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Autore: MedusaNoir    30/11/2015    1 recensioni
Erano lì, si appartenevano. Per una stupida notte di uno stupido autunno, ma cosa importava? L'alcol e la felicità – la disperazione celata – li tenevano insieme, e questo li rendeva gli amanti più veri del mondo.
[Ferusaverse: Med/Percy]
Genere: Angst, Erotico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Percy Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Aspetterò che il vento si calmi

L'abitudine era una brutta bestia, pensava Med. Peggio di Acromantule, Sfingi e Draghi. Non bisognava arrivare fino in Scozia o in Egitto per trovarla; bastava stare al centro di Londra, in una via illuminata dai lampioni, e lei sarebbe arrivata. Lo faceva sempre.

Era l'abitudine a portarla lì, in quell'appartamento che era ormai diventato un punto di riferimento. Da qualche tempo i suoi passi le indicavano la direzione ancora prima che la mente avesse il tempo di realizzare che stava uscendo di casa. C'era un minimarket aperto ventiquattro ore nell'angolo, sempre più spesso meta delle sue lunghe passeggiate riflessive; Med entrava e comprava un panino, un sacchetto di patatine o una porzione di roast beef da riscaldare con un semplice incantesimo – qualunque cosa le stuzzicasse l'appetito in quel momento. Ciò che non mancava mai era la vodka. Non poteva mancare.

Era il solo modo per fermare quelle riflessioni di merda.

Anche quella sera aveva con sé un paio di bottiglie. Che, unite alla scorta del suo ospite, facevano due litri di vodka liscia e tre di Whisky Incendiario Ogden Stravecchio. Se li sarebbero fatti bastare, come sempre.

Bussò.

 

*****

 

Ogni volta che Percy apriva la porta il suo aspetto le sembrava peggiore. Appariva smunto, scoraggiato. Forse perfino depresso. Med avvertì una fitta allo stomaco: il suo volto doveva fargli più male di quanto lei potesse immaginare.

Non era lì per riflettere, si disse. Era lì per smettere di farlo. E soffermarsi su quei pensieri non era d'aiuto a nessuno dei due.

«Ho portato da bere.» Entrò senza aspettare di essere invitata. L'appartamento era proprio come sarebbe dovuto essere l'appartamento di Percy Weasley: ordinato in maniera addirittura maniacale, con pergamene diligentemente arrotolate sulla scrivania e neanche la minima traccia di polvere o residui dell'ultimo pasto avvenuto in quella stanza. Era, in sostanza, l'esatto contrario di ciò che Percy aveva dentro. Eccezion fatta per il cibo: Med era abbastanza sicura che, di residui, non ce ne fossero nemmeno all'interno del suo stomaco.

«Mangi qualcosa?»

Si era riscosso dal torpore in cui era scivolato nel vederla – e nell'immaginarsi un'altra persona al posto suo. Come ogni singola volta.

«Mi sono fatta un panino a casa. Da cosa iniziamo?»

Percy spostò lo sguardo dalle bottiglie che Med aveva estratto dal sacchetto di carta a quelle poggiate in ordine di grandezza sullo scaffale; alla fine si diresse verso la credenza e afferrò due bicchieri. «Le tue vanno bene.»

«Allora non c'è bisogno di bicchieri.»

 

*****

 

With the lights out it's less dangerous, here we are now, entertain us.

I feel stupid and contagious, here we are now, entertain us

 

- Smell Like Teen Spirit, Nirvana

 

 

Un'ora e mezza dopo erano seduti sul pavimento freddo del salotto, con più alcol nel corpo e meno pensieri nella mente. Percy, ancora lontano dal sentirsi ubriaco, si era rivestito con cura, la camicia nera abbottonata fino al colletto e i lunghi pantaloni stropicciati; al contrario Med non si era disturbata di indossare gli abiti che, all'inizio del primo rabbioso e disperato round sul divano, aveva avuto addosso. La camicia lunga trafugata dall'armadio di Percy svelava in parte il suo seno, a seconda del ritmo del respiro, ma nascondeva il resto del corpo fino a metà coscia. Il pavimento era gelido sotto le gambe nude – questione di scarsa importanza quando il contenuto trasparente della bottiglia che teneva in mano le scaldava la gola e la bocca dello stomaco.

Sedevano a terra, l'uno accanto all'altra. I loro respiri sapevano di alcol di pessima qualità, la loro pelle di sudore acre, sporco. La mente era vuota.

«Passamela.»

Med allungò la bottiglia a Percy, che bevve un lungo sorso senza prendere fiato. Lo osservò con la vista che cominciava a sfocarsi: in quella posizione, con la luce che filtrava appena attraverso le tende alla finestra, sembrava stare bene. Sembrava felice. Tutto quel che bastava era immaginare che quella non fosse la normalità, ma un infantile gioco erotico di due stupidi amanti. Tutto quel che bastava era fingere.

«Ho fatto domanda al San Mungo» rivelò Med con voce roca, mantenendo viva la finzione. «Per diventare infermiera. Devo recuperare qualche materia, poi mi metteranno a fare il tirocinio.»

Percy rimase in silenzio per qualche secondo, poi portò sguardo e bottiglia verso di lei. «Come mai?»

«Pagano bene. O così dicono.» Med bevve, avvertendo la vodka bruciare sulle labbra screpolate.

«Dovresti comprare un camice.»

«Me lo daranno.»

«Ma dovrai restituirlo a fine turno.»

Gli rivolse un'occhiata maliziosa. «Vorresti che me lo portassi dietro?»

Percy non rispose. Posò distrattamente una mano sulla sua spalla e la fece scivolare sotto la camicia bianca. Le sue dita erano fredde. Tra le cosce Med avvertì fremere. Lasciò che la bocca umida di Percy raggiungesse l'incavo del suo collo, seguendo la direzione della mano che la stava spogliando, liberandola dell'ultima, illusoria traccia di pudore.

 

*****

 

Vende sonho e maresia, tempestades apregoa.
Seu nome próprio – Maria, seu apelido – Lisboa.

 

- Maria Lisboa, Amália Rodrigues

 

«Ci vorrebbe una televisione.»

«Cosa?»

Med mandò giù il whisky e indicò con un braccio oscillante un punto impreciso davanti a loro. «Una televisione piccola, con un film a colori in portoghese. Gente che ride e noi che non capiamo niente e ridiamo con loro.»

Era seduta con le spalle alla porta e le gambe sdraiate su quelle di Percy, ora nude come le sue. I primi bottoni della camicia nera erano slacciati, gli occhiali poggiati lontano. Una delle spalle di Med era scoperta, la manica scesa sull'avambraccio. Se Percy fosse riuscito a vedere senza lenti, i suoi occhi sarebbero stati fissi su quei seni liberi e morbidi.

«Non conosco il portoghese.»

«Ma non dobbiamo capirlo. Ridiamo e basta.»

«E se parlassero di morte? Di... di disgrazie, cose tristi?»

«Ridiamo più forte.» Si piegò in avanti, allontanando la bottiglia ambrata e scivolando su di lui. «Se non capiamo, non c'è bisogno di piangere.»

Si fece strada tra le sue gambe, allargandole lentamente e stuzzicandogli le cosce con i polpastrelli. I suoi occhi ora coglievano dettagli che da sobria le erano stati invisibili: le pantofole azzurre accanto alla finestra, l'angolo piegato del tappeto, una tazza sporca di caffè – quando lo avevano bevuto? Med ne sentiva ancora il sapore. La lingua percorse ogni piega delle gambe di Percy, soffermandosi sulle sue lentiggini, sulle ossa percepibili sotto la punta. Lo sentì gemere.

Un'auto della polizia passò correndo nella strada sottostante; le luci azzurre illuminarono l'appartamento, danzarono con le tende che il braccio di Percy aveva urtato agitandosi, resero la scena un'esplosione di colore e musica, quel blu che mancava al fado che suonava nella testa di Med. Era un ballo, l'esplosione di una farsa seducente, corpi che si sfioravano e gemiti mascherati dalle note di una chitarra invisibile e udibile solo da lei. Stava bene, a suo agio. Era tutto a posto. Il passato non esisteva più, il futuro non aveva importanza, lo avevano solo le tende che nella sua mente ancora danzavano con le luci azzurre. Doveva fare come Percy, fingere che la loro vita fosse un'altra, lontano da lì, da quell'appartamento di Londra e da quell'odore che il tempo ancora non era riuscito a portare via. L'odore della donna che...

Percy le afferrò la nuca, tirandola verso di sé e interrompendo provvidenzialmente il flusso dei suoi pensieri. Non la baciò, la spinse sul suo ventre, sull'ombelico che Med baciò, pensando che stavano solo ascoltando un fado. Che stavano solo danzando.

Percy gemette.

Danzavano.

 

*****

 

The night was heavy and the air was alive, 
but she couldn't find how to push through.

 

- Moonlight Shadow, Mike Oldfield e Maggie Reilly

 

«Hai una radio!»

Med brandì l'oggetto tanto sorprendente davanti a Percy, che sollevò lo sguardo sulla ragazza che fino a un attimo prima era stata appollaiata sulle sue gambe.

«Perché fai quella faccia? Non dev'essere la prima radio che vedi.»

«Beh, lo è qui. Accendila, accendila!»

Lo vide alzarsi sbuffando, ma stava ridendo. Non era mai capitato che lo facesse con lei – non da sobrio. Ma, dopotutto, loro non erano sobri proprio per niente: l'ultima bottiglia di whisky giaceva abbandonata ai piedi di Percy, vuota già da un pezzo.

«Fatto... così, ecco, fatto. Non ci voleva molto, no?»

La musica inondò l'appartamento a metà di una canzone. Med saltò di nuovo sul posto, gli occhi sbarrati per l'emozione. «Questa la conosco! La conosco

«Aspetta.. mi pare di averla già sentita...»

Senza udire una parola di quel che Percy aveva appena detto, Med cominciò ad agitarsi in un vano tentativo di ballare e cantò: «The trees that whisper in the evening carried away by a moonlight shadow!»

Percy rise di nuovo e barcollò; Med lo afferrò appena in tempo, attirandolo a sé. Lui la cinse con un braccio dietro la schiena, tentando di accompagnarla nel ballo.

«I stay, I pray, see you in heaven far away!»

La stanza danzava. Med non riusciva a capire perché lo stesse facendo, perché i muri si muovessero intorno a loro, perché le sedie girassero su se stesse. Non le importava poi tanto, in fondo. Si aggrappò alla vita di Percy, si sporse indietro e lasciò che la facesse volare, per quel che la gravità gli permetteva. Doveva essere di buon umore, quella gravità, perché le permise di osservare tutta la stanza che ora improvvisamente era ferma, le permise di vedere ogni colore e di farlo fondere con altri, ancora, ancora e ancora. C'era un profumo nell'aria, ed era il profumo caldo e buono di Percy, e lei non si era mai resa conto che avesse quel bel profumo – bello, bello come una sera d'estate, bello come il tempo passato con Bill.

Si raddrizzò e incrociò le braccia dietro il suo collo, dandosi la spinta necessaria per avvicinarsi e baciarlo con trasporto, assaporando le sue labbra, il sapore di vodka e whisky, l'allegria che provava anche lui. Lo vide ridere e sollevarla, facendola volare ancor di più con i piedi staccati da terra, nell'aria, libera. Le infilò le dita affusolate nei capelli castani, la strinse, le permise di avvertire la pelle nuda contro la propria. Sentiva i capezzoli in fiamme.

La musica era finita, ma lei continuava a baciarlo appassionatamente, come se non ci fosse nient'altro nella stanza, nient'altro che la facesse stare bene, nient'altro a cui aggrapparsi. Lo baciò ancora e ancora e lui la strinse ancora e ancora e la spinse a terra, e lei aprì le gambe e lo avvolse, lo tenne vicino, lo baciò mentre si liberava di quella fastidiosa bottiglia vuota che li ostacolava. Si fermò. Aprì gli occhi. La guardò.

Forse non la vedeva davvero, senza occhiali. Ma le sorrideva. E sussurrava il suo nome – o un altro, non importava. Quella notte sussurrava il suo, di nome, perché era ciò che Med voleva che facesse. Portò le mani sulle sue spalle, le percorse lentamente, sporse le labbra in attesa di un bacio.

Che non tardò ad arrivare.

Erano lì, si appartenevano. Per una stupida notte di uno stupido autunno, ma cosa importava? L'alcol e la felicità – la disperazione celata – li tenevano insieme, e questo li rendeva gli amanti più veri del mondo.

 

*****

 

And it's hard to hold a candle

in the cold November rain

 

- November rain, Guns N' Roses

 

Quando si alzò, fuori pioveva ancora. Faceva freddo nella casa, ora che aveva smaltito un po' la sbornia poteva rendersene conto; cercò il termostato, lo alzò di un grado, non aveva molto con cui coprirsi: avrebbe dovuto svegliare Percy e non ne aveva voglia.

Per la prima volta aveva dormito lì. Era un'abitudine recarsi in quell'appartamento quando i sentimenti per Bill affioravano forti e implacabili, lo era sfogarsi aggrappandosi disperatamente a quel ragazzo che, osservato bene, aveva tanti punti in comune con il fratello, nel buio che regnava spesso nella casa; tuttavia restare a dormire non lo era. Al contrario, era una sorta di terribile variazione alla regola, qualcosa che non doveva essere assolutamente fatto.

Eppure era lì, seduta sul divano di Percy, con indosso un pigiama sformato che anche Fera doveva aver indossato tante volte: sentiva ancora il suo odore. Forse Percy non lo aveva mai lavato.

Era lì e da poco era scivolata via dalle braccia del padrone di casa, nelle quali si era sentita al sicuro come mai da mesi a quella parte; si erano addormentati parlando – frasi senza senso dettate dall'alcol, niente che ora lei ricordasse – e quando aveva aperto gli occhi Percy la stringeva, una mano posata sui capelli e l'altra intorno alla vita. Tutto sembrava perfettamente al suo posto.

«Stai bene?»

Mentre rifletteva Percy era comparso sulla soglia della cucina. Indossava solo un paio di pantaloni a righe bianche e azzurre e il suo paio di occhiali recuperato chissà dove.

«Sì... Avevo solo sete...»

«Anch'io.»

Si versò un bicchiere d'acqua come quello che Med, raggomitolata sul pavimento, teneva tra le mani, poi la raggiunse e si sedette accanto a lei. Le posò una mano sulla testa, accarezzandole i capelli; Med lo lasciò fare e si appoggiò sulla sua spalla.

«Piove?»

Lei annuì.

«Mi sembrava di averla sentita, la pioggia. Hai bisogno di una coperta?»

«Sto bene così, ho alzato il termostato.»

«Med.»

«Dimmi.»

«Resta, stanotte.»

«Sono già rimasta.»

Le sorrise e la baciò. Per qualche strano motivo, lo stomaco di Med si contorse, come se ci fosse qualcosa di sbagliato in tutto ciò. Lasciò comunque che lui l'abbracciasse e le sussurrasse piano all'orecchio, scostandole una ciocca dal volto.

«Ti amo.»

Si alzò di scatto. Non gli diede il tempo di aggiungere altro, si limitò ad afferrare i vestiti che aveva lasciato sul divano e a rivestirsi di corsa. Percy non capiva.

«Cosa fai?»

«Torno a casa.»

«Ma... hai detto che saresti rimasta.»

«No, ho detto che lo avevo già fatto. E per troppo tempo, a quanto pare.»

Si infilò il giubbotto e tentò inutilmente di chiudere la cerniera, mentre Percy continuava a farfugliare frasi sconnesse con una mano fra i capelli spettinati.

«Non ha senso... Non capisco... Cos'ho fatto? Ti ho solo detto... Io lo penso davvero...»

«No, non lo pensi.» Finalmente si decise ad abbandonare la cerniera e lo fronteggiò, fissandolo negli occhi. «Non lo pensi e mi hai scambiata per qualcun'altra. Non sono la ragazza che ami.»

«Lascialo decidere a me.»

Strattonò via con violenza il braccio che Percy le aveva appena afferrato. «No! Non puoi decidere nulla, non sei lucido. Va' a dormire e poi capirai. Lo so.»

«Tu non sai un bel niente.» La sua voce era tornata secca, distante. Stava riemergendo il Percy che lei conosceva bene.

«So che... so che è ora di chiudere la faccenda.» Sentì un groppo alla gola. Non era quel che voleva, ma l'istinto le suggeriva di farlo: era troppo grande per continuare con quello stupido gioco, e ciò valeva anche per lui. «Basta così.»

Gli diede le spalle e scappò oltre la porta, senza dargli il tempo di replicare. Un attimo dopo si era Smaterializzata a casa sua.

Ed era crollata a terra, le spalle contro il muro, piangendo come non faceva da mesi.

Non mi ama. Ama Fera, ama la ragazza che gli ricordo. Ama il suo profumo e i suoi capelli e quegli occhi così simili ai miei. Non ama me. E io non amo lui, ma lo sguardo del fratello, le sue dita, le braccia che mi avvolgevano. Non lo amo, non l'ho mai fatto. È giusto che sia finita così, prima di farci altro male.

Eppure il suo cuore doleva così tanto e non riusciva a capirne il perché.











Buonasera e ben ritrovati su questa pagina!
So di aver dato l'impressione di abbandonare EFP... ma no, questo non accadrà mai. Prendetevela con università, lavoretti vari e... ok, prendetevela esclusivamente con la mia procrastinazione.
In attesa di iniziare a pubblicare la long ambientata negli anni di Hogwarts del Ferusaverse, ho scritto questa breve one-shot perché l'ispirazione del momento non si può fermare e, beh, quando l'ispirazione ti coglie durante una noiosissima lezione di sei ore non si può mica voltarle le spalle, no? Ad ogni modo, così è nata l'ennesima Pedusa. Una Pedusa un po' particolare, la loro ultima notte insieme - beh, penultima, se si conta una storia ambientata qualche anno dopo (e che potete trovare in questo elenco di tutti i racconti del Ferusaverse). Vorrei precisare che non si tratta di amore. No, non si amano, si detestano, ma sono "amanti disperati". E ci si appiglia a chi si trova, in fondo - almeno nel ragionamento di pg!Med.
Il titolo, come quasi sempre, è tratto da Laphroaig dei Follow The Mad.
Ok, tutto quel che c'è scritto qua sopra è abbastanza inutile. Conta soltanto quel che dirò ora: la storia è dedicata alla mia twincest ferao, per lei-sa-cosa nella camera blindata lei-sa-quale. A te, <.

Medusa
   
 
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