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Autore: lilyhachi    01/12/2015    2 recensioni
[AU; high school; Alec Lightwood/Magnus Bane]
Alexander Lightwood, titolare della squadra di football del suo liceo, non reggeva bene la pressione…anche se cercava di impegnarsi il più possibile per non darlo a vedere. Per il suo allenatore era un giocatore da cui prendere esempio, per i suoi compagni di squadra era un modello a cui ispirarsi e chiedere consiglio, per i suoi genitori era un orgoglio…mentre per Izzy, Max e Jace era il fratello maggiore sul quale ricadevano troppe responsabilità e troppi macigni. Loro erano le uniche persone in grado di vederlo per come era davvero: stanco e spossato da troppi impegni e pensieri.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '~ Fearless'
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“All the roads you took came back to me. So I’m following the map that leads to you 
The map that leads to you. Ain't nothing I can do. The map that leads to you”.
 

Maps

IV
 
My youth is yours

 
 
“Hello from the outside.
At least I can say that I’ve tried to tell you I’m sorry, for breaking your heart”.
 
 
“Alec, devi mangiare qualcosa”.
Il diretto interessato emise uno sbuffo per cercare di far capire a sua sorella Izzy che, no, non avrebbe mangiato, nonostante i suoi rimproveri da mamma apprensiva.
“Ha ragione, non hai toccato cibo”, le diede man forte Simon, tenendo un braccio attorno alle sue spalle e Alec quasi tornò a quando ancora non lo vedeva di buon occhio, desiderando staccargli il suddetto braccio, e a quel punto si rese conto che, sì, forse aveva bisogno di mangiare davvero qualcosa.
“Tieni”, esclamò Jace, piazzandogli davanti un hamburger di dimensioni considerevoli con tanto di patatine e un bicchiere di Coca Cola. “Mangia”.
La sua non era una richiesta e Alec rimase spiazzato dal tono categorico della sua voce, mentre gli altri, Clary in particolare, sghignazzavano divertiti a quella scenetta. “Grazie, mamma”, commentò, senza preoccuparsi di apparire irritato da tutte quelle attenzioni e decidendosi a dare un morso all’hamburger, accorgendosi che Jace aveva praticamente rinunciato alla sua cena per assicurarsi che mangiasse.
“Una madre che si è letteralmente tolta il cibo per nutrire il figlio”, gli fece notare Clary con un sorriso soddisfatto stampato in volto, mentre Jace la fulminava con lo sguardo, per poi finire a darle un bacio sul naso, cosa che quasi fece vomitare Alec.
Ormai era diventato allergico a tutte le manifestazioni di affetto, qualunque fosse la loro natura e i loro amici non avevano tardato ad accorgersene, eppure continuavano a coinvolgerlo in un uscite del genere dove, in un modo o nell’altro, lui finiva sempre per essere quinto incomodo in mezzo a coppiette ormai consolidate. Tuttavia, lo aveva voluto anche lui.
Si chiese cosa stesse facendo Magnus in quel preciso istante e dovette deglutire a forza per non rigettare l’hamburger.
Era passato più di un mese dalla loro rottura. Un mese di silenzio assoluto, senza nessuna chiamata o messaggio, soltanto qualche sguardo fugace lanciato nei corridoi ma nulla di più. Nessuno dei due se la stava passando bene, era evidente: non erano altro che due spettri vaganti, alla disperata ricerca di ciò che li teneva ancora incatenati alla vita terrena.
Avrebbe tanto desiderato corrergli incontro e stringerlo, solo per dirgli quanto gli mancasse.
Sapeva che sia Simon che Jace avevano provato a parlargli – grazie ad Izzy – ma Alec non aveva voluto ascoltare, perché riusciva ad immaginare le parole di Magnus. Probabilmente lo aveva definito un codardo, e forse aveva detto a Jace di conservare le prediche per quel coniglio di suo fratello, invece di scocciare lui. Perché, sì, era davvero un codardo ma Magnus – dal canto suo – se l’era cercata, non poteva continuare a stare con lui, pretendendo di non ricevere domande sul suo passato.
Certo, Alexander Lightwood non era l’essere più coraggioso al mondo in fatto di sentimenti e tremava solo al pensiero di confessare al mondo la sua omosessualità, ma si era aperto con Magnus, gli aveva confidato ogni cosa, aveva lasciato che fosse il “primo” in tutto, smettendola di vergognarsi e sentirsi come una ragazzina alla prima cotta. Lo aveva accolto nella sua routine e nel suo cuore…ma Magnus, evidentemente, non era mai stato intenzionato a contraccambiare fino a quel punto, così profondamente. I pensieri di Alec vennero interrotti da una figura in piedi vicino al tavolo.
Alzò lo sguardo, accorgendosi che si trattava di Rafael, amico di Simon e – in un certo senso – anche di Magnus.
Non aveva mai capito con esattezza quale fosse il loro rapporto, ma nulla escludeva la possibilità che quel bel ragazzo dalla pelle ambrata potesse essere uno dei suoi tanti fidanzati, ormai Alec non si stupiva più di nulla.
“Voi venite alla festa di stasera?”, stava domandando Rafael. “Andiamo, non fate sempre i soliti asociali chiusi nel vostro circoletto, amigos. Al Pandemonium. Ci sarà tutta la scuola”.
“Da quando ti occupi delle pubbliche relazioni?”, chiese Izzy, guardandolo con un sopracciglio alzato mentre Simon se la rideva.
Il ragazzo poggiò il gomito sulla spalla di Simon. “Si da il caso che io abbia sempre sponsorizzato buona musica e divertimento garantito, come nel caso di questo signorino qui e della sua banda di sfigati strimpellanti”.
“Ehi!”, lo riprese Simon, dandogli una spinta, ma con fare giocoso.
“E’ la festa di fine anno e poi suonerà Magnus, non posso evitare di fargli pubblicità”.
Per un attimo, Alec avrebbe giurato di vedere Rafael rivolgergli uno sguardo con la coda nell’occhio ma forse se lo era immaginato, cercando di ignorare quell’ultima affermazione. Eppure, non era servito a nulla: solo sentire il suo nome gli aveva fatto passare la fame.
 
Magnus emise un sospiro affranto, cercando ancora una volta di riprodurre quella maledetta nota che sembrava sfuggirgli ogni volta, ma l’ennesimo fallimento gli fece solo salire il sangue alla testa, spingendolo a scaraventare la chitarra sul divano.
Si alzò in piedi, portandosi le mani tra i capelli con fare esasperato.
Possibile che avesse dimenticato come si suonava? Possibile che avesse perso completamente quel poco di talento che aveva?
Possibile che da quando Alec non era più insieme a lui, Magnus Bane fosse diventato un completo fallito e incapace?
“Vuoi smetterla di fare casino?”, chiese Ragnor, entrando in casa con una busta della spesa probabilmente piena di schifezze. “Ti sento dalle scale”.
Magnus si gettò a peso morto sul divano, osservando il suo amico e chiedendosi cosa avesse fatto per meritarlo: si muoveva come se fosse a casa sua, perfettamente suo agio mentre riponeva ogni cosa al suo posto. Si passò una mano tra i capelli chiari.
Ragnor Fell - conosciuto quando era soltanto un bambino in orfanotrofio in attesa di essere adottato – non lo aveva mai abbandonato dal giorno in cui si erano incontrati, nonostante lo trattasse come se fosse l’essere peggiore che avesse mai visto in tutta la sua vita.
Ragnor era stata la prima persona a cui aveva confessato di essere gay e che gli aveva risposto con una scrollata di spalle ed una frase che gli aveva praticamente fatto cascare le braccia: “Si capiva da come guardavi Adam Levine in tv”.
Dietro di lui, arrivò anche Catarina, che chiuse la porta alle sue spalle, guardando poi Magnus con un’espressione decisamente disgustata.
“Una doccia, no?”.
“State facendo i crocerossini con me?”, domandò Magnus, notando quanto effettivamente i suoi più cari amici d’infanzia – in realtà, gli unici – lo stessero trattando come un malato che aveva bisogno di cure attente, visto che in quei giorni si erano presentati a casa sua alle ore più improbabili, restandoci per diverso tempo e senza preoccuparsi di creare fastidio.
“E’ anche abbastanza evidente”, dichiarò Catarina, lanciandogli un’espressione così ovvia da sembrare finta e spostandosi una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio.
“Adesso dirà che non ne ha bisogno”, aggiunse Ragnor, spalmando una generosa quantità di Nutella su diverse fette di pane tostato, porgendone prima una a Catarina e poi a lui.
“Puoi smetterla di trattarmi come una ragazzina appena lasciata dal fidanzato?”.
“Ma tu sei una ragazzina che è stata lasciata”.
“Sono stato io a lasciare Alec, in realtà”, la corresse Magnus, ricordandolo a malincuore.
“Già, e non la stai affrontando come se ti andasse bene, caro mio”.
Magnus si lasciò andare ad un gemito di frustrazione, volgendo lo sguardo verso il soffitto, mentre Ragnor e Catarina prendevano posto sulle poltrone ai lati del divano.
“Dovresti darti da fare con questa canzone, sai?”, gli fece notare la ragazza, carezzando con una mano le pieghe della sua gonna nera svolazzante. “Altrimenti farai schifo”.
“Non posso suonare”, esclamò, scuotendo il capo. “Non posso”.
“Ci risiamo”, lo cantilenò Ragnor, preparandosi a sentire una delle sue lamentele.
La porta di casa si spalancò all’improvviso, ricordando a Magnus che avrebbe dovuto seriamente togliersi l’abitudine di lasciar entrare quei pazzi in casa sua, soprattutto quando i suoi genitori erano fuori per lavoro: questo dava loro ancora più libertà.
“Dios mio, che scenario patetico”.
Rafael si bloccò sulla porta di casa Bane, osservando i suoi amici che sembravano un vero e proprio ritratto della depressione più pura, buttati su divano e poltrone, armati di Nutella. “Qualcosa mi dice che devo risollevare la situazione”, disse lui più a sé stesso che agli altri, chiudendosi la porta alle spalle con un profondo sospiro. “Questo sarebbe il grande musicista a cui ho fatto pubblicità? Bane, dovresti vergognarti”.
Magnus lo ignorò, continuando a guardare il soffitto con maggiore intensità e pensando a tutti i momenti che avrebbe desiderato trascorrere su quel divano insieme ad Alec. L’immagine di loro due distesi lì, abbracciati e mezzi addormentati, con Magnus che guardava verso l’alto con un sorriso da ebete in volto, si presentò a lui come un vero pungo nello stomaco: un sogno che non avrebbe preso forma, mai più.
Casa sua era davvero diventata vuota da quando Alec era uscito dalla sua vita, così come la sua anima: era diventata gelida, museo triste e abbandonato testimone di tutti i momenti passati insieme, a suonare e cantare per Alec, a baciarsi senza sosta, a sfiorarsi fino a perdere fiato mentre il cuore quasi balzava fuori dalla cassa toracica. Magnus aveva lasciato che Alec andasse via, senza provare a fermarlo. Lo aveva visto spesso a scuola, constatando quanto fosse praticamente diventato il fantasma di sé stesso, ma probabilmente Alec avrebbe potuto dire la stessa identica cosa di lui.
Tutti i suoi fidati glitter erano spariti, insieme allo smalto colorato e la linea nera che era solito mettere per sottolineare il suo sguardo magnetico e felino: quel Magnus non c’era più, al suo posto era arrivato un ragazzo con i capelli spettinali e totalmente neri, senza alcuna traccia di luce ad evidenziarli, ed uno sguardo spento, privo di ogni emozione.
Aveva perso tutto il suo modo di essere, tutto ciò che lo rendeva Magnus Bane.
Davvero la perdita di un amore era in grado di provocare simili perdite?
Magnus avrebbe tanto voluto rispondere, e lo avrebbe fatto volentieri, se solo ci fosse stato qualcun altro prima di Alec a farlo innamorare in quel modo viscerale. Certo, aveva avuto altre storie ma Alec Lightwood…
“Ah, credo che domani sera verranno anche Alec e l’allegra brigata”.

“Cosa?”.

Alec non voleva andarci e non ci sarebbe andato, non avrebbe varcato la soglia di quel dannato locale. Non aveva intenzione di arrivare lì solo per ritrovarsi Magnus Bane al centro della sala, intento a suonare e farlo sentire più triste di quanto non fosse già.
“Andiamo, Alec! Dovresti venire”, esclamò Izzy, facendosi più vicina e mantenendo un tono di voce così flebile e speranzoso che ad Alec quasi fu tentato di accettare, solo ed esclusivamente per fare felice sua sorella...ma non poteva.
“Non posso”, dichiarò lui lapidario e irremovibile come una statua di sale.
Jace si scambiò uno sguardo complice con sua sorella, lanciandosi un segnale silenzioso noto solo a loro mentre Clary e Simon li fissavano con espressioni mortificate. Alec odiava creare tutto quel disagio all’interno del suo gruppo di amici, motivo che lo portò a credere ancora di più quanto dovesse restare solo, senza dare fastidio: loro stavano insieme ed erano felici, perché proprio lui doveva intaccare la loro quiete?
“Andate, davvero”, continuò Alec, buttandosi sul divano e preparandosi ad un’altra maratona di Supernatural. “Io starò qui e ordinerò una pizza”.
“Solo…chiamaci, ok?”, dichiarò Jace, fissando gli occhi nei suoi. Sembrava volesse dirgli se hai bisogno di me, ti prego, chiama, ed era quello che Jace stava davvero cercando di fargli capire, Alec questo lo sapeva e gli rivolse un mezzo sorriso, colmo di gratitudine.
Quando uscirono dalla casa dei Lightwood, chiudendo la porta alle loro spalle, Alec sentì il peso dei suoi pensieri farsi sempre più insostenibile.
Accese la tv, sperando che il suono potesse sovrastare quello che rimbombava in continuazione all’interno della sua testa, senza dargli pace.
Chiuse gli occhi, strinse le palpebre e serrò le labbra, concentrandosi solo sulle voci di Sam e Dean Winchester che se ne andavano a caccia di demoni insieme all’angelo Castiel. Non doveva pensare a Magnus. Non voleva pensare a Magnus.
Lui era lontano, al Pandemonium, a suonare la versione acustica di qualche canzone.
Forse poteva essere una canzone dedicata a lui e quel pensiero lo scosse.
“Alec?”.
Il ragazzo quasi saltò dal divano, riaprendo gli occhi immediatamente e voltandosi di scatto, spaventato, verso suo padre, in piedi dietro al divano che lo fissava con le mani nelle tasche. “Papà”, disse lui. “Non sapevo fossi in casa”.
“Sono appena rientrato”, rispose, passandosi una mano dietro al collo, improvvisamente a disagio. Il suo volto era stanco, la barba incolta di qualche giorno e gli occhi sembrava volessero chiudersi da un momento all’altro. “Scusa, ti ho svegliato”.
“No, non stavo dormendo, solo-“, si interruppe, facendo segno alla televisione, mentre suo padre prendeva lentamente posto accanto a lui, quasi impaurito dal suo stesso gesto.
“Ho visto i ragazzi”, dichiarò, tenendo lo sguardo fisso sul pavimento. “Perché non sei con loro? Stanno andando al locale per la festa”.
Alec trattenne una risata amara. “Non sono molto dell’umore”.
Suo padre non aggiunse nulla. Entrambi potevano percepire l’imbarazzo sospeso nella stanza, il silenzio che faceva da padrone e la voglia di parlare seppellita sotto cumuli di orgoglio, perché Alec avrebbe tanto voluto parlare, o meglio urlare, chiedergli perché si stava sforzando di comportarsi normalmente con lui, come se il loro fosse un classico rapporto padre-figlio. Desiderò salire in camera sua e lasciarlo lì, perché sostenere anche un semplice dialogo con lui non aveva alcun senso, ogni cosa puzzava di marcio, ogni contatto trasudava finzione perché suo padre Robert non aveva fatto altro che trattarlo come uno spettro vagante per casa, di cui non avrebbe desiderato altro che liberarsi.
Fece per alzarsi, quando le parole di Robert lo inchiodarono al divano.
“E’ per lui, vero? Magnus”.
Alec lo fissò interdetto, troppo colpito da quell’affermazione che per lui era suonata quasi come una stilettata. “Che c’è? Vuoi criticarmi?”.
“No, Alec. Io-“.
Poi lo vide, negli occhi di suo padre, di quell’uomo grande e fiero che non si lasciava scalfire da nulla: dispiacere, senso di colpa…i suoi occhi sembravano così pieni che sarebbero potuto scoppiare per la moltitudine di sensazioni che racchiudevano.
“Forse dovresti andare da lui. Ti ho visto, negli ultimi giorni, anche se tu pensi che non lo faccia…io vedo quanto tutto questo ti faccia soffrire”.
“Non hai mai accettato completamente ciò che sono, e adesso mi dici questo?”.
“No, Alec. Non pensarlo. Io sono fiero di te, dell’uomo che stai diventando e del coraggio che dimostri ogni singolo giorno. Non mi vergogno di te, ma di me e del modo in cui ho reagito a ciò che mi hai detto, perché il tuo uscire allo scoperto non ha fatto altro che ricordarmi quanto sia stato codardo da ragazzo”. (1)
Alec continuò a guardarlo, senza accennare a muoversi o ad interromperlo, ormai incatenato dalle sue parole. In un’altra situazione, si sarebbe probabilmente alzato per fiondarsi nella sua stanza, sbattendo la porta, ma non quando suo padre stava tentando di dirgli qualcosa.
“Non mi sono comportato nel migliore dei modi con una persona a me cara, non sono stato gentile con un amico che ha mostrato sentimenti…particolari nei miei confronti”. (1)
Alec lesse la punta di imbarazzo nella voce di suo padre e sgranò gli occhi per lo stupore, avendo l’esatta conferma di ciò che aveva pensato grazie allo sguardo che gli lanciò: rammarico, vergogna, senso di colpa, rimorso, voglia di rimediare.
“Un amico…davvero?”.
“Mi vergogno di me perché tu sei un uomo migliore di quanto io sia mai stato. Sono tuo padre e avrei dovuto darti il buon esempio, appoggiarti invece di farti sentire un rifiuto…e tu hai fatto tutto da solo, sei cresciuto e hai trovato un amore sincero”.
Alec, udendo quell’ultima parola che risuonò nelle sue orecchie come una barzelletta per nulla divertente, emise uno sbuffo che attirò subito l’attenzione di suo padre. Robert lo osservò con un cipiglio contrariato. “Alec?”.
“Mi permetto di dissentire sulla parola sincero…io e Magnus abbiamo qualche problema”.
Quasi si pentì di aver parlato…quando aveva permesso a sé stesso di lasciarsi andare a certe confessioni? Con suo padre, per di più, ovvero l’ultima persona con cui avrebbe mai immaginato di conversare circa i problemi sentimentali che aveva con Magnus Bane.
“Lascia stare. Fa’ come se non avessi detto nulla”.
“Se vuoi che Magnus sia sincero, comincia ad essere sincero con te stesso, circa ciò che provi per lui e sul vostro rapporto…non buttare tutto così”.
Alec osservò il volto contrito di suo padre, le piccole rughe ai lati degli occhi stanchi e sulla fronte contratta per la tensione che quel discorso doveva aver fatto nascere in lui. Si chiese se la mamma fosse al corrente di ciò che gli aveva raccontato, se parlarne con lui avesse alleviato almeno un minimo il senso di colpa che gli opprimeva il petto.
Gli sorrise, per la prima volta dopo mesi, e gli sfiorò la mano in un tacito ringraziamento: sapeva che per una persona orgogliosa e chiusa come suo padre, quella conversazione doveva essere stata uno sforzo immane che Alec aveva apprezzato. Non era intenzionato a perdonarlo, o almeno non ancora, semplicemente perché gli sguardi di disapprovazione e le settimane intense di silenzio erano ancora lì, legate ai suoi polsi come catene di cui non era ancora riuscito a liberarsi del tutto, ma ci avrebbe provato…un giorno. Ne era certo.
Suo padre ricambiò il sorriso, rilassando le membra. “Grazie”.
 
Il Pandemonium non era certo tra i locali preferiti di Alec Lightwood.
La solfa di gente, i chiacchiericci indistinti, l’odore pungente di alcool che gli entrava violentemente nelle narici, persone ubriache che gli si buttavano addosso come se lo conoscessero: tutti quei motivi non facevano che ricordargli quanto il divano di casa fosse comodo, pulito e senza estranei con uno strano concetto di spazio vitale. Aveva percorso la strada da casa fino al locale a piedi, non avendo trovato alcun taxi e ricordandosi di aver lasciato la macchina a Jace, ma – come se quella giornata non fosse già abbastanza ridicola di per sé – aveva iniziato a piovere ed Alec si era ritrovato sulla soglia del Pandemonium, con il cappuccio della giacca tirato alla ben meglio sul capo e l’aspetto di un pulcino bagnato che aveva perso la via di casa. Ovviamente, aveva attirato un paio di sguardi divertiti che lo avevano fatto sentire ancora più come un pesce fuor d’acqua.
Un paio di occhi familiari lo intercettarono quasi subito: Jace era qualche metro più avanti, con un braccio attorno alle spalle di Clary, sorridente e con il capo poggiato sulla sua spalla. Jace si immobilizzò non appena lo vide, regalandogli un largo sorriso che costrinse Alec a sorridere a suo volta, perché era raro vedere suo fratello sorridere in quel modo a qualcun altro che non fosse Clary.
Era felice, per qualche motivo a cui Alec non volle pensare. Il ragazzo gli fece cenno di raggiungerlo e Alec lo vide dare un colpetto sul braccio di un’altra figura, che si rivelò essere Isabelle, con la mano stretta in quella di Simon.
“Alec!”, sua sorella lo chiamò, senza preoccuparsi di essere indiscreta e gli corse incontro, buttandogli le braccia al collo. “Sei venuto, lo sapevo!”.
“Jace, mi devi dieci dollari”, dichiarò Simon con tono vittorioso mentre il diretto interessato ruotava gli occhi al cielo.
“Facciamo che sono i migliori dieci dollari che abbia mai speso”.
Alec rimase quasi frastornato da tutta quella gioia con cui i suoi amici lo avevano accolto.
Credevano che avrebbe fatto qualcosa di plateale per parlare con Magnus? Che era corso lì solo ed esclusivamente per rimediare? Che era lì per urlare al mondo che era gay ed innamorato perso di Magnus Bane? Che avrebbe fatto ufficialmente coming out?
Il panico cominciò ad assalirlo. In realtà, Alec non aveva pensare a cosa dire o fare durante il tragitto verso il Pandemonium. Aveva semplicemente camminato a passo veloce, con il respiro corto e la mente completamente vuota, cercando di bagnarsi il meno possibile.
E adesso che aveva raggiunto il locale cosa avrebbe fatto? Cosa avrebbe detto?
Non si era preparato un discorso e non era mai stato un grande oratore. Il pensiero di scappare da lì con la coda tra le gambe gli attraversò la mente, e Alec lo avrebbe fatto, se solo non fosse calato un silenzio improvviso su tutta la sala.
Magnus era al centro del palco, seduto su uno sgabello con la chitarra in grembo e quella visione gli spezzò il cuore ancora una volta: aveva il volto stanco, pallido ed emaciato, una leggera barba di qualche giorno gli ornava il viso, i capelli erano – come al solito – spettinati ma al naturale senza alcun gel o glitter a risaltarli. Anche l’abbigliamento sembrava rispecchiare il suo stato d’animo: una semplice maglietta nera che gli calzava larga, jeans scoloriti e anfibi dello stesso colore della maglia. Quello non era il suo Magnus, ma un fantasma.
La folla lo accolse con un applauso caloroso e qualche fischio di apprezzamento.
“Grazie a tutti, ragazzi”, esclamò lui, avvicinandosi al microfono, mentre Alec faceva di tutto per nascondersi, rimanendo fermo dietro la figura di Jace. “Stasera ho deciso di portare un pezzo a me molto caro che ho trovato particolarmente adatto per la fine di quest’anno. Sapete, non starò qui a farvi i discorsi strappalacrime”. Sorrise, Magnus, e per un attimo gli sembrò quasi il suo Magnus. “Semplicemente, divertitevi e ricordate che siamo giovani, ok? Questa è una cover in versione acustica, quindi spero tanto che apprezziate”.
Il pubblico applaudiva, Izzy e Clary saltellavano ed emettevano urletti come due perfette groupie mentre Simon alzava le braccia al cielo con fare divertito e Jace gli rifilava continuamente pacche sulle spalle, come per dargli forza. In lontananza, Alec scorse anche gli amici di Magnus: Ragnor, Rafael e Catarina. Quest’ultima gli sorrise cordialmente e diede una gomitata a Ragnor per richiamare la sua attenzione ma Alec si voltò in tempo per non vedere la sua reazione, troppo imbarazzato da tutta quella attenzione.
Quando Magnus cominciò a cantare, Alec sentì le ginocchia cedergli.
 
“What if, what if we run away? What if, what if we left today?
What if we said goodbye to safe and sound? And what if, what if we’re hard to find?
What if, what if we lost our minds? What if we let them fall behind and they’re never found?”.
 
Alec aveva perso il conto di quante volte il cuore gli fosse andato in pezzi nell’arco di una giornata. I cocci erano tutti sparsi ai suoi piedi ma non sembrava importargliene, troppo impegnato ad osservare Magnus che si esibiva nella sua straziante performance.
Alec avrebbe tanto voluto salire su quel maledetto palco e baciarlo lì, davanti a tutti.
Fu in quel momento che Magnus lo vide: gli occhi ambrati si incastrano nei suoi, gonfi e lucidi di un pianto che stava trattenendo con tutte le sue forze. Il ragazzo non fece nulla, semplicemente continuò a cantare, tenendo gli occhi fissi su di lui come un naufrago che ha appena trovato la sua isola.
Alec gli sorrise, quasi senza pensarci, dimenticando completamente tutto ciò che lo circondava e concentrando tutte le sue attenzioni su Magnus e su quella melodia lancinante come il canto di un cigno…era per lui, poteva sentirlo nelle vene.
Magnus cantava, ferito e straziato, e sembrava stesse cercando di dirgli tante cose, tutte quelle cose che non gli aveva detto quando ne aveva avuto l’opportunità, ma che si riassumevano in poche semplici parole: Ti amo. Ti prego, dimmi che mi ami ancora.

 
 “And when the lights start flashing like a photobooth. And the stars exploding, we’ll be fireproof.
My youth, my youth is yours, trippin’ on skies, sippin’ waterfalls. My youth, my youth is yours. Runaway now and forevermore.
My youth, my youth is yours. A truth so loud you can’t ignore. My youth, my youth, my youth. My youth is yours”.
 
Quelle parole furono il colpo di grazia, e senza neanche accorgersene, Alec cominciò ad avanzare lentamente verso il palco, mentre gli sguardi di Izzy e Jace erano puntati su di lui. Forse anche altre persone lo stavano fissando ma non gli importava, perché lui era lì, bagnato fradicio ad ascoltare Magnus Bane che cantava una canzone guardandolo dritto negli occhi, come fosse una vera e propria dichiarazione d’amore.
Ricordò tutti i sorrisi, gli abbracci, i baci scambiati di nascosto dietro gli angoli meno affollati della scuola.
Ricordò tutte le volte che Magnus gli aveva cantato qualcosa, con gli occhi pieni d’amore un sorriso felice in volto.
Ricordò le serate trascorse a casa sua, aggrovigliati tra le lenzuola mentre il mondo fuori rimaneva sospeso.
Ricordò le labbra di lui che gli baciavano ogni parte del viso.
Ricordò le sue mani che gli carezzavano il corpo come fosse fatto di cristallo.
Ricordò il suo volto sugli spalti, la sua presenza silenziosa a dargli forza.
 
“What if, what if we start to drive? What if, what if we close our eyes?
What if we’re speeding through red lights into paradise? Cause we’ve no time for getting old.
Mortal bodies; timeless souls. Cross your fingers, here we go”.
 
Magnus aveva gli occhi chiusi e la sua voce sembrava farsi sempre più roca ad ogni strofa, come se una lama rovente gli si conficcasse nel petto ad ogni parola, rendendogli tutto più difficile…come se cantare gli provocasse quasi un dolore lancinante.
Alec chiuse gli occhi, come se in quel modo potesse avvicinarsi a Magnus, sperando di instaurare un qualche contatto immaginario presente solo ed esclusivamente nella sua mente. Immaginò di allungare una mano verso di lui, arrivando a sfiorargli le dita che stavano armeggiando con la chitarra, producendo quel suono triste e meraviglioso.
Quando Alec riaprì gli occhi, trovò quelli di Magnus su di sé, come se gli stessero rivolgendo un lamento silenzioso e Alec si ritrovò a sospirare pesantemente per cercare di placare tutte quelle emozioni che lo stavano assalendo, troppo forti da sopportare.
 
“And when the lights start flashing like a photobooth. And the stars exploding, we’ll be fireproof.
My youth, my youth is yours, trippin’ on skies, sippin’ waterfalls. My youth, my youth is yours. Runaway now and forevermore.
My youth, my youth is yours. A truth so loud you can’t ignore. My youth, my youth, my youth. My youth is yours”.
 
Quando Magnus Bane finì la sua canzone, ci fu un attimo di silenzio, giusto un momento di assestamento, come se tutti i presenti si stessero accertando di ciò a cui avevano assistito. Durò giusto qualche secondo, dopodichè tutto il pubblico scoppiò in un applauso ma Alec non ci badò, perché Magnus era sceso di corsa dal palco, mettendo via la chitarra, lasciandola chissà dove, mentre lui gli era andato incontro a metà strada, piombandogli addosso e gettandogli le braccia al collo come se ne valesse della sua vita.
Magnus lo strinse forte, carezzandogli la schiena come per rassicurarlo, perché Alec non si era neanche accorto di essere scosso dai singhiozzi, non riusciva nemmeno ad udirli, soppiantati dalle grida dei presenti, dalle urla felici di Izzy e i fischi di Jace.
Tutti i rumori attorno a lui non erano altro che un brusio indistinto, l’unica cosa che giungeva realmente alle sue orecchie - e non come un suono ovattato – era la voce di Magnus, il suo Magnus: “Mi dispiace. Mi dispiace. Mi dispiace”.
Alec seppellì il viso nel suo collo, inspirando a pieno il suo odore, riprendendo familiarità con quel corpo che aveva rischiato di dimenticare e passando le mani tra i suoi capelli corvini, assaporandone la consistenza morbida e setosa.
Voleva avere la certezza che Magnus fosse lì, reale fra le sue braccia.
Voleva dirgli qualcosa, ma nella sua testa c’era un groviglio di parole che non riusciva a sciogliere. A tempo debito lo avrebbe fatto, avrebbe sciolto quei nodi che si erano formati durante la sua assenza ma in quel momento, riusciva solo a ricordare i versi della canzone cantata da Magnus, come se fossero l’unica realtà a cui dare credito. Avvicinò le labbra al suo orecchio. “My youth is yours”.
Magnus lo strinse un po’ più forte. “Anche la mia, Alec. Anche la mia”.
 
 
Angolo dell’autrice
 
  • (1) questo è un leggerissimo spoiler da Città del Fuoco Celeste, e, come avrete notato, ho evitato di fare nomi ma chi ha letto il libro sa di cosa sto parlando, e ho ripreso la scena avvenuta alla fine del libro tra Alec e suo padre Robert;
  • Il verso ad inizio capitolo è tratto da “Me” dei The 1975;
  • Il titolo e la canzone suonata da Magnus è “My youth” di Troye Sivan ♥
 
Vi chiedo scusa, davvero. Sono una persona orribile e sono stata capace di presentarmi con l’ultimo capitolo dopo ben tre mesi.
Non ci sono scuse, semplicemente l’ispirazione era andata un po’ a farsi benedire ma in questi due giorni ho cercato di fare del mio meglio per dare una degna conclusione a questa storia. Non so se ci sono riuscita (infatti quello che ho scritto mi convince ben poco), lascio la parola a voi.
Questo ultimo capitolo è un po’ più lungo rispetto ai precedenti e spero tanto non vi abbia annoiato; visto che Magnus è un musicista, proprio non sono riuscita a resistere all’immagine di lui che canta per Alec davanti ad una marea di gente, per scusarsi e fargli capire che tiene a lui. Ho scelto questa canzone di Troye Sivan perché il testo è maledettamente adatto alla situazione che hanno affrontato ed è anche uscita giorni fa, quindi…grazie, Troye (andate a sentire le sue canzoni se non lo conoscete, perché sono stupende e super angst!). Infatti, ho pensato di non far parlare molto Magnus perché credo abbia detto abbastanza con la sua performance. Non penso di avere altre precisazioni da fare, spero semplicemente che questo ultimo capitolo vi sia piaciuto e che non vi abbia deluso. Fatemi sapere cosa ve ne pare con un commentino perché l’ansia mi sta divorando, e sono troppo curiosa di sapere cosa ne pensate, sperando di non aver combinato un disastro.
Grazie di cuore a tutti voi per avermi seguita in questa pazzia e per aver aspettato, davvero ♥
Alla prossima,
Lily.
   
 
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