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Autore: KiaeAlterEgo    04/11/2015    7 recensioni
Il Drago Smaug si è da poco insediato nella Montagna Solitaria, il Re sotto la Montagna è morto e Dale è distrutta. Il Bosco Atro è un luogo cupo e pericoloso da secoli e gli Elfi vivono lì, nascosti e circospetti.
Tauriel, da poco nominata capitano delle guardie, è con il principe Legolas a comando di una pattuglia che sorveglia la Via Elfica, quando si imbatte in una... strana creatura.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Galion, Legolas, Nuovo personaggio, Tauriel, Thranduil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lo straniero

Capitolo 1. Un intruso nella foresta

La creatura avanzò nel sentiero, spostando la testa a destra e a sinistra.

Tauriel alzò la mano: la pattuglia si fermò e si dispose attorno all'essere con un fruscio che avrebbe potuto essere scambiato per il vento tra le fronde.

Le orecchie appuntite della creatura, così lunghe che sporgevano di lato, fremettero. Tauriel strinse il ramo a cui era aggrappata; i Goblin avevano orecchie simili, non gli Orchi. L’intruso, però, aveva la pelle del colore della terra: i Goblin erano pallidi, mentre gli Orchi avevano una pelle grigiastra e non così liscia, come sembrava quella dell’essere. Aveva i capelli scuri lunghi, arruffati, intrecciati e legati con lacci che parevano fasci di corda, e foglie e rametti erano intrappolati in quel groviglio. Certo, Tauriel non aveva mai visto Goblin o Orchi con capelli così lunghi, ma erano brutti e arruffati e acconciati male come i loro.

L’essere stringeva tra le mani un’ascia rudimentale, fatta di un grosso ramo a cui era attaccata una pietra scheggiata. E i suoi vestiti erano troppo stracci, così stracci che potevano essere stati fatti dagli Orchi.

Che fosse una nuova specie di quelle bestie? Un incrocio tra Goblin e Orchi?

«Cosa ne pensi?» sussurrò a Legolas.

«Uccidiamolo» sibilò lui, incoccando una freccia.

L'essere alzò la testa e strinse gli occhi, sembrava che stesse cercando qualcosa tra le fronde. Li aveva sentiti? Tauriel trattenne il respiro. Gli occhi dell'essere non erano quelli di un Orco, ma erano grigi e luminosi: gli occhi di un Elfo. Lo sguardo era spaventato, il modo di muoversi circospetto, come se si aspettasse di essere attaccato. Ma i Silvani erano immobili, vestiti del manto della foresta, e l'essere abbassò lo sguardo, senza averli visti.

«Catturiamolo» ordinò lei invece. Forse non era un Orco, forse non era una creatura del male, ma non poteva circolare libero nel loro regno.

Dalla destra, un rumore di rami spezzati attirò l'attenzione dell'essere, che si voltò a guardare e spalancò gli occhi, l’espressione terrorizzata. Si stava avvicinando un ragno! L'essere strinse l'ascia rudimentale con entrambe le mani e si acquattò.

Al cenno di Tauriel, cinque soldati scesero a terra a circondare l'intruso e lei li seguì. Con un fruscio anche Legolas le fu dietro. Tauriel indicò Nouriniven e Targion tra quelli rimasti di vedetta sugli alberi e fece loro segno di occuparsi del ragno.

Poi diede il segnale e i soldati che erano scesi si avventarono sulla creatura che urlò spaventata, la voce roca, mentre gli altri due si occupavano del ragno.

«Fermo!» urlò Dogneth all’intruso.

«Legatelo» ordinò Tauriel.

Lo tennero a pancia a terra e, mentre gli legavano i polsi, l'essere continuava a dimenarsi e ringhiare, gli occhi sgranati, le sue parole incomprensibili. Il suo non suonava come il linguaggio Nero, né come la lingua degli Uomini, tantomeno Sindarin. Tauriel guardò Legolas e lui scrollò le spalle.

«Fa' tu».

Lei si avvicinò al prigioniero.

«Chi sei? Cosa sei? Cosa ci fai nel bosco del mio re?»

Il prigioniero si bloccò e il suo sguardo le risalì lungo il corpo. Sbatté le palpebre e disse quelle che sembravano due parole, con voce bassa e in tono di supplica. Poi chiuse gli occhi e si abbandonò a terra.

«Passatemi un otre» ordinò.

Dogneth si fece avanti e Tauriel prese l'otre e lo avvicinò al viso dell'essere.

«Bevi» disse.

Lui la fissò, come se stesse pensando che lei potesse offrirgli qualcosa di nocivo, poi annuì. I soldati lasciarono la presa sulle spalle del prigioniero e lui rotolò su un fianco e si mise a sedere. Tauriel lo aiutò a bere e lui svuotò l'oltre in fretta, troppo in fretta: tossì e scosse la testa, con un sospiro.

L'essere sollevò le orecchie e si guardò attorno, sul viso un'espressione meravigliata. Che si fosse reso conto solo ora della pattuglia? Lui rilassò le spalle e l'espressione sul suo viso si fece più tranquilla.

Tauriel batté le palpebre, sorpresa. Gli occhi del prigioniero erano lucidi e arrossati, sangue secco era incrostato sulla fronte. Aveva graffi sul viso e la pelle che si intravedeva dagli strappi delle vesti – più stracci che vesti – era violacea e graffiata. Ma quello era il volto di un Elfo, Tauriel non poteva sbagliarsi.

Lui prese un respiro e disse qualcosa, il tono delle sue parole indicava una domanda. Tauriel guardò la sua pattuglia.

«Qualcuno conosce la sua lingua?»

I soldati scossero la testa, persino Legolas.

L'essere aggrottò le sopracciglia e disse altre cose, sembravano parole slegate tra loro. Tauriel scosse la testa e guardò ancora una volta i suoi soldati, ma nemmeno loro sembrarono capire quello che stava dicendo l'essere.

Lui abbassò la punta delle orecchie e sospirò, lo sguardo basso, le spalle curve.

«Cosa ne facciamo, capitano?»

Tauriel strinse le labbra. Cosa avrebbe fatto un capitano delle guardie? Cos'era quella creatura? Era davvero un Elfo o era una creatura pericolosa, come suggeriva l'ostilità di Legolas?

«Portiamolo a palazzo» ordinò allora. Il re l'avrebbe potuto interrogare. I guaritori avrebbero potuto dire qualcosa. E se si fosse rivelato un Orco o una spia del Nemico, allora lo avrebbero ucciso.

Dogneth bendò l’essere, altri due soldati lo aiutarono a tirarsi in piedi e lo guidarono tenendolo per le braccia

Il prigioniero strattonò le corde ma li seguì, i piedi nudi, vestito di stracci, a palazzo e fino alla sala del trono.

 

***

 

La corda gli sfregava i polsi e le spalle gli dolevano per la posizione scomoda in cui erano costrette le sue braccia. E non stava contando i lividi e i tagli. Per fortuna aveva potuto bere. Quanto gli era sembrata dolce e pura quell’acqua!

Gli Elfi pallidi lo fecero inginocchiare, gli afferrarono i capelli della nuca e tirarono indietro, in una presa dura e dolorosa. Una lama gli sfiorò la pelle della gola e Norue-nolo rabbrividì al tocco gelido sul collo. Rivolse gli occhi verso l’alto ma non vedeva chi gli stava puntando la lama alla gola. Era legato, cosa mai avrebbe potuto fare in quelle caverne piene di altri Elfi armati? Era davvero necessario trattarlo così? Non vedevano che era un Elfo, come loro?

Norue-nolo volse lo sguardo sull’Elfo che aveva davanti. Era antico e potente, lo poteva percepire dall'aria attorno a lui, lo poteva vedere dal suo atteggiamento. Portava una corona intrecciata di rami e foglie sui capelli biondi e i suoi occhi erano freddi nel viso pallido.

Che fosse lui il re dell'ultimo reame elfico?

Il trono alle sue spalle sembrava confermarlo. La luce lo illuminava dall’alto ed era scolpito in una radice enorme che scendeva dal soffitto, tra pilastri di pietra, fino a dove si trovava il re, per formare poi il camminamento che Norue-nolo e le guardie avevano percorso fino ai suoi piedi. Lo schienale era intagliato nella radice, per raffigurare una foresta con i rami degli alberi che si intrecciavano nella parte alta, e finiva in due immensi palchi di corna, che si allargavano ai lati.

Norue-nolo si inumidì le labbra.

«Man ci?» l’Elfo pronunciò le parole guardandolo negli occhi, col mento sollevato e le palpebre abbassate in un atteggiamento di superiorità.

Norue-nolo sollevò le orecchie. Di nuovo quella lingua. Sembravano le stesse parole che gli avevano rivolto i guerrieri quando l'avevano catturato. L’inflessione della voce era di una domanda. Che cosa gli stava chiedendo? Norue-nolo alzò le spalle e scosse la testa, la lama premuta contro il collo gli sfiorò pericolosa la pelle. Lui si irrigidì. Doveva stare attento!

Il re lo scrutò, l’espressione del suo viso neutra, e Norue-nolo sostenne il suo sguardo.

«Non capisco» gli disse infine. Rimase immobile mentre il re stringeva gli occhi.

Alzò la mano e il coltello non premette più contro la gola di Norue-nolo. La stretta ai capelli si allentò, ma i suoi polsi rimasero legati e lui in ginocchio, guardando il re dal basso.

Il sovrano, in piedi di fronte a lui, con quelle sue vesti scintillanti e la sua presenza così imponente, gli parlò ancora.

Norue-nolo aggrottò le sopracciglia. Quel linguaggio era simile a quello parlato dagli Uomini dell’Ovest. O almeno, suonava simile. Norue-nolo scosse la testa.

«Non parlo l'Ovestron» gli disse, usando l'unica frase che sapeva in quella lingua.

Aveva senso rispondergli? Ma nel rispondergli gli avrebbe mostrato la sua volontà di collaborare. Magari non avevano intenzione di ucciderlo, se tentavano di parlargli. Smise di fregare i polsi, aveva già abbastanza escoriazioni.

Il re aggrottò le sopracciglia, gli occhi socchiusi, ed inclinò la testa.

«K'i saei tu?»

Norue-nolo spalancò gli occhi ed alzò le sopracciglia stupito. Poi sorrise: parlavano una lingua che conosceva! Anche se era il Penni. Poteva salvarsi, poteva chiarire la situazione. Certo, le parole che aveva pronunciato quell’Elfo avevano un accento buffo e non erano proprio le stesse, ma somigliavano abbastanza al Penni da potersi capire.

«Io sono Norue-nolo, appartengo ai Kinn-lai» disse, raddrizzando le spalle. Il gesto gli strappò un gemito. Aveva i polsi legati, era meglio se rimaneva fermo.

Il re storse la bocca. Non un buon segno.

«Io sono Norue-nolo. Io sono un Kinn-lai» ripeté più piano e scandendo bene le sillabe.

Il re incrociò le braccia e scosse la testa.

«Orco?» disse.

Norue-nolo rabbrividì e sputò a terra. Come potevano paragonarlo ad un Orco?

Dita si conficcarono di nuovo nel suo cranio e Norue-nolo gemette. Il metallo gli sfiorò la pelle, freddo e pericoloso. Aveva di nuovo una lama contro la gola.

Non una mossa saggia, quello sputo.

Il re diede un ordine.

Norue-nolo strinse la mascella, la presa sulla sua testa era dolorosa. Una goccia di sudore gli colò lungo la tempia.

«Gli Orchi sono i servi dell'Oscuro Cacciatore e del suo lacché il Sire Nero. Non sono un lurido Orco» sibilò.

Avrebbe dovuto stare più attento a come reagiva. Quelli erano Elfi diffidenti, avrebbe dovuto aspettarselo. Ma non poteva, non riusciva a sopportarlo. Pensavano che lui fosse un Orco! Se non fosse stato in quella situazione, non ci avrebbe mai creduto.

L’Elfa dai capelli rossi che l'aveva catturato parlò al re. Lei volse lo sguardo su di lui. I loro occhi si incontrarono per un attimo, lo sguardo dell’Elfa era indecifrabile. Lei tornò a rivolgersi al re. Un altro Elfo, anche lui pallido ma dai capelli bruni, si unì alla discussione. Il re scosse la testa, parlò ancora, il tono era freddo, cupo e Norue-nolo deglutì, mentre un brivido gli percorse la schiena.

Gli Elfi armati attorno a lui rilassarono la postura e la mano che gli tirava i capelli rilasciò la presa. Norue-nolo prese una boccata d’aria e scosse la testa, infastidito dal formicolio dei capelli tirati. Fu una tregua breve; lo sollevarono prendendolo per le braccia e lo trascinarono via dai piedi di quel trono immenso e per i camminamenti sospesi.

Quella strana caverna era stata scolpita come se fosse una dimora di Nani, ma era diversa da quelle che aveva visto nelle Montagne Rosse. I soldati condussero Norue-nolo sulle vie sospese nel vuoto. Passarono oltre diverse diramazioni che salivano e scendevano da alcove o stanze scolpite. Lanterne d’ambra in reti lignee erano incassate agli angoli delle vie o pendenti dai soffitti delle alcove e davano a quel palazzo l’aspetto di una foresta avvolta nella luce del tramonto. Una foresta di pietra, con le colonne scolpite a forma di albero in ogni dettaglio, compresi corteccia e rami, e di cui i sentieri erano le radici della foresta sovrastante.

Non c’erano vie laterali in cui svicolare per fuggire, a meno di buttarsi nel baratro buio. Ma perché cercare la fuga? Lui aveva finalmente trovato quegli Elfi, era giunto nell’ultimo regno elfico a Ovest! Certo, era diverso da ciò che gli avevano raccontato. Gli avevano detto che quella foresta si chiamava Bosco Tetro e che vi abitavano strane creature. Ma erano racconti di Uomini e non c’era da fidarsi, quando anche nella Valle lui e la sua tribù li ingannavano per sfuggire ai loro sguardi.

Ma non si sarebbe mai immaginato di vedere davvero ragni giganti, né una foresta così corrotta. Certo, il palazzo era libero dal male e Norue-nolo era rimasto stupito nel percepire il cambiamento nell'aria, mentre passavano sopra, o vicino, a un fiume, nella strada che avevano percorso per arrivare al palazzo, qualsiasi fosse stata. Ma il bosco era assediato da un male potente, qualcosa che intrappolava gli spiriti degli avi e li corrompeva, un qualcosa di così forte e corrotto che persino Norue-nolo, nella sua poca esperienza, poteva percepire.

Un corso d'acqua scrosciava lontano, più in basso di quanto Norue-nolo e le guardie si trovassero, e mentre scendevano gradini scolpiti nella viva roccia, si faceva sempre più vicino. L'odore di umido e di terriccio gli salì alle narici e rabbrividì quando un soffio d'aria più fresca gli sfiorò la pelle. Il rumore dell'acqua si fece più forte e Norue-nolo si ritrovò a passare accanto alla cascata che si buttava nel buio della collina. Superarono diverse alcove chiuse da grate, lavorate a formare una fila di alberi di ferro, con le radici che si univano in un unico blocco in basso e i rami che in alto si intrecciavano in un arco. Le sbarre verticali erano abbastanza ravvicinate per impedire a chi stava dentro l’alcova di uscire.

Lo stavano portando in una cella?

Gli Elfi della sua scorta si fermarono davanti ad una di queste alcove. Gli slegarono le corde ai polsi e lo spinsero dentro, chiudendo la grata alle sue spalle.

Norue-nolo si voltò. L'Elfa dai capelli rossi stava facendo scattare la serratura della sua cella. Quando incontrò i suoi occhi, lei batté veloce le palpebre, come se fosse sorpresa. Lei sostenne il suo sguardo e disse qualcosa, il tono di voce calmo e rassicurante. Appese le chiavi della cella alla cintura, si voltò e salì le scale, seguita dagli altri Elfi.

Norue-nolo sospirò e si aggrappò alla porta, il metallo delle sbarre freddo sotto le dita.

Ottimo. Era prigioniero!

Si accasciò contro la porta chiusa e cedette alle fatiche di quei mesi di stenti. Era in una cella, lontano dal cielo stellato, ma per il momento era al sicuro.

Forse.

Ma se avessero voluto ucciderlo, lo avrebbero già fatto, no? Non aveva senso preoccuparsene, non avrebbe potuto fare nulla in qualsiasi caso.

Si passò una mano sulla fronte e tra i capelli sporchi.

Aveva trovato gli Elfi a Ovest. E, come sospettava, parlavano una lingua molto diversa dalla sua. Come avrebbe fatto ora? Avrebbero creduto alle sue buone intenzioni? Sarebbe riuscito anche solo a spiegarle?

 


 

Angolo dell’autrice

Ebbene… eccomi qui con questa… fanfiction a più capitoli! (!!!1!!!111!!ONE!!!!)

E abbiamo una Tauriel appena nominata capitano! OMG! TAURIEL!

La considero una vittima del del film, al pari di Bilbo, di Thorin-Mary-Sue, e il trucco antigravità di Legolas (WTF!) e, soprattutto, Thrandy bby (a cui ho dedicato alcune fangirl che lo cercano per… consolarlo). Ribadisco che l’idea di mettere un’Elfa g-g-g-giovane (?) come capitano delle guardie ci stava, soprattutto perché volevo vedere la scena degli elfi ubriachi (Galion ♥).

Spero di darle un po’ di dignità.

E Norue-nolo… eheheh.

kiaealterego

  
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