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Autore: Whatadaph    03/12/2015    2 recensioni
Nel centro di Londra, un clamoroso furto di opere d’arte dal valore inestimabile avviene in circostanze misteriose. Gli Auror brancolano nel buio e Scorpius Malfoy c’è dentro con tutte le scarpe.
Nel frattempo, a Hogwarts, Lizzie Dursley è alle prese con una cotta impossibile e Fred Weasley ne combina una dopo l’altra.
Sono passati sei anni e i nostri eroi si muovono nelle loro nuove vite, tra il Ministero della Magia, l’ospedale San Mungo, il Caffè Nero di Trafalgar Square e un certo castello in Scozia.
Come sempre, se i Potter-Weasley e compagnia non vogliono guai… Sono i guai che li vanno a cercare!
Con la partecipazione straordinaria di quattro squadre di Quidditch, alcune vecchie conoscenze e un grosso gatto peloso.
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Hugo Weasley, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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- Questa storia fa parte della serie 'Metamorphosis'
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CAPITOLO SESTO
 
Zuppa al pomodoro
 
 
 
 
Non era la prima volta che Rose metteva piede nel Dipartimento Auror. Dopotutto suo padre lavorava lì sin da quando era piccola: ricordava benissimo quelle volte in cui Ron Weasley si era caricato lei e Hugo per mostrar loro “dove lavora papà” e li aveva portati con sé al Ministero della Magia.
Da bambina il Dipartimento le aveva impresso un senso di soggezione e timoroso riguardo: il corridoio le sembrava enorme e infinito, le facce dei criminali in movimento attaccate alle pareti le avevano trasmesso una profonda inquietudine. In quel luogo tutti i suoni parevano riecheggiare confusamente e tutto le era parso così serio, così grave
Ma poi aveva raggiunto l’ufficio che suo padre divideva con lo zio Harry ed ecco foto di famiglia e disordine, un senso di calore ben diverso dall’oscurità dei lunghi corridoi.
Anche adesso, a ventitré anni compiuti, il nervosismo le stringeva lo stomaco mentre percorreva quello stesso corridoio, che appariva meno enorme ma ugualmente interminabile e vagamente opprimente. Ogni tanto incrociava qualche Auror; si sforzò di non far caso a loro, concentrando lo sguardo sulla schiena di Gwyneth, che la precedeva in mezzo alle pareti rivestite di giornali.
Aveva ventitré anni e il nervosismo che non mollava la presa nel suo petto adesso si era arricchito di diverse sfumature.
D’un tratto, troppo presto per i suoi gusti, Gwyneth s’infilò dentro una porta e Rose non poté evitare di seguirla, mentre il cuore le risaliva in gola per poi ricadere giù, con un brusco tonfo sullo stomaco.
Sapeva chi avrebbe trovato in quella stanza: lo sapeva fin da quando aveva accettato di lasciare una deposizione agli Auror riguardo quel che sapeva sulla rapina alla National Gallery.
“È necessario che tu venga a rilasciare una deposizione ufficiale, Rose,” le aveva detto lo zio Harry, spiegandole poi con un certo imbarazzo che non si poteva fare altrimenti, visto che in teoria ci sarebbe stato il segreto professionale e in quanto Capo del Dipartimento era lui stesso a rispondere al Ministro del modo in cui veniva a conoscenza delle informazioni.
Naturalmente Rose aveva accettato: non voleva certo rifiutarsi di collaborare a un’indagine!
L’ufficio assegnato alla squadra di Gwyneth era piccolo e affollato di oggetti, a un livello di disordine che probabilmente Lily avrebbe trovato ai limiti del sopportabile. La finestra incantata mostrava un falsissimo cielo terso e sgombro da nubi, smentito dal diluvio che in realtà stava precipitando su Londra.
Chissà come, nell’angusta stanzetta erano state incastrate tre scrivanie e due schedari traboccanti di carte; le pareti erano fitte di ritagli di giornale, fotografie, mappe e fogli ricoperti di appunti in cui si accavallavano tre diverse grafie.
Rose si costrinse a distogliere l’attenzione dall’ambiente in cui si trovava, per concentrarsi invece sulle persone presenti nella stanza. Suo cugino Louis era seduto in una posa languida dietro una delle scrivanie, con le mostrine e il distintivo da tenente a brillargli sull’uniforme. Accanto alla finestra era invece in piedi un giovane uomo piuttosto alto, dai capelli biondi più in disordine e corti di quanto Rose ricordasse. La sua espressione era seria e gli occhi grigi puntavano su di lei.
Era più di un anno che non lo vedeva; nel posare lo sguardo su di lui percepì una morsa stringerle il petto. Si sentì curiosamente molto felice e molto triste al tempo stesso.
“Ciao, Rose,” disse Scorpius; lei si ritrovò a sorridere incerta e a salutarlo a propria volta, prima di concentrarsi su Louis e rispondere al suo cenno di benvenuto.
“D’accordo, cugina,” le disse allegramente lui. “Bando ai convenevoli.” Con un gesto la invitò a sedersi su una sedia accanto alla propria scrivania. Rose obbedì, scavalcando una pila di fogli per raggiungere il posto libero.
Adesso dava le spalle a Scorpius, ma le pareva di percepire con chiarezza la sua presenza e lo spazio che occupava nel piccolo ufficio, forse persino il suo sguardo fisso sulla propria nuca.
Con uno sbuffo, Gwyneth si sedette su un angolo della scrivania di Louis. “Allora, Rosie,” le disse in tono spiccio, “spiegaci tutto dall’inizio.”
Anche Scorpius si spostò dalla finestra fino a piazzarsi in piedi alle spalle del collega. Rose deglutì. “D’accordo,” esordì. “Da circa un anno ho iniziato a lavorare al Caffè Nero di Trafalgar Square. È un locale Babbano che fa parte di una catena,” si affrettò a spiegare, visto che Scorpius aveva sollevato leggermente le sopracciglia in segno di perplessità. Nel frattempo, una Prendiappunti aveva iniziato a segnarsi qualche nota su un piccolo blocco con la spirale. “Uno dei clienti abituali è un ragazzo Babbano di nome Chris Murphy, che lavorava alla National Gallery come guardiano notturno.” Aggrottò le sopracciglia, sforzandosi di pensare a cosa potesse essere utile sapere per gli Auror. “La National Gallery si affaccia su Trafalgar Square,” proseguì. “Il lavoro di Chris era tenere d’occhio le telecamere di notte; veniva sempre a prendere un caffè nel posto in cui lavoro prima di iniziare il suo turno.”
“Per che ora iniziava?” la interruppe Scorpius in tono professionale.
Lo stomaco di Rose si strinse nuovamente al suono della sua voce. “Intorno alle nove.”
L’Auror assottigliò gli occhi. “Grazie,” borbottò, “prosegui pure.”
Si mordicchiò il labbro. “Questa estate, in giugno, è accaduta una rapina alla National Gallery. L’ho saputo perché se ne parlava al lavoro… Da quel giorno non ho più visto Chris per un paio di mesi. È passato a trovarmi in agosto dicendomi che era stato licenziato dal museo… Ma una settimana prima aveva trovato un nuovo lavoro come portiere in un albergo.” Deglutì. “In quell’occasione mi ha anche detto qualcosa sulla rapina al museo… Ha detto che non era stata colpa sua, che c’era stato un guasto alle telecamere. Qualcuno doveva averle manomesse, perché gli schermi sono diventati improvvisamente scuri. Tutto dev’essere accaduto in pochissimo tempo. Chris ha dato subito l’allarme, ma quando è arrivata la sicurezza i ladri erano già spariti con alcuni quadri molto preziosi.” Si concentrò col pensiero sul ricordo di quel giorno d’estate, appena un mese prima, cercando di raccogliere dai recessi della memoria quali altre parole avesse pronunciato Chris. “Il guardiano notturno è stato trovato svenuto senza alcun ricordo dell’accaduto.” Aggrottò le sopracciglia. “I Babbani hanno pensato che avesse ricevuto un colpo alla testa, mi ha detto Chris… Ma ricordo di aver pensato che somigliasse tutto molto ad uno Schiantesimo seguito da un incantesimo di memoria.”
Per qualche istante nella piccola stanza calò il silenzio, con l’eccezione del lieve grattare della Prendiappunti sul block-notes. Poi anche quella tacque, tornando a depositarsi ordinatamente nel portapenne su una delle tre scrivanie.
Allora Louis parlò. “Avevi pensato bene.” Si passò una mano tra i capelli. “Riguardo allo Schiantesimo e all’incantesimo di memoria, dico. Probabilmente le cose sono andate proprio così. Avresti dovuto fare l’Auror, cugina.”
A quelle parole, Rose non riuscì a impedirsi di provare un caldo moto di soddisfazione all’altezza dello stomaco. Sentì su di se gli occhi di Scorpius, quindi sollevò lo sguardo su di lui e lo trovò a osservarla con le labbra incurvate in quello che sembrava un sorrisetto nostalgico.
Fu allora che Rose capì perché si era sentita tanto felice e tanto triste al tempo stesso.
È perché ti è mancato, stupida.
 
Pochi minuti dopo la deposizione di Rose era finita e lei stava percorrendo a passo calmo un corridoio del Dipartimento. Nonostante non fosse andata poi così male, sentiva l’urgenza di andarsene al più presto, di tornare nel mondo Babbano lì fuori appena fosse stato possibile; sperava con tutto il proprio cuore di non incontrare nessuno che conoscesse.
La presenza di Gwyneth e Scorpius ai suoi lati come due guardie del corpo era, doveva ammetterlo, in qualche modo rassicurante.
“Cosa farete adesso?” domandò a bassa voce.
Scorpius la guardò, sorridendole dall’alto. “Andremo alla National Gallery a chiedere di vedere i video della sorveglianza… Mi è venuta una mezza idea.”
“Scorpius.” Gwyneth intervenne severa. “Segreto professionale ti dice qualcosa?”
“Ah, già,” replicò il giovane con voce annoiata. Il suo sguardo incontrò quello di Rose ed entrambi rotearono gli occhi.
Subito dopo, lei sentì come un colpo nel petto.
Notò improvvisamente che erano passati ad un’ala del dipartimento molto meno silenziosa, che anzi riecheggiava di tonfi, strilli e botti. Gwyneth rispose al suo sguardo interrogativo con una scrollata di spalle. “Hanno spostato qui un paio di classi dell’Accademia,” spiegò.
Passarono davanti ad una porta aperta: Rose rimase indietro di un paio di passi per dare una sbirciata dentro, incuriosita.
Fu in quel momento che accaddero più cose in rapida successione, quasi in contemporanea: la ragazza udì un grande botto e vide un alone di densa luce aranciata investirla in pieno, ributtandola indietro fino ad andare a sbattere sulla parete opposta del corridoio. Allora percepì un dolore a entrambe le gambe così forte da farla strillare.
“Rose!” la vista annebbiata dal dolore, riconobbe vagamente la figura di Scorpius che si precipitava al suo fianco. “Rose,” udì come da molto lontano. “Ora ti portiamo al San Mungo.”
“No,” si sentì dire con una voce che non pareva la sua. “Voglio andare ad un ospedale Babbano...”
“Non essere ridicola, Rose.” Questa era Gwyneth, ma Rose non poté udire altro, perché non sentì più nulla e tutto divenne nero.
 
 
*
 
 
Quando Rose aprì gli occhi, scoprì di trovarsi in un ambiente soffice e ovattato, innaturalmente illuminato dal freddo bagliore di sfere luminescenti sospese a mezz’aria.
Si sentita intontita e per adesso riusciva solo ad essere consapevole di trovarsi distesa in un letto comodo, tra lenzuola pulite, finché una voce familiare non costrinse il suo cuore a fare un balzo; le sue orecchie raccolsero poi il suono di una porta che si chiudeva e un rumore di passi.
Poi vide qualcuno avvicinarsi.
“Scorpius?” domandò con voce rauca, che risultò stranamente stridente rispetto al silenzio morbido di quella stanza.
“Mi dispiace, Weasley,” disse allora un’altra voce, altrettanto familiare ma decisamente meno gradita. “Scorpius è appena andato via.”
Rose aggrottò le sopracciglia e sollevò lo sguardo, incontrando il viso di un giovane uomo dai capelli neri e l’aria beffarda.
“Greengrass?!” sbottò, senza riuscire a impedire al proprio tono di uscir fuori scocciato.
Aveva accettato che gli occhi di Lily fossero solo per qualcuno che lei non apprezzava minimamente e non aveva problemi a tollerarne la presenza alle cene di famiglia, ma questo di certo non significava che Greengrass avesse cominciato a piacerle.
“Proprio io,” disse Jake, e Rose fu certa di vederlo sogghignare. Doveva trovare la cosa tetramente divertente. “Non sei felice di vedermi?”
Ignorò la sua uscita e si guardò attorno, anche se ormai le era abbastanza chiaro di trovarsi al San Mungo. Ricordava l’incantesimo che le era finito addosso per sbaglio spezzandole le ossa delle gambe; ricordava anche di aver perso i sensi per il dolore poco dopo. Scorpius si era precipitato al suo fianco quando l’aveva vista cadere… Avrebbe desiderato non sentire il cuore gonfiarsi come un palloncino al solo pensiero.
Solo io potevo essere così sfigata da beccarmi in pieno l’incantesimo sbagliato di uno stupido allievo Auror passando davanti ad una porta. Solo io.
“Perché mi hanno portata qui?” domandò brusca a Greengrass, che nel frattempo aveva cominciato ad armeggiare con un carrello di pozioni e fischiettava tra sé, mostrandosi del tutto rilassato – Rose era certa che lo facesse per farle saltare i nervi. Doveva averle fatto qualcosa alle gambe, dal momento che non sentiva più dolore.
Il giovane sollevò la testa e la guardò inarcando le sopracciglia. “Come, scusa?”
Appariva piuttosto serio e anche vagamente seccato.
Rose sbuffò. “Perché mi hanno portata qui?” ripeté. “Avevo chiesto di andare in un ospedale Babbano.”
Greengrass le parve alquanto seccato. “Perché in ospedale Babbano ti avrebbero operata e ingessata, e non avresti potuto camminare per chissà quanto,” rispose con il tono di un brusco rimprovero. “Invece io posso farti tornare in piedi tra mezz’ora. Sono qui per fare il mio lavoro e aggiustarti le ossa, non per costringere a restare tra noi più tempo del necessario.”
Rose rimase in silenzio, perché non avrebbe mai ammesso ad alta voce che l’altro avesse ragione. Quanto meno, se le cose stavano come aveva detto Greengrass, di lì a mezz’ora avrebbe potuto allontanarsi da lì e tornare a immergersi nella caotica, inconsapevole, rassicurante folla delle strade londinesi.
Osservò Greengrass agitare la bacchetta, mandando una lozione a depositarsi sulle sue gambe.
“Bevi questo,” le ordinò poco dopo, porgendole un bicchiere colmo di un trasparente liquido verdastro dall’aria poco gradevole. Rose lo prese storcendo il naso, per scoprire con sorpresa che era dolce ma quasi insapore, come acqua zuccherata.
Non vedeva l’ora di andarsene da lì.
“Nessuno cerca di obbligarti a tornare tra noi,” ripeté Greengrass pigramente, quasi avesse indovinato il suo pensiero. “Anche se, certo, alcuni lo vorrebbero.” Nel frattempo continuava ad agitare la bacchetta, facendo chissà cosa. “Non è che vorresti avere le gambe un po’ più lunghe? Forse potrei farti guadagnare qualche centimetro in più d’altezza,” aggiunse in tono sarcastico, come per stemperare l’affermazione di poco prima.
Questa volta lei raccolse la provocazione. “Non è che tu sia particolarmente alto, Greengrass,” borbottò.
L’altro scrollò le spalle. “Mi piaccio moltissimo così come sono,” si limitò a replicare, per poi tornare a lavorare in silenzio.
Mentre lo lasciava fare, la mente di Rose corse improvvisamente alle parole udite poco prima.
“Anche se alcuni lo vorrebbero.”
Che si riferisse a Scorpius?
Ma quanto sei stupida, si disse. Certo che si riferiva a Scorpius. Chi altri, sennò?
Proprio come poche ore prima, durante la sua deposizione agli Auror, il suo stomaco sprofondò mentre si trovava costretta ad affrontare la realtà del fatto che Scorpius le mancava.
Sentiva una profonda nostalgia della presenza del ragazzo nella propria vita. Nei primi tempi dopo la rottura si era detta che questo fosse dovuto alla quotidianità, all’abitudine di averlo sempre al proprio fianco. Ma adesso erano passati due anni, la sua vita aveva preso nuovi ritmi da un pezzo e la routine di ogni giorno non comprendeva affatto la presenza di Scorpius.
Eppure quella mattina si era ritrovata ad ammettere che, nonostante si fosse abituata alla sua assenza da un pezzo, non aveva mai smesso di sentire la sua mancanza. Quando l’aveva visto all’ufficio Auror si erano scambiati pochissime parole e lei si era ritrovata a desiderare che ne seguissero molte altre, a pensare a quanto sarebbe stato bello sedersi in un pub a bere una Burrobirra e parlare, parlare per ore come facevano un tempo…
Nessuno era mai stato in grado di capirla come faceva Scorpius, eccetto per suo fratello Hugo.
“Ho finito.” La voce di Greengrass la riportò improvvisamente alla realtà, ma non ne fu troppo contenta. “Sei libera di andare.”
Rose annuì, sentendosi stranamente assente, e buttò le gambe oltre la sponda del letto per alzarsi. Il Guaritore aveva fatto un buon lavoro: le pareva che l’incidente della mattinata non fosse mai avvenuto e anche il dolore al ginocchio destro che sentiva di tanto in tanto pareva essere sparito. Le sue gambe erano tornate come nuove, ma pareva che Greengrass alla fine non l’avesse fatta diventare più alta.
Peccato.
Sentì un rumore secco e si accorse che l’altro aveva chiuso le tendine attorno al suo letto con un colpo di bacchetta per consentirle un po’ di privacy nel cambiarsi. Rose si tolse in fretta il pigiama del San Mungo, tornando a infilarsi rapidamente i jeans e la camicia a scacchi. Abbottonò il golfino, si ravviò i capelli e infine aprì le tende.
Con la coda dell’occhio vide che Greengrass stava mettendo in ordine la stanza agitando la bacchetta. Le parve di udirlo brontolare qualcosa riguardo al fatto che i Medimaghi fossero pagati per scomparire quando aveva bisogno di loro.
Sospirò e si chinò per allacciarsi le scarpe, prima di raccogliere le proprie cose e alzare di nuovo lo sguardo sul ragazzo.
“Beh… Grazie?” fece esitante.
“Non devi ringraziarmi,” replicò lui seccamente. “Ho fatto solo il mio lavoro.”
Rose annuì. “Già. È vero.” Si ritrovò ad accennare un sorrisetto. Improvvisamente si sentiva sfinita, e anche la testa aveva cominciato a girarle.
Ovviamente questo non sfuggì alla vista acuta di Greengrass, che immediatamente le si accostò, assottigliando gli occhi, e le agguantò il polso.
“Hai la pressione bassa,” la informò. “Hai saltato il pranzo, dovresti mangiare qualcosa.”
“Va bene,” Rose annuì in fretta, pensando di prendere dei tramezzini al primo minimarket che avrebbe incontrato lungo la strada.
Tuttavia, Greengrass pareva di tutt’altro avviso; gettò un’occhiata all’orologio da polso prima di dire: “Il mio turno finisce ora. Ti accompagno a prendere qualcosa al caffè dell’ospedale.”
La testa di Rose girò più forte… Doveva riconoscere che si trattava di un’offerta ragionevole e a dire il vero temeva di svenire di nuovo da un momento all’altro, dando ancora più spettacolo.
Sospirò, prima di seguire Greengrass fuori dalla stanza.
 
 
*
 
 
Seduta al caffè del San Mungo con davanti una scodella di zuppa al pomodoro e una tazza di tè verde, Rose si sentì subito meglio, nonostante la bizzarria della situazione attuale fosse incarnata dalla persona di Jacob Greengrass, seduto di fronte a lei e intento a sorseggiare un caffè.
Prese del pane e iniziò a ricoprirlo di burro con un coltellino. La zuppa era calda e gustosa e con suo grande sollievo i tavolini di plastica della caffetteria erano quasi vuoti; non avevano incontrato nessuno che conoscesse durante il percorso per l’ultimo piano, con l’eccezione di Viviana Davis. La ragazza era stata una Serpeverde dell’anno di Dominique e a Rose non era mai piaciuta molto. Greengrass doveva essere dello stesso avviso, dal momento che aveva liquidato la Medimaga a tempo record. Con suo enorme sollievo.
Ironico il fatto che ci detestiamo ma abbiamo gli stessi gusti in fatto di persone. Lui sta con la mia cugina preferita, io stavo con il suo migliore amico ed entrambi siamo amici di Gwyneth e Christine.
Ma era poi vero che Greengrass la detestava? Dopotutto era stato gentile ben al di là di quanto il dovere professionale avrebbe imposto.
Gli scoccò un’occhiata di sottecchi. Non avrebbe mai capito cosa ci trovasse Lily in lui: era strafottente, arrogante e neanche troppo carino, per i suoi gusti.
Forse perché preferisci i biondi?, osservò una vocina nella sua testa, inquietantemente simile a quella della cugina.
Sta zitta, Lily, pensò. Si concentrò sul cibo: Greengrass aveva avuto ragione sul calo di pressione… Una fetta di pane e burro, poche cucchiaiate di quella densa zuppa e già si sentiva decisamente meglio.
“Allora, Weasley?” disse il giovane all’improvviso, distogliendola dai suoi pensieri. “Come vanno le cose? Infortuni a parte.”
Rose scrollò le spalle e sbocconcellò una seconda fetta di pane ricoperta di burro, prima di rispondere: “Non c’è male.”
Era così, in effetti. Le piaceva la direzione che aveva preso la sua vita, era appassionata alle materie che studiava e apprezzava molto la libertà di cui godeva nella Londra Babbana. Era complessivamente soddisfatta… Ma felice?
A volte si sentiva improvvisamente apatica e irritata. Erano momenti in cui percepiva un moto d’insoddisfazione, di solitudine investirle il petto, quasi d’abbandono; si ritrovava improvvisamente a chiedersi che senso avesse quel che stava facendo, e se quel senso di noia e mestizia l’avrebbe perseguitata per tutta la vita.
“Non c’è male,” ripeté. “Mi piace il mondo Babbano.”
Jacob annuì. Aveva un’aria distratta, ma Rose ebbe la sensazione che invece fosse piuttosto attento.
“E tu?” gli domandò.
L’altro scrollò le spalle. “Vorrei avere meno turni di notte,” replicò nel solto tono vagamente arrogante. “Ma sono piuttosto entusiasta della direzione che ha preso la mia vita.”
Rose capì che stava pensando a Lily, nonostante l’altro fosse estremamente bravo a non mostrare ciò che provava. La sua espressione era rimasta del tutto immutata ma il suo sguardo si era in qualche modo riscaldato.
Lo osservò per qualche secondo sorseggiare il suo caffè americano, prima di distogliere lo sguardo per tornare a posarlo sulla densità rosso scuro della zuppa al pomodoro.
“Weasley.” La voce di Greengrass raggiunse di nuovo le sue orecchie. “Hai ripetuto due volte non c’è male.”
“E allora?” replicò secca.
“Se fosse veramente così non avresti bisogno di rimarcare il concetto per convincertene.”
Rose sbuffò. Avrebbe dovuto sapere che c’era la fregatura, nascosta da qualche parte; non era possibile che stesse davvero sostenendo una conversazione gentile e priva d’imbarazzo con quel ficcanaso.
Avrebbe voluto rispondergli che non erano affari suoi, ma invece si ritrovò a dire. “Sei peggio di Christine e Lily messe insieme.”
Jacob sorrise serenamente. “Lo prendo come un complimento.”
“Come vuoi,” strinse le labbra. “Comunque non c’è male davvero.”
Lui inarcò le sopracciglia. “E siamo a tre, Weasley. Sei quasi meno credibile del teatrino di Bernie e Christine.”
Rose si sentì indignata. “Sei proprio un pettegolo,” commentò.
Greengrass scrollò le spalle. “Perché secondo te è normale preoccuparsi perennemente per qualcuno senza convincersi mai a mandare un gufo e basta?” Assottigliò gli occhi. “O è normale che due persone adulte vivano come anime in pena per anni perché non hanno il coraggio di parlarsi?”
Il cucchiaio di Rose tintinnò contro la scodella della zuppa. “Dove vuoi arrivare?” disse irritata. “Mi sembra che tu ti stia mettendo in mezzo a faccende che non ti riguardano.”
Lui le scoccò un’occhiata seria che le ricordò Christine. “Io cerco solo di aiutare i miei amici,” replicò calmo.
La rabbia di Rose si sgonfiò leggermente, anche se continuava a credere che quel comportamento fosse tutto meno che appropriato. “Non credo che Bernard sia infelice,” rispose. “Alice è meravigliosa e Christine è contenta per loro. E anche Scorpius è felice così,” aggiunse, nonostante il suo istinto, da qualche parte in fondo al cuore, le dicesse il contrario. “E comunque non hai il diritto di entrare nei loro affari e cercare di manipolare le loro vite.”
“Scorpius felice?!” sbottò Greengrass costernato. “Scorpius ti sembra felice? Lo conosci quasi meglio di me, Rose. Davvero ti sembra felice?”
Decise di non rispondere alla sua domanda. “Ad ogni modo la sua felicità non è più affare che mi compete,” mugugnò.
Jacob la scrutò da sotto le sopracciglia aggrottate. “Questo non lo metto in dubbio,” disse a voce bassa. “Volevo solo sapere se ti manca quanto tu manchi a lui.”
Allora era questo il punto! Rose si domandò come mai l’altro non glielo avesse chiesto direttamente e avesse dovuto farla arrabbiare prima di arrivare al punto focale del discorso.
“Non sono affari tuoi,” riecheggiò quanto detto in precedenza. “Non capisco cosa vuoi. Io e Scorpius ci siamo lasciati per tutta una serie di motivi e tu non hai il diritto di metterci becco.”
Jacob roteò gli occhi. “Dannazione, Rose, ti ho forse chiesto di rimetterti con lui?” sbuffò. “Io so solo che Scorpius sente la tua mancanza e credo che anche tu senta la sua. Penso che a ventitré anni siate abbastanza maturi da poter tornare amici, no?”
Rose non rispose.
“Insomma, sono passati anni da quando vi siete mollati,” proseguì Jacob. “E chiaramente ancora vi mancate come persone.” La fissò dritta negli occhi. “So che può sembrare presuntuoso da parte mia pretendere di sapere che cosa è meglio per voi,” aggiunse. “E ti assicuro che non è così. Mi dispiace di non essere riuscito ad affrontare il discorso con più delicatezza o tatto, ma devi ammettere che è difficile capire come avere delicatezza e tatto con te.”
Rose abbassò gli occhi. “Hai affrontato il discorso nel modo più stupido e stancante che avresti potuto trovare,” brontolò.
“Avrei voluto vedere te ad affrontare un discorso così personale con qualcuno che ti detesta, Rose,” replicò Jacob. Questa volta lei non rispose, ma per la prima volta si accorse che aveva iniziato a chiamarla per nome.
Forse è vero che non ti sopporta, eh? Quanto sei stupida.
Ma lui è piu stupido.
Come indovinando i suoi pensieri, il giovane si passò una mano sulla fronte. “Sì, insomma, non volevo essere indiscreto e sgarbato ma è quello che sono stato. Mi dispiace?” tentò. “Quello che volevo dirti è che a Scorpius manchi. Mi chiedevo se anche a te mancasse e se ci fosse qualche possibilità che tornaste amici. Forse potrebbe rendere entrambi più felici e tranquilli. Fareste anche pace con i sensi di colpa che avete per esservi fatti soffrire a vicenda, non credi?”
L’assurdità della situazione la fece scoppiare a ridere. “Non potevi affrontare il discorso in questo modo calmo, diretto, civile e complessivamente meno da stronzo fin dall’inizio?”
Anche Jacob rise. E Rose, senza preavviso, sentì la rabbia scivolare via.
Quasi nello stesso istante, decise che avrebbe scritto a Scorpius quella sera stessa.
 
 
 
 


 
Note dell’Autrice
 
Mi scuso per il giorno di ritardo nel pubblicare, ma ieri ho avuto una giornata davvero impossibile. Sono stata fuori di casa dalle otto di mattina alle otto di sera e appena tornata ero troppo stanca per mettermi al computer.
Allora: avrete sicuramente notato che questo capitolo è completamente Rose!centric. Non è stata una decisione premeditata: mi è semplicemente venuto fuori così. Dovevano esserci altre scene in mezzo, su altri personaggi, ma comunque il filo conduttore doveva essere Rose e a ben vedere POV di altra gente piazzati in mezzo così avrebbero stonato. Quindi ho tagliato via un paio di scene, rimandandole al prossimo capitolo, e mi sono concentrata su di lei.
Ora vi chiedo: cosa ne pensate? Perché mi sono trovata bene a scriverlo così, il capitolo, e ho riflettuto che scrivere capitoli mono-POV di tanto in tanto potrebbe essere una buona idea, specie quando, come in questo caso, affronto uno snodo cruciale nello story-line di qualcuno. Perché può sembrare che accadano poche cose in questo capitolo, ma le conseguenze sono importanti nella vita di Rose.
Vorrei chiedere un parere a voi lettori su questa “novità” nella struttura di alcuni capitoli.
Detto ciò, alla prossima!
Daph
 
 
   
 
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