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Autore: Jess2792    13/11/2015    1 recensioni
Gli agenti dello S.H.I.E.L.D. dopo tanto trambusto iniziato con la scoperta dell'H.Y.D.R.A. nei loro ranghi vengono sottoposti a controlli psichiatrici approfonditi, in fondo sono agenti come tutti. La stessa cosa vale per Bucky che, ormai da mesi impegnato con gli Avengers, non si concesso ancora un attimo di libero sfogo. Così gli viene imposta una seduta per tranquillizzarlo e tenerlo lontano dalle missioni quotidiane.
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Altri, James 'Bucky' Barnes, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PARTE I
 
Non è semplice, non è nemmeno tanto complicato. Ho sempre creduto che la psicologia servisse a niente, che le emozioni incanalate in noi dovessero rimanere tali. Come soldato e come spia sono stato addestrato a non farmi prendere dal panico nelle situazioni difficili, a non avere crolli strani durante determinati eventi. Eppure ora sono qui, dallo psicologo, su un lettino come lo vediamo nei film, a parlare di ciò che ho vissuto negli ultimi ottant’anni. Mi sento davvero un pesce fuor d’acqua. Forse mi trattiene che la psicologa (sì, è una donna) è molto carina.
Se lo sapesse Natasha, di certo mi ucciderebbe, o peggio: mi torturerebbe col silenzio.
Continua a dirmi che ciò che ho passato può incidere davvero molto sulle mie future decisioni, soprattutto ora che io sono al comando della baracca, su chi potrei diventare un domani. Continuo a non credere a queste cose. Dannazione, sono un soldato! Sono preparato a tutto.
-“A parte questi ultimi mesi in cui vi siete ritrovati e tu sei tornato di nuovo sotto il suo comando, qual è l’ultimo ricordo che hai?”, mi chiede all’improvviso la psicologa.
-“Il suo volto quando caddi dal treno.”, le ho risposto un po’ seccamente.
Non ho voglia di ricordare. Non ho voglia di raccontarle del mio passato. Vedo solo orrori, morte e distruzione. In fondo i ricordi dei miei ultimi anni di vita sono proprio questi. L’esperta in materia è lei, devo forzatamente seguirla.
-“Se non se la sente di parlare del capitano Rogers, può sempre parlare d’altro. Un ricordo che ha impresso più di tutti gli altri.”, mi ripete.
-“Sa cosa vedo ogni giorno davanti agli occhi? Sa cos’è che mi tiene sveglio quasi tutte le notti? E sa cosa mi fa talmente paura da farmi completare ogni singola missione?” – c’è qualche istante di silenzio, lei mi guarda curiosa e un po’ preoccupata, forse ho esagerato con i toni, ma sono davvero seccato. – “Lo sguardo furioso e impazzito di mio padre e le sue grosse mani che mi fanno la faccia gonfia come un pallone. Ecco cosa vedo nei miei ricordi ogni istante della mia vita.
Lei rimane lì a fissarmi, perde anche quella sensazione di preoccupazione, come se quello che le ho appena detto fosse una piccola bugia e che lei lo sappia. Peccato che non sia per nulla una bugia, mio padre me le dava seriamente anche per i motivi più inutili. Poteva essere la cameretta in disordine, poteva essere che giocando mi sbucciassi un ginocchio. Ogni momento era buono per farmi male.
-“Ha mai pensato di perdonarlo?
-“Sta scherzando? Non ci ho mai pensato, non ci penso e non ci penserei mai, per nessun motivo al mondo. Mio padre era uno stronzo dittatore. Hitler a confronto era un santo.
-“Ha detto davvero una cosa simile, Sergente?
È allibita dalla mia affermazione, ma come darle torto. In effetti, ciò che ho appena detto non è molto rispettoso per tutte le vittime della Seconda Guerra Mondiale. Che stupido!
-“Mi perdoni. Non volevo. Mio padre mi ha rovinato la vita, non era per nulla un padre, era davvero un dittatore in casa, poi uscivamo tutti assieme con mia madre e mia sorella e lui si trasformava nel padre perfetto.
-“Tutta questa rabbia per delle sberle? C’è ben altro, Sergente. Lo butti fuori, non serve tenersi tutto dentro.
E va bene, vuoi la verità mia cara dottoressa? Va bene, l’avrai.
-“Quel porco violentò me e mia sorella.” – ed ecco che finisco per rammollirmi, con le lacrime agli occhi e un odio immane che finisce tutto nel braccio. – “Le sue grosse, luride, mani sporche di fango. Ogni notte le sento su di me, come se lui tornasse ogni volta per completare ciò che aveva iniziato.
Adesso ho davvero voglia di rompere qualcosa, di andarmene, di farmi una lunga passeggiata per il mondo, senza nessuno tra i piedi. Ma cosa mi è saltato in testa di fare? Raccontarle di una cosa così schifosa, personale e vergognosa. Mi sento una merda.
-“Ha mai parlato di questo con qualcuno? Sua madre, ad esempio.”, mi chiede lei toccandomi leggermente una spalla.
-“Mia madre? Tsz, non scherziamo. Ma madre vedeva ma non reagiva. Mia sorella era troppo piccola per poter fare qualcosa. Avrei dovuto ucciderlo quando ne ebbi l’occasione.
-“Vuole parlarne?
Mi volto e la guardo come se mi stesse prendendo in giro. È stato già difficile tirare fuori una cosa del genere, secondo te ne vorrei parlare? E meno male che la psicologa sei tu. Però ormai ho iniziato e non mi piace lasciare le cose in sospeso.
-“L’ultima volta mi sentii talmente tanto lo schifo addosso che corsi a casa di Steve in lacrime, senza dire nulla. Sua madre mi guardò negli occhi e credo che avesse capito tutto. Mi preparò il letto in camera con Steven, una bella zuppa calda e rimase al mio fianco tutta la notte. Non riuscivo a chiudere gli occhi.” – mi parte una specie di risatina isterica. – “Assurdo, eh? Sentivo molto più vicina una donna qualunque della donna che mi ha concepito.
-“Non è assurdo, è tutta questione psicologica: non hai mai ricevuto sostegno da parte delle donne di casa, per un motivo o per l’altro, e ti sei ritrovato questa donna, una mamma, prendersi cura di te senza fare domande. L’amore rende una madre migliore.
Quelle parole mi fanno pensare… e ricordare: ricordo, infatti, che un giorno mi svegliarono le grida di mia madre, papà la stava picchiando a sangue e l’unica cosa che riuscii a fare io fu prendere il coltello che mamma aveva appoggiato sul tavolo della cucina e mi gettai su di lui. Lo ferii a un polpaccio. Credo che fosse in quel momento che iniziarono a piacermi i coltelli. Quella sera mi diede tante di quelle botte che tutt’oggi, quando ci penso, sento ancora i dolori nei punti dove mi ferì. Quella sera, dopo un’intera giornata a prenderle corsi a casa di Steven con una ferita alla testa, un enorme ematoma sulla spalla e una costola rotta. Fortunatamente sua madre era infermiera e mi diede una grossa mano. Gli sono debitore per avermi aiutato sempre, nonostante mio padre fosse un pezzo di merda, violento e molesto.
Su una cosa però la dottoressa si sbaglia.
-“Mia sorella non c’entra. Era troppo piccola anche solo per dire qualcosa. Io avevo dieci anni e lei appena sei. Quando scappai di casa non la portai nemmeno con me.
-“Come si sente ad oggi per questo?
-“Un vigliacco. Potevo (e dovevo!) salvare l’unica cosa bella della mia vita, invece sono andato via senza nemmeno voltarmi. Fui egoista. Un vero stronzo.
-“Che direbbe a sua sorella se fosse dinanzi a lei ora?
Eccola! Ha toccato il mio punto dolente più segreto, nemmeno Steven l’ha mai scoperto. Naturalmente riecco le lacrime. Ma da dove salta fuori un soldato, una spia, che piange come un bambino ogni volta che viene toccato un perno del proprio passato. Non si è mai visto!
-“Le direi che mi dispiace, che sono stato un vigliacco, che vorrei tornare indietro per salvarla, per portarla via quell’inferno chiamato Papà. Avrei preferito che morisse di tubercolosi piuttosto che sotto le grinfie di quello schifoso.
   
 
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