Titolo: Lost Children
Fandom: American Horror Story, Murder House
Personaggi: Tate/Violet
Prompt ©Donatella Ceglia: Violet è il fantasma, morta in seguito al
suo suicidio, Tate il ragazzo che va ad abitare nella casa...
Generi: Malinconico, Romantico, Slice of life
Avvertimenti: Nessuno
Note: AU, What if?
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Lost Children
T A I N T
«La tua famiglia è strana.»
Tate si volta quasi di scatto – la scatola che
stava portando dall’altro lato della stanza gli scivola dalle mani, riversando
il suo contenuto sul pavimento – e i suoi occhi si posano, sgranati e
perplessi, sulla ragazza seduta a gambe incrociate sul suo letto, poggiata
serenamente contro la spalliera.
La sua espressione deve divertirla, perché sul suo
viso delicato si apre un sorriso.
«Chi sei? Come…» Tate si guarda intorno, osserva
la porta chiusa, aggrotta la fronte, «come hai fatto a entrare?»
La ragazza scrolla le spalle, facendo vagare gli
occhi per la stanza. «La porta sul retro era aperta. Credo l’abbia lasciata tua
sorella, come si chiama… Adelaide?»
«Addie», corregge lui immediatamente, provando
irritazione come sempre al nome scelto dalla madre. «E lo fai d’abitudine,
entrare in casa di estranei non appena vedi una porta aperta?»
Lei sogghigna, riportando l’attenzione su di lui.
Tate si sente rabbrividire sotto quello sguardo. «Nah, solo se i nuovi vicini
di casa hanno un figlio carino.»
Non sa se è il riferimento al fatto di essere
vicini o il complimento, ma si sente subito più a suo agio. «Non te la cavi
così facilmente», ribatte, infilandosi le mani in tasca per assumere una posa
che confermi la sua lusinga. «E hai anche un nome, oltre alla lingua lunga?»
«Violet», risponde subito lei, come se non stesse
aspettando altro. «E tu devi essere Tate.»
C’è qualcosa nella ragazza che lo attira come un
magnete, e per uno come lui che si nutre di libri e poesie e canzoni
malinconiche, lei è come manna dal cielo; e anche se dev’essere più piccola di
lui – tre o quattro anni, al più – Tate ha già deciso che vuole conoscerla
meglio.
Forse sono anche le maniche lunghe a luglio, sulla
West Coast, con quaranta gradi all’ombra – Tate sa cosa significano, cosa
nascondono. Forse, pensa con un mezzo sorriso, trasferirsi non è stata una
cattiva idea.
*
«Hai detto che vai alla Westfield?»
Tate grugnisce qualcosa di affermativo – gli occhi
socchiusi e la testa posata sul ventre di Violet. Sono distesi per terra, sul
tappeto – in teoria dovrebbero studiare, in pratica stanno ascoltando Kurt
Cobain e si passano una sigaretta – e le dita piccole e sottili di Violet
accarezzano distrattamente i folti capelli biondi del ragazzo.
«Anche io ci andavo», mormora Violet, gli occhi
socchiusi e persi in qualche ricordo. «Non mi piaceva.»
Lui piega il capo di lato per poter vedere la sua
espressione – e per un attimo si limita ad osservarla in silenzio, la pelle
bianca, il mento piccolo, gli zigomi, il naso, le lunghe ciglia bionde, i
capelli sparsi sul tappeto – ma il volto della ragazza è immobile, quasi privo
di espressione, non fosse per il leggero imbronciare delle labbra.
«È per questo che ti tagliavi?» Chiede lui, non
particolarmente delicato.
Lei non se la prende – sono troppo simili per
provare irritazione davanti a certe cose. «Anche. La mia famiglia faceva
schifo… beh, fa schifo tuttora, suppongo.»
C’è qualcosa nel suo tono di voce che non gli
piace, ma Tate non sa bene definire cosa. «Supponi?»
«Siamo venuti qui da Boston», continua Violet come
se non fosse stata interrotta. «Mia madre ha avuto un aborto, e mio padre ha
avuto una relazione con una sua studentessa, e invece di divorziare come due
persone normali hanno deciso di attraversare il Paese per iniziare daccapo.»
«Suppongo che non sia andata come speravano»,
mormora stavolta con maggior tatto, prima di passarle la sigaretta.
Lei storce il naso, aspirando una lunga boccata di
catrame e nicotina. «No, decisamente», è il suo debole sussurro.
*
«Vi?» La chiama, senza sollevare lo sguardo da un
libro sugli uccelli che ha preso in prestito in biblioteca.
Lei si volta appena dalla sua postazione preferita
– appollaiata sul davanzale della finestra come se possedesse quel punto in
particolare – e posa gli occhi su di lui.
Tate sa di avere la sua attenzione, e prosegue,
continuando a non guardarla. «Com’è che non ci vediamo mai fuori?»
Non la vede aggrottare la fronte, né passarsi una
mano tra i capelli con un improvviso disagio. «È il tuo modo contorto per
invitarmi a un appuntamento?» Gli chiede, riuscendo a mascherare il nervosismo.
Se fosse un’altra persona, Tate arrossirebbe. «Forse.»
Rimangono in silenzio per un lungo e imbarazzante
momento, e Tate pensa che Violet non abbia capito che lui effettivamente le ha
appena chiesto di uscire, perché quando solleva gli occhi dal libro vede che
lei è tornata a spiare fuori dalla finestra, circondata da un’aria malinconica
che lui vorrebbe scacciare.
«Allora?» Esorta Tate, chiudendo il libro e
voltandosi verso di lei.
Violet piega il capo verso di lui con un mezzo
sorriso. «Allora, cosa?»
«Vuoi uscire con me?»
Le labbra della ragazza si sforzano di non
distendersi in un sorriso più ampio. «Forse.»
Tate grugnisce. «Viiiiii», la supplica.
La risatina che le sfugge lo fa ben sperare.
«Quanto manca ad Halloween?» Gli chiede poi,
all’improvviso.
Lui sbatte le palpebre, perplesso. «È il prossimo
fine settimana. Perché? Vuoi andare a fare Dolcetto o Scherzetto?»
Violet scuote appena la testa, il sorriso sulle
sue labbra appena più triste di prima. «Nah. Pensavo che potremmo farla ad
Halloween la nostra prima uscita.»
Tate si alza dal letto con un salto fluido, e
attraversa la stanza con rapide falcate prima di raggiungerla davanti alla
finestra. Si infila in mezzo alle sue gambe – pendono e dondolano dal
davanzale, sottili e ricoperte da strane calze viola a righe – e poggia le mani
sulle sue ginocchia, sentendosi per qualche strano motivo autorizzato a
toccarla dopo aver ottenuto una risposta affermativa al suo invito.
«Mi piace come idea», mormora, prima di baciarla
per la prima volta.
*
«Mia madre è una succhiacazzi», sbotta Tate
all’improvviso, pescando due carte dal mazzo.
Violet inarca un sopracciglio, per nulla
scandalizzata dal linguaggio del ragazzo. «Oh?»
Lui giocherella con i propri jeans strappati,
aspettando che lei faccia la sua mossa. «Se la sta facendo col vicino di casa.
Crede che io non lo sappia, pensa che scoparselo quando sono a scuola manterrà
il segreto… Cristo santo, quell’idiota è sposato. Ora capisco perché mio padre
se n’è andato.»
Violet poggia le carte per terra, non più
interessata al gioco, e allunga una mano per posarla sul braccio di lui.
All’improvviso gli occhi scuri di Tate saettano su
di lei, facendola sobbalzare, e con una mossa rapida lui le ha afferrato i
polsi, cullandoli tra le proprie mani. «Vi», sussurra, e per un momento lei ne
ha paura. «Vi, c’è qualcosa di strano in questa casa.»
La ragazza trattiene il fiato, incapace di
distogliere lo sguardo. «In che senso strano, cosa vuoi dire?»
«Oh, andiamo, sei più intelligente di così»,
ribatte lui, rafforzando leggermente la stretta. «Lo sai, anche tu passi un
sacco di tempo qui dentro. È come se… se la casa abbia una coscienza, a volte
mi pare di sentire dei respiri e dei sussurri appena dietro di me, ma quando mi
giro non c’è nessuno. E-e… mi sembra che mi dicano di fare delle cose.»
A questo punto Violet è terrorizzata, e senza
rendersene conto gli si fa più vicina, si china su di lui. «Tate», mormora.
«Tate, non devi ascoltarle. Qualsiasi cosa ti dicano, non ascoltare.»
Ma gli occhi di Tate sono smarriti – e allo stesso
tempo hanno una strana luce esaltata che le fa paura – e Violet sente una fitta
al petto. Ha paura che il suo intervento non sia bastato, non sia stato
sufficiente, perché Tate è fragile e si taglia e odia la sua vita – come lei –
e sono troppo uguali, e Violet teme che condivideranno anche la stessa fine.
Lo abbraccia, lo stringe contro di sé, lo bacia,
lo spoglia, si lascia spogliare, i loro vestiti si ammucchiano sul pavimento e
lei lo accoglie tra le gambe, lascia che scivoli nel suo calore – sarà ancora
calda, poi, anche se è morta? – che le ricopra il viso di baci leggeri come ali
di una farfalla, che sospiri contro il suo collo, che versi lacrime sul suo
petto.
Violet spera di dargli abbastanza ragioni per
continuare a vivere, ma non sa che Tate ha già ceduto alle lusinghe della casa,
non sa che lui ha trovato il suo nome nei registri della biblioteca, non sa che
ha trovato la sua tomba al cimitero e che ha deciso di vendicare il suo
suicidio.
Non sa della borsa piena di armi sotto il letto, e
non sa che presto staranno insieme per sempre.
Violet si aggrappa a lui e lo ama, e prega che
viva e non faccia il suo stesso errore.
Tate la stringe e la bacia, e prega che lei possa
perdonarlo.
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One-shot: 1446 parole.