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Autore: stillfreeit    13/11/2015    0 recensioni
La consolle cominciò improvvisamente a lampeggiare di rosso.
Anche lo schermo lampeggiava.
Le spie poste accanto al propulsore, lampeggiavano anche loro.
Ma il Dottore non stava guardando, troppo occupato con i suoi gessetti e la sua lavagna.
Avrebbe dovuto sentire l’allarme ma, avendo veramente cercato un po’ di silenzio e concentrazione per qualche minuto, aveva optato per l’intelligentissima mossa di spegnere tutti i fastidiosi allarmi che avrebbero potuto disturbarlo.
Col senno di poi, avrebbe sicuramente preferito essere disturbato dall’allarme, piuttosto che dal pericolo stesso per cui l’allarme l’avrebbe disturbato.
Dunque, mentre per il TARDIS la minaccia era cominciata già da qualche minuto, per il Dottore tutto iniziò con un violento scossone.
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Doctor - 12
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il TARDIS non era mai del tutto silenzioso, neanche quando il Dottore stesso si sforzava perché fosse tale, come in quel momento.

Non era silenzioso affatto, sebbene non ci fosse nessuno, oltre a lui e l’anima del TARDIS - che poi, era proprio la fonte del rumore.

Non c’era nessuno a porre domande superflue; nessuno a chiamarlo insistentemente: «Dottore! Dottore! Mi sono fatto rapire! Sono svenuta! Ho sposato un alieno per sbaglio!»; nessuno a gironzolare attorno alla consolle di comando domandandosi ad alta voce come le dimensioni di quel luogo meraviglioso fossero meravigliosamente possibili.

Era un difetto della specie umana - aveva riflettuto recentemente il Dottore - quello di approcciarsi con inutile imbarazzo alle dimensioni. Di qualsiasi natura esse fossero.

Ad ogni modo, in quel preciso momento - ed era quello l’importante - non c’era alcun Homo Sapiens Sapiens, né un suo prossimo cugino meno o più evoluto, a gironzolare nel TARDIS, che poteva dunque ronzare nella pace dei sensi.

La chitarra elettrica, riportata alla luce di recente dal dimenticatoio in cui l’aveva lasciata qualche rigenerazione prima, era stata momentaneamente riposta sul suo appoggio. Forse, più tardi gli sarebbe venuta voglia di strimpellare qualche accordo, forse no, forse avrebbe preso rotta verso qualche galassia lontana ed inesplorata alla ricerca del famoso pianeta di origine dei letti a castello, forse il telefono avrebbe squillato e la giornata avrebbe preso tutt’altra piega. Chi poteva saperlo? Per il momento, il Dottore preferiva godersi in silenzio questo momento in cui tutto era ancora una possibilità.

In attesa che questa fantomatica grandiosa opportunità di svago si palesasse, aveva impostato la guida automatica nella completa casualità, aveva voltato le spalle allo schermo e scribacchiava simboli alla lavagna, come faceva sempre quando aveva semplicemente voglia di toglierseli dalla testa.

Non aveva idea di dove fosse o dove fosse diretto, confidava nel fatto che lo avrebbe scoperto presto.

Molto presto.

La consolle cominciò improvvisamente a lampeggiare di rosso.

Anche lo schermo lampeggiava.

Le spie poste accanto al propulsore, lampeggiavano anche loro.

Ma il Dottore non stava guardando, troppo occupato con i suoi gessetti e la sua lavagna.

Avrebbe dovuto sentire l’allarme ma, avendo veramente cercato un po’ di silenzio e concentrazione per qualche minuto, aveva optato per l’intelligentissima mossa di spegnere tutti i fastidiosi allarmi che avrebbero potuto disturbarlo.

Col senno di poi, avrebbe sicuramente preferito essere disturbato dall’allarme, piuttosto che dal pericolo stesso per cui l’allarme l’avrebbe disturbato.

Dunque, mentre per il TARDIS la minaccia era cominciata già da qualche minuto, per il Dottore tutto iniziò con un violento scossone.

Trovandolo impreparato, sia lui che la lavagna vennero sbalzati giù per le scale, fin sotto la colonna di comando.

La scossa simil-sismica si protrasse per un’eterna manciata di istanti, soltanto alla fine della quale, il Dottore riuscì ad aggrapparsi al pannello dei comandi per rimettersi in piedi con uno sbuffo seccato e dolente.

La nuvola di capelli grigi sulla sua testa era ancora più arruffata del normale, per non parlare del livello di aggrottamento delle sopracciglia, forse mai raggiunto prima d’ora.

I suoi occhi chiarissimi saettavano da una parte e dall’altra, accorgendosi soltanto in quel momento (alla buon’ora!) di tutti i segnali che la sua fidata amica aveva cercato di mandargli in tempo utile, fallendo miseramente.

Fece giusto in tempo a prendere atto dello stato di emergenza, quando giunse una seconda scossa che non lo buttò nuovamente a terra solo per pura coincidenza, trovandolo già aggrappato ai comandi.

Premette almeno una decina di pulsanti e tirò un altrettanto imprecisato numero di leve.

Non è che il TARDIS stesse effettivamente collaborando, a parte continuando ad accecarlo con quell’insopportabile luce rossa intermittente:

L’ho capito che siamo in pericolo, grazie mille davvero! Ora vuoi cortesemente dirmi per quale ragione??

Non lo disse ad alta voce - troppo preso dalla situazione per ricordarsi di esprimersi a parole - ma lo stava pensando con tutte le forze.

Lo schermo non gli stava suggerendo assolutamente niente, mentre un’altra scossa lo fece ballare come un idiota ubriaco nel tentativo di mantenersi in equilibrio.

Le coordinate, d’altra parte, indicavano che stavano fluttuando placidamente nello spazio più profondo, lontani da qualsiasi particolare campo di attrazione di stelle, pianeti, asteroidi, teiere e qualsiasi altra cosa potesse generarne uno. Per non parlare degli scudi del TARDIS stesso che in quel momento erano… fuori uso.

Ottimo!

Ma per quale ragione?

Le lunghe dita ossute del Dottore volavano sul pannello di controllo, continuando a premere tutti i pulsanti possibili, anche quelli che sapeva essere soltanto collegati a dispenser di ketchup. L’unico risultato che riuscì ad ottenere, con suo gran disappunto, fu quello di riattivare il sistema sonoro, cosicché il cacofonico gracchiare dell’allarme risuonasse per tutta la sala comando, con un tempismo praticamente inutile.

Solo dopo la quarta scossa, lo schermo cominciò a mostrare qualcosa di interessante.

Non che questo lo aiutasse ad uscire da quell’incresciosa situazione ma, senza ombra di dubbio alcuna, diventava più interessante ogni momento che passava.

Finché, da interessante divenne incredibile.

Da incredibile, mutò immediatamente in impossibile.

Gli occhi del Dottore si allargarono dallo stupore, mentre contemporaneamente le sopracciglia si scontravano al centro della sua fronte, solcandogli le rughe.

Impossibile!

Non riuscì a pensare altro, dopo che un tonfo pesante seguito da un’invincibile onda d’urto non lo buttò nuovamente a terra, comunicandogli in tale maniera gentile che il TARDIS era infine atterrato su qualcosa di solido.

Ma non lo aveva fatto atterrare lui.

Le luci continuavano a lampeggiare, il clacson dell’allarme a suonare in maniera assordante e del sottile fumo usciva dalla colonna della consolle.

Lo schermo continuava ad indicare le coordinate del nulla più assoluto, mentre tutto il resto suggeriva che erano certamente atterrati su qualcosa.

Il Dottore si alzò da terra per la seconda volta, sbuffando e mormorando lievissime imprecazioni tra i denti, mentre si spolverava la giacca ed i pantaloni con ampi colpi delle mani.

Guardò la porta del TARDIS, come se temesse che da un momento all’altro potesse tradirlo anche lei, come aveva appena fatto tutto il resto, aprendosi a chissà quali nemici.

Non lo fece.

Rimase chiusa e silenziosa, ad attendere che fosse lui a fare la prima mossa.

Il Dottore continuava a pensare a ciò che aveva visto nello schermo, a quanto fosse praticamente impossibile e a quanto, di conseguenza, potesse essere pericoloso ciò che si trovava oltre le sicure pareti della sua macchina del tempo. Di qualunque cosa si trattasse.

D’altra parte, nessuna delle sue migliori esperienze - a dire il vero, neanche le peggiori - erano mai cominciate con lui che decideva di ignorare qualcosa, volando via con il suo TARDIS, soltanto per aver subodorato del pericolo.

Tastò la giacca all’altezza del petto da entrambe le parti, trovandovi la forma e la consistenza dei suoi occhiali sonici e del suo cucchiaio da difesa: niente di più e niente di meno di ciò che gli serviva per avventurarsi e scoprire quale forza misteriosa ed impossibile lo avesse trascinato fin lì.

La porta del TARDIS cigolò normalmente sui cardini quando l’aprì.

Davanti a sé, il Dottore trovò effettivamente lo spazio profondo, esattamente come le coordinate sullo schermo avevano suggerito.

Soltanto che, quello stesso spazio profondo, non era affatto vuoto come avrebbe dovuto. Per questo il TARDIS non stava più fluttuando felicemente, perché era effettivamente atterrato su qualcosa.

Il qualcosa in questione, era il ponte di legno di un’enorme nave pirata, con tanto di vele ed albero maestro. E di fronte a lui, con una spada dalla lama sottile puntata direttamente alla sua gola, c’era un pirata.

O meglio, non era era esattamente un pirata, soltanto che il Dottore non si trovava a proprio agio anche solo al pensiero di adoperare la parola piratessa.

Però era così: era una donna - o perlomeno, aveva sembianze femminili - ed era inequivocabilmente un pirata. Non foss’altro per la spada.

«La vostra nave è stata appena abbordata, sventurato diavolo. Siete pregato di arrendervi, gettare le armi e mettere le mani bene in vista». Un pirata piuttosto erudito, a suo dire.

Di tutto ciò che gli era stato richiesto, il Dottore si limitò semplicemente ad alzare le mani, per pura cortesia o spirito di sopravvivenza, mantenendo lo sguardo fisso sulla lama lucente che adesso puntava esattamente al centro del suo petto, tra i suoi due cuori, quasi fosse consapevole della loro presenza.

La donna aveva un sorriso furbo, più giovane del resto del viso incorniciato da un caschetto scuro. Si stava divertendo un mondo, non c’era ombra di dubbio. «Non capita tutti i giorni di catturare un vero Signore del Tempo».

Le sopracciglia argentate del Dottore non avrebbero fisicamente potuto aggrottarsi oltre.

«Come, prego?».

Il pirata affondò lievemente la spada, cosicché il Dottore ne avvertì distintamente la punta affilata sotto il maglione. I suoi occhi scuri brillavano: sì, si stava decisamente divertendo.

«Hai rigenerato male le orecchie, di recente?» gli domandò, ed aveva già abbandonato i convenevoli per passare direttamente al tu.

Era un dubbio che, in effetti, era sopraggiunto anche a lui, sentendola parlare in maniera tanto disinvolta di Signori del Tempo, ed era stato costretto a ricredersi quando l’aveva sentita menzionare addirittura le rigenerazioni.

«Cos… che… no, ti ho sentita benissimo!» protestò, quasi offeso, se non fosse stato così strabiliato dalla situazione, la quale si allacciava in maniera inquietante al mistero che aveva intravisto sullo schermo del TARDIS poc’anzi.

«Ah, quindi la tua domanda era una sorta di perdita di tempo?» insistette la donna.

Quel tono strafottente non gli piaceva per nulla.

«L’unica vera perdita di tempo sei tu che mi punti contro quella ridicola spada» rispose lui aspramente e probabilmente in maniera un po’ azzardata, essendo effettivamente dalla parte sbagliata della ridicola spada di cui sopra.

La donna inarcò le sopracciglia, tra lo stupito e l’offeso.

«Non è una ridicola spada!» obiettò. «È sonica!».

«Come, prego?!».

Per tutta risposta, il pirata roteò appena l’elsa nella propria mano guantata e la lama vibrò lievemente, producendo un suono assai familiare. Prima che potesse stupirsi anche per quello, il Dottore avvertì la spiacevolissima sensazione di una scossa elettrica al centro del petto, dove la lama aveva puntato. Emise un grido strozzato, insieme ad un sussulto che gli tolse il fiato.

«Insisti con le domande inutili?» continuò a deriderlo lei, mentre lui era occupato a riprendere fiato.

Era tutto così assurdo.

«Non è possibile! Questo non… non è possibile…» ripeté, pur sapendo quanto fosse inutile continuare a farlo.

Il pirata ignorò i suoi deliri, o forse si stava divertendo troppo per dare conto al significato delle sue parole.

«Qual è il tuo nome, Signore del Tempo?» gli domandò.

Il Dottore si distrasse dalle sue improbabili congetture soltanto per sbruffare.

«Ah, bella domanda!» rispose, profondamente sarcastico. Lo considerò un passo in avanti verso l’accettazione dell’attuale situazione, sebbene ancora non fosse in grado di darsi una reale spiegazione di come fosse possibile. Che fosse finito nuovamente all’interno di un sogno? «…nascosta in piena vista un corno» aggiunse tra sé, massaggiandosi il petto dove la spada aveva colpito.

Una spada sonica.

Impossibile.

«Aspetta!» disse improvvisamente la donna, alzando la mano disarmata, esigendo il silenzio. Stava guardando il TARDIS alle spalle del suo nuovo prigioniero come se avesse appena avuto un’illuminante intuizione. «Aspetta un momento, io conosco questa cabina!» esclamò infine.

Con estremo sollievo per il Dottore, la donna abbassò la spada mentre faceva un passo indietro, come a volerli osservare meglio nel complesso.

Stava sorridendo di nuovo, ma in maniera completamente differente. «E conosco te! Tu sei il Dottore!».

Il Dottore aprì e chiuse la bocca un paio di volte, senza emettere alcun suono.

La situazione gli stava nettamente sfuggendo di mano.

Aveva sentito parlare di una navicella spaziale che si muoveva grazie alla propulsione dell’improbabilità infinita, ma non era certo che fosse quello il suo caso.

Ma allora…?

«Non ricordo di aver mai avuto il piacere» disse, molto più educatamente di quanto si fosse mostrato fino ad allora, come succedeva sempre quando era confuso. Troppo confuso per essere antipatico.

Chi era quella donna? Come faceva a conoscerlo? Perché aveva una spada sonica? Come faceva a sapere che si trattava di un Signore del Tempo?

Il pirata aveva rinfonderato la spada nel fodero della cintura dei pantaloni e lo osservava, senza disturbarsi in inutile discrezione, come se non volesse farsi sfuggire neanche il minimo dettaglio.

Non era esattamente l’atteggiamento che più lo metteva a proprio agio.

«Oh, sei più giovane di quanto ricordassi» disse poi, allegra come una bambina che scarta un regalo a sorpresa o che scopre per la prima volta l’esistenza delle lucertole.

«Sei davvero la prima a cui sento fare quest’osservazione» commentò il Dottore, con una certa amarezza.

Non era giovane affatto. Era parecchio tempo che non appariva così poco giovane, in effetti. Dunque, di che diamine stava parlando?

A meno che…

La donna ancora senza nome ignorò anche quel commento. Dopo aver finito di studiarlo per bene, gli si piazzò esattamente di fronte, allargando le braccia come se volesse suggerirgli qualcosa che, sinceramente, lui non riusciva ancora ad afferrare.

Il sorriso aperto che aveva sulle sue labbra era veramente troppo bianco per appartenere effettivamente ad un pirata degno di tale nome.

«Be’?» lo incalzò dopo una manciata di secondi, in cui il Dottore non fece altro che guardarla, annegando in un silenzio imbarazzato. Davvero, non ricordava di averla già vista prima d’ora e questo - ne aveva parecchia esperienza, soprattutto con le donne e soprattutto quelle relativamente giovani, come sembrava esserlo lei - risultava spesso offensivo. «Non mi riconosci, vecchio?».

Il Dottore aprì la bocca per rispondere, indeciso fino all’ultimo se buttarsi nella letale verità od optare per un’abile bugia, da mantenere finché non fosse riuscito a saperne di più.

Poi la richiuse, ingoiando il verdetto, quale che fosse.

Lo aveva visto di sfuggita, ma subito il suo sguardo vi era ritornato sopra e tutto era diventato immediatamente chiaro.

Chiarissimo. Impossibile fino a raggiungere e superare i livelli della sanità mentale ma, perlomeno, chiarissimo.

Sul braccio destro della donna, tra la manica corta della camicia ed il guanto lungo fino al gomito, c’era una parte di pelle scoperta. Su di essa, vi era impresso un tatuaggio.

Non era un tatuaggio qualunque ed ecco perché il Dottore lo aveva riconosciuto immediatamente: era l’immagine di un serpente, intento ad ingoiare la sua stessa coda, delineando così un cerchio perfetto, infinito.

Aveva visto quel tatuaggio su un solo essere vivente, in tutte le forme che aveva assunto.

Era impossibile ma anche innegabilmente reale.

«Il Corsaro!».

 

   
 
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