Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: OharaNakamura    04/11/2015    1 recensioni
Il giovane studente universitario Renji, dopo un lungo e faticoso inverno, decide che è finalmente arrivato il momento di prendersi una meritata vacanza in una località balneare. Stanco e disilluso crede di essere destinato a restare solo per sempre, finché non vede lei: Kaname.
Attratto dalla sua incredibile bellezza, decide che e arrivato il momento di mettersi in gioco invitando la ragazza a prendere un gelato; non sempre però le cose sono semplici come appaiono, e Renji dovrà fare una scelta che potrebbe cambiargli la vita.
Questa storia è stata scritta per il contest "Anche da un manga osé puoi trarre qualcosa di buono" indetto da Zenzero91 sul forum.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
Note dell'autore.
Questa storia è stata scritta per il contest indetto da Zenzero91 sul forum di EFP
 
"Anche da un manga osè puoi trarre qualcosa di buono 
(yaoi/het contest) multifandom+originali" 
 
Link contest: http://freeforumzone.leonardo.it/mobile/discussione.aspx?idd=11179448&p=1
Autore: OharaNakamura (EFP-Forum)
Titolo: Eden
Fandom: // originale
Numero traccia: yaoi1
Introduzione: Il giovane studente universitario Renji, dopo un lungo e faticoso inverno, decide che è finalmente arrivato il momento di prendersi una meritata vacanza in una località balneare. Stanco e disilluso crede di essere destinato a restare solo per sempre, finché non vede lei: Kaname.
Attratto dalla sua incredibile bellezza, decide che e arrivato il momento di mettersi in gioco invitando la ragazza a prendere un gelato; non sempre però le cose sono semplici come appaiono, e Renji dovrà fare una scelta che potrebbe cambiargli la vita.
Note: mi scuso in anticipo per non essere riuscita ad affrontare l'argomento in modo migliore. Devo ammettere di aver incontrato non poche difficoltà nello sviluppare la traccia e sinceramente i sentimenti non sono proprio il mio forte. Spero sia comunque qualcosa di leggibile e gradevole e che nessuno si senta offeso da quello che ho scritto.



 
Eden
 
Toccò ancora una volta quella specie di zombie che lo guardava al di là dello specchio. Possibile che fosse ancora sempre lui? Non ne era del tutto certo. Forse era il riflesso della sua anima: Dorian Grey aveva un ritratto, lui lo specchio di una modesta camera d'albergo. Ecco, aveva trovato, era il Dorian Grey dei poveri; un po' meno bello, un po' meno inglese, un po' meno morto e sepolto.
"Mah, tu aspettami qui che io vado in spiaggia" disse rivolto a quello che presumibilmente doveva essere il suo riflesso.
Uscito dal bagno guardò con astio il manuale di diritto privato che, contro ogni suo desiderio, aveva deciso di seguirlo. Era un bel po' di tempo che se ne stava lì, sul piccolo tavolino di legno: ormai aveva aperto un hotel tutto suo in cui ospitava acari per le vacanze.
La struttura in cui alloggiava non era il massimo, ma era quanto di meglio si sarebbe potuto mai permettere con i risparmi messi da parte lavorando come dog sitter -quando ovviamente non era impegnato con le lezioni. Una volta, non ricordava neanche come, gli era venuto in mente di fare il gigolò, ma poi aveva pensato che non era così bello da poterselo permettere e aveva di gran lunga preferito un lavoro più al suo livello; nessuno dei chihuahua che portava a spasso si era mai lamentato del suo aspetto... E se lo avessero fatto, di certo lui non avrebbe capito.
"Dio mio ragazzo, sei veramente uno straccio" pensò strofinandosi con veemenza una mano sul viso; "nessuna ragazza ti guarderà mai in questo stato" ... Già, nessuna ragazza. Proprio come gli aveva rinfacciato più volte Yumi, prima di lasciarlo per un altro. Un altro che gli dava più attenzioni di quanto lui non avesse mai fatto durante tutti e due gli anni in cui erano stati insieme. Sempre così concentrato sui propri obiettivi, era rimasto solo senza neanche accorgersene.
Non era una cosa che faceva con intenzionalità, semplicemente, a un certo punto, cominciava a dimenticarsi del resto del mondo, a trovare la presenza degli altri insopportabile, di intralcio. Allontanare chiunque lo circondasse diventava automatico, una conseguenza necessaria.
Ancora un po' intontito dal sonno, si affacciò sul piccolo balcone, che, francamente, aveva una vista abbastanza di merda. La sua era appunto una di quelle stanze relegate in un angolo oscuro dell'hotel, una di quelle che c'è per forza di cause, ma che nessuno vuole, posizionata com'è nell'angolo più esterno, con vista sul niente. Gli era preso quasi un infarto quando l'ascensore, invece di salire, aveva cominciato a scendere; poi aveva capito: l'edificio era strutturato in modo che parte delle camere -quelle economiche come la sua ad esempio- si trovassero sotto il livello della strada. Aveva imparato a suo discapito a leggere con occhi diversi i siti degli alberghi. Immersi nel verde dicevano, e più immersi di così! Pensò guardando quella specie di giungla che circondava l'edificio.
Si stiracchiò afferrandosi alla ringhiera e piegandosi fino a formare un angolo retto, tecnica molto efficace appresa dal suo gatto semi-sovrappeso. Non si preoccupava di sembrare ridicolo; era passata da poco l'alba e la zona era pressoché deserta.
Fu proprio durante i suoi esercizi di stretching felino che la vide per la prima volta, in tutta la sua conturbante bellezza. Un angelo nella selva. Ecco i rovi che lo circondavano diventare l'Eden e lei la Beatrice che lo avrebbe guidato in paradiso. Avvolta in un telo celeste risaliva elegantemente il sentiero che collegava il retro dell'albergo alla spiaggia; la leggera luce rosata dell'alba faceva brillare i suoi biondi capelli e donava alla sua pelle abbronzata una sfumatura mistica.
La prima tentazione di Renji fu quella di buttarsi dal balcone per raggiungere il suo angelo, ma poi rinsavito, assunse la posizione eretta, poggiandosi questa volta a braccia conserte sulla ringhiera, in modo da poter osservare meglio la fanciulla. La osservò con particolare dovizia, senza lasciarsi sfuggire alcun dettaglio, o almeno quelli che riusciva a scorgere dalla sua posizione.
La sua pelle bronzea aveva assunto una tonalità aranciastra, che rifletteva i colori dell'alba. I capelli, di media lunghezza, le sfioravano il viso, creando una cornice di onde bionde. La figura era esile e minuta. Sottile come un giunco.
La osservò fino a quando la gentile figura non scomparve all'interno dell'edificio.
Con lo sguardo ancora sognante di chi ha appena avuto una visione -o, in alternativa, fumato pesante- raccolse la sua roba e, zaino in spalla, si diresse verso il piccolo bar dell'hotel per fare colazione.
Ordinò un cappuccino e un cornetto con la marmellata di pesche, si sedette al tavolo e attese che il cameriere gli portasse il tutto.
"Questa è proprio una bella giornata" pensò guardando il sole che risplendeva sopra le loro teste. Ah, quanto gli era mancato il sole!
Non era mai stato un tipo particolarmente attratto dalla vita di città e quando gli era toccato trasferirsi per proseguire gli studi ... Una vera tragedia!
La grande metropoli, così confusionaria e dinamica, non faceva proprio per lui. Aveva sofferto tanto all'inizio, nel vano tentativo di abituarsi ai nuovi ritmi. Aveva cercato di cambiare la sua natura flemmatica in ogni modo, prima di capire che non era necessario: da quel momento in poi fu solo il pensiero della vita che lo attendeva una volta concluso gli studi a spingerlo a svegliarsi ogni giorno e combattere quella forte crisi depressiva che lo aveva colpito durante i primi mesi da universitario pentito.
Completamente immerso nelle sue elucubrazioni, mugugnò distrattamente un 'grazie' all'uomo che lo aveva appena servito.
Era ancora molto presto, la clientela era poca e il proprietario del locale da solo riusciva a soddisfare i quattro clienti mattinieri, di cui uno era presumibilmente un atleta alzatosi presto per fare Jogging, che stava consumando la sua colazione in piedi, direttamente al bancone. E poco più in fondo, una coppia di anziani coniugi con il loro cagnetto ai piedi del tavolino; lui leggeva il giornale, lei invece continuava a parlare di qualcosa che Renji non riusciva e non voleva sapere, illudendosi che quel pover uomo seduto al suo fianco la stesse realmente ascoltando, invece che annuire a caso.
Li guardò con un misto di invidia e compassione. Lui probabilmente non avrebbe mai trovato una donna disposta a sopportare i suoi sbalzi d'umore e sarebbe morto solo, in una casa di riposo. Persino nella schiuma del cappuccino gli sembrò di scorgere l'abbozzo di un teschio. Com'era possibile che la sua vita, in pochi mesi, fosse andata completamente allo sfascio? Ma era una cosa legale tra le divinità giocare così con la vita degli sventurati mortali? In pochissimo tempo Yumi lo aveva tradito e non aveva neanche tentato di nasconderlo, i suoi amici si erano allontanati, la sua famiglia era lontana fisicamente e anche la sua carriera universitaria cominciava a dare scarse soddisfazioni.
Continuò ancora per un po' a osservare la coppia di anziani, fin quando questi, finita la colazione, si alzarono e, sottobraccio, se ne andarono.
Era quasi tentato di andare via anche lui, quando la vide entrare.
Non pensava l'avrebbe mai rivista, eppure eccola li; una semplice T-shirt nera, troppo grande per lei, copriva le sue forme androgine, le gambe erano fasciate da un paio di jeans scuri e ai piedi indossava delle semplici converse nere. Neanche se avesse indossato un abito di rose e raggi di sole avrebbe potuto essere più bella di quando già non fosse.
«Kaname, sei in ritardo» la rimproverò il proprietario del bar.
«Mi dispiace zio, non succederà più» rispose lei con la sua voce cristallina. Intanto aveva preso il grembiule verde con il logo del locale e lo stava legando.
Passò gran parte della mattinata cosi, a guardarla servire e sparecchiare i tavoli. Per lui era la perfezione. Nessuno era così aggraziato mentre portava via le tazze sporche, nessuno faceva cadere in quel modo le briciole delle brioches, nessuno spazzava con tanta eleganza il pavimento. Qualsiasi cosa lei facesse, a Renji sembrava un'azione che aveva in sé i germi del divino. Era un angelo, ne era sicuro.
Raccolse tutto il coraggio che aveva a disposizione, prese carta e penna dallo zaino e decise di lasciarle un messaggio.
 
Ti ho vista stamattina, mentre tornavi dalla spiaggia e ora qui, di nuovo, al bar.
Mi piacerebbe tanto conoscerti, se vuoi darmi una possibilità, 
ti aspetterò vicino la gelateria sulla spiaggia, nel primo pomeriggio.
Renji
 
Più leggeva il messaggio e più si sentiva sciocco. Come poteva essergli balenata in mente un'idea del genere? Sembrava uno stalker, lei non avrebbe mai accettato, nessuno con un po' di buon senso lo avrebbe mai fatto! Dopo l'ennesimo insulto rivolto verso se stesso, decise di andare via dal locale, premurandosi di lasciare il bigliettino sotto la tazza. Male che fosse andata, ci avrebbe riso su, tra una settimana sarebbe andato via e non l'avrebbe più rivista.
 
Erano da poco passate le due del pomeriggio. Renji, vestito nel miglior modo possibile, camminava nervosamente lungo la passerella che conduceva alla gelateria sulla spiaggia. Aveva perso il conto di quante volte si era dato dello stupido. Ogni chioma bionda in avvicinamento gli procurava un tuffo al cuore, che si trasformava in un suicidio dello stesso ogni qual volta si accorgeva che non era lei. Le ore passavano veloci e del suo angelo neanche l'ombra.
Le gambe gli dolevano come se avesse corso la mille metri. Era stanco, deluso e tutti quei sentimenti che non riesci ad arginare quando senti di essere stato rifiutato, anche se sei consapevole di aver scelto il modo peggiore di approcciarti all'altro.
Se fosse stato un uomo più sicuro di sé, si sarebbe avvicinata a lei, le avrebbe chiesto il suo nome e il numero di telefono, avrebbe fatto un banale complimento su quanto fosse bella e poi, le avrebbe chiesto di uscire. L'avrebbe invitata in uno di quei ristoranti di lusso, proprio uno di quelli che non si sarebbe potuto mai permette, ma lo avrebbe fatto lo stesso, per lei ne sarebbe valsa la pena. Avrebbero passeggiato sulla spiaggia, sotto le stelle, con il fruscio del mare in sottofondo. L'avrebbe accompagnata a casa a mal in cuore, ma appena giunti di fronte la porta, se la serata fosse andata bene, l'avrebbe baciata.
Ma lui non era quel genere di uomo. Era insicuro, pieno di dubbi su di sé e sul mondo. Non era mai stato un bravo corteggiatore. L'imbarazzo lo rendeva impacciato e tremendamente goffo. Più si imbarazzava e più faceva danni e ogni volta che se ne usciva con una frase stupida la sua vergogna aumentava ancora di più.
Stava quasi per alzarsi e andare via, quando l'ennesima chioma bionda sbucò, questa volta accompagnata dallo splendido, e un po' perplesso, sorriso di Kaname.
Si alzò di scatto dalla panchina, facendole segno con la mano.
«Ciao»
«Ciao»
L'imbarazzo era cosi spesso da potersi tagliare con un coltello, o forse era soltanto una sua impressione?
«Allooora, ho trovato il tuo messaggio, ho pensato fosse per me, ma non ne sono sicuro... » Disse, lasciando la frase in sospeso, come se avesse voluto aggiungere dell'altro. 
Come poteva non esserne sicuro? A parte quell'uomo che aveva scoperto essere suo zio, oltre che il proprietario del bar, praticamente era l'unico cameriere presente.
«S-si, era per te. Ti va un gelato, mentre parliamo?» chiese, sperando con tutto se stesso che avrebbe accettato, ma d'altronde era improbabile fosse arrivata fin li soltanto per rifiutarlo, no?
«Mi dispiace averti fatto aspettare così tanto» disse lei, accennando un leggero sorriso di scuse.
Aveva ancora addosso la divisa da lavoro e gli spiegò che il suo ritardo era dovuto al fatto che stava ancora lavorando al bar. Ogni estate, da quando aveva quattordici anni, trascorreva le vacanze a lavorare nel bar dello zio, lo pagava poco, molto meno degli altri camerieri, ma andava bene così, perché a differenza degli altri dipendenti, aveva vitto e alloggio gratis e in più poteva scendere sulla spiaggia ogni volta che voleva e aveva un po' di tempo.
Kaname era una surfista, viveva per il mare; per questo motivo l'aveva vista rientrare la mattina così presto.
«Quindi studi giurisprudenza?» Chiese lei.
«Sì, sono al secondo anno. Tu?» Rispose guardandola negli occhi, grandi e di un azzurro straordinariamente intenso; ricordavano il blu dell'oceano.
«No, penso che l'università non sia una cosa adatta a tutti. Poi non possiamo diventare tutti avvocati, ci sarebbe sovraffollamento» scherzò facendogli l'occhiolino.
«Penso tu abbia ragione» rispose semplicemente. Di fronte al suo incantevole sorriso, i neuroni del ragazzo facevano fatica a fare sinapsi come avrebbero dovuto. Al contrario, lei sembrava molto tranquilla e rilassata.
«Ovvio che ho ragione. Mica solo i laureati sono intelligenti»
Si stava divertendo a prenderlo in giro, ma in un modo così ironico e piacevole che Renji avrebbe continuato la conversazione per ore.
Parlarono del più e del meno per un po'. Lei aveva deciso di non proseguire gli studi, così passava l'inverno a fare i lavori più disparati e a coltivare i suoi molteplici interessi. Stava bene cosi; non era una gran studiosa e aveva sempre preferito lo sport a tutto il resto. Sperava un giorni di diventare una grande atleta e poter vivere di quello, ma intanto si arrangiava come poteva. Non voleva pesare sui suoi genitori e aveva cercato in ogni modo di rendersi il più autonoma possibile, anche se continuava a vivere sotto lo stesso tetto. Intanto si destreggiava in mille attività: teatro, musica, letteratura...
Kaname non solo era una splendida donna, ma era anche molto intelligente e colta, e Renji non riusciva a resistere al suo fascino.
«Mi dispiace molto averti sottratto del tempo» si scusò il ragazzo, che si sentiva sinceramente in colpa per averle rovinato i piani, anche se doveva ammettere che la sua compagnia gli era molto gradita, come mai nessuna prima di allora.
«Non c'è problema, avrei anche potuto non presentarmi»
Renji rise «Ma invece sei qui» disse.
«Esatto, invece sono qui»
 
Da quel pomeriggio, Kaname e Renji avevano continuato a incontrarsi regolarmente tra una pausa e l'altra dei turni al bar. Ogni occasione era buona per vedersi, nessuno dei due voleva perdere un solo istante della compagnia dell'altro. Ogni volta il tempo era breve ma molto intenso. Si sentivano come due anime complementari che dopo molto vagare si erano finalmente ritrovate. Ogni distacco, per quanto breve e per quanto accompagnato dalla consapevolezza che si sarebbero rivisti, era doloroso come amputarsi una mano senza anestesia. Più il tempo trascorso insieme aumentava, più diventava faticoso lasciarsi, e la consapevolezza che le vacanze stavano per terminare non faceva altro che acuire questa sgradevole sensazione. Tornati entrambi alla vita quotidiana, chissà se avrebbero mai trovato il tempo di rivedersi, lui all'università, lei persa tra i suoi mille impegni.
«Con un insegnante eccezionale come me, sei davvero uno stupido a non approfittarne, anche gratis poi!» Gli disse Kaname durante uno dei loro incontri tra un turno e l'altro. Aveva la spavalderia tipica di chi sa che non ricever mai un no come risposta.
«Eh -sospirò allora Renji- proviamo... » Almeno aveva una scusa per stare con lei.
«Vedi di svegliarti presto allora. Se mi hai visto tornare dalla spiaggia dovresti sapere che non perdo tempo io» esclamò con aria solenne, dandogli una pacca sulla spalla.
Il ragazzo rise, avrebbe fatto qualsiasi cosa per passare del tempo in sua compagnia. Dal primo istante in cui l'aveva vista, aveva capito che quella donna era la metà perfetta. Si sentiva attratto da lei come due calamite di polo opposto, ma c'era qualcosa di più; un istinto primordiale, un legame tra le loro anime... Era una sensazione inspiegabile, un sentimento che non poteva essere compreso con la sola ragione.
"Non sono una che perde tempo" aveva detto, e forse era proprio quello che Renji avrebbe dovuto imparare a fare: smetterla di rimandare per poi pentirsi di non aver concluso nulla. Ispirato dalla pragmaticità della ragazza, raccolse il coraggio a due mani e fece una cosa che, con il senno di poi, non avrebbe mai fatto: si avvicinò lentamente e la baciò.
La giovane avrebbe avuto tutto il tempo di rifiutarlo, ma non lo fece.
Quando le loro labbra si incontrarono capirono entrambi che erano fatti per stare insieme, era stato il destino a farli incontrare e loro non potevano opporsi a qualcosa che superava di gran lunga le capacità umane. Erano quello che entrambi desideravano, quello che entrambi avevano agognato incontro dopo incontro.
Quando si staccarono avevano entrambi il fiatone, come se avessero corso una maratona, ma erano giunti al traguardo, vincendo insieme qualcosa di molto più prezioso di qualsiasi premio materiale: si erano trovati.
«Sei sicuro?» Chiese Kaname.
Renji la guardò stranito. Che domanda era? L'aveva appena baciata, più sicuro di così! Lui, che in tutta la sua vita non aveva fatto altro che fuggire e nascondersi. Lui che non era mai stato in grado di trovare il coraggio di prendere una decisione che non fosse stata vagliata con perizia. Dannazione, si che ne era sicuro. Non era mai stato così fottutamente sicuro in vita sua!
«Certo che ne sono sicuro. Non credo di aver provato mai nulla del genere in vita mia. Sono sicuro di amarti» disse tutto di un fiato, arrossendo sul finale.
«Tu credi nel destino? Io credo sia stato il destino a farci incontrare- rispose lei, percorrendo con la punta delle dita il viso del ragazzo. -Puoi anche ridere se vuoi, ma io ci credo fermamente»
Restarono chissà quanto tempo a fissarsi imbambolati, persi l'uno negli occhi dell'altro. Minuti, ore, l'eternità intera, il tempo non era nulla per loro... Ma a quanto pare invece, per i turni di lavoro della ragazza contava eccome. Doveva tornare velocemente al bar, infatti la sera, quando apriva anche la cucina, il locale era sempre molto più affollato.
Kaname gli lasciò un ultima carezza e un bacio a fior di labbra.
«Mi raccomando, sii puntuale» lo salutò, lasciandogli l'ennesimo dei suoi meravigliosi sorrisi.
 
Come promesso, la mattina seguente, Renji scese giù per le scale di servizio, fino a raggiungere il retro dell'albergo. Lei era li ad attenderlo, con la divisa da lavoro a celare il bikini, perché dopo, come ogni giorno, avrebbe dovuto raggiungere lo zio al bar.
«Vedi, non è così complesso come sembra, devi solo riuscire a trovare il giusto equilibrio. È tutta una questione di baricentro» gli stava spiegando mentre percorrevano il sentiero poco frequentato che li avrebbe condotti alla spiaggia.
Faceva sembrare tutto così semplice lei, così elegante e aggraziata, certo che non aveva difficoltà a restare in equilibrio su una tavola. Lui invece, che era sempre stato goffo e scoordinato, si sarebbe sicuramente reso ridicolo ai suoi occhi.
«Io non ho un baricentro» si lamentò. Non sapeva neanche nuotare, o meglio, lo faceva, ma si muoveva in modo spasmodico, come se fosse stato morso da un animale velenoso.
«Non essere ridicolo» disse sorridendo.
Erano passati per un capannone per prendere una tavola da surf di medie dimensioni, Renji non aveva idea di quanto fosse pesante o del materiale di cui era costruita. La ragazza rifiutò ogni suo tentativo di aiutarla a
trasportare l'oggetto.
Il ragazzo sentiva il cuore battergli a mille, non era mai stato così imbarazzato in vita sua come in quel momento. Cosa avrebbe dovuto fare? Spogliarsi? Si poteva fare surf da vestiti?
Mentre cercava una soluzione, Kaname stava tirando su la maglietta nera, mentre il viso di Renji stava letteralmente andando a fuoco, era quasi sicuro che osservando più attentamente si sarebbe visto il fumo uscirgli dalle orecchie, come una pentola a pressione.
Quando Kaname si voltò verso di lui per spronarlo a seguirlo, il ragazzo si strozzò con la sua stessa saliva, questa volta il viso rosso era dovuto a un principio di soffocamento. Cominciò a tossire convulsamente. Sbiancò. Diventò violaceo e quasi svenne.
Perchè Kaname non ha le tette? Urlò la sua mente.
La fissò come se avesse davanti lo spettro di Banquo.
Pancia piatta, addominali delineati e pettorali scolpiti come potevano esser solo quelli di un atleta che faceva sport da molti anni.
Perchè Kaname non ha le tette? Non riusciva a smettere di chiedersi. La sua mente era andata in tilt. Black out totale.
Continuò ad osservarlo attentamente; era sempre la stessa persona. Gli stessi enormi occhi azzurri, gli stessi capelli biondi di media lunghezza,lo stesso splendido sorriso, lo stesso viso dai lineamenti delicati, lo stesso fisico asciutto... Ma perché non aveva le tette?
"Certo che non ha le tette, idiota -urlò la perfida voce della sua coscienza- è un uomo! Mi sembra abbastanza basilare saper distinguere maschio femmina, anche un'idiota come te avrebbe dovuto riuscirci"
«Lei non è lei, lei è lui» ripeteva come un mantra il ragazzo, in evidente stato di shock.
Kaname, il suo meraviglioso angelo biondo, era un uomo. Come aveva fatto a non accorgersene?
«Ehi Renji, tutto a posto? Oh, che ti é successo?» Gli stava dicendo, schiaffeggiandolo nel vano tentativo di farlo riprendere.
Il ragazzo sentì l'atavico bisogno di sedersi rannicchiandosi su se stesso.
Lei non è lei, lei è lui
Continuava a ripetere nella sua mente.
«Renji sveglia» continuava a chiamarlo il ragazzo.
«Oh mio dio, mi hai fatto preoccupare così tanto!» Disse quando lo vide tornare di un colorito, se non normale, almeno accettabile.
Ma il moro continuava a non rispondere, se ne stava semplicemente li a fissarlo, tanto intensamente che il biondo quasi credette che gli fossero spuntate altre due teste.
«Si può sapere cosa diamine ti sta succedendo?» Chiese allora, quasi esasperato. Ma quando vide che non dava segni di vita, ostinandosi a fissare forse il vuoto, forse lui, decise di abbracciarlo, per tentare di tranquillizzarlo, qualsiasi cosa fosse accaduta.
Fu solo allora che Renji reagì.
«Non ti avvicinare!» Quasi urlò spingendolo via.
«Ma cosa... Cosa cazzo stai dicendo!?»
«Hai sentito bene. Non ti avvicinare. Io non sono come te!»
A quel punto Kaname capì «Non sei come me? Quindi non eri gay come me quando ieri mi hai baciato. Non eri gay come me quando mi hai lasciato un bigliettino al bar e neanche quando ti ho chiesto se eri convinto di amarmi, vero?»
«Io... Io non -balbettò- io non avevo capito»
Il ragazzo non riuscì a trattenere una risata piena di amarezza. «A quanto pare capire non è il tuo forte»
«Io non...»
«"Tu non" nulla. Fammi sapere quando ti sarai schiarito le idee» continuò sdegnato. Il biondo si alzò dalla posizione accovacciata che aveva assunto per potersi avvicinare al ragazzo, e andò via.
Così, senza aggiungere più nulla, lasciando Renji a fissare l'oceano tempestoso davanti a sé.
 
La sua mente era un enorme ammasso di pensieri sconnessi. Si sentiva come se qualcuno lo avesse afferrato per le spalle e scosso con estrema violenza, ingarbugliandogli tutte le idee, mischiando le sue convinzioni e lasciando fuoriuscire dalle orecchie le sue sicurezze.
Da quel giorno non aveva più visto Kaname. Aveva evitato il bar come se fosse la peste, sicuro che lo avrebbe incontrato. Anche la spiaggia era off limits. Aveva passato il resto della settimana chiuso in camera. Il manuale di diritto privato aveva dovuto dire addio alla sua collezione di acari e cominciare a rendersi utile, se non come manuale almeno come scaccia pensieri. Non voleva pensare a lei lui. Non voleva pensare a lui, ma non poteva evitare di farlo. Gli mancava come respirare. Quella sensazione di completezza che aveva Provato dal primo momento in cui l'aveva visto era sparita completamente, lasciando al suo posto un enorme voragine. Se non avesse mai provato la sensazione di completa coappartenenza, forse a quel punto non si sarebbe sentito così vuoto. Se non l'avesse mai incontrato avrebbe continuato a vivere beatamente nella sua ignoranza, sempre con la costante dell'incompletezza al suo fianco, ma almeno non avrebbe saputo che c'era qualcosa oltre. Se non lo avesse mai incontrato avrebbe continuato la sua vita inconsapevolmente infelice e invece, dopo aver provato la felicità, non poteva fare a meno di sentirsi come se gli fosse stato portato via qualcosa.
L'esistenza di quel ragazzo era la sua rovina. Come era stato possibile innamorarsi di un uomo e non accorgersene? Dannazione, faceva persino fatica a pensare a lui come un lui. Non poteva essere vero. Si sarebbe svegliato e avrebbe scoperto che era tutto uno stupido scherzo del destino. Era la sua mente malsana che continuava a ipotizzare scenari alternativi e questo era soltanto uno dei tanti. Aveva guardato troppi telefilm, mangiato troppe schifezze e ora il suo inconscio stava cominciando a fargliela pagare.
L'unico problema era che per quanto continuasse a stropicciarsi gli occhi e tentare di svegliarsi, ogni volta si ritrovava imprigionato sempre nella stessa realtà; quella realtà in cui lui si era innamorato di una splendida donna senza che lui si accorgesse che in realtà la donna dei suoi sogni non esisteva. O meglio, sarebbe esistita, se non fosse stata un uomo. Oh cristo, più ci pensava più il cervello rischiava di surriscaldarsi.
Lei era un lui, lei non era una lei, perché lui é un lui. Ma era sempre la stessa persona. Lui e lei erano la stessa persona? Certo che lo era. Non aveva mai preso in considerazione l'idea di essere omosessuale. Yumi era una donna e lui era sicuro di averla amata davvero. Com'era possibile una cosa del genere?
Ma era proprio di questo che si trattava.
Ci pensò su, cercando di districare l'aggrovigliata matassa che erano i suoi pensieri. Non poteva dimenticare la fortissima sensazione che aveva provato conoscendo Kaname, ma non poteva neanche ignorare il fatto che fosse un uomo, mentre lui aveva sempre pensato fosse una donna.
Certo però che erano davvero due meta perfette; uguali e perfette. Nessuno al mondo era stato in grado di capirlo e completarlo allo stesso modo. Nessuno al mondo sarebbe stato più in grado di renderlo felice.
Erano state le loro anime a trovarsi. Perché dare così tanta importanza all'involucro che temporaneamente abitavano? Uomo o donna, si era innamorato di una persona meravigliosa, di un'anima meravigliosa.
Erano due anime complementari che si ritrovavano dopo tanto vagare, perché continuare a soffrire distanti se potevano essere felici insieme? Si sentiva così sciocco ad aver sottratto del tempo prezioso a quello che avrebbero potuto trascorrere insieme.
 
Era tutta la settimana che ci pensava, gli avrebbe dato una risposta. Ma si sentiva così confuso. Una scelta del genere avrebbe sicuramente segnato la sua vita in modo indelebile, la parte più razionale di sé lo spingeva a considerare con attenzione i pro e i contro, ma quella non era una scelta che andava fatta con la ragione; questa volta avrebbe seguito il suo cuore.
Finì di vestirsi e corse verso il retro dell'albergo, sapeva che lo avrebbe trovato li su quel sentiero poco popolato dove Renji aveva visto Kaname per la prima volta e che avevano percorso centinaia di volte insieme. Non lo avrebbe fatto attendere oltre.
Si precipitò giù per le scale più velocemente possibile, fino a raggiungere l'uscita sul retro dell'albergo.
Appena messo piede fuori dall'edificio, il suo sguardo corse alla ricerca dell'elegante figura di Kaname, che lo attendeva poggiato su una delle pareti. Quando sentì il rumore della porta chiudersi, si voltò verso di lui, fissandolo con quei suoi penetranti occhi azzurri.
Ogni parola sarebbe stata superflua, nessuno avrebbe mai visto nello sguardo di Renji tanta determinazione come quel giorno.



 
OharaNakamura








 
 
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: OharaNakamura