Steve. Il Capitano cercò e strinse la mano dell’amico.

“Hai visto, Buck? Era questo che volevo per te” gli sussurrò con tenerezza. Bucky, però, era ancora troppo intimidito da tanto clamore per trovare qualcosa da dire.

“Farò iniziare i lavori per la rimozione del pannello e la sua sostituzione con uno nuovo e aggiornato” promise il direttore dello Smithsonian. “Ci vorrà qualche giorno, ma spero che tornerete di nuovo a farci visita e così potrete vedere se il lavoro sarà di vostro gradimento.”

“Allora la ringrazio, professor Kendrick. Io e Bucky torneremo sicuramente a vedere il pannello nuovo” replicò Steve, con un sorriso. “Fingerò che quella brutta scena di prima non sia mai accaduta…”

“Grazie, Capitano, grazie, sergente Barnes. Saremo felici di riaccogliervi presto nel nostro museo” concluse il direttore, sollevato.

 

Pochi minuti dopo, Steve e Bucky uscivano dallo Smithsonian molto più rilassati e soddisfatti. Per Steve quello era un giorno luminoso, era come se, cambiando il pannello del museo, potesse far cambiare anche tutto quello che era stato: era l’inizio della sua nuova vita con Bucky. Dal canto suo, Barnes sentiva nel cuore un calore immenso che lo tranquillizzava e lo rasserenava: Steve lo aveva difeso di fronte a tutti con rabbia e passione, si era esposto per lui, non aveva esitato a mettersi dalla sua parte… Certo, lui già sapeva quanto Steve lo amasse e quanto fosse disposto a fare per lui, ma quella ne era stata una dimostrazione ancora più evidente. Ora Bucky sentiva che avrebbe potuto affrontare tutto e tutti, perché avrebbe sempre e comunque avuto Steve accanto… fino alla fine, come si erano promessi tanti anni prima.

La prospettiva di una nuova vita sembrava a Bucky sempre più possibile.

Con Steve accanto, tutto diventava più facile.

 

 

 

FINE

 

 

   
 
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