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Autore: screaming_underneath    07/11/2015    2 recensioni
Colorblind!Soulmate AU
"Sono secoli lasciati alle spalle che bussano alla porta del presente, e Rose non sa come arginarli se non riscrivendoci memorie sopra. Lasciando che il passato resti passato e Iris che gorgheggia e scalcia nell'acqua insaponata per fare le bolle ricordi ad entrambi che qui e ora è importante, qui e ora è quanto è stato dato loro ed è una seconda possibilità più che accettabile. Meravigliosa."
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor - 9, Nuovo personaggio, Rose Tyler
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Note iniziali utili (o qualcosa del genere): Ho questa Colorblind!Soulmate AU in mente da mesi interi e qualcosa come trenta (t-r-e-n-t-a) pagine di appunti a riguardo.
Non ho mai letto AU di questo genere anche se so che ne esistono nei fandom internazionali, quindi le regole me le sono fatte da sola (non le spiegherò nel dettaglio qui, perché avrò altro spazio dove parlarne, almeno a livello teorico ― non ho ancora parlato con Ispy ma è un progetto cui tengo moltissimo). Di base, comunque, ho preso come assunto che tutti vedano a colori fino ai tre anni, per poi vivere in un mondo in scala di grigi fino all'incontro con la propria anima gemella.
Il Dottore di questa AU è un Dottore che è uscito dalla Guerra del Tempo a pezzi, e si è ritirato sulla Terra con la promessa di non viaggiare più ― anche se trovare Rose lo ha aiutato, da questo fronte, ed è tutto un processo in evoluzione <3
Questo è ciò da cui è nato questo specifico pezzettino, che alla fine altro non è che un missing moment di quella che, con pazienza e speranza, dovrebbe essere una mini long. È una cosa molto fluff per i miei standard, e non capisco ancora come sia potuto succedere, ma si sa, shit happens.
Per il titolo, pensate un po', non succede mai, ho rubato ai Coldplay. Again.
Non è colpa mia, sono loro che hanno troppe, troppe, troppe canzoni. (Adatte alle fic.)





 

Life in Technicolor


Gravity release me
And don’t ever hold me down
Now my feet won’t touch the ground”



 

La sveglia canticchiando “The circle of life” (Il Re Leone è la nuova fissa di Iris della settimana) sottovoce, la bocca poggiata al suo orecchio e il fiato che le solletica il collo. «Sveglia, Sarabi» mormora, passandole una mano tra i capelli leonini.
Rose ruggisce e lo spinge via, le palpebre serrate per cercare di conservare l'ultimo scampolo di sonno, l'ultimo secondo di pace e tranquillità e calma prima che la giornata inizi di nuovo.
«Apri gli occhi. Sono le otto, farai tardi» la rimprovera il Dottore, bonariamente. Adesso la voce è salita ad un tono quasi normale; se non gli risponderà, presto inizierà a farle il solletico.
«Abbiamo una TARDIS. I libri aspetteranno. Alcuni non sono neanche stati scritti» protesta, nascondendo la testa dentro il cuscino.
«Mmm. La relatività del tempo...» commenta pensieroso il Dottore, mentre le sue dita scendono a solleticarle la pancia, i fianchi. Si insinuano sotto la maglia di Rose con tocco leggero, ma lei sussulta e scoppia a ridere, lanciando alla cieca il cuscino. «Ugh!»
La luce esplode intorno a lei quando infine apre gli occhi. Le persiane sono state aperte e e fuori c'è il sole; raggi entrano dalle tende appena scostate, facendo danzare bruscoli di polvere color dell'oro in quegli spiragli. Rose li osserva con lo stupore di una bambina, come tutte le mattine. Ancora non si è abituata a tanta bellezza, tanti colori.

C'è il grigioblu degli occhi del Dottore ― niente a che vedere con la monotona sfumatura di prima, oh no ― e il rosso delle sue labbra mentre le bacia e il viola delle coperte sotto cui si nasconde di nuovo, brontolando che poteva lasciarla dormire ancora un po', tanto la TARDIS avrebbe fatto in modo che alle nove meno dieci fosse, chiavi alla mano, pronta a dischiudere al mondo certi libri vecchi e alcuni nuovi e alcuni che non sarebbero proprio dovuti essere lì, negli scaffali della loro piccola libreria, o almeno non prima di un paio di mesi o settimane, o anni. Mh, persino qualcosa prima di un secolo, in un caso, ma quello era solo il Dottore che doveva mettersi in mostra.

C'è il verde della tazza che la aspetta in cucina quando si alza ― canticchiando una versione del Cerchio della Vita decisamente meno aggraziata di quella di lui ― un filo di vapore che si intreccia nell'aria e il profumo del té caldo che si spande per la casa. Il Dottore gliela fa trovare pronta ogni giorno, assieme ad una fetta di torta appena sfornata.
«Ma quando hai il tempo di fare tutte queste cose, la mattina?» chiede lei alle volte, ficcandosi briciole di dolce in bocca.
Il Dottore ride e la bacia, anche se lei è in pigiama e ha i capelli sparati in mille direzioni e non si è neanche lavata i denti. «Non sono io il dormiglione, qui» le dice, ma il tono è serio e Rose sa che la notte, spesso, lui abbandona il loro letto e passeggia per casa, senza riuscire a trovare riposo. Ci sono tante cose che ancora non conosce del Dottore, centinaia di anni di vita che lui non le ha mai raccontato e forse non le racconterà mai. “Sono tornato a vedere, Rose. È questo che conta, null'altro.” risponde sempre, e lei ricorda il vuoto grigio (grigio sterile, grigio uniforme e brutto e morto come il resto di quel mondo senza colori nel quale ha passato diciassette anni della sua vita, credendo che non avrebbe mai avuto niente di meglio di quello) delle sue iridi quando lo aveva visto la prima volta e annuisce e non chiede nient'altro. Faceva paura, quello sguardo; faceva paura prima che capisse di amarlo lo stesso e dopo, quando tutto è cambiato e lei ha iniziato a vivere davvero, semplicemente non lo ha visto più, affogato nei bellissimi giochi di luce che brillano negli occhi del Dottore, il suo Dottore. Pensando egoisticamente che fosse bastata la sua presenza a spazzar via secoli di grigio e vuoto.

C'è il giallo canarino con cui hanno piastrellato le pareti del bagno.
Rose non credeva che potesse esistere nulla di più brillante. «Sei sicura, Rosie? È proprio questo il colore che vuoi?» aveva domandato dubbioso il Signore del Tempo, che in novecento anni di tempo e spazio non aveva mai visto qualcosa di più... beh, più.
Ma lei, presa dall'euforia, aveva annuito decisa. «Sì. È questo. A Iris piacerà» aveva pronosticato, e così era stato.
Sono nella vasca da bagno, abbracciati, quando Rose li raggiunge.
Iris, undici mesi il prossimo trenta del mese, fa scorrere l'indice cicciotto tra le fughe delle piastrelle ― piastrelle gialle canarino, gialle quanto i suoi capelli sono rossi ― e ride, felice. Il suo mondo è ancora colorato e nuovo e tutto da conoscere; presto le faranno vedere le stelle e sua madre si augura che nei lunghi anni in cui il cielo sarà solo grigio, grigio come tutto il resto, potrà ricordarsi di com'era. Il giallo. Il rosso. L'accecante bianco di una stella. Il biondo dei capelli di Rose e il grigioblu degli occhi di suo padre. L'azzurro di una cabina telefonica più grande all'interno.
Canta, il Dottore. Canta in una lingua che Rose ha avuto la fortuna di ascoltare solo poche volte, una melodia dolce e bassa, appena un sussurro tra le labbra. Iris sorride, beata, scalpicciando con i piedi nel tentativo di sfuggire all'insaponatura. Ha la stessa risata della sua mamma; forte e squillante, che le illumina il visino con un tipo tutto speciale di gioia.
«Cosa le canti, Dottore?» chiede Rose quando, dopo qualche minuto di contemplazione beata, lo sguardo di lui si alza e la vede, ferma poggiata contro lo stipide della porta, la tazza col té (ormai quasi freddo) in mano, dimenticata.
Ha uno sbuffo di schiuma su di una guancia e i capelli ― “quel che ne resta”, come è solita prenderlo in giro ― sparati in mille direzioni, bagnati fradici. «È una vecchia filastrocca di Gallifrey. Nostra figlia deve conoscere la lingua, non credi?» le risponde. Sorride, ma gli occhi sono seri ― di nuovo.
Succede sempre meno, ma succede. È un ricordo (di cui non parla); un gesto. Un racconto. Una filastrocca. Una lingua che nessuno nell'universo parla più. Un senso di colpa. Sono secoli lasciati alle spalle che bussano alla porta del presente, e Rose non sa come arginarli se non riscrivendoci memorie sopra. Lasciando che il passato resti passato e Iris che gorgheggia e scalcia nell'acqua insaponata per fare le bolle ricordi ad entrambi che qui e ora è importante, qui e ora è quanto è stato dato loro ed è una seconda possibilità più che accettabile. Meravigliosa.
Così Rose chiede «Credevo che dovessi fare il bagno a lei!» e il Dottore sorride di nuovo, stavolta credendoci. È il suo sorriso migliore: aperto, fin quasi a quelle buffe orecchie a sventola che si ritrova. Il sorriso che Rose ama più di qualsiasi cosa nell'universo.
«Mi ha detto che non le piace star nella vasca da sola» risponde, sollevando sua figlia per guardarla negli occhi, grigio contro grigio. Come se lo avesse davvero capito (Il Dottore dice di continuo di capire cosa Iris ha da dir loro, anche se Rose lo prende in giro e ride di lui ― solo per finire a mugugnare che la sua è tutta preferenza per il papà quando smette di piangere non appena è lui a prenderla in braccio), la piccola fa un sorrisone ancora più grande ― una copia perfetta di quella del padre ― e poggia le manine sulle sue guance. «Meglio in due, vero?»

Mentre esce di casa, Rose sente il Dottore cantare più forte.
Il mondo è un caos di colori.

 

   
 
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