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Autore: ellephedre    01/03/2009    26 recensioni
Come è nata la relazione tra Usagi e Mamoru? Una commedia romantica con punte di divertimento, ambientata appena dopo la saga di Ail e Anne e prima dell'arrivo della Luna Nera.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny | Coppie: Mamoru/Usagi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Seconda serie
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Oltre le stelle Saga' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Sailor Moon - Dentro di noi Note:
- Lo scopo di questa storia è riempire il periodo tra la fine del primo arco della seconda serie (Ail e Anne) e l'inizio del secondo (Chibiusa e Luna Nera). Ovvero far capire come Mamoru e Usagi sono riusciti a mettere in piedi la loro relazione. Non so, ho sempre pensato che non sarebbe stato proprio facilissimo. Questa storia non vuole in alcun modo essere drammatica, comunque, non preoccupatevi. Non prevedo più di due o tre capitoli per questa fanfic.
- Non ho perso l'ispirazione per 'Acqua viva', ma ho avuto molto da fare in questo periodo. Dopo mi è venuta in mente questa storia e ho voluto scriverne subito. Ma ho già pronto del materiale sia per la storia su Ami sia per il sequel di 'Oltre le stelle', se ve lo state chiedendo.
- Natsumi = Michelle, Manami = Jo


DENTRO DI NOI

Autore: ellephedre

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.



«Ti ricordi tutto!» Usagi non riuscì a stargli lontana per più di un altro secondo; neanche il contatto del viso col petto di lui frenò le lacrime.
Non voleva smettere di piangere. Le lacrime di gioia sulle guance, le braccia di lui che la stringevano... aveva atteso tutto troppo a lungo.
Era un'altra fine, ma aveva pochi punti in comune con la drammatica conclusione della precedente guerra che avevano combattuto: i nemici contro cui aveva lottato questa volta lei li... comprendeva. Non erano che due ragazzi soli, ora consapevoli di amarsi e di poter vivere d'amore.
Dentro una bolla trasparente, con in mano il germoglio dell'albero che aveva dato loro ogni energia, salutarono lei e gli altri, partendo alla volta dello spazio.
Mentre si dileguavano nel cielo, Usagi rimase a contemplarli.
Le mani che aveva sulle spalle la strinsero appena, ricordandole chi aveva finalmente accanto. Sorrise. «Saranno sicuramente felici, non credi?»
«Sì, ne sono certo.» La dolcezza con cui non le aveva mai parlato prima le scaldò il cuore.
Piena di gioia, si girò verso di lui. «Spero che anche noi-»
Vennero circondati da un coro di voci amiche. «Che fortunelli!»

Ahh, non erano soli!
Lei e Mamoru si staccarono di colpo.
Minako ridacchiò. «Vi stavate mettendo in mostra, su, non smettete!»
«State veramente bene insieme.»
Ami sorrise benevola a entrambi.
Makoto si poggiò le mani sui fianchi. «Sono gelosa!»
«Ho deciso
!» Rei attaccò il pavimento con un piede. «Mi troverò anche io un fidanzato!»
Minako tirò fuori la lingua. «Che dici, Mamoru stesso non sarebbe male, no?»
Eh? «No no e no, potete scordarvelo!»
«Stavo solo scherzando!»
Rei alzò le mani in aria. «Va bene va bene, basta con le burle.» Guardò lei e Mamoru. «Sono felice per voi, ragazzi.»
Annuirono tutte quante.
Usagi si sentì arrossire. Non poteva crederci nemmeno lei; finalmente, finalmente poteva stare insieme a Mamoru!
«Ehm...» Tossicchiando, Ami attirò la loro attenzione. «Il palazzo è completamente distrutto, credo che tra poco arriveranno i vigili del fuoco. È meglio andare via.»
«Sì» Mamoru vagò con lo sguardo lungo il pavimento pieno di detriti. Trovò quello che cercava e si mosse in quella direzione.
Usagi lo osservò raccogliere da terra la propria giacca, con movimenti faticosi... lenti.
Gli corse incontro. «Non ti sei ancora ripreso, aspetta, ti aiuto io.» Lo spinse a metterle un braccio attorno alle spalle, facendolo appoggiare su di sé come meglio poteva.
Mamoru cercò di mostrarle un sorriso tranquillo. «Non ti preoccupare.»
Come poteva non farlo? Lui l'aveva difesa col suo stesso corpo, prendendo in pieno continue scariche di energia e... senza la protezione di alcuna trasformazione. Non riuscì a trattenere la preoccupazione. «Forse c'è bisogno di un dottore...»
Ami si avvicinò a loro. «Verifico subito.» Tirò fuori il suo mini-computer e iniziò a digitare alacremente. «Hmm... no. Hai qualche livido, Mamoru, ma soprattutto sei debilitato. Hai bisogno di riposare.»
Makoto si fece avanti. «Se ti serve una mano, Usagi, posso aiutarti io a portarlo a casa.»
«No.
» Mamoru si staccò da lei, sorridendo. «Non è necessario che mi portiate in braccio. Fatemi prima provare una cosa.» Alzò una mano davanti a sé, col palmo aperto e rivolto verso l'alto. Nel viso gli apparve un'espressione di intensa concentrazione. Dal nulla, materializzò tra le dita una rosa rossa.
Usagi si lasciò scappare un'esclamazione di sorpresa: non l'aveva mai visto creare una delle rose che era stato solito lanciare.
Lui fece roteare il fiore con un rapido gioco di dita. D'improvviso, la mano gli si ricoprì di un guanto bianco e, sul resto del corpo, si ritrovò ad indossare il costume di Tuxedo Kamen.
Quanto le era mancato vederlo in quelle vesti.
Lo sentì inspirare profondamente e spostare il peso da un piede all'altro. Infine annuì sovrappensiero, rivolgendosi a tutte loro. «Ce la faccio. Col costume riesco a muovermi da solo.»
«La trasformazione sta solo attenuando gli effetti della tua condizione»
puntualizzò Ami. «Devi riposare comunque.»
«Sì, ora vado a casa.»
Non da solo. «Ti accompagno. Ragazze, ci vediamo... domani.» Per un attimo aveva contemplato l'idea di incontrarle più tardi, ma... no, voleva stare con Mamoru per tutto il tempo possibile.
Rei le rivolse un sorriso consapevole, abbassandosi a prendere Luna da terra. «Sicuro. Prenditi cura di te, Mamoru. Noi andiamo.»
Le altre annuirono e salutarono anche loro, seguendo Rei giù dal tetto.
Lei tornò a guardarlo. «Tentiamo le scale o ce la fai a saltare giù dai balconi?»
«Vanno bene i balconi. Da quella parte.» Le indicò il suo appartamento con il movimento distratto di un braccio.
Confusa, rimase a fissarlo. «Lo so.» Era andata a casa sua quando avevano fatto da babysitter al piccolo Manami, sapeva bene dove abitasse.
Mamoru le sembrò sorpreso; per un attimo, persino scosso. «Giusto. Andiamo.»
Gli andò dietro e fu solo a metà strada che comprese il motivo di quell'errore: Mamoru aveva fatto confusione tra le due memorie che aveva in testa. Per quel che ricordava lui, l'aveva conosciuta due volte.

Era ancora giorno, perciò individuarono un posto isolato poco lontano dall'edificio dove si trovava l'appartamento di lui.
Una volta certi di non avere attorno occhi indiscreti, sciolsero entrambi la trasformazione.
Senza che lui lo chiedesse, Usagi lo fece di nuovo appoggiare contro di sé.
Era veramente esausto, del tutto spossato: si appoggiava a lei anche quando cercava di non farlo.
Il tragitto verso il suo appartamento fu breve, ma farlo arrivare in piedi fino all'entrata di casa non fu comunque facile. Lui impiegò più tempo del necessario ad aprire la porta e, una volta dentro l'appartamento, lei fece un ultimo sforzo, accompagnandolo fino al letto.
Mamoru vi si lasciò quasi cadere. «Scusami.»
Il sussurro era stato abbastanza forte da essere udito. Usagi si chinò sopra di lui. «Per cosa? Stai bene e hai solo bisogno di riposarti.
» Appoggiò una mano sul letto accanto a lui: non aveva ancora il coraggio di toccarlo. «Non c'è niente di cui scusarsi.»
Gli angoli della bocca di Mamoru accennarono ad alzarsi mentre chiudeva gli occhi. Occhi blu che si riaprirono subito, focalizzandosi su di lei. «Scusami.»
Le nuove scuse erano state diverse, più sofferte.
Usagi si sedette sul bordo del letto. «Per cosa?»
«Per... Beryl, per il modo in cui mi sono fatto-»
Gli accarezzò il viso, scostandogli i capelli dalla fronte. «No, va tutto bene.» Scosse appena la testa, cercando di infondere nella propria espressione la pienezza del sentimento che provava nei suoi confronti. «Pensa solo a riposare. Io... rimarrò qui finché non ti sarai addormentato.» Si sentì stringere una mano e ricambiò delicatamente il tocco.
Non ci vollero che pochi istanti: Mamoru si addormentò quasi subito.
Lei rimase ferma a contemplarlo, a guardare i tratti innocenti che... erano davvero tali: lui non aveva alcuna colpa per ciò era accaduto con Beryl. Era stato influenzato in punto di morte, senza alcuna barriera che potesse proteggerlo dal potente attacco mentale dei loro nemici.
Doveva parlargli, fargli capire che lei non lo considerava in alcun modo responsabile. Come avrebbe mai potuto dare la colpa a lui?
E poi adesso era lì con lei e... sospirò d'improvvisa gioia. Era stato così difficile parlargli in quelle settimane, cercare di entrare nella sua vita, sapere che lui non ricordava nulla di ciò che avevano passato insieme. Il dolore l'aveva colpita come una fitta ogni volta che lo aveva guardato negli occhi e si era vista riflessa come un'estranea.
Ma ora... ora era tutto finito: Mamoru ricordava tutto.
E la amava. Ogni parola, ogni tocco e ogni sguardo lo dichiaravano.
Lasciò scorrere le tracce del pianto sulle guance e non si preoccupò di asciugarle: tanta felicità era preziosa, insperata.
Aveva vissuto il loro amore solo in un'altra epoca, ma lo sentiva dentro di sé come se il sentimento appartenesse da sempre a quella stessa vita. E pensare che lei non lo aveva nemmeno mai... baciato. Già, nonostante tutto ciò che significavano l'uno per l'altra, non lo aveva mai...
Rise.
Era finita. Erano liberi di stare insieme, di amarsi.
La gioia offuscò le ultime lacrime. Si chinò su di lui e gli sfiorò la guancia con le labbra.
Inalò un profumo che era stato caro, che sarebbe stato infinitamente caro; non resistette e gli strofinò il naso sulla pelle, cercando di riempirsi di lui. Finì col disturbargli il sonno, ma persino il breve lamento fu fonte di ulteriore contentezza.
Sorrise un'ultima volta.
Basta, avrebbero avuto una vita intera per stare insieme.
«Ora tu devi solo dormire bene.»
Si alzò e si diresse al balcone. Con un'ultima occhiata verso la stanza, richiuse la vetrata dietro di sé.

Mamoru si svegliò, il sole sul viso. Quando la luce gli arrivava fin negli occhi, era sempre tarda mattina.
D'istinto, si voltò guardare la sveglia: le dieci.
Strano, di solito si alzava prima. Inoltre la testa gli girava un po' e il corpo gli doleva in più punti.
Ma cosa... Usagi!
Scattò seduto sul letto.
Usagi!
Ail e Anne, l'albero della vita, il Cavaliere della Luna, le guerriere Sailor... i cristalli dell'arcobaleno, il cristallo d'argento, Beryl, Usagi... Usagi.
Usagi.
Serenity.
Usagi.
Era viva.
Era sopravvissuta alla battaglia con Metallia.
Appoggiò la fronte su una mano e cercò di schiarirsi le idee: era stato come... risvegliarsi appena dopo la battaglia contro Beryl. I ricordi erano tornati tutti insieme.
Scosse la testa. Il giorno prima non aveva avuto il tempo o l'energia per processarli completamente. Solo un fatto era sempre stato chiaro, una cosa sola non aveva mai avuto bisogno di essere spiegata.
Ricordò la forza con cui l'aveva stretta, il bisogno di sentirla contro di sé. Sì, non c'era stato bisogno di alcun ragionamento per rendersi conto di... amarla.
Usagi. Sailor Moon. Serenity.
Per tutto ciò che era successo con Beryl, le aveva rivolto delle scuse... patetiche. La parola non era sufficiente a descriverne l'inadeguatezza, eppure Usagi l'aveva guardato come se fosse tutto a posto.
Abbassò lo sguardo sul pavimento: Usagi aveva il cuore più grande che avesse mai conosciuto.
...
E lui... non sapeva nemmeno se lo meritava.
Si mise in piedi. In bagno, grazie all'acqua sul viso e giù per la gola, uscì dal torpore in cui si era svegliato.
Usagi.
Doveva andare a trovarla.
Sospirò di frustrazione: non sapeva nemmeno dove abitava.
Per dirle cosa, poi?
Che l'amava. Lei doveva assolutamente saperlo.
... probabilmente, lo sapeva già.
Nella mente iniziarono ad affollarsi una serie di ricordi, di episodi: lui che la chiamava quasi sempre e solo Testolina Buffa. Lui che rifiutava la sua compagnia, che rifiutava i suoi tentativi di avvicinarglisi.
Lui che la prendeva in giro, che non la prendeva sul serio.
Lui che si preparava a recitare una scena d'amore con Natsumi. Lui che portava dei fiori a Natsumi.
E la faccia che lei aveva avuto in quei momenti.
E prima... ancora prima, nell'altra 'vita'.
Chiuse gli occhi.
Allora si era comportato persino peggio.
L'aveva presa in giro in maniera spietata; le aveva rivolto frasi canzonatorie ogni volta che la incontrava, neanche lo stessero pagando.
Rei. Dannazione, era uscito con una sua amica.
Infine arrivò il peggior ricordo tra tutti: lui che si preparava a farle del male, nelle vesti del comandante di Beryl.
Non aveva alcuna scusante: in quel momento aveva già saputo di lei, aveva già avuto coscienza del loro passato, eppure si era lasciato vincere ugualmente.
Non aveva scuse neanche per le settimane più recenti: una parte di lui, quella che aveva continuato a difenderla, era stata consapevole del loro passato comune. Quella parte si era materializzata fino a diventare un'essenza capace di proteggerla, ma non era sparita del tutto, da dentro di lui. In fondo se n'era reso conto: aveva provato qualcosa di diverso per lei, di indefinibile, eppure... non aveva indagato. Aveva preferito continuare con la sua vita.
Alzò la testa e si guardò allo specchio.
Forse non la meritava davvero. Forse non meritava la possibilità che avevano ora.
Quando era morto, appoggiato sulle sue ginocchia, colpito a morte e sanguinante, con l'ultimo pensiero aveva pregato perché lei potesse essere felice. Aveva solo sperato che un giorno potesse trovare qualcuno che l'avrebbe amata come meritava.
Qualcuno che... la meritasse.
In quel momento scoprì qualcosa di importante su stesso, una parte di sé che non gli piacque molto: non sarebbe riuscito ad essere tanto nobile. Forse non la meritava, ma non sarebbe stato in grado di starle lontano ugualmente.
Si diresse in cucina.
Giusto perché ancora non si sentiva del tutto in forze, mise in bocca tre biscotti e del latte. Il caffè lo lasciò stare, non era il sonno a mancargli dopo più di sedici e passa ore trascorse a letto, a dormire.
Si vestì rapidamente con i primi indumenti che gli capitarono sotto mano.
Sarebbe andato al santuario di Rei.
Aveva scoperto per caso che Rei abitava proprio al santuario che aveva recentemente visitato ed era l'unica pista che poteva seguire: d'altronde, lei doveva sicuramente sapere dove abitasse Usagi.
Afferrò le chiavi e, una volta fuori casa, si ricordò solo quando era ormai in mezzo al corridoio del pianerottolo che non aveva chiuso la porta. Tornò indietro per occuparsene, dirigendosi poi a passo più rapido verso l'ascensore. L'indicatore lo segnalava occupato.
Si era ormai spostato sulle scale quando il suono di apertura delle porte lo fermò. Dall'interno, brillò il biondo di capelli che conosceva molto bene.
Si bloccò.
Usagi rimase ferma davanti all'ascensore. D'improvviso, si voltò verso di lui. E... non disse nulla.
Si guardarono per lunghi istanti, entrambi senza pronunciare parola.
Non... non aveva pensato a cosa dirle, a come iniziare una conversazione.
A spiazzarlo fu soprattutto la nuova consapevolezza che aveva di lei. Era come avere davanti tre persone diverse. La Usagi del periodo di Beryl, la Usagi di quelle settimane e... la Usagi che amava.
Con lei si era comportato in modo diverso ogni volta. Parlare solo all'ultima Usagi, sapendo come aveva trattato le altre, sembrava tanto poco...
No. Usagi era una sola. Unica.
Fu lei a fare il primo passo, a sorridere, sospirando di sollievo. «Allora stai bene.»
La sua voce. Io l'ho già trovato il ragazzo che fa per me. Così gli aveva detto, mentre lui moriva, tra le sue braccia.
«... stai uscendo?»
Percepì l'esitazione nel tono indeciso.
Per forza, lui ancora non aveva ancora fatto uscire una sola sillaba. «Stavo... venendo a cercarti. Non sapevo dove abitavi.»
Il viso le si illuminò; con poche e sbrigative parole gli comunicò il suo indirizzo di casa. «Ah sì, poi il numero di telefono! Però dimmi il tuo prima. Non sono brava a ricordare i numeri, ma questo non lo dimenticherò di certo.» Gli mostrò ancora una volta quel sorriso tanto... carino.
Non glielo aveva mai visto in volto, eppure non faticò a comprendere che doveva essere un'espressione naturale per lei: doveva essere il tipo di sorriso che Usagi riservava a chi amava. E lui... lo vedeva per la prima volta, solo in quel momento.
Fino a quando non si era ricordato di amarla in una precedente vita, non l'aveva apprezzata abbastanza da farsi guardare in quel modo da lei.
La meritava?
Non riuscì ad evitare un'espressione di sofferenza, anche se per poco. Si schiarì la mente con un rapido movimento della testa. «Vuoi uscire o preferisci entrare in casa?»
«... come vuoi tu.»
Usagi era tornata a guardarlo con incertezza, gli occhi spenti.
Doveva pensare a lei, doveva farla felice. E lei sembrava volere lui, almeno questo lo sapeva.
Tutto quel poco che aveva, quel poco che era, lo avrebbe dato a lei.
Le tese una mano.
«Torniamo dentro.»
Usagi tornò immediatamente ad illuminarsi, incrociando le dita con le sue.
Una volta in casa, la fece accomodare sul divano. «Vuoi qualcosa da... mangiare?» Non che avesse molto in cucina.
Lei scosse la testa e... rimase a fissarlo, negli occhi la sensazione di una nuova scoperta.
«... Cosa c'è?»
«Ecco... penserai che sono una sciocca, ma è... strano. Da una parte vorrei-... però non...»
Lui ne fu genuinamente sorpreso: neanche Usagi, sempre tanto spontanea e spigliata, sapeva cosa dire.
Si... somigliavano. Era la prima volta che pensava una cosa del genere, ma il pensiero lo rallegrò parecchio. Sì,
avevano qualcosa in comune, anche lei era invasa da un'incertezza non dissimile dalla sua. Per lui la sensazione terminò in quel momento: non poteva vederla dubitare di loro due, di ciò che c'era tra loro. Parlò senza pensare. «Posso abbracciarti?»
Il rossore le accese le guance e il sorriso si fece vedere solo dopo, ma conquistò rapidamente l'intera espressione. Prima che lui fosse riuscito a fare un solo passo,
fu proprio lei a colmare la distanza tra loro.
Mamoru conosceva ogni particolare di quell'abbraccio: l'odore di lei, quanto riusciva a circondarle la vita con le braccia, quanto doveva abbassare la testa per appoggiarla su uno dei morbidi chignon. Eppure... era la prima volta che la stringeva così: era il suo corpo a ricordare ancora cosa si provasse ad amare Serenity.
La consapevolezza era lì, presente, ma, in quel momento, era Usagi che lui stava abbracciando.
Cominciò a sentire dei sussulti, simili a singhiozzi. Si scostò fino a poterla guardare in faccia e la trovò che piangeva... con un sorriso piantato in volto. Sorriso che si fece presto risata.
«Sono così felice.»
Quanto era tenera... e buffa. Iniziò a ridere a sua volta, senza riuscire a frenarsi. I sussulti di spontanea felicità li percorsero entrambi come lenitive carezze.
Assurdo come, neanche poco prima, fosse sembrato tutto talmente tanto complicato.
Usagi si staccò da lui, coprendosi il naso con la mano. Negli occhi che lo guardarono, brillanti per la felicità e le lacrime versate, c'era ora anche una punta di imbarazzo. «Ehm... hai qualcosa per...» Mosse la mano libera vicino al viso coperto.
Lui comprese cosa stava cercando di dirgli e si diresse in cucina. Tornò da lei con un tovagliolo e glielo porse. Fece di tutto per evitare di ridere, ma non ci riuscì appieno.
Usagi si asciugò il naso. «Sì, lo so, sono un po' un disastro... un po' tanto. Ma questo già lo sai.» Lo guardò, dubbiosa. «Ammetto che un po' mi merito il nomignolo che mi hai dato.»
«Testolina buffa?»
In volto le nacque un cenno di risentimento.
Lui si affrettò a spiegare. «Scusa, non l'ho mai inteso in maniera davvero negativa. Né questo né il resto.» Si sedette su uno dei braccioli del divano. «Credo che... Un po' ero invidioso di quanto eri... viva rispetto a me. So che ti sembro uno che prende in giro la gente, ma... è una cosa che ho cominciato a fare solo con te.»
Nessuna lo aveva mai spinto a comportarsi in un modo simile, prima di Usagi. Già, forse un atteggiamento del genere non era proprio un complimento, per lei.
Usagi però sorrideva di soddisfazione. «È bello sentirti chiedere scusa. Non sono mai riuscita ad averla vinta con te.»
Non era mai-? «Ci sei riuscita più volte di quante immagini. Ogni volta che ti prendevo in giro mi sentivo tornare alle elementari, ma non riuscivo comunque a smettere.»
Lei ridacchiò.
E... rimasero semplicemente a guardarsi.
Fu quel momento a fargli scoprire che era in grado di farla arrossire molto facilmente: bastava guardarla, a quanto pareva.
Usagi emise un paio di risatine accompagnate da un delizioso rossore; si portò una mano dietro la testa. «Ecco... non so bene cosa fare adesso. Voglio dire, so che dopo quello che abbiamo passato ora dovrebbe essere tutto così... naturale. Ma...
» Alzò un dito in aria, colpita da un'idea. «Aspetta aspetta, ho capito! Dobbiamo uscire insieme.»
Beh, non era una cattiva ide-
«Ahh, che sciocca! Torniamo indietro. Dovevi chiedermelo tu.»
Non la stava più seguendo. «Cosa?»
«Di uscire insieme, no? Ho sempre voluto sentirmelo chiedere dal ragazzo che avrei amato e non posso proporlo io, rovino tutto.» Prima ancora di riuscire a ridere, lei si tappò la bocca con una mano. «No, non dovevo dire nemmeno quello. Cioè, è chiaro che io-... però volevo-» Stava entrando in crisi.
Mamoru la interruppe. «Facciamo finta che tu non lo abbia detto. Faremo le cose per bene, non ti preoccupare.»
La invasero ondate di sollievo, persino lui fu in grado di capirlo.
«Sì.»
«Possiamo cominciare imparando cose fondamentali l'uno sull'altra. Vorrei che mi parlassi di te. E io farò lo stesso.»
Usagi schioccò le dita. «Hai ragione, che sciocca! È solo che, in un certo senso, mi sembra di conoscere già tutto di te.»
Mamoru comprendeva molto bene cosa intendesse dire. Ad altri livelli, si conoscevano da sempre. «È vero. Però ad esempio non sapevo dove vivevi.»
«Giusto, giusto.
» Usagi affondò un dito in una guancia. «Allora comincio io. Hmm... frequento la terza media, ma questo lo avrai già capito. Ho quattordici anni e anche questo lo sai. Vivo con i miei genitori e mio fratello. Ho solo Luna come animale domestico, anche se è più la mia padrona domestica.» Fece una pausa. «Sono Sailor Moon da circa sei mesi. Ho conosciuto Rei, Ami, Minako e Makoto così. Ho un'altra cara amica di nome Naru. Hmm...» Arrossì d'imbarazzo e abbassò lo sguardo. «Non sono molto brava a scuola. Scusa. Cercherò di impegnarmi.»
«Non ti preoccupare.» Era ben lontano dal ritenerla 'inferiore'. Come se, sapendo tutto ciò di cui era stata capace, un particolare come la scuola potesse essere importante. Comunque, se aveva dei problemi, poteva aiutarla lui.
Alzò lo sguardo su di lei e comprese che era arrivato il proprio turno. «Io... della mia famiglia lo sai.»
Usagi annuì.
«Ho diciassette anni e-» Si interruppe, notando lo sguardo di sorpresa.
«Pensavo ne avessi almeno diciotto. Sei al primo anno di università come Motoki, no?»
«Sì, ma ho saltato un anno.»
«Saltato?»
«Alle elementari, sono andato di un anno avanti. Andavo bene, perciò mi hanno fatto saltare una classe.» Fu costretto a trattenersi dal ridere, perché l'espressione di lei fu molto comica.
«Sei andato avanti di un anno perché eri bravo? Ora capisco perché mi prendevi sempre in giro: sei un genio in confronto a me.»
In quel commento non trovò nulla di divertente. «Scusami.»
«Per cosa?»
«Per le prese in giro.»
«Non ha importanza, le scuse di prima bastano. E poi ti insultavo anche io, no?»
«Solo dopo che lo aveva fatto io.»
«In effetti...» Ridacchiò. «Sai l'altra volta, quando curavamo il piccolo Manami? Ecco, avevo finito col pensare che... un po' mi stavi antipatico.»
Mamoru sapeva che avrebbe dovuto aspettarsi una confessione del genere. Nemmeno poteva definirla tale, in fondo: era stato più che palese che non fosse mai stato tra le persone preferite di Usagi, lui stesso aveva fatto in modo di non esserlo. Eppure sentirglielo dire ad alta voce fece ugualmente male.
Lei sembrò accorgersene. «Oh, ma ho già capito che è solo una parte del tuo carattere. E poi anche io ho un sacco di difetti: sono immatura, pigra, disordinata, infantile... per nulla perfetta. Il tuo carattere lo conosco, Mamoru. Mi piace. Continua a parlarmi di te.»
Forse non era perfetta, ma la sua capacità di perdono la poneva un gradino sopra tutti gli altri.
Col cuore un po' più leggero, lui le raccontò di come si era ritrovato a vivere da solo, di come aveva scelto di studiare medicina e di come avesse conosciuto Motoki. Di tanto in tanto Usagi lo interrompeva con alcune domande, ma era sostanzialmente lui a parlare. Mentre le svelava la sua vita, si rese conto di non aver mai raccontato se stesso a qualcun altro in quel modo. Nemmeno con Motoki era stato così. Poteva definirlo il suo unico amico, ma anche a lui aveva dato solamente un quadro a sprazzi del suo passato e solo in seguito ad una lunga attesa.
D'improvviso, Usagi assunse un'espressione sbarazzina. «Hmm... e a parte Rei, quante altre ragazze hai avuto? So che è una domanda sciocca, ma se devo essere sincera, voglio proprio saperlo.»
«Con Rei siamo solo usciti qualche volta, non c'è stato niente. Te l'avrà detto anche lei.»
«Sì, però volevo sentirlo anche da te. E... altre ragazze?»
«No, nessuna.»
«Nessuna?» Le sentì nella voce un misto di contentezza e... divertimento.
Non comprese. «Non dovrebbe farti piacere?»
«Sì sì... è solo che non riesco a capire.»
Cosa c'era da capire?
«Voglio dire, se... se io avessi avuto una vita più normale, so che avrei fatto di tutto per trovarmi un ragazzo prima di finire le superiori. E tu, col tuo aspetto... non riesco a capire, tutto qui.»
«Col mio aspetto?» Iniziò a divertirsi a sua volta.
«Sì, ecco... perché ridi così? Vuoi farmelo dire, vero?»
«No, se non vuoi.» Era come se lo avesse già fatto. Mamoru sorrise apertamente, senza riuscire a trattenersi.
In un certo senso la stava prendendo di nuovo in giro, ma comprese che non le dava davvero fastidio. Non ora che sapevano bene entrambi ciò che provavano.
Si sentì... a proprio agio. Improvvisamente.
C'era sempre stato dentro di lui un sentimento profondo per qualcuno che non aveva mai davvero conosciuto. Prima per la Serenity dei suoi sogni, poi per Sailor Moon. Era un sentimento che non aveva mai trovato spazio all'interno della sua vita quotidiana, ma da quel momento in poi sarebbe stato diverso: ora rideva e scherzava con Usagi, non con Serenity, che aveva amato ma che non aveva mai davvero conosciuto, almeno in quella vita.
«Sei molto bello. L'ho sempre pensato, sei contento ora?»
Mamoru scoppiò a ridere: la faccia di lei non aveva eguali!
«Uffa, che cattivo che sei!»
Per smettere si dovette colpire il petto con un pugno. «Scusa.» Riuscì a calmarsi un po'. «È che hai la stessa espressione di quando litigavamo, quando 'perdevi'.»
Usagi aveva le braccia incrociate sul petto, in volto un'espressione di divertito risentimento. «Beh, in un certo senso ho perso. Sono sicura che tu non pensi di me quello che io penso di te.»
No, non era come credeva lei. Iniziò a parlarne ma fu subito interrotto.
«Non voglio che tu me lo dica solo per farmi contenta. So che non sono brutta, che sono persino carina. Ma l'importante è che... ti piaccio anche io. Va bene così.»
Già, aveva voluto dirle qualcosa di molto simile: Usagi sarebbe stata molto bella in futuro, anche se lei non se ne rendeva ancora conto; il suo limite al momento era solo l'età, ma a lui non importava: per ora la trovava già molto carina.
Ed era felice che lei pensasse così bene del suo aspetto, anche se la sua faccia per lui era semplicemente... una faccia. Non le aveva mai dato particolare importanza: non serviva a molto quando non si era granché interessati ad avvicinarsi ad altre persone.
«Sì.» Attirò l'attenzione di lei con quell'unica parola. «Mi piaci molto.»
Come si era aspettato, quel commento la fece arrossire.
Usagi sapeva molto bene di piacergli, ma era quel tipo di ragazza che avrebbe amato sentirselo dire, a cui sarebbero piaciute un certo genere di... romanticherie.
Non erano proprio il suo forte, tuttavia valeva la pena di fare uno sforzo.
Sforzo... già.
Fece un passo in avanti, per affrontare un punto che avrebbe potuto essere problematico in futuro:
in lui non c'era una naturale predisposizione alle relazioni personali. Con Usagi le cose erano state molto più semplici che con chiunque altro, tuttavia... «Usagi. Avrai già capito che io... Io ho un problema con le persone. Motoki è mio amico solo perché si è sforzato per diventarlo. Io... non sono bravo a rapportarmi con ciò che provo per gli altri, né sono abituato a esprimerlo. Te lo sto dicendo perché temo che anche se ci proverò, ci saranno momenti in cui quello che vorrò farti capire non sarà sempre chiaro. O forse non intuirò quello che vorrai farmi capire tu. E... vorrei che me lo dicessi, in futuro. Se vorrai qualcosa da me e non ci arriverò... dimmelo. Perché l'unica cosa che vorrò io sarà-»
Notò la risata serena di lei, quella che, d'un tratto, le conferì una saggezza molto oltre i suoi anni.
A cavarsela con i propri sentimenti, d'altronde, Usagi doveva essere secoli davanti a lui.
«Ho capito.» L'espressione le si fece... dolce. «Allora io vorrei... se sei libero oggi... esci con me?»
Come? «Non dovevo chiederlo io?»
Lei scosse la testa. «Era una sciocchezza, non m'importa più. L'importante è stare insieme.»
Colpito, Mamoru rimase in silenzio. Gli era bastato solo... chiedere e Usagi aveva mosso un passo verso di lui. Fu strano sentir colmare un vuoto che non aveva mai saputo di avere. Usò la tattica di prima e le disse comunque quello che lei già sapeva. «Oggi ho la giornata libera e vorrei passarla con te. Vuoi uscire insieme?»
E, con quel passo verso di lei, si incontrarono al centro.
La luce sul viso di Usagi illuminò la stanza, oltre la stessa luce del sole. Gli corse incontro fino ad aggrapparsi al suo braccio e annuì con la testa su e giù, ridacchiando e stringendolo.

E fu così che iniziò il loro primo appuntamento.


CONTINUA...

   
 
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