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Autore: martaparrilla    09/11/2015    7 recensioni
La mia adorazione per Jennifer e Lana insieme sta diventando qualcosa di folle tanto che spesso mi trovo a sognarle. Qualche settimana fa ho fatto l'ennesimo sogno in cui io impersonavo Jennifer Morrison, come la stragrande maggioranza delle volte che la sogno insieme a Lana Parrilla.
E' una Morrilla, un semplice sogno che potrebbe essere l'epilogo perfetto del rapporto che quelle due benedette donne (secondo la mia fervida immaginazione) si ostinano a nascondere.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Jennifer Morrison, Lana Parrilla
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Negli studi televisivi c'è un gran baccano. Registi, cameraman, comparse, addetti alle pulizie, parrucchieri e truccatori sfrecciano come impazziti tra i corridoi. Si è appena conclusa una lunghissima e inutile riunione dove abbiamo discusso molto animatamente su una particolare scena della stagione in corso. Ovviamente io e Lana abbiamo discusso. Ultimamente lavorare accanto a lei è diventata una tortura. Una dolce e irrinunciabile tortura che non so come superare. Siamo state affiatate e in sintonia per tre lunghi anni. E in questi anni ho visto crescere il suo rapporto con Fred, consapevole che gli sguardi che mi dava erano molto più di una semplice complicità tra colleghe. Ma il mio cuore si è inevitabilmente spezzato nel momento in cui una enorme pietra scintillante, direi abbagliante, è comparsa sul suo anulare sinistro. Da quel momento tutto è cambiato. Per me. Per noi.

 

Gridolini felici e complimenti si susseguirono dopo la notizia dataci da Lana.

La guardai e non capii. Era uno scherzo di cattivo gusto. Ammutolita, aspettai l’attimo in cui lei avrebbe incrociato il mio sguardo, in quel momento avrei forse trovato una risposta ai miei perché. «Non mi fai i complimenti?» mi chiese poco dopo con finta allegria. Era bella come al solito. Quella gonna aderente, quella camicetta bianca in seta che lei lasciava sempre troppo aperta. E il suo profumo.

Quante volte mi aveva permesso di cullarla sul divano di casa sua prima che si addormentasse? Quante volte aveva cercato il calore della mia mano e la sicurezza del mio sguardo dopo un litigio con Fred?

Quante volte mi aveva guardata in quel modo, il nostro modo?

Quante volte avevo sfiorato quel collo, baciato quei capelli, mentre lei dormiva profondamente? Probabilmente non se n'era mai accorta. Ritornai in me.

«Congratulazioni» le dissi allungando la mano per complimentarmi nel modo più credibile possibile. Nel suo sguardo notai del disappunto. Probabilmente non riusciva a leggere nel mio. E non volevo che leggesse il mio sguardo. Non volevo leggesse qualcosa che nemmeno io riuscivo a capire.

«Scusami mi sono dimenticata di fare una cosa» esclamai improvvisamente.

Scappai da quella stanza, letteralmente. I miei passi si susseguirono, uno dopo l’altro, meccanicamente, non era la mia mente conscia a comandarli lungo quel corridoio che sembrava non finire mai. Tutto intorno a me era ovattato, rumori e sentimenti. Portai la mano al petto, consapevole che, varcata la soglia di quella porta, la porta del mio camerino, avrei dato sfogo a qualcosa che non riuscivo più a controllare. Il silenzio che avvertivo intorno era una liberazione. Doveva essere così almeno fino a quella maledetta porta, fino a quella maledetta stanzetta dove avrei potuto urlare a mio piacimento. Finalmente varcai la soglia e, chiusa la porta, il fiato improvvisamente sembrò avermi abbandonato. Facevo fatica a respirare. Ringraziai per quei minuti di assoluta solitudine che sarebbero seguiti. Solo loro sarebbero stati testimoni della mia disfatta, insieme a quelle quattro mura che avevano custodito momenti assieme a Lana che mai avrei rivissuto.

MAI.

O almeno così credevo.

Infilai le mani tra i capelli accasciandomi con le spalle al muro accanto al divano. Brucianti lacrime iniziarono a scendere sul mio viso e subito le asciugai, come a volerne cancellare anche la ragione. In quel momento sentii la porta chiudersi. Alzai la testa.

Era lei.

«Vorrei rimanere un attimo da sola se non ti dispiace» dissi senza pensarci.

«Perché sei fuggita così? E perché sei stata così incredibilmente ipocrita nel complimentarti con me?». Il suo piede picchiettava nervosamente sul pavimento mentre una risata incontrollabile mi travolse, senza alcun preavviso.

«No, oddio scusa, non voglio prenderti in giro ma è talmente ridicolo che non posso fare a meno di ridere».

Lei mi guardò perplessa. Con una mano sul bracciolo del divano mi misi in piedi allontanandomi ancora un poco da lei che si avvicinava a me piano, come se sapesse che così avrei ritrovato la ragione. Al contrario, la sua vicinanza me la toglieva del tutto.

«Non ti avvicinare a me come fai sempre. Non cercare conforto tra le mie braccia per favore e non provare a confortare me, non ora» allungai un braccio verso di lei per mantenere quella breve distanza. Mi ignorò. Abbassò con forza il mio braccio prima di abbracciarmi. Mi strinse così forte da farmi mancare il respiro.

«E' la cosa più giusta per entrambe...lo sai anche tu» mi sussurrò tra i capelli.

La mia rabbia raggiunse livelli inauditi. Tentai di divincolarmi, invano. Lei mi teneva in pugno, fisicamente e mentalmente. La allontanai con uno spintone ma lei subito tornò verso di me e, afferratomi il viso, con rabbia fece sue le mie labbra, senza nemmeno darmi il tempo di capire che aveva appena realizzato l'unico desiderio che custodivo da quando incrociai il suo sguardo ai primi provini. Le mie mani inevitabilmente si persero tra i suoi capelli mentre la spinsi verso la prima parete che incontrai. Afferrò le mie labbra come mai nessuno aveva fatto, stringendo una mano sul collo.

Poi, inavvertitamente, si staccò da me.

I respiri erano affannati.

I nostri occhi in cerca di risposte.

Io avevo trovato le mie, mentre i suoi erano più turbati di prima.

Poi con voce tremante e rotta dal pianto, iniziò a parlare.

«Vorrei questo tutto il giorno, tutti i giorni, per il resto della mia vita. Ma non posso. Ti prego Jen, ti supplico…Lascia che questo rimanga nostro e basta. Lascia che questa cosa che ci tiene unite rimanga così meravigliosa» scorsi una lacrima scenderle sul viso, posò una mano sulla mia guancia. Chiusi gli occhi facendomi cullare e consolare da lei per la prima volta, con quella carezza.

«Non roviniamola facendola diventare realtà».

Le sue parole mi ferirono come mai prima. Come poteva pensare che vivere quel che sentivamo sarebbe stata una rovina? Non facevo altro che pensarla da tre anni. E per lei era lo stesso. Perché mai soffocare un sentimento, con tutte le sfaccettature che avrebbe comportato, belle e brutte che fossero, l'avrebbe salvato dalla sua completa accettazione?

Ma non l'avrei lasciata andare così, non prima di averle fatto ammettere che provava le stesse cose che provavo io e che la paura di mostrarci al mondo era l'unica cosa che la bloccava. Non l'ipotesi che tutto questo si sarebbe un giorno distrutto perché questo non ci era dato saperlo. Mi voltai verso la porta chiudendola a chiave. Poggiai solo un attimo la testa sopra di essa, come se volessi trarne energie o sostegno. Poi tornai su di lei, sul suo sguardo. Percorsi i due metri che ci separavano. La afferrai per i fianchi...i suoi bellissimi e perfetti fianchi che sembravano essere stati modellati per stare sotto LE MIE MANI. Senza pensare iniziai a sbottonare i bottoncini madreperla della camicia bianca in seta. I nostri occhi non smisero mai di guardarsi e benché tentasse di tenere a freno le mie mani, con poca convinzione tra l'altro, io non mi fermai, non ne avevo alcuna intenzione. Aprii la camicetta, facendola scivolare sul pavimento. Sotto di essa, la sottoveste nera...quella sottoveste con cui una sera aveva aperto la porta del suo appartamento, già mezza ubriaca, con un bicchiere di champagne in mano, a piedi nudi; il sangue nelle mie vene aveva smesso di scorrere. Esattamente come ora.

«Jennifer....» la sua voce era un’inutile supplica. Perché le sue mani si erano spostate sui miei fianchi, arrivando alla mia pelle, e l'avevo zittita con un bacio. Mi attirò a sé, approfondendo quel bacio che sanciva il nostro punto di non ritorno. Con difficoltà riuscii a separarmi da quelle labbra, posando dei piccoli baci sul suo viso, fino ad arrivare al suo orecchio.

«Dimmi che mi vuoi, dimmi che non hai desiderato altro negli ultimi tre anni, da quella volta che ti sei fatta aiutare a svestirti e a metterti sotto le coperte perché eri troppo ubriaca per farlo da sola» iniziai a fare mio quel collo perché sapevo che sarebbe stata l'unica occasione che avrei mai avuto. Avrei voluto morderla ma i segni avrebbero mostrato la nostra avventura clandestina che a suo dire non avrebbe mai avuto un seguito.

«Dimmi che quel “non riesco a smettere di pensare a te”, anche se la tua mente era annebbiata dall'alcool, era vero come è vero che mi vuoi ora». Mi afferra con le sue splendide mani il viso, fissandomi con quei suoi occhi neri, dalle pupille completamente dilatate, le gote rosse e le labbra umide. Mi fissò con dolore, come se fossi una pazza delirante, come se tutto quello che avevo represso fino a quel momento mi avesse tolto completamente il senno.

«Dimmelo e ti lascerò andare, non ne parlerò più. Ma almeno saprò di aver ragione. Di avere sempre avuto ragione».

 

Fino a che non si è parlato di matrimonio sapevo che avrei auto una chance con lei. Da qualche mese a questa parte questa chance è svanita. Non abbiamo mai più parlato dell'accaduto nel mio camerino. Ma il suo sguardo nei mesi a seguire, mi aveva fatto capire che non l'aveva dimenticato e che mai l'avrebbe fatto.

Seduta su una sedia con il cellulare in mano, la scorgo discutere qualche decina di metri più avanti con un parrucchiere, mentre distrattamente si sistema i capelli dietro l'orecchio. E' sempre bella, sempre perfetta, sempre affascinante.

Volerla in questo modo è sempre stato semplicemente sbagliato ma così dannatamente inevitabile che ogni modo escogitato dalla mia parte razionale per superarlo è stata vana.

Improvvisamente si fa seria, giocherella nervosamente con le mani e voltandosi, inizia a correre, diretta probabilmente verso il suo camerino. Nel passarmi accanto non ho potuto non notare i suoi occhi lucidi. Senza indugio, mi alzo per seguirla. Con due falcate la raggiungo e afferrandole il polso riesco a fermarla. Quando il suo sguardo incrocia il mio, gli occhi da lucidi si trasformano in vere e proprie e lacrime. Da' uno strattone e si libera dalla mia presa, riprendendo a correre nel corridoio. Si ferma di fronte all'ascensore e pigia insistentemente i tasti. Mi spezza sempre il cuore vederla così, e ultimamente capita spesso. So che non vuole il mio aiuto ma non posso ignorare quelle lacrime. La raggiungo di nuovo, e le circondo le spalle con un braccio: stavolta lei non fa nulla per sfuggirmi.

«Lana perché piangi?». Le chiedo seriamente preoccupata dandole un bacio sulla testa e trascinandola in una rientranza accanto all'ascensore.

«Nulla io...sono stressata».

Incrocia le mani al petto dopo essersi asciugata le lacrime con il dorso della mano. Alzo le sopracciglia in attesa della vera risposta. Mi sistemo di fronte a lei.

«Mi hanno chiesto la data del matrimonio e io...» singhiozzi escono dalla sua bocca «io non me la ricordavo...» si porta le mani al viso e continua a piangere.

 

Mi guardò per qualche secondo che sembrarono anni. Immaginai milioni di scenari, milioni di frasi che lei avrebbe potuto dire solo per accontentarmi e uscire fuori da quella stanza. Invece rimase ferma nella sua posizione e fece scivolare le sue mani lateralmente, sulla cerniera della sua gonna. Abbassata la zip, quell'indumento che le fasciava il corpo alla perfezione cadde per terra, rimanendo con quella sottoveste di pizzo che lasciava davvero poco spazio all'immaginazione. Ma ben presto anche quella sparì dal suo corpo. Lentamente si stava spogliando...e sembrava che insieme al suo corpo stesse scoprendo la sua anima.

In biancheria intima, feci seriamente fatica a creare una frase che avesse anche solo lontanamente un senso compiuto. Poi iniziò a parlare, respirando sulle mie labbra.

«Ti desidero ora come quando ti sei sporcata di caffè la giacca di pelle rossa il secondo giorno delle riprese» si fece avanti, insinuando le mani sotto la mia maglia di cotone e sfilandola velocemente. Con lo sguardo inchiodato al mio, sganciò anche il bottone dei jeans, e con una lentezza inappropriata si inchinò abbassandoli e sfilandoli dalle mie gambe, dopo aver tolto anche le scarpe. Poi posò dei piccoli baci sulle mie gambe e sul bacino, poi sulla pancia e poi sul petto.

Il mio cuore sembrava volesse spiccare il volo. Con lei accanto la sensazione era sempre stata questa...allontanarmi dalla terraferma, salire su una nuvola insieme e guardare tutti dall'alto, così che niente e nessuno potesse scalfirci.

«Desidero ogni centimetro del tuo corpo, ogni respiro che esce da questa bocca, ogni battuta del copione vorrei che fosse diretta a me» piano mi guidò verso il divano, avvicinando la sua bocca sempre di più alla mia e lasciando ogni tanto dei piccoli baci mentre un espertissima mano sganciò il mio reggiseno.

«Quando hai baciato Colin per la prima volta avrei voluto strangolarlo con le mie stesse mani e quando ho dovuto baciare Sean...» sdraiate sul divano, con lei sopra di me, sentivo che quelle parole erano meglio di qualunque orgasmo avrei mai potuto provare con lei e con chiunque altro.

«Speravo che non mi vedessi perché sapevo che ti avrei ferita...e sapevo che non potevo rovinare la scena per questo» tolsi il suo reggiseno e quando i suoi seni furono sui miei, ci rendemmo conto, dai battiti dei nostri cuori, che tutto questo andava oltre l'affetto e l'attrazione fisica.

 

Le cingo le spalle con un braccio, di nuovo, e lei subito si butta tra le mie braccia, singhiozzando silenziosamente. Quel profumo mi da alla testa, come il suo corpo così stretto al mio.

«Il tuo matrimonio è il 7 di ottobre, non è una cosa per cui disperarsi questa dimenticanza». La guardo negli occhi asciugandole le lacrime con i pollici. Quanto vorrei baciarla in questo momento. Quelle labbra rosse anche senza un filo di rossetto sono una continua tentazione per me. E per il resto del mondo. Alcuni scrittori mi richiamano a gran voce e a malincuore mi allontano un attimo da lei.

«Aspettami qui, torno subito» le dico.

Fa cenno di si con la testa e le do' un lieve bacio sulla fronte.

 

Facemmo l'amore. Non c'era parte di lei che non desiderassi toccare più e più volte, senza stancarmi mai. Spensi la luce del camerino, quindi nessuno bussò alla porta, sicuramente pensarono fossi andata via. Le sue dita dentro di me mi fecero sentire piena per la prima volta nella mia vita. Nessun uomo seppe mai darmi quella sensazione mentale e fisica di pienezza e completezza.

I suoi movimenti, i suoi baci, erano come droga: più me ne dava e più ne volevo. E per quanto la mia mente e il mio corpo in quei momenti fossero completamente suoi, non potei non pensare al fatto che magari quella sera avrebbe fatto l'amore con Fred e lacrime di frustrazione si fecero avanti. Quell'uomo avrebbe potuto averla per tutta la vita senza rendersi conto del tesoro che aveva tra le mani. Perché ero sicura che non se ne sarebbe mai reso conto per davvero. E il motivo per cui non se ne sarebbe mai reso conto era che Lana era già sua.

«Non piangere» mi disse raccogliendo le lacrime con le sue labbra. La strinsi a me mentre un'ondata di piacere scuoteva il mio corpo.

Continuai a baciarla per un tempo indefinito.

Interrompere quel contatto avrebbe significato la fine di qualcosa che non era mai nemmeno iniziato e io non ero pronta. Non sarei mai stata pronta.

«Sai non ho mai sentito di appartenere a qualcuno...» si interruppe, come se cercasse le parole giuste «come sento di appartenere a te ora».

Sembrò sincera. Ma il mio cuore tradusse quelle frasi in modo che non potessero ferirmi cogliendone il loro più profondo significato.

Mi amava e non mi voleva? Allora non mi amava. Allora era solo estremamente confusa.

«Vorrei poterti credere» dissi dopo qualche minuto, mentre giacevo tra le sue braccia e le mie dita disegnavano piccole onde sulla sua schiena.

«Io lo amo...forse non nel modo in cui dovrei, forse non nel modo in cui dovrei amare chi desidero avere accanto per la vita...ma non me la sento di rovinare quello che abbiamo costruito con fatica» mi guardò negli occhi «ed è strano ma sento che con te ho molto più di quello che ho con lui...e non l'ho costruito e non mi è costata alcuna fatica. Questa differenza mi fa diventare pazza. E questa cosa mi fa desiderare di non volerla mai distruggere, per questo sposerò Fred».

Si mise a sedere, rivestendosi.

Sentii freddo.

Indumento dopo indumento sapevo che se ne sarebbe andata via da me, e stavolta per sempre.

«Perché se con lui dovesse finire non soffrirò nemmeno un decimo di quanto soffrirò se dovesse finire con te. E non può finire qualcosa che non è mai iniziata».

 

Torno indietro ma lei non c'è più. Mi guardo intorno tentando di scorgerla da qualche parte, invano. Poi mi affaccio alla porta a vetri dell'uscita di sicurezza e la vedo di spalle, che cammina a passo svelto verso Fred. Crede davvero che la lasci andare così senza dirle quel che penso? Certo che è grave non ricordare la data del proprio matrimonio. E' più che grave! Per cui armata di coraggio (e follia) spingo il maniglione rosso della porta e inizio a correre verso di lei, facendomi strada tra la gente. Per poco non travolgo una bambina, ma devo raggiungerla.

«Lana» urlo per attirare la sua attenzione. Si ferma e volta il capo verso di me, facendo svolazzare i suoi capelli ormai lunghi. La raggiungo e mi piazzo di fronte a lei.

Spaventata, fa un passo indietro.

«Non fare quello che vorresti fare, per favore».

Con le mani nelle tasche del giacchino in pelle, si scosta da me, con un piccolo passo indietro. Se intende che vorrei baciarla si, voglio farlo. Ma non lo farò. Voglio solo farla riflettere su alcune cose. Il suo sguardo è impaurito ma anche felice di avermi di nuovo di fronte ai suoi occhi.

«Voglio solo parlarti» dico col fiatone «per favore».

Dopo un sospiro si volta verso Fred e con un cenno della mano gli fa capire di aspettarla ancora un po'. Poi mi segue. Una di fianco all'altra, lentamente, in silenzio, camminiamo verso gli studi. Ogni tanto sbircia verso di me, come una ragazzina alla prima cotta.

«Sai se ci scambiassimo due parole credo che sembreremmo più colleghe e meno amanti...». Strabuzza gli occhi e io non posso fare a meno di sorridere per averla spaventata con una semplice parola.

Entriamo nel suo camerino e chiudo la porta a chiave. Non voglio interruzioni nemmeno stavolta. Eccola li la sua posizione di difesa: braccia incrociate al petto, e sedia di fronte al suo corpo. Come se non potessi spostare quella sedia con un semplice calcio. Congiungo le mani, portandole sotto il naso. Non voglio pregarla, cerco più che altro ispirazione. Ma inutile girarci intorno.

«Ti sei mai chiesta perché non ti ricordi la data del matrimonio con Fred?». Le mie parole mi escono di slancio, quasi stessi riprovando di fronte allo specchio una scena del telefilm. Lo faccio spesso per verificare se le espressioni sono quelle che necessita il copione.

«No» risponde lei secca «ma qualunque sia il motivo troppe persone ne rimarrebbero ferite..i nostri genitori, gli amici, Fred...». Inizia a camminare avanti e indietro. I suoi capelli, lunghi, le cadono sulle spalle. Il giacchino in pelle nera le segna perfettamente i fianchi e il vestito blu elettrico sotto fa il resto. Cammina avanti e indietro, tormentata e infelice.

«Gli amici vogliono vederti felice e tu non lo sei».

Alza lo sguardo e mi fulmina prima di dirigersi verso la porta.

«Devo andare».

Le blocco il polso e la faccio voltare, prendendole il viso tra le mani.

«Ti prego...» siamo labbra contro labbra. Respiro contro respiro.

«Lana io ti amo».

La bacio. Un bacio lungo e casto, dove giocano solo le labbra. Mi afferra le mani, ma non si stacca da me. Non subito almeno. Poggio la fronte sulla sua e lei inizia a piangere.

«Sono una persona terribile, tu mi ami e io non ti ho nemmeno chiesto come stavi dopo quello che è successo in camerino. Mi dispiace Jen, ma io...amo Fred».

Assolutamente poco credibile.

«Se lo amassi non mi guarderesti in quel modo. E non mi avresti baciata. E non avresti fatto l'amore con me!» aggiungo ora arrabbiata e delusa.

«Non ti guardo in nessun modo» saprà anche recitare ma quando si tratta della vita vera non sa dire nemmeno la più piccola delle bugie.

«Se ami davvero quell'uomo e non provi nulla per me vai da lui. Ma ricorda che dal 7 di ottobre sarai legata a lui per sempre. E io stavolta non starò qui ad aspettare che ti accorga di chi ami davvero». Mi scosto dal suo corpo, dolorosamente.

Mi rendo conto però che quello è il suo camerino e non il mio. La guardo un'ultima volta come ho imparato a fare negli anni, nutrendomi di quei piccoli particolari che sono certa, solo io ho notato. I lobi delle orecchie che diventano rossi quando è triste o si arrabbia...le tre piccole rughe intorno agli occhi quando sta per piangere. La cicatrice sul labbro superiore diventa invisibile quando sorride e in quel momento sono sempre in preda all'indecisione perché quella cicatrice è molto sexy, ma lo è anche il suo sorriso. Per cui quando sorride combatto una sanguinosa battaglia interiore. Lo sfregare la mano destra sul fianco quando è nervosa, o l'incrociare le gambe quando sta ferma per troppo tempo nella stessa posizione.

In questo momento ha i lobi delle orecchie quasi viola e gli occhi sono già lucidi. Non sorride, per cui la sua cicatrice è ben in evidenza. In tutto questo manca una cosa...un suo gesto, quello che faceva sempre dopo l'episodio nel mio camerino. Quando mi stava vicina si abbracciava la pancia con le sue mani. Ho sempre pensato fosse un modo per trattenersi dal toccarmi. Le sorrido.

«Spero per te che sia convinta e che possa davvero essere felice. Ci vediamo in giro».

Vado verso la porta. Faccio girare la chiave nella serratura, facendola scattare.

«L'unica persona a cui voglio essere legata per sempre, sei tu» mi dice quasi in un sussurro. Rimango li, impalata, pietrificata. Voglio ricordare queste parole esattamente per quello che sono, solo parole.

Poi sento i tacchi avvicinarsi a me e le braccia cingermi la vita. Il cuore smette per un attimo di battere per poi riprendere la sua corsa pericolosa.

«Non posso amare Fred hai ragione, non lo amo. Probabilmente non l'ho mai amato. E il motivo per cui non l'ho mai amato è perché ho iniziato ad amare te appena ti ho vista. E da questo amore...non c'è scampo, non ho mai avuto scampo benchè abbia tentato di sfuggirgli. Non ci sono matrimoni riparatori che tengano».

Senza nemmeno accorgermene, le mie mani sono intrecciate alle sue e le stringo forte, tanto forte che mi fanno male.

«Io ti amo, Jennifer...ma ti prego, fammi risolvere da sola questo casino».

A quel punto si allontana da me così che io possa girarmi.

Sorrido. E finalmente lei ricambia.

«Sono tre anni che ti guardo in silenzio...sono tre anni che impazzisco in silenzio» dico avvicinandomi a lei, tanto da poter sentire il calore del suo corpo.

«Lo so. Anche per me è lo stesso...ma è una cosa che devo fare solo io» aggiunge seria. «Promettimi solo che non mentirai mai più a te stessa».

Le scosto un ciuffo dal viso.

«Non lo farò» mi dice con voce tremante.

«Ora però devo andare» aggiunge «...per baciarti come vorrei baciarti, per darti di più di un bacio, devo parlare con Fred. Voglio avere la coscienza pulita» si interrompe e incluna il viso di lato, guardandomi per la prima volta come volevo essere guardata. Come se fossi l'unica cosa che realmente desiderava.

«Così potrò darti di più di un bacio» si avvia verso la porta e la apre.

«Verrò a casa tua stasera, non ti muovere da li, aspettami» si volta e scappa via. Non mi da nemmeno il tempo di rispondere. Non mi da nemmeno il tempo di dirle che l'avrei aspettata. Non mi ha dato il tempo di dirle che sentire il suo ti amo è stato più bello di lei. E lei è immensamente bella.

Ma non serve rispondere.

Per la prima volta tra il suo sguardo e le sue parole c'è stata armonia. Non disaccordo, non contrasto. Pura armonia. Il suo corpo voleva me. Il suo sguardo voleva me. Le sue parole volevano me.

E questo vale molto più della sua promessa.

  
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