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Autore: bluerose95    25/11/2015    2 recensioni
Anche se non gliel’ho insegnato personalmente, questo l’ha decisamente preso da me¸ pensò Killian, e poté giurare che il suo petto sarebbe scoppiato se quel bambino non avesse smesso di inorgoglirlo. Che scoppiasse pure, anzi, quello era suo figlio, se non doveva scoppiare per lui, per chi altri, allora?
Henry ha sempre vissuto con sua madre a Storybrooke, coccolato e amato da tutti, ma con un vuoto incolmabile nel cuore. Già una volta aveva fatto quella domanda a sua madre, ma quando questa non gli aveva risposto aveva deciso di non chiederglielo più. O almeno così è stato fino a quando non ha trovato una scatola con una foto strappata, un anello, degli spartiti e altre cose che non aveva mai visto in vita sua, sebbene sapesse con certezza a chi appartenessero.
E allora inizia l'Operazione Cigno Bianco, una missione che sconvolgerà nuovamente le vite di Emma e di suo padre, un uomo che non sapeva nemmeno della sua esistenza e aveva creduto che il suo bel cigno fosse volato via nel momento in cui aveva più bisogno di lei.
Perché quando lasciarsi andare è spaventoso, bisogna accettare che l'amore ci guidi verso casa.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1
 
Henry fece scorrere un dito sul lato frastagliato della fotografia, quella foto che aveva trovato qualche settimana prima in soffitta mentre cercava il suo skateboard e che da allora aveva tenuto sempre con sé, nella tasca del cappotto quando andava a scuola e sotto il cuscino quando dormiva.
Sapeva chi mancava in quella foto, e gli si strinse il cuore in una gelida morsa di dolore sebbene avesse solo dieci anni.
Se l’avesse trovata, sua madre si sarebbe infuriata e avrebbe sofferto ulteriormente, ma lui voleva sapere, meritava di sapere chi fosse quella parte mancante della sua vita. Ci aveva rimuginato sopra da quando quella foto gli era finita tra le mani, e ora era più convinto che mai della propria decisione.
Si alzò dal letto e si infilò il lungo cappotto nero, legandosi al collo la sciarpa a righe rosse che la sua madrina gli aveva regalato il precedente Natale e ripose con cura la foto nella tasca interna, a contatto con il proprio cuore.
Scese le scale di corsa, sua madre era seduta al tavolo della cucina con fogli sparsi davanti a sé e una tazza di cioccolata calda con panna e cannella in una mano. « Dove stai andando, ragazzino? » Non aveva nemmeno alzato gli occhi dal foglio che stava guardando.
Henry si mordicchiò il labbro inferiore, sua madre aveva un sesto senso per le bugie, quindi optò per una mezza verità che poi tanto bugia non era. « Vado da Roland, » disse cercando di non sembrare agitato mentre si dondolava sui talloni con le mani in tasca e un sorriso innocente sulle labbra.
Emma lo guardò per un istante, scrutandolo con intensità, prima di annuire con un cenno del capo. « Va bene, ma non fare tardi, » si raccomandò bevendo un sorso di cioccolata.
Il bambino sorrise e trattenne un sospiro di sollievo mentre si affrettava a uscire dalla casa in stile vittoriano saltando i gradini della veranda di corsa, infischiandosene del fatto che avrebbe potuto scivolare, voleva soltanto raggiungere la casa di Roland il più velocemente possibile.
Corse a perdifiato lungo i marciapiedi di Storybrooke, l’aria fredda e secca dell’inverno gli arrossava le guance e gli faceva pizzicare gli occhi, ma la determinazione lo infiammava, la fotografia che premeva contro il suo cuore gli ricordava del suo proposito, di ciò che avrebbe perso se non avesse trovato ciò che stava cercando.
Spinse il cancello sempre aperto di casa Mills, la casa del sindaco, un’immensa struttura bianca che conosceva bene quasi quanto casa sua, e si affrettò lungo il vialetto. Suonò il campanello, spostando il peso da un piede all’altro, impaziente.
Non aveva parlato con nessuno del suo piano, ma se Regina non l’avesse aiutato ne aveva un altro di riserva, nulla di avventato, solo una cosa fondamentalmente necessaria per avere quel lieto fine di cui sua madre gli aveva tanto parlato. Non lo voleva solo per sé, ma anche per lei. Inoltre, era sicuro che la sua madrina non lo avrebbe abbandonato, per lei era come un secondo figlio.
La porta si aprì, e Regina guardò Henry con le sopracciglia aggrottate. Indossava un abito semplice color porpora e i tacchi alti, segno che era appena rientrata o che si stava preparando per uscire. Non che a Henry importasse, le avrebbe comunque parlato anche a costo di seguirla.
« Henry, che cosa ci fai qui? Roland non c’è, credevo lo sapessi… » iniziò Regina scostandosi comunque per farlo entrare al caldo. Chiuse la porta dietro di sé e si portò le mani ai fianchi, anche se non era sua madre si preoccupava per lui come se fosse suo figlio, così come Emma si preoccupava per Roland.
« Lo so, lo so, » disse Henry in fretta sbottonandosi appena il cappotto per poter prendere la foto dalla tasca interna. « Sono venuto per questa. »
Regina l’afferrò confusa. La foto strappata raffigurava un’Emma più giovane, sembrava una principessa uscita dalle fiabe in quel suo abito rosso e l’espressione sognante. A occhio e croce doveva risalire a prima della nascita di Henry, quando aveva diciannove o vent’anni.
« Cosa c’entro io con tua madre e questa fotografia? »
Henry si mordicchiò il labbro inferiore, all’improvviso incapace di pronunciare alcuna parola. « È che… voglio che anche la mamma abbia il suo lieto fine. »
Con un flebile sospiro, Regina gli sorrise. « Avevo intenzione di farmi una cioccolata, vuoi unirti a me così mi racconti che cosa ti tormenta? »
Era una domanda retorica, lo sapevano entrambi, Henry non avrebbe mai rinunciato a una cioccolata calda, in quel frangente era come sua madre, goloso oltremisura.
Mentre Regina preparava quel nettare divino, Henry si sedette su un alto sgabello davanti all’isola della cucina e riprese fra le mani la foto che la donna aveva lasciato lì sopra. Sua madre lì era così felice, felice forse come non l’aveva mai vista, raggiante addirittura, e bellissima come non mai.
« Dove l’hai trovata? » chiese Regina, aveva lo stesso atteggiamento di sua madre quando iniziava a fare ricerche su persone scomparse come secondo lavoro, anche se Emma diceva sempre fosse quasi più un hobby che altro. Era brava a trovare persone, così si giustificava, e Henry provò un moto di tristezza pensando che, con tutta probabilità, lui non l’aveva nemmeno cercato.
« In soffitta, in una vecchia scatola insieme a un anello infilato in una catenella, al modellino intagliato di una nave a forma di cigno o una cosa del genere, e a degli spartiti musicali. »
Regina arcuò un sopracciglio mentre mescolava la cioccolata. « Che cosa stai cercando, Henry? Perché sei venuto da me? »
Lui abbassò nuovamente lo sguardo triste sulla foto, accarezzando il lato frastagliato. Che cosa cercava? Una famiglia? Ce l’aveva già, ma non era al completo. Un lieto fine? Quello che aveva non era abbastanza, né per lui né per sua madre.
« Mamma non mi direbbe nulla, e sono convinto che persino i nonni mi nasconderebbero la verità, ma non tu, perché sai quanto si può essere infelici quando si è da soli. »
Regina trasalì, ma riuscì a contenersi e versò la cioccolata in due tazze, decorando quella di Henry con panna montata e cannella come piaceva a lui.
Ora trentacinquenne, Regina sapeva cosa fosse la solitudine, lo sapeva benissimo, perché sua madre non l’aveva mai amata, ed era cresciuta covando risentimento dentro di sé, odiando non solo chi le stava attorno, ma persino se stessa. Poi, con l’aiuto di Robin e degli Swan era riuscita a venir fuori da quella sua spirale d’odio. Henry non lo poteva sapere, ma con tutta probabilità i suoi nonni non sapevano tenere la lingua dentro i denti.
« Perché ho la sensazione che questa cosa mi metterà contro Emma? » domandò appoggiandogli la tazza fra le mani e sfilandogli dolcemente la fotografia dalle dita, rigirandola. C’era una scritta, la calligrafia non sembrava quella di Emma, ma si leggeva solamente “la luce”.
Henry chiuse gli occhi, il calore della bevanda bollente fluiva attraverso la ceramica, scaldandogli le mani gelate. « Perché lei non vuole dirmi chi è mio padre. »
Regina chiuse gli occhi. Temeva che fosse così, ma non aveva pensato che Henry potesse rivolgersi a lei per una tale faccenda. Si diede della sciocca, perché se c’era una persona che poteva agire indisturbata era lei, Emma e suo padre David erano gli sceriffi della città, ma lei aveva più potere e poteva permettersi di fare quella ricerca per lui. Sarebbe potuto andare da Gold, ma evidentemente non si fidava abbastanza di lui.
« Henry, » disse pacatamente dopo aver bevuto un lungo sorso di cioccolata, pensando che avrebbe preferito qualcosa di molto più forte, « quello che mi stai chiedendo è una cosa che non potrei fare e che tua madre non mi perdonerebbe mai. »
Lui scosse il capo. « Ti perdonerà perché siete amiche e perché sarà felice anche lei quando le cose si sistemeranno. »
La donna socchiuse gli occhi. Povero Henry, quanto ingenuo era. Sospirò, scuotendo appena il capo. « Immagino che non vorrai lasciar perdere. » E le sembrava giusto, lui aveva diritto di sapere, ma qual era il prezzo? Suo padre era ancora vivo? Era una persona di cui fidarsi? Era forse un alcolizzato oppure un drogato? Si sarebbe preso cura di lui? Sapeva della sua esistenza e aveva fatto in modo di far perdere le proprie tracce lasciando Emma da sola?
« È mio padre, e mamma non avrebbe tenuto quelle cose, inoltre… » esitò bevendo un sorso di cioccolata e scottandosi la lingua, « a volte la sento piangere, la notte, e di tanto in tanto, quando sale in soffitta, ci rimane per molto tempo. Una volta l’ho vista rigirarsi l’anello tra le dita, ma sono andato via prima che potesse vedermi. »
« E credi che farlo piombare nella sua vita possa tirarla sua di morale? E se lui si fosse rifatto una vita? Se avesse dei figli o se comunque si fosse sposato? »
Gli occhi di Henry si fecero lucidi e si affrettò a spostare lo sguardo. Eccome se ci aveva pensato, e questi pensieri lo avevano anche tenuto sveglio la notte, ma voleva trovarlo, voleva vedere se avesse qualcosa di suo, nel fisico o nei gesti, se finalmente avrebbe avuto il suo vero lieto fine. Tirò su col naso e annuì lentamente. « Sì, ci ho pensato, » mormorò con voce spezzata, « ma non m’importa. »
Regina annuì, era ovvio che fosse così, e anche se gliene fosse importato, non lo avrebbe certo ammesso, nemmeno con se stesso. « L’unico luogo in cui tua madre è stata al di fuori di Storybrooke è New York, dove ha iniziato ma mai finito l’università. »
Henry annuì, le lacrime erano sparite e ora i suoi occhi brillavano d’eccitazione. Regina ne sorrise. « Perché era incinta di me, » disse lui, trepidante. « Quindi, come candidati, potrebbero esserci i suoi i suoi compagni di corso… »
« Oppure l’intera New York, » sospirò Regina. Sarebbe stato un gran lavoro, ma per Henry lo avrebbe fatto anche a costo di non dormire la notte. Avrebbe potuto contare su Robin, e anche Henry e Roland le avrebbero dato una mano. Scosse il capo, riordinando le idee. « C’era inciso qualcosa sull’anello? Era un anello di fidanzamento? »
« No, era un semplice anello d’argento, credo, con una pietra nera, un’onice o qualcosa di simile. Molto sobrio, ecco. E ai lati della pietra c’erano due fiori a quattro petali in rilievo. »
 Regina arcuò un sopracciglio, era insolito come anello, tuttavia doveva significare molto per Emma. « E sugli spartiti? C’è qualche nome? » Sentiva che non si trattava di una qualche canzone famosa, quanto più di una composizione originale.
« Purtroppo non c’è nulla, ma il titolo è Swan Song ed è stato sicuramente scritto dalla stessa persona che ha scritto qualcosa sul retro della foto. »
« Swan Song? Che cosa melensa. » Regina arricciò il naso, ma Henry le rivolse un sorriso raggiante, al quale lei rispose.
Nessuno scriveva una canzone per una persona e la lasciava semplicemente andare senza mai cercarla, no?
« Bene, allora cominciamo. Dovrò fare qualche chiamata, ma credo sia meglio iniziare con l’università, lì dovrebbero avere delle informazioni su dove alloggiava e, se siamo fortunati, magari aveva anche una qualche coinquilina che sa qualcosa sulla sua permanenza lì. »
« E su mio padre. »
« E su tuo padre. »
Il sorriso di Henry si ampliò maggiormente. Tese la mano a Regina con fare solenne. « Bene, allora, che l’Operazione Cigno Bianco abbia inizio. »

 
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Come se non mi bastassero tutte le fanfiction che ho nel cassetto e tutte le originali, mi metto a scrivere anche su Once! Beh, dopo la 5x08 credo di aver iniziato ad avere un attaccamento morboso per Killian, e questa è la prima che posto, di fanfiction, perché ne ho pure un'altra, che si chiamerà "Swan Song", e che spero di pubblicare presto :3
Ma veniamo a questa storia, a questo AU dove non c'è magia, tutti vivono felici e contenti, tranne Henry ed Emma. Sì, lo avrete immaginato, essendo un AU ed essendo i protagonisti i Captain Swan. Henry non è il figlio di Neal, che comunque penso apparirà a un certo punto, ma qui si esplorerà il dolore della perdita, le incomprensioni, e si capirà come si è arrivati fino a qui. Non mancheranno momenti angst e fluff - anche se prima dell'arrivo di Killian dovrete aspettare il terzo o quarto capitolo v.v
Dal titolo che ho inserito, per gli shipper CS sarà facile capire che è ispirata da The Words di Christina Perri che adoro e sto tipo ascoltando con il ripetitore da giorni.
Non credo di aver altro da aggiungere, se non una precisazione: Robin e Regina sono i veri genitori di Roland, niente Marian qui. Dopotutto è un AU, quindi tutti i nostri desideri possono avverarsi. O almeno i miei lol
Baci a tutti, e cercate di non morire davanti a Dark Hook che già ci penso io ad avere millemila infarti,
blue

 
   
 
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