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Autore: Marceline    29/11/2015    0 recensioni
Diego, in un primo momento, aveva pensato che un cuore spezzato fosse la cosa peggiore che potesse capitargli. Ma poi aveva visto Marzio uscire da quella porta, risoluto a lasciarlo piuttosto che ammettere al mondo che Diego non fosse solo il suo migliore amico. Ecco, quattro mesi prima, aveva capito che c’era qualcosa peggio di un cuore spezzato: l’intero corpo a pezzi.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Le fasi della separazione


 


 
The Script - Six degrees of separation









Diego era convinto di aver raggiunto il fondo. All’interno, tra le sue ossa e il suo petto, sapeva di aver superato tutte le fasi che un cuore spezzato fosse capace di sopportare. E con Marzio lì di fronte a lui, sulla soglia del loro appartamento, sapeva di non avere la forza di cacciarlo via di nuovo.
“Diego...” Marzio allungò una mano e, a metà strada, sembrò ripensarci. La strinse a pugno e se la riportò al fianco. Quasi come se non fosse più autorizzato a toccare Diego. E la cosa più straziante era che forse era vero.
Marzio in quei quattro mesi non era cambiato molto. Sembrava ancora più magro del solito, si era fatto crescere la barba e aveva tagliato un po’ troppo i ricci. Oltre quelle stupide cose che solo l’occhio attento di Diego poteva notare, era rimasto praticamente lo stesso.
Lo stesso ragazzo immaturo di venticinque anni che per amore della propria famiglia, ancora raccontava di essere andato a vivere con il suo migliore amico (per risparmiare). Quando entrambi sapevano troppo bene che Marzio fosse troppo un gentiluomo per far pagare a Diego metà dell’affitto.
Diego, in un primo momento, aveva pensato che un cuore spezzato fosse la cosa peggiore che potesse capitargli. Ma poi aveva visto Marzio uscire da quella porta, risoluto a lasciarlo piuttosto che ammettere al mondo che Diego non fosse solo il suo migliore amico. Ecco, quattro mesi prima, aveva capito che c’era qualcosa peggio di un cuore spezzato: l’intero corpo a pezzi.
E il suo intero mondo era andato in frantumi quando due mesi prima, per sbaglio aveva versato il latte nella tazza di Marzio. Quel giorno aveva dovuto chiamare a lavoro e mentire, dicendo che aveva l’influenza. In realtà era stato fino a sera sul pavimento della cucina, in pigiama, con la tazza ben stretta in mano. Nemmeno aveva pianto, semplicemente fissava il muro di fronte a sé.
“Come stai?” La voce di Marzio sembrava quasi banale. Diego non riusciva a credere che con una semplice domanda riuscisse a fargli gonfiare il cuore, stretto fino a far male tra le costole.
In quei quattro mesi aveva imparato a fingere bene. Era subentrato un po’ di amor proprio, riusciva a guardare chiunque e dire “sto bene” sorridendo. Ma in quella situazione fu davvero difficile, nemmeno riuscì ad alzare lo sguardo.
“Bene.” Prese un respiro profondo e portò lo sguardo dalla punta delle sue scarpe agli occhi di Marzio. Grande errore. “Tu?” Riuscì a balbettare. Marzio aveva un’espressione così triste, gli occhi così lucidi, che fece sentire lui in colpa. Quando la colpa era ben lontana da Diego.
“Mi manchi.” Borbottò Marzio.
“Oh, fantastico, ti hanno tolto il tuo giocattolo preferito e ora ti manca.” Diego non sapeva da dove venisse tutta quella rabbia o quel coraggio. Fece per chiudere la porta ma l’altro aveva allungato un braccio e l’aveva fermata. “Anzi, te lo sei tolto da solo il giocattolo. E ora sono io che sono stufo.”
Diego non sapeva cosa stesse vaneggiando. Diceva cose a caso, avrebbe fatto di tutto per riprendersi Marzio, anche sopportare i pranzi con quell’arpia della madre che si lagnava del fatto che suo figlio non avesse già sposato una bella e cara ragazza.
Diego stava per chiudere di nuovo la porta, con più forza, quando la voce di Marzio si insinuò di nuovo nell’appartamento, gridandogli di aspettare. Non avrebbe dovuto ascoltarlo, lo aveva nascosto per anni, facendolo vergognare come uno stolto per quello che entrambi provavano. Ma una piccola parte del suo cuore, violacea e malconcia, gli diede retta, aprendo di più la porta.
“Ho detto la verità a tutti.” Sputò fuori Marzio in unico respiro. “Ai miei genitori, alla mie sorelle, in ufficio e anche ai miei amici della squadra di calcetto.” L’ultima affermazione fece sorridere entrambi.
Diego sentì il cervello dolere da quanto intensamente stesse pensando. Marzio lo aveva fatto davvero? Oppure stava bluffando? No, non sarebbe mai stato capace. Ma d’altronde non lo credeva capace nemmeno di abbandonarlo, eppure...
“Come l’hanno presa?” Diego sentiva la sua voce gracchiare. Perfetto, ci mancava solo che si mettesse a piangere. Marzio scrollò le spalle e si infilò le mani nelle tasche dei jeans.
“Alcuni bene, alcuni male. Non mi interessa.” Il viso di Marzio era così innocente, a Diego veniva solo da abbracciarlo forte e dirgli che tutto sarebbe passato. Ma non lo fece.
Avrebbe fatto rientrare Marzio a casa – e nella sua vita – per colpa dell’ennesimo gesto di disperazione. Ormai sapeva che tutto era rovinato. Che Marzio si sarebbe sempre sentito in imbarazzo con lui affianco in pubblico, anche se tutti ormai (stando alle sue parole) sapessero la verità. Il rapporto di fiducia che c’era tra loro era svanito come una nuvola di fumo, proprio come il loro passato.
Diego si ritrovò a scuotere la testa, la mano che di sua spontanea volontà chiudeva la porta. Marzio lo fissò impaurito, gli occhi che scorrevano frenetici sul viso di Diego.
“È troppo tardi.” Disse Diego. Poi l’occhio gli cadde sulla tazza di Marzio che ancora faceva bella mostra di sé sul bancone della cucina. “Quando puoi, vieni e prendi le tue cose.” Aggiunse prima di chiudere definitivamente la porta.
Diego abbandonò la fronte contro la porta e sospirò. Non si capacitava di essere riuscito a chiudere la porta in faccia all’uomo che amava. Sentì gli occhi pizzicare – ed era sicuro che se avesse avuto uno specchio a portata di mano, li avrebbe visti anche rossi – ma si costrinse a non piangere, come quella mattina sul freddo pavimento della cucina. Aveva versato troppe lacrime per quella storia, doveva darci un taglio, chiudere definitamente. Facile a dirsi. Il suo cuore non voleva saperne di rimpicciolirsi e tornare alla sua forma originale, fredda e solitaria.
Il campanello suonò e Diego sobbalzò. Non era dell’umore per una visita improvvisata di sua madre, tantomeno dell’umore per vedere il postino e firmare per un pacco. Dannazione, non sapeva nemmeno se in quel momento sarebbe stato in grado di dire di “no” a un venditore ambulante di aspirapolveri.
Aprì la porta e non ebbe nemmeno il tempo di meravigliarsi di vedere Marzio, di nuovo alla sua porta, che quest’ultimo se lo caricò in spalla stile sacco di patate. Diego strillò e riempì la schiena di Marzio di pugni, arrabbiato nero per essere stato trascinato via di peso da casa sua. Marzio iniziò a scendere le due rampe di scale che separavano il portone dal loro appartamento. L’appartamento di Diego.
“Mettimi giù!” Strillò Diego. Era sicuro che la signora del terzo piano si fosse già affacciata per vedere cosa fosse tutto quel trambusto, ma sinceramente non gli importava. Marzio gli diede retta e lo posò stabilmente su due piedi, quando ormai erano nel pianerottolo di fronte al portone.
“Che ti è saltato in testa?!” Continuò a gridare Diego. Marzio sorrise come se non avesse fatto nulla di male.
“Ho solo fatto quello che mi hai chiesto.”
“Non mi sembra di averti chiesto di caricarmi in spalla e di scorrazzarmi in giro.” Sbuffò Diego, incrociando le braccia al petto. Alzò addirittura un sopracciglio per conferire più serietà all’arrabbiatura. Non voleva ammettere che fosse stato divertente.
“Ma mi hai detto di venire a prendere quel che è mio. Così ho fatto.”
In quel momento Diego capì che forse metà della colpa era la sua. Che se erano arrivati fino a quel punto non doveva addossare tutto a Marzio. Finalmente Diego era arrivato alla fase dell’ammissione. Era riuscito, finalmente, ad ammettere che senza Marzio non sarebbe riuscito ad andare avanti. Avrebbe arrancato nel buio fino all’ultimo dei suoi giorni.
Diego rimase in silenzio, voltò le spalle a Marzio e iniziò a salire le scale. Riuscì quasi a sentire il sospiro di sconfitta di Marzio. Ma a metà della seconda rampa di scale Diego si fermò e parlò, senza voltarsi.
“Che fai, non vieni? Sai che faccio schifo a cucinare ed è quasi ora di pranzo.”
E Diego non ebbe bisogno di voltarsi per sapere che Marzio lo stesse seguendo, gli bastò solamente entrare nell’appartamento e sentire la porta chiudersi dietro un’altra persona dopo di lui. Gli bastò sentire altri passi sul pavimento troppo freddo della cucina, che per parecchio tempo aveva sentito solo i suoi.







Nda: Non ci credo, è passato un anno da quando ho pubblicato un racconto su EFP? Sembra proprio così, mamma mia.
Nel frattempo non è successo molto: mi sono diplomata e ora faccio l'Università, ho pubblicato in tre libri tre miei racconti (compreso questo) e ho comprato proprio un bel cappellino da Primark. Same old life, ma spero che anche questo racconto piaccia (anche se non ho fatto morire tutti come al solito). Consiglio di ascoltare attentamente la canzone che ho citato all'inizio, senza di essa non ci sarebbe stata alcuna storia.
Un abbraccio immenso, Marceline- Flavia.


(P.s. Spero che la solita persona non si riconosca nella storia e spero con tutto il cuore che abbia dimenticato il mio account su EFP)

 
  
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