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Autore: Jay_Myler    28/11/2015    3 recensioni
Questa è una fan fiction su Mass Effect, facendo riferimento al secondo per la precisione; non credo che tutti guardino ad avere una sotto trama amorosa nel gioco, ma io la trovo una componente abbastanza importante, che aiuta ad avere un profilo psicologico più completo del comandante Shepard. Nel gioco c’è la possibilità di proporsi a quasi tutti i componenti del proprio equipaggio, ciò implica che la maggior parte di loro siano attratti o comunque nutrano un certo qual interesse verso il nostro personaggio, ed essendo un gioco la vediamo solo come una opportunità, invece non ci si pensa che tutto ciò nella vita reale potrebbe mettere molto a disagio proprio come persona; sarà anche bello essere corteggiati, ma quando si nota che la maggior parte delle persone che ti circondano potrebbero avere un doppio fine, non credo sia così piacevole come si pensi in realtà. Proporrò una piccola introduzione iniziale per spiegare le cose di Shepard, la sua carriera ed il suo passato, non rimarremo completamente ancorati al gioco, faremo come una romanzata (al mio solito) su questo splendido gioco, e la metteremo un po’ sul liberamente tratto.
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Garrus Vakarian, Jack, Jeff Joker Moreau, Thane Krios, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Luce soffusa ed incredibilmente fredda riempiva la stanza; la luce che emetteva l’acquario era di un gelido celeste che rendeva buona parte della cabina simile ad uno scorcio di cielo limpido e sereno, uno di quelli che si vede soltanto negli olofilm sulla Terra; dal soffitto entrava un strana luminescenza più che una luce vera e propria, il manto dell’universo, cosparso di piccoli diamanti gassosi,  donava più atmosfera che una vera e propria illuminazione, il vero lavoro era fatto dal lampadario centrale, sul soffitto, impostato ad intensità media. Sopra il letto, con la testa poggiata sulla spalliera, c’era il comandante Shepard, in uno dei suoi pochi momenti di tranquillità sulla sua nave, nella sua cabina, lontana da qualsiasi missione suicida stesse compiendo. Ma quanta di quella tranquillità era reale? Chi poteva negare che quella non fosse la calma prima della tempesta?
La minaccia dei Razziatori era sempre più presente e reale, ma allora perché tutti sembravano così tranquilli nel vivere le loro vite, fingendo che quello che successe due anni prima non fosse accaduto per mano di questi nuovi esseri senzienti, esseri antichi più dei Prothen, che volevano portare la distruzione completa? Per quale motivo si dava la colpa ai mezzi con cui era avvenuto l’attacco, ossia i Geth e non ai mandanti? Come mai lei poteva trovarsi proprio in quel momento, su un letto morbido e candido ad avere il lusso di potersi porre domande e pensare in libertà a quello che voleva; come poteva esserci una minaccia così imponente là fuori se lei aveva il tempo e la premura di avere dei pesci nel suo acquario personale? Aveva anche un criceto, delle riviste che sfogliava dopo la doccia o prima di andare a dormire, una vetrinetta piena di miniature delle navi che collezionava, aveva perfino qualche lettura un po’, come dire… alternativa alle sue notti solitarie, eppure il punto era sempre lo stesso: come mai l’Universo, che stava per essere stravolto, sembrava comportarsi così normalmente nel quotidiano, invece tutto sembrava scorrere con frenesia in missione e quando tornava sulla sua nave era tutto come prima, lento e gestibile. Sulla Normandy era lei a decidere cosa fare, era lei che gestiva il tutto e supervisionava e l’ambiente si era preposto ad essere questa sorta di bolla asettica, lontano dal disastro incombente, omologandosi al resto dell’esistenza che fingeva di avere tutto sotto controllo. Questa non era la cosa che la infastidiva maggiormente, anche se avrebbe dovuto esserla; iniziò a sciogliersi i capelli dalla treccia in cui li acconciava sempre, facendo scoprire la reale notevole lunghezza dei suoi capelli. Nessuno oltre i suoi genitori e chi l’aveva ricostruita geneticamente, la aveva vista con i capelli sciolti; era da quando aveva preso servizio che li portava gelosamente attaccati in una lunga treccia, che in missione arrotolava sulla stessa per formare uno chignon adatto ad indossare il casco. Ormai l’atto di sciogliersi i capelli era diventato così privato, così intimo e personale per lei, che non si mostrava mai a nessuno senza un elastico che le mantenesse i capelli, quasi si vergognasse di quel simbolo di femminilità; nell’esercito dell’Alleanza c’era stata, fin dalla sua memoria, discriminazione verso le donne, viste più deboli fisicamente, non adatte mentalmente, non pronte ad affrontare grandi sforzi fisici o mentali dettati dall’addestramento; con le sue doti mentali e biotiche, Shepard si era da subito distinta e catalogata come migliore del corso, senza tener conto del sesso; era diventata soltanto Shepard, simbolo di correttezza e di perfezione, quasi una figura mitologica dopo la sua morte, senza ricordi netti del suo vero aspetto e senza genere. Ma lei aveva sconfitto la morte grazie a Cerberus, che l’aveva così finemente ricostruita e riportata in vita, come se mai nulla fosse accaduto; l’unico segno a farglielo tenere a mente, erano le cicatrici sul suo corpo.
Le cicatrici stavano effettivamente guarendo, dopo tutto quel tempo, anche se molto lentamente; considerando che non aveva voluto sottoporsi ad un intervento mirato, proposto dalla stessa dottoressa Chakwas, per rimarginarle definitivamente in breve tempo, il Comandante cercava costantemente di mantenere un pensiero positivo, così come le era stato suggerito come seconda scelta ed i risultati cominciavano ad essere visibili; quelle sul viso quasi non si vedevano più, ma lei le aveva sempre portate con orgoglio anche quando erano molto aperte e sfiguranti. Sulla sua coscia destra c’era ancora una cicatrice profonda ed agghiacciante alla vista; il guardarla le sembrava far tornare in mente tutti i dolori che non aveva mai vissuto da cosciente durante la ricostruzione del suo corpo. Ed i suoi capelli… erano proprio come se li ricordava prima dell’incidente, Miranda non si era fatta sfuggire nessun minimo particolare, quando l’aveva ricomposta a mo’ di puzzle. Ed ovviamente nei suoi due anni di degenza erano cresciuti ancora di più.
Si alzò dal letto ed andò nel bagno a sciacquarsi la faccia, non riusciva a dormire, magari rinfrescandosi sarebbe riuscita ad essere produttiva ed a compilare qualche rapporto arretrato. Si vide riflessa nello specchio, come sempre la sua immagine le rifletteva solo una ragazza nel fiore degli anni, molto bella e piacente, che non le porgeva mai un sorriso, che la fissava solo con i suoi occhi tetramente azzurri; vide ancora una volta le cicatrici sul suo corpo, poi quella sulla coscia, così si portò i capelli davanti essa per non vederla più. Ogni tanto quell’infinità di capelli era utile a qualcosa oltre che ad incorniciarle il viso in quella maniera così sublime, che nessuno aveva mai avuto la fortuna di vedere. Si andò a sedere davanti al suo terminale, convinta di cominciare ad essere attiva se proprio non poteva riposare; i pensieri continuavano ad affollarle la mente, invece. I modellini le riportavano soltanto nella mente ricordi, cose che erano successe con il suo vecchio equipaggio, come tutta la storia di Saren e lei non voleva ricordare; aveva passato così tante ore con Samara a farsi insegnare come meditare e convivere con i propri pensieri fino a dimenticarne il dolore, eppure ogni notte era sempre la stessa tortura. Appena il suo corpo toccava le lenzuola iniziavano le immagini nella sua testa, quelle del suo vecchio Tenente Capo e di quello che si era creato due anni prima.
La Justicar che aveva a bordo, le aveva detto cosa fare con la meditazione e come porsi mentalmente a quei ricordi, appena attuava le formule di meditazione asari ecco che sorgeva un problema ancora più grande, quel pensiero che in realtà la preoccupava davvero, l’unica cosa che non negava agli altri ma a se stessa, anche se ormai era troppo tardi.
Come si fa ad amare un uomo se sai già in partenza, che dovrà morire?
Con Kaidan era avvenuto tutto all’improvviso, sapevano che la loro missione era rischiosa, sapevano che quella relazione non poteva esistere, ma ormai un legame tra di loro si era instaurato, che lo volessero o no; poi era bastato davvero un attimo e tutto si era capovolto, rovesciato e lei aveva capito quanto quella cosa era sbagliata, quanto entrambi avessero contato troppo l’una sull’altro senza pensare alle conseguenze; una relazione che l’Alleanza avrebbe negato fino alla fine si era disintegrata tra le sue, ancora prima che potesse essere anche solo concretamente pensata e vissuta.
Si ricordava tutto.
L’aveva chiamata Joker, sulla sua radio interna della tuta, erano solo loro due a parlare; Jeff aveva la voce rotta mentre glielo comunicava,  Shepard non sapeva cosa fare; poteva tornare indietro a prendere Kaidan, attivare la testata e scappare via, di nuovo al sicuro sulla Normady, lasciando che il suo Capo Artigliere Williams finisse in trappola sotto il fuoco nemico e poi in polvere per l’esplosione, anche se si fosse salvata dall’imboscata non ci sarebbe stato modo di tornare a prenderla; lei ci avrebbe provato fino alla fine, in ogni caso, anche se tutto non lasciava sperare. Stava combattendo una guerra interna, non sapeva cosa pensare, ma soprattutto come pensare: come Comandante, come Shepard, come essere umano o come Cassidy? Nella frazione di un secondo si trovò a pensare a quasi tutta la sua vita, cercando di capire quale fosse la soluzione giusta. Quando capì, con la morte in seno, che non poteva lasciarsi alle spalle Kaidan, che quel gesto avrebbe portato alla morte la sua migliore soldatessa ed amica, Ashley William, pur sapendo che avrebbe costretto le sue sorelle a piangerla, successe qualcosa, che le tolse il respiro per quasi un minuto.
Era stato solo un frastuono per i primi tre secondi, dopo cinque secondi aprì gli occhi e realizzò che si trattava di una nave Geth, dopo sei secondi capì che quel colpo era destinato al comandante Shepard, a lei, che si trovava immobile sul tetto della base a pensare ai suoi rapporti personali, facile bersaglio e preda che per poco non faceva ammazzare anche gli altri membri del suo gruppo. Ma solo dopo i primi dieci secondi dopo il boato, Shepard si accorse di quello che in realtà era successo; una colonna era crollata proprio davanti la porta che l’avrebbe riportata indietro. Il sangue le si gelò nelle vene, le mancò il respirò e capì che il suo sacrificio era valso a nulla. Jeff la chiamò nella sua tuta; Shepard non rispose subito, ma appena ebbe la lucidità cercò di mettersi in contatto con Alenko.
Provò a chiamarlo, più volte, mantenne la calma le prime due chiamate, alla terza non risposta iniziò a sentirsi un nodo alla gola e gli occhi lucidi; il grande comandate Shapard stava perdendo la sua credibilità davanti alla sua équipe.
Joker la chiamò una seconda volta:
«Comandante, io… credo che le comunicazioni siano saltate con Alenko, dalla tua posizione.»
Shepard iniziò a riprendere il suo solito temperamento autoritario.
«Joker, dammi la posizione esatta di una strada secondaria per raggiungere il Tenente Capo Alenko.»
Joker non le rispose, sentì soltanto il brusio di una radio a cui non si vuole rispondere.
Una voce femminile interruppe il loro discorso.
«Comandante, sono Williams, continuiamo ad essere sotto attacco, cos’era quel frastuono?»
Non riusciva a crederci; poco prima Williams ed Alenko stavano litigando, ognuno di loro chiedeva a Shepard di salvare l’altro; quanta lealtà ed amicizia si era creata in quel gruppo? Abbastanza da fare sgretolare il tutto con amarezza.
Shepard chiuse il contatto con Williams.
«Joker, dammi la posizione di una strada secondaria per raggiungere Alenko.» questa volta la sua voce era spezzata.
«Comandante, se vuoi posso metterti in contatto con Alenko tramite la Normandy, se volessi dirgli…»
«Jeff, voglio quelle maledette coordinate!»
In quel momento sentì il suo cuore più fragile delle ossa di Joker, più pesante di quella testata che stavano per attivare, più a pezzi di quanto potesse essere quella dannata colonna che chiudeva il passaggio. Non ci fu occasione di salutare Alenko, Shepard fu presa di peso e portata fino al punto di incontro con la Normandy, solo dopo aver ripreso la sua proverbiale calma e Williams.
L’unica cosa che si sentì echeggiare per tutta la Normady fu la voce di Kaidan e le sue ultime parole.
Dopo, le urla di Shepard, che perse la sua dignità davanti a buona parte dei suoi alleati e poi il silenzio; fu quello che riecheggiò con più ridondanza e che fece più male di tutto.
Come si fa ad amare un uomo, sapendo che deve morire?
Lei non lo sapeva.
Sarebbe cambiato qualcosa se lo avesse saputo? Probabilmente no, ma lei voleva convincersi del contrario.
Dopo una esperienza simile si dovrebbe imparare; ma non Shepard.
Continuò a fissare i pesci nuotare nell’acquario, ignari di quello che succedeva fuori, ignari di quello che succedesse dentro di lei.
Sentì bussare alla porta.
Si raccolse i capelli e indossò una vestaglia.
«Shepard, scusi il disturbo, sono venuta a dare da mangiare ai suoi pesci.»
«Ah, grazie Kelly, non dovevi disturbarti.»
Guardare quella ragazza era sempre un piacere per gli occhi, era sempre così spontanea, carina, un po’ civettuola in effetti, non dava alcun fastidio in realtà, tranne quando voleva psicanalizzarla e quando dava pareri non particolarmente richiesti sull’equipaggio; infondo era il suo lavoro, ma uno di quei commenti, su qualcuno del suo equipaggio, diede molto fastidio a Cassidy Shepard.
 
Jay Myler
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