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Autore: Russianlullaby    06/12/2015    1 recensioni
A volte vi sono storie che vanno raccontate a bassa voce, quasi come se non volessimo che l’universo senta e ci trovi. Ascoltate con attenzione, non ripeterò i miei sussurri. Abbiamo poco tempo, solo quello di un battito di cuore, il mio cuore. Morirò tra un attimo, sto viaggiando per tornare nell'istante in cui un corvo ha preso la mia vita, ma nessuno mi vieta di prendere la strada più lunga.
Don't blink è una fanfiction dedicata alle possibili avventure di Clara e Io mentre viaggiano verso Gallifrey.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Angeli Piangenti, Clara Oswin Oswald
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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DON'T BLINK


 



 
Prologo


 
Mary Potter era sempre stata una di quelle giovani che passavano troppo tempo con il capo piegato sui libri, assimilando fatti e storie invece di vivere la vita che c’era là fuori. Troppo Sherlock Holmes, troppi film polizieschi, troppe serie tv l’aveva portata a pensare al peggio per ogni minima cosa. Si preoccupava spesso, passando le sue giornate a telefonare in caso qualcuno non rispondesse per /troppo/ tempo eppure non sembrava affatto una delle sue solite scenette quella a cui assisteva il fratello di Effy. Dopo ben centouno chiamate e altrettanti messaggi, Mary Potter aveva bussato con forza al poltrone dell’appartamento di Max Powell e, senza nessun invito, si era introdotta nel soggiorno per spiegare le sue paure. All’inizio aveva pensato che Effy non volesse avere più a che fare con lei, una mossa saggia visto che Mary non era affatto una di quelle ragazzette con una bella nomea. Nomea che il fratello sembrava conoscere visto che la guardava scettico, come se ogni sua paura e congettura fossero i balbettii di un folle.
« L’ultima volta che l’ho sentita stava andando alla Grande Casa » disse mentre le mani giocava ad acchiapparella, stringendosi e lasciandosi in un gioco che avrebbe portato chiunque a distrarsi. La Grande Casa, dalla risatina di Max Powell era chiaro che lui aveva preso la sparizione della sorella e il suo arrivo come scherzo.
« E ora mi dirai anche che mia sorella è stata uccisa da un fantasma. » rispose ironico, facendosi beffe delle spalle tremanti di Mary e del suo sguardo serio. Perché non le credeva? Era vero, intorno a quella che i bambini chiamavano Grande Casa vi erano sin troppe leggende metropolitane, molte delle quali messe in circolo da Max Powell stesso ma Mary era sicura che l’edificio vittoriano centrasse qualcosa con il continuo scattare della telefonia dell’amica.
Max le concesse ancora qualche parola spiccia prima di obbligarla ad alzarsi e ad andarsene, borbottando con una smorfia « Fantasmi » prima di chiudere la porta alle sue spalle. Non gli era piaciuto quel gioco, ma ormai conosceva Effy Powell fin troppo bene e sapeva che prima o poi si sarebbe stancata di aspettare che lui venisse a cercarla.
“Probabilmente avrà preparato tutto nei minimi dettagli, un peccato che abbia mandato proprio lei a cercarla.”, pensò prima di ritornare alla sua partita di calcio, deciso a buttarsi la conversazione alle spalle.
« Ciao, sono Effy. In questo momento non posso rispondere, prego lasciate un messaggio. »
 Chiamata numero centodue e l’ennesima irritante segreteria che ormai, Mary conosceva a memoria. Stritolò il cellulare, quasi fosse lui la causa di tutto quella stress che le aveva provocato una gigantesca afta. Come si dice: oltre il danno anche la beffa.
Forse stava davvero esagerando, forse semplicemente Effy non voleva più parlarle e chi le avrebbe dato torto? Mary non era di certo la più facile delle amiche con il suo essere sempre fra le nuvole, impacciata e totalmente incapace in campo sentimentale.
 “Effy dovrà rispondermi, prima o poi.” Era il suo unico pensiero mentre ripercorreva la strada da dove era venuta a ritroso, lentamente quasi volesse del tempo in più per cercare qualche dettaglio che le era sfuggito. In primis pensò di farsi nuovamente le domande di prassi, in particolare “Quando l’ho sentita l’ultima volta?”, era strano ma prima di entrare in casa Powell era sicura di averla sentita solo una tre giorni prima, in una delle loro quotidiane chiamate ma ora non è più così sicura. Voleva andare alla Grande Villa ma perché? Doveva averglielo detto ma probabilmente Mary era stata troppo distratta per sentirlo.
Si fermò di colpo e prese un grosso respiro: doveva farlo.
Ormai aveva deciso e sebbene non riusciva a capacitarsene, e probabilmente non l’avrebbe fatto nessuno che la conosceva abbastanza bene, si stava dirigendo verso quelle mura antiche e ammuffite. Allungò il passo, ignorando il bruciore sulle guance dovuto al freddo o i capelli chiari che disordinatamente le colpivano il viso.
Era concentrata, non voleva permettere a nessuno di fermarla, non che qualcuno l’avrebbe fatto visto che tendenzialmente passava inosservata.
Si arrestò davanti a un grande cancello, le lance di ferro più appuntite di quanto ricordasse per spaventare chi non sapeva che il lucchetto che lo chiudeva era fasullo. Era un segreto che Effy aveva saputo grazie a un passa parola ed era stato proprio quello ad istigare la sua curiosità e probabilmente a spingerla a una delle sue tante imprese.
Lo sfilò, poteva entrare senza doversi arrampicare. Sospirò, indecisa se provare gioia o rammarico per la cosa, il suo essere codarda si stava rivelando prima del previsto. Ormai il gioca era fatto: era dentro, ma non per questo voleva precipitarsi subito all’interno della casa. Si guardò intorno, esaminando il giardino dall’erba in colto sino a trovare un bastone. Le sarebbe bastato? Sperava di sì, poiché ormai aveva varcato la soglia.
« Effy! » chiamò, guardandosi intorno e attraversando svariate stanze, il cuore che batteva troppo velocemente. Poi la trovò, non il corpo dell’amica,
ma la telecamera che doveva appartenerle. “Deve essere la sua”, riavvolse il nastro e si fermò a guardare gli ultimi minuti di Effy Powell che terminarono con un urlo agghiacciante mentre Mary lasciava che l’aggeggio le cadesse dalle mani. Il bastone, tenuto fino a poco prima tra le gambe, fu ripreso e stretto con una forza tale da far sì che piccole schegge la ferissero, portandola a piagnucolare come suo solito.
« Effy! » la voce di Mary era un eco che si propagava da una stanza all’altra, un continuo ripetersi di un nome mentre con la torcia cercava di illuminarsi il cammino. Che fosse entrata in un film? Così le sembrava eppure non trovava un modo di uscirne. La casa pareva persino avere una vita propria con quelle spettrali statue d’angelo e i continui cigolii che la facevano voltare e sobbalzare di continuo.
Si fermò, quelli erano passi. « Chi va là? » classica richiesta da film horror di serie C , l’ultima domanda della prima vittima.
« Solo Clara, Clara Oswald. »
La voce femminile era conciliante, delicata come la ragazza che le si avvicinò con una mano verso di lei come se volesse dirle di abbassare il bastone. Solo Clara, questo aveva detto la donna mentre Mary le puntava il bastone contro, pronta ad improvvisarsi spadaccina prima di dire un « Dimmi dov’è la mia amica e non ti farò del male. » Come se potesse anche solo essere vero! Mary Potter non poteva fare male ad una mosca, ma un nuovo cigolio la spinse a voltarsi di colpo. Che avesse un complice?
Mary si voltò e sbarrò gli occhi davanti alla creatura che con le fauci aperte la minacciava immobile. Urlò, lasciando cadere il bastone.
Non era un qualcosa di umano, ma uno degli angeli che aveva visto nel giardino, una pietra che era a quanto pare avanzata verso di lei.
« Non osare sbattere le palpebre, signorina. Fidati di me, non sbattere le palpebre o non rivedrai nessuno dei tuoi amici. » Ma Mary non ascoltò, chiuse gli occhi e l’angelo la toccò.
« Stupida... » Clara guardò l’angelo, bloccandolo nel tempo prima di cogliere il suo strozzato del Tardis.
« Io, ce ne hai messo di tempo. » urlò mentre indietreggiava, tenendo gli occhi sbarrati per non essere il prossimo pranzo della creatura. Continuò ad indietreggiare sino a sentirsi afferrare e trascinare dentro al T.A.R.D.I.S.
« Grazie, non sapevo che fosse così difficile essere il Dottore. » disse Clara mentre la macchina del tempo partì, portandole in salvo.
« Salvare gente, fare la cosa giusta, convincerli a fidarti di te. Pensavi fosse facile? »
« Sbaglio o hai sistemato il circuito camaleontico? Non è più un burger. » ignorò la sua domanda, preferendo non rispondere.
« Oh, allora l’hai notato. Pensavo che fossi troppo impegnata a salvare quella ragazza. » ridacchiò Io prima di azionare un qualche circuito. « Una cabina blu, speriamo che a lui non dispiaccia. »

 
 
Angolo autrice: è in un piccolo schizzo dovuto all'ultima puntata di Doctor Who, spero vi piaccia. L'immagine è stata presa da google, per cui non è stata fatta da me.
   
 
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