Serie TV > Sherlock (BBC)
Ricorda la storia  |      
Autore: VaticanCameos221B    16/11/2015    3 recensioni
«Avevi ragione. Starsene tutta la notte sotto la pioggia ad indagare, non è stata una buona idea». E giusto per sottolineare la cosa, starnutisce.
«Certo che avevo ragione, ma ovviamente non mi ascolti mai!» afferma John che è vicino alla vasca ormai piena.
«Be', per lo meno...» Il detective s'interrompe costretto a tossire. «Ho risolto il caso», termina col viso provato dallo sforzo, andandosi a massaggiare la gola con una mano. Si avvicina al medico e lascia cadere per terra la coperta che tiene sulle spalle. «Spogliami, John», dice in un borbottio rauco, con gli occhi arrossati ridotti a due fessure.
[Johnlock]
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Salve a tutti! Questa storia è scritta a quattro mani, da Mizu, che scrive le parti di Sherlock, e da Riri, che scrive le parti di John.
E' stata scritta quando entrambe eravamo raffreddate, quindi la demenza della suddetta storia - specialmente gli SMS iniziali - è dovuta agli effetti delirianti dell'influenza ( o forse no ? ).
 Sperando che la storia vi piaccia, non ci resta che auguravi una buona lettura ^-^/
~Riri & Mizu

Disclaimers: I personaggi appartengono a Sir Arthur Conan Doyle, alla BBC, a Steven Moffat e Mark Gatiss, e sono utilizzati senza alcun scopo di lucro e nel rispetto dei copyrights.





 
A Seal in the Bathroom


4:58 / John, passami un fazzoletto. SH
 
4:59 / Sherlock, sono al lavoro, come faccio a passartelo? JW
 
4:59 / Sei andato al lavoro e mi hai lasciato solo in questo stato? Come ti permetti? SH
 
4:59 / Mi licenziano se continuo a prendere permessi! Non stai morendo, voglio dire. Hai una semplice influenza. JW
 
5:00 / La mia influenza è più importante di un caso d'ipocondria cronica o di un ernia al disco. SH
 
5:00 / Dammi un fazzoletto! Non posso alzarmi! Non mi funzionano le gambe! SH
 
5:01 / No davvero, scherzi a parte, non posso passarti un fazzoletto, mi ci vogliono 20 minuti per tornare a casa. JW
 
5:01 / Bene, allora fallo! SH
 
5:01 / Voglio anche una spremuta d'arancia.
E un'altra coperta.
E delle medicine.
Dei biscotti, magari.
Ah, trovami il telecomando. SH
 
5:02 / Ma chiama la Hudson, diamine! JW
 
5:02 / Non c'è. Preferisco il mio dottore. SH
 
5:02 / Ma come faccio?! Devo avvisare i colleghi! Dammi almeno mezz'ora, Cristo! JW
 
5:03 / Sono caduto dal divano. SH
 
5:03 / Torna sul divano, SUBITO! JW
 
5:03 / Non posso, non mi funzionano le gambe, ti ho detto. SH
 
5:04 / John, vieni subito! SH
 
5:04 / Ti prego... O inizierò a mandare e-mail compromettenti a tutti i tuoi contatti col tuo pc. SH
 
5:04 / Merda. Te lo sei portato al lavoro. Ti odio. SH
 
5:05 / ABBI UN ATTIMO DI PAZIENZA! JW
 
5:05 / NO! SH
 
5:05 / Il teletrasporto non l'hanno ancora inventato. JW
 
5:05 / Esci dall'ambulatorio, tanto per cominciare. SH
 
5:07 / Arrivo! Basta che stai zitto un attimo! JW
 
5:07 / Sbrigati. SH
 
5:07 / Ricordati di portarmi ciò che ti ho scritto. SH
 
5:07 / E chi si ricorda più. Mi ricordo appena il succo d'arancia. JW
 
5:07 / Biscotti, medicine e fazzoletti. Stanno finendo. SH
 
5:08 / Sì, sì, ok, ok... JW
 
5:08 / Veloce. E non essere incazzato con me. SH
 
5:08 / Non sono incazzato, sono semplicemente esasperato. JW
 
5:08 / Al diavolo tu e le tue vecchiette. SH
 
5:09 / Quali vecchiette? JW
 
5:09 / Quelle che preferisci curare con tanto amore al posto del sottoscritto. SH
 
5:09 / Non dire cavolate, per favore. JW
 
5:09 / Vedi di darti una mossa. SH
 
5:09 / Un attimo. UN ATTIMO. JW
 
5:10 / Io sarò quel cadavere raggomitolato ai piedi del divano.
È stato bello. Ti ho amato. Addio. SH
 
5:10 / Mi hai amato? Davvero? JW
 
5:10 / Va' al diavolo! SH
 
5:10 / E me lo dici solo in punto di morte? JW
 
5:10 / È il 5 novembre. VAI A CADERE IN UN FALÒ ! SH
 
5:10 / Ah ah ah! Sai essere pure simpatico, allora!
Comunque, ancora 10 minuti e ci sono.
 
5:18 / Dove sei? Quando arrivi? SH
 
5:18 / Ho freddo. Corri. SH
 
5:19 / Corro, corro! 5 minuti! JW
 
5:19 / Corri, soldato. SH
 
5:23 / Hem, Sherlock... JW
 
5:23 / Cosa? SH
 
5:23 / Ho dimenticato il portafoglio in ambulatorio. Devo tornare indietro. JW
 
5:23 /... NON SE NE PARLA. SH
 
5:23 / Ecco, vedi? Non devi stressarmi così! Poi mi dimentico le cose!
È IL MIO PORTAFOGLIO! JW
 
5:23 / Lascia stare le medicine, vieni a casa ugualmente. Il portafoglio puoi fartelo custodire da Chris. SH
 
5:23 / Va bene, arrivo. JW
 
5:24 / Sei un incapace. SH
 
5:24 / Taci. È tutta colpa tua. JW
 
5:24 / Scusa se sono malato. SH
 
5:26 / Non fare la vittima! Comunque sono arrivato. JW
 
5:26 / Non faccio la vittima! A furia di starmene sul pavimento sono diventato di ghiaccio. Dovrai prepararmi un bagno caldo. SH
 
5:26 / Non cadere per le scale. SH
 
5:26 / Non cado, non cado... JW
 
5:26 / Aspetta a dirlo. La Hudson le ha appena lavate. SH
 
 
 
Sherlock è raggomitolato ai piedi del divano, in pigiama, avvolto da una coperta. Ogni tentativo di alzarsi e rimettersi a sedere sul divano da dove è caduto, è stato invano. Le gambe non vogliono collaborare. Tiene il cellulare in mano dopo aver tartassato il povero John con numerosi sms per farlo tornare immediatamente a casa. Vuole essere accudito -nemmeno fosse sul punto di partorire-. I capelli sono in rivolta, e sulle guance e sul naso la pelle è arrossata e screpolata. I passi pesanti sulle scale del pianerottolo fanno percepire al detective tutta la rabbia e l'esasperazione del dottore.

«Jooohn! A-aiutami ad a-alzarmi da q-qui...», dice a fatica con voce rauca e nasale.

Quando John apre la porta del salotto, l'immagine che gli si para davanti è quella di un Sherlock steso a terra che, con fare teatrale, allunga una mano verso di lui come se stesse per esalare l'ultimo respiro. Ha decisamente l'aspetto trasandato di uno zombie. Il dottore lo raggiunge in poche e veloci falcate, e subito lo aiuta a rialzarsi e a stendersi sul divano. Sherlock avvolge istintivamente le braccia attorno al collo del suo salvatore, beandosi di quel contatto, di quel calore.

«Sei un perfetto imbecille», sibila John controllando immediatamente il polso e appoggiando l'altra mano sulla fronte del detective per assicurarsi che non abbia la febbre alta. «Avrai sì e no qualche riga di febbre. Possibile che non riesci mai a stare fermo? Lo so che sei iperattivo, ma diamine...» John si guarda per un attimo attorno. «Immagino che tu non abbia preso nemmeno un'aspirina», conclude tornando a guardare Sherlock in viso. «Ma stai realmente così male? Non stai fingendo, vero?»

«Ti sembra che sia totalmente così fuori di testa da inscenare tutto questo?», sbotta il detective con fare irritato, tirando su col naso e portandosi le gambe al petto abbracciandole.

«Non si sa mai», replica John. L'ha detto solo con l'intento di stuzzicarlo. E comunque Sherlock è un attore nato.

«Le aspirine sono finite, per questo ti ho chiesto di andare in farmacia, ma tu hai dimenticato stupidamente il portafoglio al lavoro.» Il detective si soffia il naso con uno dei fazzoletti già usati sparsi sul divano, e improvvisamente fa cadere la testa sulla spalla di John. «Ho freddo», dice in un mormorio chiudendo gli occhi. «Preparami un bagno caldo, ora.» Anche in questo stato non manca mai di impartire ordini a John come fosse un generale.

Il dottore gli passa un braccio attorno alle spalle, incurante del fatto che Sherlock possa attaccargli l'influenza, e immerge una mano tra i suoi capelli ricci andando ad attorcigliarseli tra le dita. "Ti scaldo io", è la frase che passa nella mente di John, ma mai si sognerebbe di pronunciarla a voce alta: troppo sdolcinata per i suoi gusti.

«Ok, il calore dell'acqua dovrebbe attenuare un po' il raffreddore, è una buona idea.» John è per un attimo indeciso se spostarsi o meno: gli piace troppo avere Sherlock appoggiato contro di sé, gli dona una sensazione di calore e affetto. «Ci metto un attimo», dice infine alzandosi a malincuore.

Sherlock resta per qualche minuto a dondolarsi tutto rannicchiato su se stesso finché, con fatica, si trascina giù dal divano e raggiunge il bagno a piccoli passi. Quando alla fine vi giunge, dalla stanchezza gli pare di averci messo tre giorni.

«Avevi ragione. Starsene tutta la notte sotto la pioggia ad indagare, non è stata una buona idea». E giusto per sottolineare la cosa, starnutisce.

«Certo che avevo ragione, ma ovviamente non mi ascolti mai!» afferma John che è vicino alla vasca ormai piena.

«Be', per lo meno...» Il detective s'interrompe costretto a tossire. «Ho risolto il caso», termina col viso provato dallo sforzo, andandosi a massaggiare la gola con una mano. Si avvicina al medico e lascia cadere per terra la coperta che tiene sulle spalle. «Spogliami, John», dice in un borbottio rauco, con gli occhi arrossati ridotti a due fessure.

«Se non stessi così male la tua richiesta sarebbe molto allettante», replica il medico con un sorrisetto divertito sul viso, sorriso che scompare quando va a scrutare gli occhi del detective. Deve smetterla di trattarsi così. Per lui non avrà nessuna importanza, ma la sua mente geniale ci deve coesistere col proprio corpo, volente o nolente.

Alla provocazione, Sherlock gli lancia uno sguardo di traverso, alzando un sopracciglio, non capacitandosi di come lui possa anche solo minimamente desiderarlo nello stato pietoso in cui si trova.

Senza indugiare oltre, John lo spoglia velocemente, lasciando cadere a terra prima la vestaglia e poi la parte superiore del pigiama, ma per quanto riguarda la parte inferiore decide di prendersi qualche secondo in più. Si inginocchia di fronte a lui e gli abbassa i pantaloni del pigiama che scivolano fino alle caviglie, lasciando esposto il suo corpo ormai quasi nudo. Appoggia le dita sulla stoffa degli slip in una lieve carezza, e con fare del tutto innocente alza lo sguardo cercando quello di Sherlock.

«È proprio un peccato che ti senta così male...», dice, lasciando la frase in sospeso mentre uno sguardo malizioso compare sul suo viso.
L'ennesima provocazione e il desiderio del biondo, lasciano il detective contrariato.

«Vuoi piantarla, John?» Sherlock stringe una mano a pugno e la fa scontrare debolmente contro la tempia del medico. «Possibile che pensi sempre al sesso? Dovrei farti solo schifo, in questo stato.» Sfuma la voce in un borbottio, tirando ripetutamente su col naso, stringendosi nelle braccia e rabbrividendo. «Allora? Fai tu o devo togliermeli io?»

«Schifo?» John scuote la testa cercando di non ridere. In un attimo gli cala anche gli slip, e senza indugiare oltre, si rimette in piedi. Con un gesto veloce va a cingere con le mani i fianchi del detective, e lo attira a sé senza dargli il tempo di spostarsi o di dire qualcosa. Le labbra vanno a sfiorargli un orecchio. «Non potresti mai farmi schifo», afferma sincero depositando un veloce bacio sul suo collo, in un gesto che vuole risultare eccitante, ma soprattutto dolce e affettuoso allo stesso tempo. John non pensa sempre e solo al sesso, John pensa sempre e solo a Sherlock, il che è leggermente diverso.

Il brivido che percorre la schiena del moro è diverso da quello scaturito dall'influenza; è la voce di John che lo tranquillizza, ed è come se ogni cosa tornasse al proprio posto e tutto diventasse perfetto. Nuovamente, a quell'improvviso avvicinamento del dottore, Sherlock gli avvolge le braccia attorno al collo come a volerlo intrappolare. La sua pelle nuda e cadaverica è così in netto contrasto con la figura del dottore che l'immagine di loro due assieme sembra quasi surreale, come se John stesse abbracciando una statua di marmo.

«È un bene che tu non sia arrabbiato. Sopporto a malapena il raffreddore. Un te arrabbiato sarebbe stato fastidioso.» Sherlock soffoca una risata nel collo dell'altro, prima di distaccarsi.

«Forza, prima che l'acqua si raffreddi», dice John dolcemente.

Sherlock lo afferra per una mano per mantenersi in equilibrio ed entrare nella vasca, e non abbandona quella mano nemmeno quando vi è dentro. Lentamente adagia la schiena e reclina all'indietro il collo sul bordo bianco della vasca, celando gli occhi.

«Quindi, baciarmi adesso, non ti dispiacerebbe dopo tutto, no?» chiede mantenendo ancora gli occhi chiusi.
I lati della bocca sono piegati leggermente all'insù, e John non riesce proprio a cancellare il sorriso che è comparso sul suo viso ormai da qualche minuto. Si sente un po' un idiota a dirla tutta, a lasciarsi sopraffare dai sentimenti in questo modo, ma che altro può fare?

«No, affatto», replica con voce bassa, non distaccando un solo attimo gli occhi dal viso del detective, memorizzando per l'ennesima volta ogni tratto del suo volto e del suo profilo perfetto. Fa per chinarsi su di lui, ma quel bisogno continuo di stuzzicarlo e di farlo a vicenda, lo blocca. «Peccato che mi prenderei il raffreddore anch'io», dice fermandosi a pochissimi centimetri dal suo viso. Le sue parole sono come un alito di vento contro la pelle candida del moro.

Sherlock, che stava già pregustando il sapore delle labbra di John, riapre gli occhi incrociando quelli blu e provocatori del biondo.

«Sei già al settantacinque percento contagiato, John», sibila sciogliendo l'intreccio delle loro mani per afferrargli il collo e spingerlo verso di sé. «Vieni qua», sussurra un attimo prima di depositare una serie di lunghi baci sulla pelle calda del collo del medico.

John socchiude gli occhi e si lascia scappare un mugolio. Lascia per qualche attimo che il detective continui con quella dolce tortura, rendendosi conto ben presto che, vestito o meno, il proprio ingresso nella vasca sarà inevitabile. Non dice una parola, non ne vede il bisogno; finirà col prendersi un gran bel raffreddore, e di questo ne è sicuro al cento percento.

Tra l'acqua che emana vapore caldo, e il calore dei baci di Sherlock, John prende a baciarlo sulla bocca, attento a non esagerare, trovandosi in bilico tra il desiderio che lo divora, e il fatto che nonostante tutto, Sherlock è malato. Così il bacio diventa più dolce, più lento; John vuole dargli modo di respirare, ma allo stesso tempo vuole che Sherlock si senta appagato e amato, e ogni secondo che non è sulla sua bocca scende appena più giù, riempiendo di baci la mascella, il collo, per poi salire di nuovo fino a raggiungere le sue labbra, la sua bocca, in un gioco di lingue che sembrano non essere mai stanche di cercarsi. John si leva le scarpe, e lentamente s'insinua nella vasca, sopra a Sherlock, facendo traboccare parte dell'acqua calda che va bagnare il pavimento.

«No, ma cos...» Le parole muoiono in gola al detective, che viene improvvisamente schiacciato dal peso di John. Gli occhi sono esterrefatti.

«Sei un buffone. Un esagerato buffone. C'era proprio bisogno di ricorrere a questo? Non posso nemmeno sfiorarti che vuoi subito di più. Quanto dovevi essere represso negli anni in cui non stavamo insieme?» Scuote la testa assieme a quell'ammasso di capelli in rivolta, e va a stringere le mani sulla camicia bagnata di John. «Non è igienico. Dovresti uscire immediatamente.» Fa cadere la testa sul dorso del biondo, con gli occhi che si costringono a chiudersi: non ha la forza per protestare e cacciarlo via a suon di calci.

«Parli sempre troppo», replica John ignorando le mille offese. È un meccanismo di difesa di Sherlock: quando si sente braccato, o in trappola, inizia a parlare ed insultare più del solito. Ormai ci è abituato, e la cosa lo fa solo sorridere. «E se è igienico o meno, lo decide il dottore.»

«O sei completamente un idiota... o sei completamente un idiota. Sai che dopo ti toccherà ripulire tutto, vero?» Sherlock starnutisce, andandosi a sfregare il naso con il dorso di una mano. «Ripeto: dovrei farti solo schifo, ora come ora», borbotta rimanendo aggrappato a lui, mentre entrambi vengono cullati dall'acqua calda.

Ma visto che a John, Sherlock, non fa schifo neanche un po', torna a posare le labbra sul suo collo, e con la lingua va a raccogliere qualche gocciolina d'acqua qua e là. Seppur non sia una delle situazione più comode in cui si sia trovato, gli abiti appiccicati addosso non gli danno troppo fastidio, e Sherlock è più che un'ottima ragione per fregarsene. Un ultimo bacio veloce e si sposta verso l'altro lato della vasca, e senza troppi problemi, ma più lentamente di quanto farebbe di solito, va a togliersi i pantaloni gettandoli fuori dalla vasca; penserà dopo alla camicia. Così apre nuovamente l'acqua calda per riempire ancora un po' la vasca. Ha fatto decisamente un grandissimo casino, il bagno è diventato più o meno un piccolo laghetto.

«Vieni, girati, ti lavo i capelli», dice facendo segno a Sherlock di avvicinarsi mentre con l'altra mana acchiappa lo shampoo del detective: ricci perfetti, riporta l'etichetta. Il solito perfezionista. John è tanto se distingue il bagnoschiuma dallo shampoo.

«Seriamente, John?» riprende il discorso il detective ancora visibilmente scocciato. «C’era proprio bisogno di ricorrere a tutto questo? Mi sei saltato addosso, vestito, come se non mi vedessi e toccassi da mesi.» Schiocca la lingua sul palato e tanto basta a provocargli un fastidio alla gola infiammata.

John alza gli occhi al cielo, sospirando profondamente.

«E poi quello teatrale sarei io...», continua il moro, borbottando impercettibilmente ed arricciando le labbra in una smorfia mentre asseconda il medico girandosi, così da dargli le spalle in modo che lui possa lavargli i capelli. «Se osi solo lamentarti mentre pulisci il bagno o se domani ti svegli col raffreddore, t'infilerò bulbi oculari e dita dei piedi nei cassetti!» Il suo tentativo è quello di essere minaccioso, ma con quell'aria stravolta e indifesa, quella voce gracchiante e flebile, ci riesce a malapena. Infatti, viene colpito da un attacco di tosse.

«È ovvio che domani avrò il raffreddore, anzi, considerando il periodo di incubazione e la vicinanza così diretta, dovrebbe venirmi esattamente tra tre giorni. Quindi, hai poco da minacciarmi, ritieniti colpevole e basta», replica l'altro come se stesse parlando ad uno dei suoi tanti pazienti. In termini leggermente meno garbati, ovviamente.

Sherlock reclina la testa all'indietro beandosi del tocco delicato delle mani di John e gli occhi si chiudono, mentre va ad abbracciare le gambe strette al petto. Sembra essersi momentaneamente acquietato.

«E così, con queste mani, tu tocchi i pazienti, altre persone, tutti i giorni? Potrei iniziare a detestare la cosa e proibirti di farti fare il medico», sussurra, e tutti i muscoli del proprio corpo prendono a rilassarsi. Il suo è ovviamente un complimento misto a gelosia per quelle mani che vorrebbe toccassero sempre e solo lui.

L'espressione di John si addolcisce alle sue parole. «Cercherò di limitare i contatti», risponde stando al suo gioco, mentre le mani vanno dolcemente a strofinargli il cuoio capelluto.

Sulle labbra di Sherlock si delinea un sorrisetto compiaciuto. «Aiutami ad uscire prima che mi addormenti qui», dice. Ma John gli passa un braccio attorno al collo e lo tira a sé, infischiandosene della schiuma che va a sporcargli parte del viso.

«Magari, prima di uscire, è il caso che ti risciacqui i capelli, o il raffreddore ti ha debilitato così tanto da non ricordarti più come ci si lava?», lo stuzzica dopo aver appoggiato il mento sulla sua spalla.

«È probabile, ma non farci troppo l'abitudine. Tra i due, resterai sempre quello imbecille», lo canzona Sherlock e, ritrovandoselo così vicino al viso, si volta; una mano si deposita sul collo del medico e le labbra gli schioccano un bacio sulla guancia. «Il mio uomo ridicolo preferito», sussurra ad un soffio dalle labbra di lui, sfoggiando ancora quel sorrisetto compiaciuto.

Nonostante venga insultato, John si ritrova con l'ennesimo sorriso stampato sul viso. L'aggettivo "ridicolo" passa completamente in secondo piano rispetto al "mio", e quel senso di possesso che Sherlock reclama su di lui spesso e volentieri, ha sempre il potere di farlo sentire amato, più di quanto farebbe una qualsiasi frase smielata.

John esce dalla vasca e velocemente s'infila addosso un accappatoio lanciando due asciugamani sul pavimento, tentando in qualche modo di assorbire parte dell'acqua uscita dalla vasca, soprattutto per evitare di scivolare e uccidersi sbattendo la testa da qualche parte. Aiuta poi Sherlock ad uscire, il quale, standosene lì completamente nudo e bagnato, non può far a meno di arricciare il naso contrariato alla vista del suo povero pigiama e della sua vestaglia, precedentemente lasciati cadere a terra, per metà inzuppati d'acqua al tuffo esibizionista di John nella vasca.

«In un parco acquatico. Ecco, lì ti ci vedrei benissimo. Come foca.» La voce sarà nasale, ma la sua asprezza e l'immancabile sarcasmo si notano benissimo. Sherlock si infila ai piedi le pantofole fortunatamente scampate allo tsunami e l'accappatoio che l'altro gli porge. Dopo di che va a sedersi sul bordo della vasca concedendosi alle strane cure vendicative del Dottor John Watson nell'asciugargli i capelli. Il getto del phon che l'altro gli sbatte in faccia di tanto in tanto, giusto per dargli fastidio, gli fa mancare l'aria, visto che l'unica cosa attraverso la quale al momento respira è la bocca. Sbuffa come un toro inferocito, e le occhiatacce che gli lancia non sono delle più amorevoli.

A volte, potrebbero realmente passare per due bambini che si fanno i dispetti, ma stuzzicare Sherlock è uno dei passatempi preferiti di John.

Quando i capelli sono abbastanza asciutti, il dottore spegne e mette via il phon nel mobiletto vicino al lavandino.

Sherlock si alza voltandosi verso di lui: ha ancora una nuvoletta di sapone su metà guancia. Solleva una mano a prenderne una manciata con la punta del dito, per poi depositarla sul naso dell'altro.

«Datti una sistemata, sei ridicolo. Io ti aspetto in camera. E fa' presto!» Gli da le spalle mentre gli viene da sternutire e tossire, e si lascia sfuggire qualche imprecazione lungo il corridoio mentre raggiunge camera propria.

«La sottoscritta foca si farà attendere, stanne certo», esclama John assottigliando lo sguardo mentre Sherlock è già uscito. Dopo aver abbandonato gli ultimi indumenti a terra, si fa una doccia veloce, e altrettanto velocemente decide di rimanere in accappatoio; non ha proprio voglia di salire in camera a prendere il cambio d'intimo e il pigiama, è solo tempo sprecato. Con i capelli ancora umidi si dirige verso la camera di Sherlock, e una volta dentro incrocia le braccia e si morde il labbro inferiore, con la tipica aria di una mamma spazientita.

«Sentiamo, quale sarebbe ora l'ennesima richiesta della serata?», chiede John ritrovandosi davanti un Sherlock seduto al centro del letto matrimoniale che si stringe nelle spalle rabbrividendo. L'effetto dell'acqua calda purtroppo non è durato molto a lungo, e nell'appartamento fa decisamente freddo.

Sherlock raccatta un fazzolettino stropicciato dall'angolo del letto e ci soffia rumorosamente il naso, non prima di aver lanciato l'ennesima occhiataccia a John, al suo ingresso nella stanza. Senza troppi complimenti, si slaccia la cinta dell'accappatoio per poi aprirlo mostrando la sua pelle bianca e nuda.

«Lì, nel cassetto, cercami degli indumenti puliti. Non ho assolutamente voglia di alzarmi», biascica con voce rauca. «Su, muoviti, ho freddo», insiste.

«Sempre a dar ordini, ovviamente», risponde l'altro soffermandosi con lo sguardo per qualche attimo sul corpo nudo di Sherlock, umettandosi le labbra. Vederlo seduto sul letto con quei capelli disordinati -che chissà perché gli danno un'aria ancora più provocante-, gli fa venire voglia di saltargli addosso. Con grandissima nonchalance, John si avvia verso l'armadio, recupera l'intimo e un pigiama pulito, e torna dal detective con l'intento di stuzzicarlo nuovamente.

«Bene, partiamo dagli slip», dice alzando gli occhi su di lui e sfoggiando un sorriso ed uno sguardo che, difficile a dirsi se sia più quello di un bravo dottore pronto ad aiutare un paziente bisognoso, o quello di un cacciatore pronto a lanciarsi sulla preda tanto ambita. Si inginocchia davanti a lui e gli infila le mutande partendo dai piedi, e man mano che sale si avvicina al corpo del moro, appoggiando le ginocchia ai lati delle sue gambe, salendo con le dita gradualmente, con lentezza, finendo col palpare a piene mani il suo fondoschiena sodo.

«Vanno bene questi? Possiamo sempre cambiarli», dice con disinvoltura, distaccandosi da lui con un'espressione ingenua sul volto.

Sherlock si sente onestamente un po' ridicolo con lui lì ai suoi piedi mentre gli infila un paio di slip come se fosse un paralitico, e con quel suo fare da finto ingenuo che tanto finisce per essere sempre smascherato. Nonostante il medico gli abbia appena palpato il sedere -che è sempre cosa gradita-, in una situazione normale gli avrebbe sorriso con fare ammiccante, ma non oggi.

«Ti ho chiesto di passarmi delle robe pulite, non di certo di vestirmi. E sì, diamine, che vanno bene! Non devo mica fare una sfilata di intimo, John.» Lo fulmina con quei suoi occhi taglienti, e va ad afferrare la maglia del pigiama adagiata sul letto per infilarsela da solo. Lo stesso fa con i pantaloni. Gli viene da starnutire per l'ennesima volta, e va ad asciugarsi il naso con un altro fazzoletto che raccatta in giro sul materasso.

«Adesso, vorrei dormire, ma prima...», dice alzando una mano e portandola sotto l'accappatoio di John per strizzargli una natica, «voglio ricambiare il favore», sussurra mentre l'altra mano agguanta il collo dell'accappatoio di John e lo spinge verso di sé mentre si lascia cadere con la schiena sul materasso.

Non c'è neanche un secondo d'incertezza in John mentre cade sul proprio fidanzato.

Le loro bocche si uniscono, e le lingue si cercano, così come le dita che, trovandosi, si intrecciano possessive.

«Certo che...», inizia John tra un bacio e l'altro, «hai proprio un bel coraggio a...», continua mentre un altro bacio va a finire sul collo del moro, «fare tutto lo stizzito quando poi vuoi solo che ti salti addosso», conclude sorridendo contro le sue labbra, mentre sguardi di mare e di ghiaccio non riescono a distaccarsi l'uno dall'altro. John deposita un ultimo bacio sulle labbra di Sherlock, stavolta più casto, più dolce.

«Che vuoi che ti dica. Cerco solo di renderti felice», sorride ammiccante Sherlock, donandogli a sua volta un ultimo bacio, mentre entrambe le mani gli accarezzano i fianchi nudi da sotto l'accappatoio. Questo prima di spingerlo di lato e farlo cadere al suo fianco. Senza di lui addosso, si sposta verso lo schienale del letto, scosta le coperte, e si infila ben presto sotto di esse.

John sospira osservando il soffitto. Quella carezza sui fianchi l'ha illuso per un attimo, ma sapeva che in fondo sarebbe andata a finire così, senza un nulla di fatto. Come al solito gli toccherà andare in bagno ad arrangiarsi.

Con Sherlock non c'è nulla da fare, l'imprevedibilità è la parola d'ordine per quanto riguarda il loro rapporto a livello sessuale. Il detective potrebbe darsi da fare nei momenti più impensabili, come illuderlo e lasciarlo a bocca asciutta senza nessuna remora.

«Ora lasciami dormire. Al mio risveglio voglio trovare del tè caldo, medicine e fazzoletti nuovi. A dopo», dice chiudendo gli occhi, con i capelli arruffati sul cuscino e le coperte fin sopra al naso.

«Provvederò», replica il medico con tono rassegnato mettendosi a sedere. Osserva per qualche attimo il moro prima di avvicinarsi e poggiare un bacio sul suo capo, mentre le dita della mano sinistra vanno ad accarezzare qualche riccio. Immagina la sua espressione irritata.

«Dormi bene, Sherlock, dopo ti sentirai sicuramente meglio», gli sussurra prima di scostarsi ed alzarsi dal letto. Lascia la stanza, ma ha ancora qualcosa da fare prima di andare a dormire anche lui, dopo il turno in ospedale che l'ha impegnato tutta la notte.

«Povero me», borbotta mentre si guarda la pancia diretto in bagno. «E pensare che ho degli addominali perfetti», continua prima di chiudere la porta alle proprie spalle. «Foca, certo, come no.»
 
   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: VaticanCameos221B