Film > Captain America
Ricorda la storia  |      
Autore: Tomi Dark angel    07/11/2015    1 recensioni
STUCKY.
"-Dov’è?-
Falcon si frappone tra lui e il corridoio, ostruendogli la strada. –Datti una calmata, Capitano. Non mi sembra il momento di gettarti tra le sue braccia. Ricorda di chi stiamo parlando.-
-Lo ricordo meglio di chiunque altro, Sam.- sbotta Steve.
-Non è Bucky, Steve.- interviene Natasha. –Stiamo parlando di un serial killer, non del tuo amico.-
Ma Steve non la ascolta. Non ascolta nessuno, perché continua ad avvertire la presenza di Bucky e ora come ora, ha bisogno di vederlo, di toccarlo, di sentire che è vivo e reale. Ha bisogno di lui."
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Steve Rogers, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
Perdere la memoria è un po’ come perdere un pezzo di se stessi. Ci si frantuma come fragile pezzo di cristallo abbattutosi al suolo, e spesso non è neanche possibile raccogliere tutti i pezzi. Alcuni frammenti si disperdono, spariscono, e nessuno ne saprà mai niente. Che fine fanno? È impossibile saperlo. Forse si sbriciolano, forse è il vento a disperderli, ma certo rimane che di un pezzo di cristallo andato violentemente in frantumi, alcuni pezzi andranno perduti per sempre.
Cosa si prova a vivere al centro di un grande buco nero? Cosa si prova a veder sbiadire l’arazzo della propria stessa vita? Anni perduti, volti dimenticati, e improvvisamente, tutto si fa buio e sparisce. Non ci sono più voci familiari, immagini gentili volte a ricordare che anche alla fine della giornata più tragica e oscura, prima o poi spunta il sole.
Non rimane niente. E niente diventa infine colui che dimentica.
Il Soldato d’Inverno, queste cose le sa bene. Anzi… questo è tutto ciò che sa. Non c’è altro, nella sua vita. Non c’è più luce, al punto che i suoi occhi ormai appaiono ciechi, cupi di oscurità fitta e mai scacciata. A dire il vero, il Soldato d’Inverno non sa nemmeno cosa sia la luce. Non lo ricorda. E dopotutto, non si può aspirare a qualcosa della quale non si conosce nemmeno la più pallida esistenza.
Per anni, ha creduto che l’oscurità fosse tutto ciò che restava, tutto ciò che esisteva. Combattere, uccidere, eseguire gli ordini. Sì e no, sono le uniche parole che gli era consentito pronunciare. Aveva dimenticato perfino il suono della sua stessa voce.
Poi però, qualcosa è cambiato e un… uomo, è comparso sulla sua strada. Un bersaglio, una missione. Questo e nient’altro. Un volto come gli altri, una voce come le altre, uno sguardo come gli altri.
Sbagliato.
In quell’uomo, c’è sempre stato qualcosa di diverso. Quelli non sono occhi normali, così come normale non appare il loro sguardo. Nessun uomo ha iridi talmente azzurre da specchiare cielo e mare in ogni più piccola sfaccettatura. Colori del genere, il Soldato d’Inverno non li ha mai visti. E lui ai colori, non ci è abituato affatto. C’è vita in quelle sfumature, c’è un mondo, e lui riesce a vederli. Le onde oscillano al bacio del sole, laddove il cielo incontra l’oceano in un abbraccio di tenerezza paradisiaca. È un quadro, un mondo che il Soldato d’Inverno non è mai riuscito a vedere. Eppure, da qualche parte in quegli occhi, esiste davvero.
Forse è per questo che gli ha salvato la vita, durante la loro ultima battaglia. Forse è per questo che un anno dopo, ha deciso di farsi catturare dallo stesso uomo alato che tempo addietro tentò di fermarlo. Forse. Però il Soldato è sicuro di sé, e sa di poter evadere in qualsiasi istante dalla… come l’hanno chiamata? Base dei Vendicatori? Può darsi.
Falcon l’ha trascinato lì dopo averlo steso con un colpo ben assestato. Non che ve ne fosse bisogno, considerato che il Soldato d’Inverno ha deliberatamente scelto di farsi colpire. Avrebbe potuto evitare l’attacco e uccidere Falcon in poche, semplici mosse. Tuttavia, per la prima volta… semplicemente non l’ha fatto. Ha scelto la resa al posto della lotta. Ha guardato alla vita anziché alla morte. E tutto perché dall’altra parte c’è lui; l’uomo dagli occhi azzurri.
Il Soldato d’Inverno sapeva dall’inizio che l’uomo alato lo avrebbe condotto da… da… Capitan America? L’hanno chiamato così, se lo ricorda. E adesso il Soldato è lì, in una stanza chiusa a chiave e dalle pareti rinforzate, ma dal comodo letto a baldacchino che per anni gli è solo stato concesso di guardare e non toccare. Non ricorda più cosa significhi dormire in un letto vero. Non ci è abituato, e per questo sceglie di sedere sul tappeto, a poca distanza dalla porta, laddove può avere una visuale sicura su chiunque possa entrare. Dormire è fuori questione.
In silenzio, il Soldato d’Inverno chiude gli occhi e pazientemente aspetta. Si concede tre giorni. Se entro tre giorni Capitan America non sarà arrivato, andrà via e raderà al suolo la base dei Vendicatori.
 
Steve Rogers non sa davvero cosa pensare. Quando Falcon l’ha chiamato, si trovava dall’altra parte del mondo con Natasha. Tutto per cercare lui, tutto per trovare una benché minima traccia di quella variabile impazzita che tutti chiamano Soldato d’Inverno ma che Steve ricorda semplicemente come Bucky Barnes.
Cosa si prova a guardare negli occhi il proprio passato? Cosa si prova quando quello stesso passato si rivolta come un guanto?
Steve vorrebbe saperlo, perché nemmeno lui è certo della risposta. Cosa si prova? Non lo sa. La verità è questa. Per anni ha creduto che Bucky fosse morto… finché non se l’è trovato davanti, con un braccio di metallo e quegli occhi. Dio, quegli occhi. Così vuoti, così pallidi. Così freddi. Bucky non è freddo. È la più calorosa delle persone, di quelle che anche durante l’inverno più gelido son capaci di scaldarti con la sola forza del sorriso. Grazie a lui, il piccolo Steve non sentiva mai freddo. Stava bene, e il suo mondo reggeva semplicemente perché alle fondamenta, vi era Bucky.
Bucky. Il suo amico, il suo più caro confidente. Il suo segreto. Steve ricorda ogni particolare di quel viso, ogni sfaccettatura di quella voce, ogni barlume di luminosità di quegli occhi. Luce. Bucky era questo per lui, e questo è sempre stato. Forse, lo sarà sempre perché senza Bucky, né Steve, né Capitan America esistono.
E adesso lui è tornato. Steve non sa perché, non lo capisce, ma è felice che in qualche modo, potrà rivederlo. Si tratta sempre del Soldato d’Inverno, ma per Steve non può che essere semplicemente Bucky. Ha bisogno di ricordarlo, ha bisogno di crederci.
“Non cantar vittoria, Capitano.” Aveva detto Falcon durante la chiamata. “Non so cos’abbia in mente, ma qualcosa c’è. Si è fatto catturare, Steve. E il Soldato d’Inverno che ricordo, NON si fa catturare così. Fai attenzione”.
Ma Steve non vuole pensarci. Per quanto gli riguarda, Bucky può anche ucciderlo con le sue stesse mani. Steve gliene ha dato l’opportunità una volta, e lo farà ancora. Bucky gli salvò e restituì la sua stessa vita già in passato, e Bucky allora è in grado di togliergliela. A Steve va bene, purché riesca a guardarlo un’ultima volta e a sentire la sua voce.
Quando lui e Natasha varcano la soglia della sede dei Vendicatori, Steve deve trattenersi dal correre in giro come un pazzo alla ricerca di Bucky. Non sa perché, ma in qualche modo, riesce a sentirlo. Lo sente sulla pelle, sa che lui è lì.
-Oh, finalmente.- sorride Falcon quando li vede arrivare. Ha il viso rilassato, ma gli occhi vigili di soldato non lo abbandonano mai. Sono sempre lì, spalancati, attenti, pronti a osservare, carpire, recepire qualsiasi minaccia. Steve si chiede se anche lui abbia lo stesso identico sguardo.
-È vero?- domanda Natasha, avvicinandosi. –È qui?-
Falcon annuisce, nervoso, eppure guarda Steve, il cui sguardo è rivolto al corridoio troppo silenzioso, troppo deserto. Come se una minaccia incombesse su quel luogo. Un sicario. Un serial killer.
Ma Bucky non è questo. Non lo è mai stato. Steve lo ricorda bene, e non può accettarlo. Quelle mani, non hanno mai ucciso senza giustizia. Sporche di sangue, ma pure di innocenza, esse hanno sempre avuto modo di tendersi a indirizzo di chi invano tentava di rialzarsi dal fango. Difendevano i deboli, e non mancavano mai di porgere carezze laddove fosse necessario. Bucky è questo, dopotutto. Un giusto.
-Dov’è?-
Falcon si frappone tra lui e il corridoio, ostruendogli la strada. –Datti una calmata, Capitano. Non mi sembra il momento di gettarti tra le sue braccia. Ricorda di chi stiamo parlando.-
-Lo ricordo meglio di chiunque altro, Sam.- sbotta Steve.
-Non è Bucky, Steve.- interviene Natasha. –Stiamo parlando di un serial killer, non del tuo amico.-
Ma Steve non la ascolta. Non ascolta nessuno, perché continua ad avvertire la presenza di Bucky e ora come ora, ha bisogno di vederlo, di toccarlo, di sentire che è vivo e reale. Ha bisogno di lui. Per questo oltrepassa Sam e Natasha per attraversare il corridoio. Sa che Falcon non è uno sprovveduto, il che lo ha certamente spinto a scaricare Bucky in una stanza dalle pareti rinforzate e con la porta d’acciaio. Non servirà a trattenerlo, ma potrebbe rallentare i suoi scatti d’ira. Forse.
Lentamente, Steve raggiunge una delle poche stanze rinforzate della base. La porta è chiusa a chiave, sigillata, sprangata, il che è un buon segno, se non una conferma che Bucky sia lì.
-Sei sicuro?- chiede soltanto Sam, ma Steve non ha bisogno di rispondere perché sì, quando si tratta di Bucky lui è sempre sicuro.
-Non seguitemi.- dice soltanto, prima di entrare e richiudersi la porta alle spalle.
E lui è lì. C’è per davvero, e Steve non lo sta immaginando. Può vederlo, può avvertirne il respiro e…           quello sguardo. Quello sguardo gelido di purissimo inverno, più freddo di qualsiasi distesa ghiacciata, più distante di qualsiasi passato o futuro lontano. A volte, pare lo sguardo di un cieco. Osserva, ma non sembra guardare davvero. Quelle iridi sono altrove, e piangono senza lacrime. Sono gli occhi di un assassino. Sono gli occhi di un uomo dimenticato.
Steve ha imparato a vederlo, ha imparato a capirlo. Nello scorrere dei secoli, non ha mai saputo dimenticare quel volto, così come quello sguardo. Occhi del genere, appartengono sempre a Bucky Barnes, e sono bellissimi. Uno spettro di colori talmente cangianti da apparire sfuggenti, irraggiungibili, incomprensibili. Una vitrea tavolozza d’artista mescola e rimescola le tonalità per raggiungere sfumature sempre nuove, sempre pure e inafferrabili come scie di cometa lucente.
Poi, vi sono i capelli. Sempre lunghi, sempre disordinati, sempre scuri come lucida corteccia di quercia indomita. Cadono a incorniciare un viso pallido, dalle labbra pronunciate e la fronte alta.
Il Soldato d’Inverno.
Bucky Barnes.
No, Steve non riesce a distinguere due personalità. Ne vede soltanto una, e non può che riconoscerla perché quel viso, è lo stesso che gli sorrideva quando chiunque per lui spendeva solo smorfie di disgusto. Quelle mani, sono le stesse che si tendevano in suo aiuto quando su di lui chiunque avrebbe sollevato nient’altro che colpi violenti.
Lentamente, sotto lo sguardo vigile e incolore di Bucky, Steve solleva un braccio e si sfila lo scudo. Vede il Soldato d’Inverno irrigidirsi, le dita del braccio meccanico flettersi, le vene sul collo gonfiarsi. Si prepara a scattare, si prepara a reagire… ma non è necessario.
Con uno schianto secco che nel silenzio si amplifica come una violenta esplosione, Steve lascia cadere lo scudo ai suoi piedi. Non combatterà, non ha intenzione di farlo. Quando si scontrarono l’ultima volta, Steve rifiutò di lottare alla stessa maniera.
“Non combatterò. Non con te.”
E anche adesso, alla fine di tutto, mantiene la parola. Si disarma totalmente, presentandosi a Bucky non come Capitan America, ma come Steve Rogers, il ragazzino che tanto gli deve e che tanto ha ricevuto in dono dalla vita. Senza avvicinarsi, così come si fa con un cane selvatico, Steve si inginocchia e appoggia la schiena alla porta. Lo fissa in silenzio, sorride appena, ma le mani sono poggiate sulle ginocchia, aperte e rilassate così come lo erano quando erano ragazzi e si incontravano per mangiare o bere qualcosa insieme.
“Non siamo così diversi, dopotutto.” Sussurra lo sguardo di Steve. “Non siamo soldati, non ora. Siamo soltanto ragazzi.”
Bucky continua a fissarlo in silenzio, lo sguardo attento da cacciatore, le mani chiuse a pugno e pronte a scattare in caso di pericolo. Eppure, nonostante tutto, non si muove. Non sembra intenzionato ad attaccare, e questo fa sorridere Steve perché… be’, perché è una cosa da Bucky. Difendersi, ma mai provocare per primo.
-Sai, quando ero piccolo…- sussurra Steve all’improvviso. -… avevo paura dei temporali.-
Lentamente, Bucky assottiglia lo sguardo, studiandolo in viso. Attende, ascolta, osserva.
-Odiavo quando cominciava a piovere troppo forte e io… io mi sentivo debole. Erano quelli gli unici e reali momenti che mi spingevano a capire che ero misero, fragile, quasi inutile a me stesso e al mondo. Il vento era così forte da essere in grado di spazzarmi via, mentre i fulmini… Dio, quelli erano ancora peggio. Li odiavo, perché… mi facevano piangere. Sì, io piangevo, e lo facevo stando rannicchiato sotto le coperte, solo e abbandonato a me stesso. Ero troppo piccolo, e lo sapevo. Nessuno si sarebbe preso cura di me, perciò il mio unico destino era restare lì in attesa di morire. La verità era questa. Il mio temporale non sarebbe mai finito.-
Lentamente, Steve sorride di un sorriso sincero, gentile quasi angelico. Gli illumina gli occhi di ricordi lontani, ma non spiacevoli.
-Poi un giorno, qualcosa cambiò. Una persona aprì la porta socchiusa del mio appartamento e mi trovò lì, piccolo e tremante. Non mi giudicò, non mi derise. Semplicemente, fece la cosa più stupida e inaspettata del mondo: sedette al mio fianco e mi scostò la coperta dal capo.-
Inaspettatamente, così come prima goccia di pioggia che cade dal cielo ancora tinto di sereno arcobaleno, una lacrima scivola silenziosa lungo il viso di Steve. Piccola, insignificante, ma ugualmente antica e preziosa più di qualsiasi tesoro. Un pezzo di storia, una scintilla di ricordo.
-Quel ragazzo… lo stesso che sedeva al mio fianco… mi guardò. Mi guardò in viso e vide che piangevo. Non rise di me. Non mi additò come debole. Semplicemente, lui… lui disse tutto ciò che avevo bisogno di sentire.-
Steve inspira tremante, le mani strette in grembo e gli occhi che lentamente si chiudono sulla dolcezza di un ricordo lontano, irraggiungibile, disperso e dimenticato tra le pieghe del tempo. È un raro diamante, la scintilla di forza che non abbandona il suo cuore neanche nei momenti più disperati. La sua luce, la sua speranza. Il suo punto fermo laddove ogni cosa crolla.
-“Anche i periodi bui, alla fine passano. Un fiore può sbocciare nel gelo delle intemperie, se qualcuno ricorda di innaffiarlo con la più piccola goccia d’acqua. Basta poco, e il fiore nascerà. Ricorda che alla fine, per quanto piccolo, un uomo può farsi grande attraverso i gesti che compie, come quello di ricordare al mondo e a se stesso che di temporali dovremo attraversarne già molti in futuro, ma non ne esiste uno al mondo che duri all’infinito. La grandezza è anche questa, e tu mi ricordi tale concetto ogni volta che ti ribelli alle scelte che la vita ha fatto per te. Sei tu quel fiore che sboccia tra la neve, Stevie: datti… solo… il tempo di… nascere…”-
Un singhiozzo. Piccolo, soffocato, fragile come frammento si cristallo. Una scintilla di dolore emerge, oscura l’azzurro incredibile di occhi pregni di ricordi e rimpianti. Come si fa ad andare avanti quando tutto ciò che resta indietro è in realtà ciò di cui si ha davvero bisogno? Come si fa ad andare avanti quando le file della vecchia vita non allentano la presa per lasciarlo andare?
Steve ricorda il tocco di quella mano sul capo. Era calda, umana, così diversa dal metallo gelido che ha ormai rimpiazzato il braccio di Bucky. Non può più toccarlo in quel modo, non lo guarderà più con quegli occhi. Non tornerà a sorridere in quel modo che da solo, era capace di sconfiggere qualsiasi temporale.
-Ero felice…- esala Steve, con gli occhi ancora chiusi. –Ero felice grazie a te. E… fosse pure per potertelo dire… anche se non lo ricordi… grazie. Non te l’ho mai detto, non ho mai… mai… osato farlo. Ma grazie. Grazie per aver riportato la luce nella mia vita. Grazie per avermi spinto a sbocciare. Grazie per aver soppresso il mio temporale. Ho rivisto il sole proprio quando mai avrei pensato di poterlo riabbracciare, ed era così caldo, così bello, che non ho più voluto abbandonarlo, neanche quando chiunque mi ripeteva che ormai ero solo e al buio.-
Steve respira a fondo, lentamente.
-Non ti ho mai lasciato andare. Non ho mai avuto la forza per farlo, perché senza di te… io appassisco. Non sarò mai più quel fiore in sboccio, se mi abbandoni.-
Steve singhiozza, una mano davanti alla bocca. Scarica allora tutto il dolore, tutta la paura, tutta la confusione di avere Bucky davanti ora, a distanza di troppi anni in cui lo ha creduto morto. Ha pregato di poterlo rivedere, ma non così… non a pezzi. Non con quello sguardo negli occhi. Ha pregato, ma Dio ha un modo tutto suo di ascoltare. A volte ignora, a volte sente per metà. E quando ciò accade, finisce male.
Come si fa ad affrontare il passato? Come si fa a guardare in viso il fallimento più grande mai compiuto? Come si fa a non sentirsi colpevoli per ciò che accadde?
-Dovevo venirti a cercare!- esplode Steve, col volto tra le mani. Distrutto, a pezzi, coi petali che cadono un singhiozzo dopo l’altro. Il freddo sta vincendo, e il fiore tanto faticosamente sbocciato, finalmente muore. –Dovevo esserci! Tu per me, ci sei sempre stato, e io dov’ero mentre ti facevano a pezzi?-
Vorrebbe urlare, la realtà è questa. Ha trattenuto ogni singola emozione per così tanto tempo, che ormai si sente in procinto di esplodere. Nessun essere vivente, neanche un supersoldato, è capace di sopportare tanto. Non si tratta più di semplice sacrificio: si tratta di martirio. E qui il martire, non è Steve. Non lo è mai stato, sin da quando era bambino e i bulli lo picchiavano perché troppo magro. Lui non è un santo, né lo sarà mai, ma Bucky… il martire è lui. L’angelo dalle ali spezzate, l’angelo che l’ha sempre difeso e protetto come parte integrante di se stesso.
-Mi dispiace… mi dispiace…- esala Steve, tremante e fragile come un bambino. Al cospetto di Bucky, di lui non resta nulla, se non un’anima misera e troppo piccola, nuda di qualsiasi scudo di vibranio o tecniche da combattimento. Non più soldato, non più eroe. Semplicemente Steve, così come è sempre stato dalla nascita.
Ma si sa, a volte i miracoli accadono. Piccoli, semplici, quasi invisibili… minuscoli come lo sbocciare di un fiore tra il gelido abbraccio delle nevi.
Per un attimo, Steve pensa di star ancora ricordando. Avverte del calore sulla testa e un dolce peso scompigliargli i capelli. Un tocco tanto angelico, lui lo ricorda bene. Era il gesto che lo resuscitava ogni qualvolta lui si sentiva morire dentro. Era il gesto che lo rendeva Steve giorno dopo giorno. Era la sua più grande ancora.
Una mano calda capace di richiamarlo alla vita, un tocco gentile che senza parole insiste e insiste finché non ottiene attenzione. E quel tocco, appartiene a un’unica persona.
Lentamente, Steve scosta la mano dagli occhi. Ci vede di nuovo, e c’è luce… tanta. Qualcosa luccica a poca distanza da lui, un corpo intrecciato a un braccio di armonioso metallo lucente. Quel metallo ha ucciso migliaia di persone, però… non è brutto. Non puzza di morte. Non appare orribile e bestiale come lo era all’inizio. Al contrario, sembra elegante, prezioso, come gioiello di armoniosa forgiatura stretto a un corpo altrettanto splendido, allenato, fluido come fisico di pantera.
E quel corpo adesso, è vicino, così vicino che Steve riesce a sentirne l’odore. Sorprendentemente, profuma così come profumava Bucky all’inizio, quando era ancora se stesso. Pino e dopobarba. Steve ricorderà quell’odore per sempre, perché è semplicemente parte di lui, della sua storia… della sua vita. Sa di casa e familiarità, ed è qualcosa di così bello, come un diamante troppo a lungo perduto e infine ritrovato, che Steve si sente morire e rinascere centinaia e centinaia di volte.
Lentamente, solleva lo sguardo lucido di lacrime e dolore per incontrare il volto di Bucky, ancora terribilmente freddo e bellissimo come il più lontano dei sogni. Tuttavia, qualcosa è cambiato lì, negli occhi, laddove l’anima dolcemente si affaccia e lo scruta curiosa, anziana, pura e bellissima come Steve la ricorda. C’è ancora qualcosa in quell’uomo; una scintilla di vita e di memorie, una traccia che non può sparire.
-Potrei… spezzarti. Se solo volessi, potrei ucciderti. Dovrei ucciderti. Perché non lo faccio?- esala Bucky, fissandolo dubbioso. Non scosta la mano dal suo capo, non si muove. Eppure, continua a guardarlo con occhi più splendenti di qualsiasi cielo stellato, più grigi di qualsiasi argento liquido, più luminosi della scia di una cometa. Quello sguardo parla di incubi e dolore, di grida e pianti soffocati. Quante lacrime hanno trattenuto? Sanno ancora come si piange? Nessun giusto al mondo dovrebbe patire tanta pena, eppure a nessuno importa più. Dio non soccorre i giusti, né osa difendere chi merita ancora di respirare e preservare il dono di un sorriso. Bucky ne è la prova, perché mentre lui pregava, altri lo facevano a brandelli.
Un angelo dalle ali spezzate. Il suo angelo. E del suo angelo, Steve si fida. Lo ha sempre fatto, lo farà sempre.
Dolcemente, senza timori o remore, Steve afferra la mano meccanica di Bucky. Pericolosa, fredda, preziosa come cristallo sopraffino. Con quella mano, il Soldato d’Inverno è solito uccidere. Impugna armi, piega le dita fino a spezzare in due la fragilità della carne umana. Quella mano è un’arma furiosa e inarrestabile capace di spezzare ossa e tranciare vite. Ma a Steve non importa, perché se solo dovesse morire ora, il suo unico desiderio sarebbe di farlo guardando in volto il suo angelo più innocente.
Sotto gli occhi vigili di Bucky, Steve guida la mano metallica al suo stesso collo. Lascia che Bucky vi appoggi le dita, lascia che le stiracchi contro la sua carne in una perfetta presa da strangolamento. Gli basterebbe un gesto per spezzargli il collo, ma Steve non si muove, né osa preoccuparsi. Potrebbe morire, e questo va bene, se a ucciderlo sarà Bucky. Non è rassegnazione, ma gioia. Se un padrone amorevole decide infine di sopprimere il cane sofferente di malattia, egli non lo odierà. Si abbandonerà fiducioso al suo ultimo abbraccio e, chiudendo gli occhi, spalancherà in ultimo gesto il suo cuore di piccola creatura.
Semplicemente, Steve si concede di fare lo stesso, sfogando tutti gli anni di disperata solitudine che è stato costretto ad affrontare da solo, privo di un angelo che gli guardasse le spalle e gli ricordasse che anche i temporali hanno fine, prima o poi.
Come scintille di pioggia, piccole lacrime cristalline si infrangono sul polso di Bucky, rimbombando di melodie arcane laddove l’acciaio brilla luminoso. Una preghiera silenziosa, l’ultimo gesto dell’agnello condotto al patibolo.
-Più volte ho messo la mia vita nelle tue mani, e anziché distruggerla, l’hai riplasmata. Ti è bastato poco, e quel fiore è sbocciato tra queste stesse dita che tante volte mi hanno protetto dai temporali e dal mondo intero. Vuoi togliermi la vita? Fallo. Vuoi distruggermi lentamente e con dolore? Fallo. Ciò che mi hai dato, puoi anche togliermelo, perciò… decidi tu cosa ne sarà di me. Per l’ultima volta, ti metto tra le mani ciò che resta di quel fiore ormai prossimo ad appassire: scegli cosa fare di lui, perché senza qualcuno che lo annaffi e lo ami così come è stato in passato, i petali cadranno ugualmente e lo stelo si spezzerà.-
Steve serra gli occhi, china il capo. È stanco, al punto da avvertire per la prima volta sulla sua pelle il dolore di quei troppi anni che ha vissuto. Lui non appartiene a quel mondo, a quella vita, a quell’esistenza. Tutto ciò che era, l’ha lasciato indietro, laddove non gli è più concesso guardare. Avanti, vi è solo una strada oscura e senza tempo che potrebbe franargli sotto i piedi in qualsiasi istante. Nessuna luce, nessuna scintilla di speranza. Niente. Tutto ciò che rimane, è un uomo alto, dai capelli lunghi e gli occhi di cristallo sofferente. Quell’angelo che non è mai andato via.
-Spezzami.- sussurra, esausto. –Se ritieni che non meriti la vita, spezzami. Sono qui, tra le tue mani. Non ce la faccio più, Bucky. Questo non è il mio posto. Io provengo dal passato, laddove avevo una casa, una vita, degli amici. Il mio passato è qui adesso, e mi stringe tra le braccia. Il mio passato è tutto ciò che resta, perché senza di esso, Capitan America non esiste. Per questo, mi rimetto al tuo volere… per questo… ti affido tutto ciò che ho… per quanto misero appaia.-
E Steve non parla più. Non lo fa perché non ne ha più bisogno, non lo fa perché non ha più aria per respirare. Si sente stanco, a pezzi, come cristallo malamente frantumato e abbandonato ai piedi di un misero dio che mai ha conosciuto misericordia. Ha salvato il mondo più e più volte… ma il mondo non ha mai salvato lui. Non l’ha fatto mentre si lasciava morire in un oceano di gelido ghiaccio, non l’ha fatto quando il suo migliore amico ha tentato di ucciderlo nuovamente. Il mondo gli ha voltato le spalle, e lui adesso è stanco.
Forse, è ora di andare a dormire.
 
“Ci sono momenti in cui l’oscurità è tutto ciò che rimane. Momenti di serenità perduta, momenti di dolore sempiterno e lacerante. Ci si trascina per vie oscure, miseri di un dolore senza tempo e ciechi di una luce ormai dimenticata”.
 
Sì, forse è decisamente ora di riposare. Il mondo ha bisogno di Capitan America, ma forse, è giusto ricordare che ancor prima di essere un supersoldato, Steve è umano.
Dolcemente e senza smettere di singhiozzare, Steve decide di concedersi un unico dono, un solo sogno riposto e mai dimenticato che sin da ragazzo ha mosso le sue azioni, i suoi pensieri, i suoi respiri. Un desiderio misero, vergognoso, ma cosparso di lucide scintille di purezza, come lucciole raggruppate intorno a un fiore colorato, fragile e bellissimo. Un fiore che ha visto la luce solo e soltanto grazie a un uomo dagli splendidi occhi chiari, puliti, lucenti più di qualsiasi cometa o astro sceso in Terra.
 
“Ma a volte, anche quando l’oscurità si infittisce e non si riesce neanche a respirare… basta ricordarsi che l’alba più splendente, nasce solo e soltanto in seguito alla più oscura delle notti. Alla fine di tutto, il nero sarà sempre costretto ad abbracciare la sua più candida controparte”.
 
Sotto gli occhi vigili di Bucky, Steve schiude appena le palpebre, quel tanto che basta per lasciar scivolare le mani lungo la pelle dell’altro in un tocco leggero come ali d’albatro. Le dita scivolano sulle spalle larghe, risalgono il collo teso, sfiorano adoranti il viso e lì infine si posano leggere, timorose, gentili più di qualsiasi tocco di petalo fiorito. Quelle mani, rappresentano quanto di più puro esista al mondo. Sporche di sangue e polvere da sparo, ma ugualmente capaci di accarezzare e sfiorare con la dolcezza di bambino da poco venuto al mondo.
 
“Se si ha il coraggio di crederci, l’alba giungerà. Alla fine di tutto, vi sarà sempre una luce riflessa pronta a ricordarci che forse, si può ancora sperare.”
 
Dolcemente, Steve si avvicina. Dolcemente, corona il suo unico e più antico dei sogni. Ha sognato di farlo per anni, ha pregato di poterci provare, e quando infine ogni più piccola speranza l’ha abbandonato, lui ha pianto ogni secondo perduto, ogni tentativo sfumato.
Adesso, non subirà alcun rimpianto. Se deve morire ora, concedersi un barlume di egoismo è l’unico premio che desidera. L’unico che in tutta una vita, sceglie di accettare. Ha sempre lottato per gli altri, ma mai per se stesso. È morto e risorto per l’umanità, e in funzione dell’umanità non si è mai concesso riposo. Ora, forse, è ora di dormire.
Con gentilezza reverenziale, Steve si sporge delicatamente. Chiude gli occhi, inclina il capo così come ha sempre sognato di fare. E, alla fine di tutto, innanzi al sole e alla luna, al cielo e alle stelle… Steve Rogers bacia Bucky Barnes. Lo fa davvero, sfiorandogli le labbra in un tocco soffice di labbra innamorate che morbidamente non s’azzardano a profanare oltre un tesoro di bocca che troppe grida ha dovuto vomitare.
Bucky sa di sole e pioggia, di fiori e oceano. Un mondo intero racchiuso su quelle labbra da sogno che tante e tante volte hanno sorriso, richiamando Steve alla vita. Quelle labbra, sono l’inizio e la fine di tutto. Con quelle labbra, Bucky l’ha sempre incoraggiato, difeso, supplicato di reagire. Ogni cosa inizia da lì, e lì ogni cosa dovrà finire.
È all’improvviso che qualcosa si intromette tra loro, un nuovo sapore che sa di sale e amarezza. È qualcosa di sbagliato, qualcosa di umido e silenzioso.
Lentamente, Steve si allontana, e allora la vede, ancora impigliata tra le labbra umide di Bucky. Figlia di una scia cristallina, la lacrima ha attraversato il viso per siglare lì e subito il gesto innamorato di due amanti che si sfiorano. Ma il Soldato d’Inverno non dovrebbe piangere. Non ne è capace, non lui. Semplicemente, non sa farlo.
-Bucky…?- esala Steve, spaesato. Lo fissa, in attesa di un attacco d’ira o di una qualsiasi altra reazione, ma l’altro non si muove, né muta espressione. Semplicemente, sorprendendo se stesso, Steve e il mondo intero, qualcosa cambia e il miracolo accade. Con dolcezza, Bucky si accascia e poggia la fronte sulla spalla di Steve. Chiude gli occhi, inala il suo profumo. L’ha trovato. Ha trovato quello che cercava: il suo più grande miracolo.
Il braccio meccanico si solleva, cinge i fianchi di Steve e con gentilezza caritatevole, si aggrappa al suo corpo con devozione inaspettata, come naufrago che artiglia uno scoglio. Quello stesso braccio, che per anni ha ucciso, mutilato e spezzato ossa, adesso accarezza la pelle calda di Steve, lo ringrazia, lo richiama alla nascita.
E, alla fine di tutto, il temporale si conclude. Il fiore più raro di tutti sboccerà, sostenuto da colui che giorno dopo giorno, non avrà mai smesso di innaffiarlo. Entrambi zoppi, entrambi feriti e profondamente sanguinanti, ma insieme contro il mondo e l’universo, al cospetto del sole e della luna che finalmente, vedranno realizzarsi un solo, grande miracolo umano.

 
“Sono le scelte che facciamo
Che dimostrano chi siamo veramente,
Molto più delle nostre capacità.”

 
Angolo dell’autrice:
Eh… che dire? Sto scrivendo troppe storie contemporaneamente, maledetta me. Però, c’è sempre spazio per una piccola Stucky. Spero che sia stata di vostro gradimento! Grazie per la lettura, e a prestissimo!
Tomi Dark Angel
 

 
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Captain America / Vai alla pagina dell'autore: Tomi Dark angel