Aspetterò che il vento si calmi
L'abitudine
era una brutta bestia, pensava Med. Peggio di Acromantule, Sfingi e
Draghi. Non
bisognava arrivare fino in Scozia o in Egitto per trovarla; bastava
stare al
centro di Londra, in una via illuminata dai lampioni, e lei sarebbe
arrivata.
Lo faceva sempre.
Era
l'abitudine a portarla lì, in quell'appartamento che era
ormai diventato un
punto di riferimento. Da qualche tempo i suoi passi le indicavano la
direzione
ancora prima che la mente avesse il tempo di realizzare che stava
uscendo di
casa. C'era un minimarket aperto ventiquattro ore nell'angolo, sempre
più
spesso meta delle sue lunghe passeggiate riflessive; Med entrava e
comprava un
panino, un sacchetto di patatine o una porzione di roast beef da
riscaldare con
un semplice incantesimo – qualunque cosa le stuzzicasse
l'appetito in quel
momento. Ciò che non mancava mai era la vodka. Non poteva
mancare.
Era
il solo modo per fermare quelle riflessioni di merda.
Anche
quella sera aveva con sé un paio di bottiglie. Che, unite
alla scorta del suo ospite,
facevano due litri di vodka liscia e tre di Whisky Incendiario Ogden
Stravecchio. Se li sarebbero fatti bastare, come sempre.
Bussò.
*****
Ogni
volta che Percy apriva la porta il suo aspetto le sembrava peggiore.
Appariva
smunto, scoraggiato. Forse perfino depresso. Med avvertì una
fitta allo
stomaco: il suo volto doveva fargli più male di quanto lei
potesse immaginare.
Non
era lì per riflettere, si disse. Era lì per
smettere di farlo. E soffermarsi su
quei pensieri non era d'aiuto a nessuno dei due.
«Ho
portato da bere.» Entrò senza aspettare di essere
invitata. L'appartamento era
proprio come sarebbe dovuto essere l'appartamento di Percy Weasley:
ordinato in
maniera addirittura maniacale, con pergamene diligentemente arrotolate
sulla
scrivania e neanche la minima traccia di polvere o residui dell'ultimo
pasto
avvenuto in quella stanza. Era, in sostanza, l'esatto contrario di
ciò che
Percy aveva dentro. Eccezion fatta per il cibo: Med era abbastanza
sicura che,
di residui, non ce ne fossero nemmeno all'interno del suo stomaco.
«Mangi
qualcosa?»
Si
era riscosso dal torpore in cui era scivolato nel vederla – e
nell'immaginarsi
un'altra persona al posto suo. Come ogni
singola volta.
«Mi
sono fatta un panino a casa. Da cosa iniziamo?»
Percy
spostò lo sguardo dalle bottiglie che Med aveva estratto dal
sacchetto di carta
a quelle poggiate in ordine di grandezza sullo scaffale; alla fine si
diresse
verso la credenza e afferrò due bicchieri. «Le tue
vanno bene.»
«Allora
non c'è bisogno di bicchieri.»
*****
With the lights
out it's less dangerous, here we are
now, entertain us.
I feel stupid
and contagious, here we are now,
entertain us
- Smell Like Teen Spirit, Nirvana
Un'ora
e mezza dopo erano seduti sul pavimento freddo del salotto, con
più alcol nel
corpo e meno pensieri nella mente. Percy, ancora lontano dal sentirsi
ubriaco,
si era rivestito con cura, la camicia nera abbottonata fino al colletto
e i
lunghi pantaloni stropicciati; al contrario Med non si era disturbata
di
indossare gli abiti che, all'inizio del primo rabbioso e disperato
round sul
divano, aveva avuto addosso. La camicia lunga trafugata dall'armadio di
Percy
svelava in parte il suo seno, a seconda del ritmo del respiro, ma
nascondeva il
resto del corpo fino a metà coscia. Il pavimento era gelido
sotto le gambe nude
– questione di scarsa importanza quando il contenuto
trasparente della
bottiglia che teneva in mano le scaldava la gola e la bocca dello
stomaco.
Sedevano
a terra, l'uno accanto all'altra. I loro respiri sapevano di alcol di
pessima
qualità, la loro pelle di sudore acre, sporco. La mente era
vuota.
«Passamela.»
Med
allungò la bottiglia a Percy, che bevve un lungo sorso senza
prendere fiato. Lo
osservò con la vista che cominciava a sfocarsi: in quella
posizione, con la
luce che filtrava appena attraverso le tende alla finestra, sembrava
stare
bene. Sembrava felice. Tutto quel che bastava era immaginare che quella
non
fosse la normalità, ma un infantile gioco erotico di due
stupidi amanti. Tutto
quel che bastava era fingere.
«Ho
fatto domanda al San Mungo» rivelò Med con voce
roca, mantenendo viva la
finzione. «Per diventare infermiera. Devo recuperare qualche
materia, poi mi
metteranno a fare il tirocinio.»
Percy
rimase in silenzio per qualche secondo, poi portò sguardo e
bottiglia verso di
lei. «Come mai?»
«Pagano
bene. O così dicono.» Med bevve, avvertendo la
vodka bruciare sulle labbra
screpolate.
«Dovresti
comprare un camice.»
«Me
lo daranno.»
«Ma
dovrai restituirlo a fine turno.»
Gli
rivolse un'occhiata maliziosa. «Vorresti che me lo portassi
dietro?»
Percy
non rispose. Posò distrattamente una mano sulla sua spalla e
la fece scivolare
sotto la camicia bianca. Le sue dita erano fredde. Tra le cosce Med
avvertì
fremere. Lasciò che la bocca umida di Percy raggiungesse
l'incavo del suo
collo, seguendo la direzione della mano che la stava spogliando,
liberandola
dell'ultima, illusoria traccia di pudore.
*****
Vende sonho e
maresia, tempestades apregoa.
Seu nome próprio – Maria, seu apelido –
Lisboa.
- Maria
Lisboa, Amália
Rodrigues
«Ci
vorrebbe una televisione.»
«Cosa?»
Med
mandò giù il whisky e indicò con un
braccio oscillante un punto impreciso
davanti a loro. «Una televisione piccola, con un film a
colori in portoghese.
Gente che ride e noi che non capiamo niente e ridiamo con
loro.»
Era
seduta con le spalle alla porta e le gambe sdraiate su quelle di Percy,
ora
nude come le sue. I primi bottoni della camicia nera erano slacciati,
gli
occhiali poggiati lontano. Una delle spalle di Med era scoperta, la
manica
scesa sull'avambraccio. Se Percy fosse riuscito a vedere senza lenti, i
suoi
occhi sarebbero stati fissi su quei seni liberi e morbidi.
«Non
conosco il portoghese.»
«Ma
non dobbiamo capirlo. Ridiamo e basta.»
«E
se parlassero di morte? Di... di disgrazie, cose tristi?»
«Ridiamo
più forte.» Si piegò in avanti,
allontanando la bottiglia ambrata e scivolando
su di lui. «Se non capiamo, non c'è bisogno di
piangere.»
Si
fece strada tra le sue gambe, allargandole lentamente e stuzzicandogli
le cosce
con i polpastrelli. I suoi occhi ora coglievano dettagli che da sobria
le erano
stati invisibili: le pantofole azzurre accanto alla finestra, l'angolo
piegato
del tappeto, una tazza sporca di caffè – quando lo
avevano bevuto? Med ne
sentiva ancora il sapore. La lingua percorse ogni piega delle gambe di
Percy,
soffermandosi sulle sue lentiggini, sulle ossa percepibili sotto la
punta. Lo
sentì gemere.
Un'auto
della polizia passò correndo nella strada sottostante; le
luci azzurre
illuminarono l'appartamento, danzarono con le tende che il braccio di
Percy aveva
urtato agitandosi, resero la scena un'esplosione di colore e musica,
quel blu
che mancava al fado che suonava nella testa di Med. Era un ballo,
l'esplosione
di una farsa seducente, corpi che si sfioravano e gemiti mascherati
dalle note
di una chitarra invisibile e udibile solo da lei. Stava bene, a suo
agio. Era
tutto a posto. Il passato non esisteva più, il futuro non
aveva importanza, lo
avevano solo le tende che nella sua mente ancora danzavano con le luci
azzurre.
Doveva fare come Percy, fingere che la loro vita fosse un'altra,
lontano da lì,
da quell'appartamento di Londra e da quell'odore che il tempo ancora
non era
riuscito a portare via. L'odore della donna che...
Percy
le afferrò la nuca, tirandola verso di sé e
interrompendo provvidenzialmente il
flusso dei suoi pensieri. Non la baciò, la spinse sul suo
ventre, sull'ombelico
che Med baciò, pensando che stavano solo ascoltando un fado.
Che stavano solo
danzando.
Percy
gemette.
Danzavano.
*****
The night was
heavy and the air was alive,
but she couldn't find how to push through.
- Moonlight Shadow,
Mike Oldfield e Maggie
Reilly
«Hai
una radio!»
Med
brandì l'oggetto tanto sorprendente davanti a Percy, che
sollevò lo sguardo
sulla ragazza che fino a un attimo prima era stata appollaiata sulle
sue gambe.
«Perché
fai quella faccia? Non dev'essere la prima radio che vedi.»
«Beh,
lo è qui. Accendila,
accendila!»
Lo
vide alzarsi sbuffando, ma stava ridendo. Non era mai capitato che lo
facesse
con lei – non da sobrio. Ma, dopotutto, loro non erano sobri
proprio per
niente: l'ultima bottiglia di whisky giaceva abbandonata ai piedi di
Percy,
vuota già da un pezzo.
«Fatto...
così, ecco, fatto. Non ci voleva molto, no?»
La
musica inondò l'appartamento a metà di una
canzone. Med saltò di nuovo sul
posto, gli occhi sbarrati per l'emozione. «Questa la conosco!
La conosco!»
«Aspetta..
mi pare di averla già sentita...»
Senza
udire una parola di quel che Percy aveva appena detto, Med
cominciò ad agitarsi
in un vano tentativo di ballare e cantò: «The trees that whisper in the evening carried
away by
a moonlight shadow!»
Percy
rise di nuovo e barcollò; Med lo afferrò appena
in tempo, attirandolo a sé. Lui
la cinse con un braccio dietro la schiena, tentando di accompagnarla
nel ballo.
«I stay, I pray,
see you in heaven far away!»
La
stanza danzava. Med non riusciva a capire perché lo stesse
facendo, perché i
muri si muovessero intorno a loro, perché le sedie girassero
su se stesse. Non
le importava poi tanto, in fondo. Si aggrappò alla vita di
Percy, si sporse
indietro e lasciò che la facesse volare, per quel che la
gravità gli
permetteva. Doveva essere di buon umore, quella gravità,
perché le permise di
osservare tutta la stanza che ora improvvisamente era ferma, le permise
di
vedere ogni colore e di farlo fondere con altri, ancora, ancora e
ancora. C'era
un profumo nell'aria, ed era il profumo caldo e buono di Percy, e lei
non si
era mai resa conto che avesse quel bel profumo – bello, bello
come una sera
d'estate, bello come il tempo passato con Bill.
Si
raddrizzò e incrociò le braccia dietro il suo
collo, dandosi la spinta
necessaria per avvicinarsi e baciarlo con trasporto, assaporando le sue
labbra,
il sapore di vodka e whisky, l'allegria che provava anche lui. Lo vide
ridere e
sollevarla, facendola volare ancor di più con i piedi
staccati da terra,
nell'aria, libera. Le infilò le dita affusolate nei capelli
castani, la
strinse, le permise di avvertire la pelle nuda contro la propria.
Sentiva i
capezzoli in fiamme.
La
musica era finita, ma lei continuava a baciarlo appassionatamente, come
se non
ci fosse nient'altro nella stanza, nient'altro che la facesse stare
bene,
nient'altro a cui aggrapparsi. Lo baciò ancora e ancora e
lui la strinse ancora
e ancora e la spinse a terra, e lei aprì le gambe e lo
avvolse, lo tenne
vicino, lo baciò mentre si liberava di quella fastidiosa
bottiglia vuota che li
ostacolava. Si fermò. Aprì gli occhi. La
guardò.
Forse
non la vedeva davvero, senza occhiali. Ma le sorrideva. E sussurrava il
suo
nome – o un altro, non importava. Quella notte sussurrava il suo, di nome, perché era
ciò che Med voleva che facesse. Portò
le mani sulle sue spalle, le percorse lentamente, sporse le labbra in
attesa di
un bacio.
Che
non tardò ad arrivare.
Erano
lì, si appartenevano. Per una stupida notte di uno stupido
autunno, ma cosa
importava? L'alcol e la felicità – la disperazione
celata – li tenevano
insieme, e questo li rendeva gli amanti più veri del mondo.
*****
And it's hard
to hold a candle
in the cold
November rain
- November rain,
Guns N' Roses
Quando
si alzò, fuori pioveva ancora. Faceva freddo nella casa, ora
che aveva smaltito
un po' la sbornia poteva rendersene conto; cercò il
termostato, lo alzò di un
grado, non aveva molto con cui coprirsi: avrebbe dovuto svegliare Percy
e non
ne aveva voglia.
Per
la prima volta aveva dormito lì. Era un'abitudine recarsi in
quell'appartamento
quando i sentimenti per Bill affioravano forti e implacabili, lo era
sfogarsi
aggrappandosi disperatamente a quel ragazzo che, osservato bene, aveva
tanti
punti in comune con il fratello, nel buio che regnava spesso nella
casa;
tuttavia restare a dormire non lo era. Al contrario, era una sorta di
terribile
variazione alla regola, qualcosa che non doveva essere assolutamente
fatto.
Eppure
era lì, seduta sul divano di Percy, con indosso un pigiama
sformato che anche
Fera doveva aver indossato tante volte: sentiva ancora il suo odore.
Forse
Percy non lo aveva mai lavato.
Era
lì e da poco era scivolata via dalle braccia del padrone di
casa, nelle quali
si era sentita al sicuro come mai da mesi a quella parte; si erano
addormentati
parlando – frasi senza senso dettate dall'alcol, niente che
ora lei ricordasse
– e quando aveva aperto gli occhi Percy la stringeva, una
mano posata sui
capelli e l'altra intorno alla vita. Tutto sembrava perfettamente al
suo posto.
«Stai
bene?»
Mentre
rifletteva Percy era comparso sulla soglia della cucina. Indossava solo
un paio
di pantaloni a righe bianche e azzurre e il suo paio di occhiali
recuperato
chissà dove.
«Sì...
Avevo solo sete...»
«Anch'io.»
Si
versò un bicchiere d'acqua come quello che Med,
raggomitolata sul pavimento,
teneva tra le mani, poi la raggiunse e si sedette accanto a lei. Le
posò una
mano sulla testa, accarezzandole i capelli; Med lo lasciò
fare e si appoggiò
sulla sua spalla.
«Piove?»
Lei
annuì.
«Mi
sembrava di averla sentita, la pioggia. Hai bisogno di una
coperta?»
«Sto
bene così, ho alzato il termostato.»
«Med.»
«Dimmi.»
«Resta,
stanotte.»
«Sono
già rimasta.»
Le
sorrise e la baciò. Per qualche strano motivo, lo stomaco di
Med si contorse,
come se ci fosse qualcosa di sbagliato in tutto ciò.
Lasciò comunque che lui
l'abbracciasse e le sussurrasse piano all'orecchio, scostandole una
ciocca dal
volto.
«Ti
amo.»
Si
alzò di scatto. Non gli diede il tempo di aggiungere altro,
si limitò ad
afferrare i vestiti che aveva lasciato sul divano e a rivestirsi di
corsa.
Percy non capiva.
«Cosa
fai?»
«Torno
a casa.»
«Ma...
hai detto che saresti rimasta.»
«No,
ho detto che lo avevo già fatto. E per troppo tempo, a
quanto pare.»
Si
infilò il giubbotto e tentò inutilmente di
chiudere la cerniera, mentre Percy
continuava a farfugliare frasi sconnesse con una mano fra i capelli
spettinati.
«Non
ha senso... Non capisco... Cos'ho fatto? Ti ho solo detto... Io lo
penso
davvero...»
«No,
non lo pensi.» Finalmente si decise ad abbandonare la
cerniera e lo fronteggiò,
fissandolo negli occhi. «Non lo pensi e mi hai scambiata per
qualcun'altra. Non
sono la ragazza che ami.»
«Lascialo
decidere a me.»
Strattonò
via con violenza il braccio che Percy le aveva appena afferrato.
«No! Non puoi
decidere nulla, non sei lucido. Va' a dormire e poi capirai. Lo
so.»
«Tu
non sai un bel niente.» La sua voce era tornata secca,
distante. Stava
riemergendo il Percy che lei conosceva bene.
«So
che... so che è ora di chiudere la faccenda.»
Sentì un groppo alla gola. Non
era quel che voleva, ma l'istinto le suggeriva di farlo: era troppo
grande per
continuare con quello stupido gioco, e ciò valeva anche per
lui. «Basta così.»
Gli
diede le spalle e scappò oltre la porta, senza dargli il
tempo di replicare. Un
attimo dopo si era Smaterializzata a casa sua.
Ed
era crollata a terra, le spalle contro il muro, piangendo come non
faceva da
mesi.
Non mi
ama. Ama Fera, ama la ragazza che
gli ricordo. Ama il suo profumo e i suoi capelli e quegli occhi
così simili ai
miei. Non ama me. E io non amo lui, ma lo sguardo del fratello, le sue
dita, le
braccia che mi avvolgevano. Non lo amo, non l'ho mai fatto.
È giusto che sia
finita così, prima di farci altro male.
Eppure
il suo cuore doleva così tanto e non riusciva a capirne il
perché.
Buonasera e ben ritrovati su questa pagina!
So di aver dato l'impressione di abbandonare EFP... ma no, questo non accadrà mai. Prendetevela con università, lavoretti vari e... ok, prendetevela esclusivamente con la mia procrastinazione.
In attesa di iniziare a pubblicare la long ambientata negli anni di Hogwarts del Ferusaverse, ho scritto questa breve one-shot perché l'ispirazione del momento non si può fermare e, beh, quando l'ispirazione ti coglie durante una noiosissima lezione di sei ore non si può mica voltarle le spalle, no? Ad ogni modo, così è nata l'ennesima Pedusa. Una Pedusa un po' particolare, la loro ultima notte insieme - beh, penultima, se si conta una storia ambientata qualche anno dopo (e che potete trovare in questo elenco di tutti i racconti del Ferusaverse). Vorrei precisare che non si tratta di amore. No, non si amano, si detestano, ma sono "amanti disperati". E ci si appiglia a chi si trova, in fondo - almeno nel ragionamento di pg!Med.
Il titolo, come quasi sempre, è tratto da Laphroaig dei Follow The Mad.
Ok, tutto quel che c'è scritto qua sopra è abbastanza inutile. Conta soltanto quel che dirò ora: la storia è dedicata alla mia twincest ferao, per lei-sa-cosa nella camera blindata lei-sa-quale. A te, <.
Medusa