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Autore: Terre_del_Nord    03/03/2009    13 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
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HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
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VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
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Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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That Love is All There is

Terre_del_Nord

Slytherin's Blood

Hogwarts - II.006 -  Compagni di Stanza

II.006


James Potter
Castello di Hogwarts, Highlands - dom. 5 settembre 1971

    “Devi dirmi perché hai parlato a Malfoy… Che cosa gli hai detto?”

Che strazio! Black stava diventando proprio noioso!

    “Te lo ripeto per l’ennesima volta: N-U-L-L-A! Sono solo salito fino al secondo piano per salutare il Caposcuola e gli ho chiesto se trovava interessante la lezione, magari aveva bisogno di un ripassino!”

Ghignai: era stato divertente vedere quel tipo borioso, di solito attorniato da saltimbanchi adoranti, arrossire di rabbia e saettarmi contro quegli occhi gelidi come l’inverno! Sirius Black, però, sembrava non apprezzare il mio umorismo e continuava a camminare avanti e indietro sconvolto, nel nostro dormitorio. Mi aveva trattenuto con una scusa ed io, come uno stupido, c’ero caduto: e pensare che fuori era una bella giornata e con Frank mi ero accordato per una gara a Gobbiglie giù al Cortile di Pietra! Sospirai.

    “Per favore, cerca di non attirare l’attenzione di “quello là” su di noi…”
    “Non ti facevo così codardo, Black, temo proprio che non sarai mai un vero Grifondoro!”

Sapevo che, punzecchiandolo, sarebbe saltato fuori il piantagrane che dimorava in lui, tra l’altro pensavo che, per il bene di noi tutti, fosse meglio sentirlo urlare che fare la lagna: sul treno non era stato tanto barboso, giusto un po' strano, ma avevo capito subito che quel ragazzino spavaldo e tanto insicuro aveva qualcosa… qualcosa adatto a me. Prometteva bene, anche se era ancora goffamente legato al passato, un passato che, l’avevo intuito con facilità, non gli apparteneva. Come lui non apparteneva a ciò che si stava lasciando alle spalle. Sirius Black ancora non lo sapeva ma eravamo destinati a fare grandi cose, insieme, ed io mi ero assunto il compito di farlo vivere, vivere nel presente. Quei primi giorni, però, mi aveva reso la vita un inferno.

    “Fosse solo per me…”

E no, invece di saltare su mi ridiventava un’ameba… Non poteva continuare così! Per il mio bene, per il nostro bene doveva smetterla! Ed io in un modo o nell’altro l’avrei riportato alla ragione.

    “Sei proprio cotto eh, hai fatto una faccia ieri! Non so se ti sei espresso meglio nella versione “geloso” o in quella “terrorizzato”!”

Mi lanciò uno sguardo pieno d’odio e sprizzò tutto il veleno che covava dentro dal giorno prima.

    “Anche se fosse? Che cosa te ne importa?”
    “Ehi, calmati… Dov’è il problema, Black?”

Silenzio. La faccenda Sherton, era appurato, era una cosa seria: visto che Sirius Black non parlava mai, a parte qualche epiteto poco educato che ci aveva rivolto a turno in varie occasioni, io, anzi tutti noi, non potevamo sapere qual era la situazione tra loro, magari erano fidanzati da prima della nascita, in genere nelle famiglie come la sua, stando ai racconti di mio padre, le cose ancora funzionavano così… E avevo sentito i più grandi fare discorsi strani, per cui in un certo senso capivo perché Black avesse tanto il morale sotto i tacchi. Forse, al suo posto, anch’io sarei stato male a quel modo.

    “Ti prometto che non farò più il cretino, con nessuno dei due, e nemmeno con Malfoy, contento?”
    “Grazie…”
    “Complimenti per l’entusiasmo, Black…”

Sull’Espresso per Hogwarts Sirius Black si era mostrato un caro ragazzo, simpatico, vitale, entusiasta e “casinista”, il tipo di persona che piaceva a me, ma in quei tre giorni gli avrei volentieri rotto il naso già varie volte: tra i sospiri notturni, il rumore che faceva al mattino per fuggire all’alba dalla sua principessa, le zuffe e l’aria da cane bastonato… no… così non andava.

    “Senti Black, io non so che farmene dei tuoi ringraziamenti, perciò ti propongo un patto: io non ti rompo più le scatole se tu smetti di fare l’ameba, d’accordo? E soprattutto… basta casino di mattina! Basta! Ok?”

Silenzio. Mi guardava irascibile e offeso, mio padre aveva ragione, i Black erano tutti matti, una razza strana ed io, forse, avevo per le mani il più strano di tutti. Quando avevo scritto a casa la prima lettera elencando anche i nomi dei miei compagni di stanza, mio padre mi aveva risposto… beh… con una gran risata! Mio padre aveva frequentato Hogwarts con suo nonno Pollux, un tipo assurdo che aveva avuto una figlia, - la mamma di Sirius -, ad appena tredici anni. Papà sosteneva che i Black fossero tutti pazzi, anche perché si sposavano spesso tra parenti, per assicurarsi che il sangue fosse “Toujours pur ed esclusivamente Slytherin”. Quando però nella seconda lettera gli avevo descritto l’umore funereo di Sirius, mi aveva spiegato che non c’era mai stato un Black che non fosse finito a Serpeverde e, soprattutto, che non c’era un Black che non odiasse i grifondoro. Per i suoi, probabilmente, era stato un vero trauma saperlo smistato lì, ed anche per Sirius doveva essere sconvolgente finire nella casa che gli avevano insegnato a disprezzare, non doveva essere semplice, perché di sicuro ora si sentiva rifiutato dalla sua stessa famiglia, senza radici e senza orizzonti. Quasi sicuramente aveva paura, io al suo posto ne avrei avuta e tanta, si sentiva solo, ma orgoglioso com’era non avrebbe chiesto aiuto nemmeno sotto tortura. Mio padre, perciò, mi aveva invitato a comportarmi bene con lui, avvicinarlo e aiutarlo, perché in quel momento Sirius Black era proprio come uno di quei piccoli aquilotti caduti dal nido che raccoglievo d’estate e rimettevo in salvo, come mi aveva insegnato mio padre. Quell’epilogo inaspettato doveva essere stato traumatizzante, per lui, l’avevo visto con i miei occhi, quella mattina: tutti avevamo ricevuto doni e lettere da casa, a Sirius Black non era arrivato nulla! Aveva fatto finta di niente ma era chiaro che questa storia era dura per lui e a peggiorare tutto, “Snivellus”, quel tipo strano di Serpeverde, sempre imbronciato e pomposo, l’aveva ridicolizzato per una risposta sbagliata data a Slughorn venerdì mattina. Si erano azzuffati di nuovo.

    “Martedì ci sono i provini per i nuovi componenti della squadra, Black, noi non possiamo partecipare perché siamo piccoli, ma possiamo andare a vedere, sono selezioni pubbliche, ci vieni?”

Mi guardò poco convinto, non potevo credere che dopo tutta quella bella discussione sui Tornados e il Puddlemere, ora non gli importasse più nemmeno del Quidditch!

    “Non puoi continuare così, Black! Ormai sei qui: o ti rassegni o torni a casa o fai in modo che i tuoi richiedano al preside di farti rismistare! Non puoi continuare con quell’aria da morto che cammina, o tra un po’ ti scambieranno per “Nick quasi senza testa”…”

Provai a invitarlo a ridere della stupida battuta, sperando che almeno il discorso del nostro buffo fantasma lo facesse rinsavire, invano.

    “Che cavolo ne sai tu? Che cavolo vuoi….? Chi credi di essere, Potter?”
    “Sono il cretino che vuole svegliarti, Black! Se non sei felice qui, se vuoi tornare a Serpeverde, o a casa, devi fare qualcosa… Se vuoi, ti aiuto…”
    “Io sono felice di non essere a Serpeverde!”
    “Davvero? Non sei molto convincente…!”
    “Ma vattene! Lasciami in pace!”
    “Ti dispiace proprio tanto avere un amico, Black? È così poco dignitoso per la tua nobile casata avere qualcuno con cui divertirsi? Con cui giocare, studiare, fare pazzie e approfittare delle meraviglie di questo castello? Mi sembrava che volessi questo anche tu, pochi giorni fa sul treno…”

Di nuovo uno sguardo incredulo, decisamente confuso.

    “Qual è il problema? Anche prima di questo cravattino i tuoi non erano tanto… l’hai detto tu... quindi non è cambiato niente … E la tua principessa… di questo cravattino sembra infischiarsene… anche lei è bella strana a dire il vero, quando l’ho vista ieri, mi è preso un colpo, in mezzo a grifoni, babbani e sangue misto…”
    “Grazie per l’attenzione, Potter...”
    “E dai, Black! Fai un sorriso! Sei capitato nella casa di quelli che sanno godersi la vita, che si danno all’avventura, non ti senti elettrizzato? Lo so che sei in gamba... Andiamo di sotto, possiamo assaltare la mensa, esplorare il castello, dicono che la Sala dei Trofei merita una visita...”
    “Ci sono già stato, Potter… Il primo giorno, di mattina… da solo…”
    “Sei un bugiardo, Black… non si può, è vietato… è…”
    “… e Dumbledore mi ha pure beccato!”

Sorrise, era un sorriso vero, lo guardai: era sincero e aveva quell’aria furfantesca che mi aveva colpito sul treno rendendomelo subito simpatico. Sirius Black era matto, matto sul serio!

    “Allora è vero che sei pazzo, Black! Lo dicevo io… e che cosa ti ha detto il vegliardo?”
    “Nulla, mi ha solo sorriso ed io me ne sono andato a mangiare!”
    “Grande Black! Lo dicevo che sei forte, un vero grifondoro! Ti azzuffi, ti fai beccare dove non dovresti essere, ti fai smistare qui… Noi due potremmo fare grandi cose insieme!”

Gli diedi la mano e stavolta il suo sorriso ampio e sincero non aveva dubbi, la sua stretta fu decisa, almeno quanto l’occhiata malandrina che ci scambiammo. Gli cinsi le spalle con un braccio e andammo a cena, in Sala Grande, dove, per tutto il tempo, non smettemmo mai di parlare del campionato di Quidditch, con un tale coinvolgimento che notai qualche occhiata sorpresa di Remus, colpito dall’aria gioviale di Sirius Black, quella che era sempre stata assente alla tavola di Grifondoro. Una volta in camera, mentre Peter già sonnecchiava sul suo letto, io e Remus ci mettevamo il pigiama e Frank era ancora in bagno per prepararsi, Sirius Black tirò le tende del suo baldacchino, come faceva sempre: per la prima volta, non ci scoccò addosso l’occhiata Black, altezzosa e poco partecipe, ma ci salutò con un sorriso sereno in faccia. Spente le luci, dalle tende rossooro alla mia destra, che lo celavano al mio sguardo, lo sentii sussurrare piano con la voce impastata:

    “Martedì scendiamo al campo da Quidditch dopo l’ultima lezione, Potter!”

Mi addormentai sorridendo soddisfatto: l’ameba sembrava sparita e al suo posto era comparso un amico. Il mio primo vero amico a Hogwarts. Un altro aquilotto nel nido.

***

Meissa Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - mar. 7 settembre 1971

    “L’unico tra le matricole a non aver ricevuto nemmeno un bigliettino, nemmeno una strillettera! Nemmeno domenica!”

Sirius, accanto a me, scuro in faccia e nervoso, calciava le foglie ai suoi piedi: si lamentava giustamente dei suoi, a Grifondoro faceva il duro e lo spavaldo, fingeva che non gli importasse nulla di quello che stava vivendo, ma con me era diverso, non era la prima volta che mi confidava dubbi e delusioni. Mi era sempre sembrato che gli importasse poco della sua famiglia, ma ora che era lontano da loro, mostrava i suoi veri sentimenti: anche se erano strani, anche se non l’avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, sentiva la loro mancanza, soprattutto di suo fratello. A volte mi chiedevo anch’io che cosa facesse Regulus, da solo, a Grimmauld Place, con quell’arpia di sua madre.

    “E' tutta scena, Sirius… tua madre è un po’ strana, vero, ma… Orion ti vuole bene…”
    “Certo, come no! Ma a me non interessa nulla di loro, non più, è da tanto che so di non essere un Black… Basta! Basta davvero!”

Gli strinsi la mano e lui mi guardò risoluto e sollevato. Ghignò... Qualunque cosa dicesse, Sirius era inesorabilmente un Black. Prendevamo il sole nel Cortile della Torre dell’Orologio, io cercavo di non farlo, ma continuavo a guardare verso il Ponte di Legno, rimuginando sul sogno di alcune notti prima: più ci pensavo e meno riconoscevo quell’anello, sapevo che era solo un sogno ma… ancora tremavo. Era per questo che mi ero distratta ed ero quasi caduta dalla scopa: il timore che quello fosse l’anello dei Malfoy mi bloccava perfino lo stomaco, mangiavo poco e dormivo anche meno. E se i miei fossero stati sogni premonitori? Impossibile, non avrei mai seguito volontariamente Malfoy da nessuna parte, mai!

    “Sei sicura di stare bene? Sei così pallida! Ti accompagno in infermeria!”
    “Grazie, Sirius, ma… ci sono stata anche troppo, sabato… ho solo sonno…”

Mi lanciò uno sguardo poco convinto, ma preferì non insistere. Ognuno dei due era preso dai propri fantasmi. Lo guardai con la coda dell’occhio: era vero, stavo facendo molte nuove amicizie, molte di più di quanto avessi sperato prima di partire, ma nessuno riusciva a darmi la stessa felicità di Sirius. A parte le scaramucce iniziali, gli ultimi giorni erano trascorsi come a Herrengton, passavamo molto tempo insieme e sapevo che su di lui potevo sempre contare: avrei voluto raccontargli tutto, mi avrebbe di certo fatto coraggio… e mi avrebbe abbracciato… io… Non capivo… Lo consideravo da sempre un ragazzino più bello e simpatico della norma, e da tanto sapevo che mi piaceva, ma…
mai così… tanto… Sentii le guance farsi calde e rosso porpora, mi alzai e sospirai a fondo. Che strane e stupide idee mi passavano per la testa!

    “Novità dai tuoi genitori? Saranno contenti… gli hai detto dell’altro giorno a Pozioni?”

Cercai di regolare la voce e il respiro.Gli porsi l’ultima lettera, era arrivata quella mattina e mi aveva lasciata basita. Vidi che anche Sirius ci restava un po’ male.

    “E’ un po’… diversa da come l’immaginavo…”
    “Tua madre ti ha scritto questo? Ma non hanno sempre detto che potevi essere amica di chi volevi tu?”
    “… questo non vuol dire che le tue uniche amicizie possano essere Mezzosangue, Nati Babbani e Purosangue discutibili…”
    “E ti consigliano di fare amicizia con questa gentaglia? La Parkinson! E La Dickens! Le hanno viste mai? Sbavano dietro a qualsiasi maschio incrocino! Tu non puoi diventare come quelle lì, Meissa!”

Sorrisi… non che ci fosse da scherzare con gli ordini di mia madre, ma… Mi faceva piacere vedere con quanto ardore Sirius disprezzasse quelle due oche che facevano sempre le smorfiose con lui… forse era per quello che le odiavo, le avrei volentieri schiantate, quelle stupide megere! Mentre Sirius cercava di farmi promettere che non sarei mai diventata un’animale da salotto come sua cugina, ma che sarei rimasta una ragazza a cui piaceva la vita libera di Herrengton, scacciai l’immagine delle mie odiose compagne di stanza e ripresi a riflettere su cose più importanti. Avrei voluto leggere le parole di mio padre su quell’argomento spinoso, ma sembrava non fosse in Gran Bretagna in quei giorni, aveva ripreso i suoi viaggi appena dopo lo smistamento, lasciando la mamma a Essex Street, a stretto contatto con Orion e Walburga Black. Di certo quella lettera era maturata nei lunghi pomeriggi noiosi a Grimmauld Place: non osavo immaginare quali catastrofi stesse preparando quella donna… una donna che non mandava nemmeno una lettera a suo figlio, solo per il colore sbagliato del suo cravattino! No! Io non sarei mai diventata così!

    “Per farla contenta uscirò con un paio di ragazze purosangue di Corvonero, Pauline McDougal e Sheila Clearwater, due ragazze del Nord, gentili, semplici e simpatiche, le hai conosciute anche tu, credo…  ma... ma di certo non rinuncerò alle mie amiche per questa stupida lettera! E se lo possono scordare che… Non sarà mai amica di quelle due smorfiose!”
    “Meissa… cerca di non metterti nei guai anche tu… voglio dire… non credo che quella rossa altezzosa di Evans e il suo amichetto borioso valgano una lite con i tuoi…”
    “Ti ci metti anche tu?”
    “Tra tutte le ragazze di Hogwarts ce ne sarà qualcuna che può andar bene sia a te sia ai tuoi, no? Quelle due Corvonero andranno benissimo, non ti servono la rossa e il gufetto! Inoltre puoi venire con me stasera fino al campo da Quidditch, ormai ti sarai ricreduta su Potter, sabato ti ha pure salvato!”

Non volevo nemmeno ricordarlo quel giorno funesto!

    “I Potter sono appunto una delle famiglie Purosangue discutibili, e gli altri due in stanza con te sono come minimo Mezzosangue, mi pare! Perché i tuoi amici dovrebbero andare meglio di quelli che mi sono scelta da sola?”

Ci guardammo in cagnesco, ben sapendo, però, che nessuno dei due si preoccupava troppo per lo stato di sangue di chi ci stava intorno, anche se per motivi diversi: Sirius perché in piena rottura con la sua famiglia, io perché avevo avuto il benestare di mio padre prima di partire. Razionalmente, Sirius aveva ragione, ma a me Potter non piaceva, ero convinta che fosse falso, che fosse sempre pronto a sparlare alle mie spalle e a prendermi in giro, come sul treno: in fondo non me lo stavo immaginando, l’avevo visto all’opera varie volte in quei giorni, persino ai danni di Sirius… Poi, secondo me era lui che lo incitava contro Severus, mentre io volevo che quei due diventassero, se non amici, almeno… E invece si erano accapigliati di nuovo domenica mattina, giù, vicino alle cucine: da quanto avevo capito, era stato Severus a cercarsele, stavolta, e come sempre Sirius aveva ceduto alle provocazioni. Rigel li aveva separati in tempo ma si era preso a sua volta una sgridata da Mastro Gazza, per averli difesi.

    “… e comunque preferisco non dividere il poco tempo che abbiamo con altre persone…”

Merlino! Che cosa avevo quel giorno? Sirius mi rilanciò un’occhiata sbigottita, gli s’incresparono un po’ gli angoli della bocca, poi però si rimangiò la battuta con cui avrebbe potuto sotterrarmi: in quel momento, con quello sguardo ironico e gentile, assomigliava tanto a suo padre quando, davanti al camino, aveva buttato lì, per scherzo, che un giorno mi sarei sposata con uno dei suoi figli… Come poteva Orion Black, l’uomo che ammiravo di più dopo mio padre, non amare suo figlio, se era identico a lui? No, di sicuro Sirius sbagliava nel giudicarlo.

    “… Volevo dire…”

Le guance ormai in fiamme dicevano la verità e preferii tacere, come Sirius preferì non infierire. Mi guardai attorno insofferente, se bastava sognare un bacio e un anello al dito per farmi diventare così ridicola… e comunque quel sogno di certo non riguardava Sirius Black: lui non mi avrebbe mai fatto del male, non mi avrebbe mai venduta a quell’ombra oscura, all’uomo che mi aveva fatto cadere a Black Manor, il giorno del matrimonio di Bellatrix… Merlino! Bellatrix e la sua risata inconfondibile… Mi percorse un brivido, di cui per fortuna Sirius non si accorse.

    “Sarebbe stato meglio se fossi finita a Corvonero, dopotutto…”

Quell’uscita mi lasciò spiazzata e mi riportò al presente.

    “Che cosa vuoi dire?”
    “Adesso avremmo avuto un’ora da passare insieme…”

Sospirò, era quasi l’una e dovevamo avviarci alle lezioni, quel giorno non ne avevo alcuna voglia.

    “Possiamo studiare insieme più tardi…”
    “Pensi sempre a studiare, Mei! Io, con te, non voglio solo studiare! Dovremmo andare alla scoperta di questo posto! Vieni con me alle selezioni per la squadra di Quidditch di Grifondoro!”
    “Andare lì insieme… non credo sia una grande idea, Sirius… Fossi in loro non vedrei di buon occhio la presenza di una “spia” serpeverde!”

Ridacchiai, immaginando cosa avrebbero pensato i Grifoni vedendo sugli spalti la sorella di Rigel Sherton. Sirius però mi guardò serio, non sembrava molto convinto che fosse solo una battuta, capii anzi, che temeva stessi parlando di lui: al contrario di me, aveva ancora difficoltà ad ambientarsi, i Serpeverde lo sfottevano, i Grifondoro non lo accettavano, l’unico che si mostrava comprensivo era proprio quel Potter, con cui il rapporto negli ultimi giorni sembrava meno conflittuale. Sospirai.

    “Il Quidditch qui è preso troppo sul serio, per non pensare a queste cose, Sirius…”
    “A me interessa poco del Quidditch, lo sai, non sono come mio fratello!”
    “E' uno dei modi migliori per legare con gli altri studenti, per fare amicizie, in questa scuola, quindi… credo dovresti fartelo piacere…”
    “Non sono entusiasta delle cose, quando devo farle per forza…”
    “Sai fingere benissimo, però… Se finiscono presto, ci vediamo per cena in Sala Grande, o possiamo studiare insieme domani, abbiamo tutto il pomeriggio libero: domenica pomeriggio, con le ragazze, ho scovato un bel posto vicino al lago, tranquillo e…”

Non dissi altro, dalla faccia radiosa che aveva fatto avevo capito che era d’accordo.

    “Perfetto! Possiamo iniziare da lì la scoperta del Lago Oscuro…”
    “Sirius… lunedì c’è la prima verifica di Pozioni, fossi in te la prenderei seriamente! Puoi portare anche i tuoi amici, se vuoi, io porterò qualcuno dei miei… ”

Sirius parve per un attimo deluso vedendo i suoi sogni infrangersi contro la dura realtà, poi annuì, annoiato: pur di passare più tempo insieme, non mi avrebbe detto di no, anche se con noi ci sarebbe stato l’odiato libro di Pozioni. Analogamente, io ero disposta a estendere l’invito pure a quel Potter, pur di stare con lui.

    “Se dobbiamo fare questa bella rimpatriata, cerca di coinvolgere Emily Bones: con lei in giro, Potter sarà così distratto da non creare problemi. Ci vediamo più tardi a Difesa!”

Mi salutò sorridente diretto ai sotterranei per Pozioni, io gli risposi felice e sollevata: con quell’ultima battuta mi aveva fatto capire che quello che c’era tra noi veniva prima di tutto il resto, le nostre amicizie “contrastanti” non sarebbero mai state un problema tra noi. Per lui, mi sarei anche abituata a Potter: se era davvero un tipo a posto, avrei imparato a farmelo piacere, anche perché Sirius aveva bisogno di uscire dall’isolamento in cui quel dannato cappello l’aveva gettato. Quando intercettai per le scale Emily Bones con Mattew Abbott e Colette Midgen, mi affrettai a invitarli al pomeriggio di studio che stavo organizzando per Pozioni, ben sapendo che non si sarebbero tirati indietro, e con loro mi avviai a Trasfigurazione.

***

Sirius Black
Castello di Hogwarts, Highlands - dom. 5 settembre 1971

    “Un invito a passare il pomeriggio in compagnia della "Principessa delle Serpi"? Ma quale onore!”

Lo fulminai, dopo tante belle dichiarazioni, ecco che ricominciava a fare il cretino. Avrei fatto meglio a chiederlo solo a Remus, lui era più ragionevole e, se si trattava di studiare, non diceva mai di no.

    “Smettila di chiamarla così, Potter… Si può sapere perché devi fare sempre lo stronzo con lei?”

Fece spallucce e continuò a camminare davanti a noi, sghignazzando sommessamente. Remus al mio fianco iniziò a sbuffare, probabilmente pensava che la tregua tra me e Potter fosse già finita. Iniziavo a crederlo anch’io.

    “Hai finito?”
    “Per me è stata gentile a invitarci… soprattutto perché tra tutti noi è la più brava in Pozioni e poteva benissimo…”
    “Dai, Remus… sappiamo bene quanto quella muoia dalla voglia di averci tra i piedi… E’ lui che ci ha invitato, per passare il pomeriggio al lago con lei, sa di non poterlo fare da solo e allora…”
    “James!”

Remus si fermò, scioccato dai pensieri insolenti di Potter, io strinsi i pugni, poi mi scansai i capelli dagli occhi, deciso a non fargliela passare liscia. Ero pronto a picchiarlo, ero un po’ fuori esercizio, a dire il vero, come avevo appurato nei due scontri con Snivellus, d’altra parte era passato un bel po’ di tempo dall’ultima volta che mi ero azzuffato con Regulus, e James era, di stazza, poco più piccolo di me, quindi avrei fatto probabilmente una figuraccia anche con lui, ma valeva la pena, per Meissa. Mi dispiaceva solo di essermi sbagliato su di lui.

    “Ha ragione Black, stavolta devi chiedere scusa a entrambi, James…”

Remus si mise in mezzo, prima che combinassimo l’ennesimo disastro. James sghignazzò vedendomi così risoluto, poi si avvicinò pentito e mi chiese scusa: era evidente che non credeva nelle parole che mi stava dicendo, ma non aveva alcuna intenzione di fare a botte con me, se non altro perché così avremmo perso quello che restava delle selezioni.

     “Sei solo un coniglio, Potter... e un fanfarone …”

Sibilai piano, sperando di riaccendere il suo orgoglio e avere la scusa per picchiarci. Anche se a casa mia, di certo, non mi avevano insegnato a rispettare i patti, non mi andava di colpirlo a tradimento.

    “Se mi dimostri che ho torto, finite le selezioni mi faccio picchiare senza dire A…”
    “E’ lei che mi ha suggerito di invitarti… idiota!”

Caricai il mio sinistro, prendendo di sorpresa sia Remus sia James, sicuri che, pur avvelenato com'ero, non avrei colpito a tradimento, era così che si comportava un Grifondoro onesto: vidi con la coda dell’occhio Remus pronto a saltarmi addosso per fermarmi e James alzare la guardia, ma fui più rapido di entrambi e il braccio veloce fendette l’aria... fino ad arrestare il pugno a pochi centimetri dalla guancia destra di Potter.

    “Non sei tu a decidere se e quando posso picchiarti, Potter… e per l’invito… fa come ti pare… se non t’interessa, saranno gli altri a raccontarti come si vestirà Emily Bones domani pomeriggio… Se invece hai cambiato idea, il posto lo conosci!”

Ghignai e lo lasciai superarmi, al mio fianco camminava teso Remus, che era rimasto sorpreso dalla scena cui aveva appena assistito: James era turbato, non so se più dal pugno che non aveva ricevuto o dalla lezione che gli avevo comunque dato, o, più prosaicamente, dall’idea di poter passare un pomeriggio con Emily Bones. Accelerò il passo verso il campo da Quidditch, fingendo indifferenza, perso nei suoi pensieri, poi di colpo si voltò e, sotto gli occhi ancor più meravigliati di Remus, mi tese la mano e mi fece le sue scuse sincere. Avevo guadagnato il suo rispetto e forse, per la prima volta, mi ero comportato da Grifondoro: anche gli altri l’avevano capito! Avanzammo sorridenti e soddisfatti, pregustando un paio d’ore di sano e rilassante Quidditch, ma pur preso da una straordinaria e sconosciuta serenità, non mi sfuggì la faccia pensierosa e sulle nuvole di Potter: avevo visto come aveva guardato la Bones ogni volta che avevamo lezione con i Tassorosso e il rossore che gli si era stampato in faccia era di nuovo eloquente. E persistente. Era piacevole ripagare quel simpatico sbruffone di James Potter con la sua stessa moneta, mettendolo in imbarazzo per merito di una ragazzina.  Non potevo immaginare che quella sarebbe stata solo la prima di una lunga serie di scene simili.

*

Se avessi tenuto un diario, dopo quasi una settimana a Grifondoro, avrei avuto già molto da scrivere sui miei compagni di stanza: le prime impressioni avute sul treno si erano mostrate esatte.
Con James c’era stato da subito un rapporto piuttosto ruvido, non mi era piaciuto il modo in cui aveva guardato Meissa sull’Espresso per Hogwarts e non mi piaceva come s’intrometteva ancora adesso, ma lo apprezzavo per la sua vitalità, la sua bravura sulla scopa, grazie alla quale tra l’altro Meissa non si era ferita a lezione di volo. E soprattutto perché non aveva paura di me e del mio altisonante nome: sembrava non interessarsi per niente delle mie origini, proprio come me. Era lui il leader autoproclamato e riconosciuto di quel nostro piccolo mondo, ed era stato lui a porgermi la mano per invitarmi a farne parte. Quell’invito, pochi giorni prima, ad andare insieme fino al campo di Quidditch, aveva fatto per me la differenza: c’era almeno un’altra persona, oltre a Meissa, che mi accettava in quello strano castello, che aveva scombinato all’inverosimile tutto il mio mondo. Anche se il mio dannato marchio Black faceva sì che spesso tornassi a nascondermi dietro alle mie maschere, che da scudo spesso diventavano prigioni. E anche se, come in quel momento, l’ironia di James nei confronti miei e di Meissa fosse tutt’altro che leggero. Io ci avrei fatto l’abitudine, in fondo non era cattivo, ma sapevo che se avesse continuato a comportarsi in quel modo, Meissa avrebbe defenestrato prima me e poi lui.
Dei miei compagni di stanza, però, quello che suscitava in me maggiore interesse forse era proprio Remus, il ragazzino del treno che mi aveva attirato nello scompartimento con la sua aria così diversa dalla mia: un mezzosangue, amato dalla sua famiglia, povero e saggio. Esattamente il mio opposto. All’inizio non sapevo spiegarmelo, ma più lo osservavo più mi sorprendevo intravedendone il motivo: era una persona timida, riservata, estremamente studiosa e ligia alle regole, a volte anche troppo, ma al contempo vitale, un ragazzo che ti avrebbe mostrato un mondo intero, il suo, se fossi stato meritevole della sua fiducia. Aveva spesso lo sguardo triste di chi vorrebbe fare qualcosa, ma sa che non può farlo: ci misi poco a capire che questa caratteristica me lo faceva apparire simile a mio fratello. Non sapevo quale fosse il problema di Remus, ma era chiaro che ne aveva almeno uno: come mio fratello, anche Remus aveva paura di qualcosa, qualcosa troppo al di là delle sue possibilità e delle sue forze, qualcosa che gli impediva di essere felice. Remus J. Lupin, però, al contrario di mio fratello, era una persona buona e per niente stronza. E questo faceva sì che, saggiamente, finora si fosse tenuto alla larga da me, pur apparendo al mio fianco sempre al momento giusto, quando ero in difficoltà, fosse una domanda a lezione o una rissa da cui era meglio che mi tirassi fuori. Mi chiedevo perché si comportasse così, visto che io per lui non avevo mai fatto niente. Anche se lo apprezzavo, il mio solito caratteraccio Black faceva sì che spesso fingessi di ignorarlo, per cui, a meno che non fosse un abile Legilimens, difficilmente Remus J. Lupin poteva avere idea delle cose buone che pensavo di lui. Eravamo sugli spalti dello stadio di Quidditch e invece di guardare le selezioni, guardavo i miei compagni: eravamo uno strano terzetto. James, opportunamente educato, poteva trasformarsi in un perfetto compagno di avventure, se non altro per la vitalità e l’inventiva che aveva, mentre Remus era il saggio che poteva riportarci con i piedi per terra se necessario, soprattutto visto che io ero un sicuro elemento di disturbo, un attaccabrighe piuttosto umorale, capace di mettermi nei guai anche nelle situazioni più tranquille. Sì, opportunamente educati, noi tre, così diversi eppure simili, potevamo fare grandi cose insieme.
Su Peter e Frank, gli altri due compagni di stanza, non mi ero ancora fatto un’idea precisa, o per lo meno non avevo ancora trovato punti in comune tali da apprezzarne la compagnia: Peter era un ragazzino insicuro che tendeva ad aggregarsi a chiunque e a non contestare mai le idee di chi aveva intorno. Fin dal giorno sul treno l’avevo considerato insignificante, spesso mi dava ai nervi, soprattutto quando mi si accodava, anche se, a dire vero, per il mio nome, la pessima reputazione legata alle famiglie Serpeverdi come la mia e i miei modi bruschi, l’aveva messo di solito sulla difensiva e si era tenuto spesso alla larga. Frank invece era l’alieno della nostra stanza: bravo, perfetto, studioso, ma senza la capacità di sorprendermi che aveva Remus, sapevo che non avrebbe mai avuto molto a che fare con me. Ricordando quello che a casa si diceva di sua madre, la famigerata, severa e autoritaria Augusta Longbottom, non c’era da meravigliarsi che fosse così: impeccabile e dannatamente noioso. Se fossi stato come desiderava mia madre, io sarei stato il suo equivalente, solo che avrei indossato la divisa di Serpeverde: il solo pensiero mi riempiva di orrore. Riflettevo così, mentre nel campo si alternavano vari ragazzi e ragazze; quell’anno a Grifondoro servivano un nuovo cacciatore e un battitore, mentre il fortissimo cercatore, Jarvis Brent, classe ’54, sarebbe andato via l’anno seguente: vedevo James molto affascinato da quella notizia. La squadra era composta dai fratelli Fabian e Gideon Prewett, miei parenti alla lontana, rispettivamente portiere e battitore, classe 1954 il primo e 1955 il secondo, da Edward McLaggen, un purosangue nato nel 1958, cacciatore, Jarvis Brent, cercatore, e Alicia Thomas, classe 1958, cacciatrice, di cui non sapevo pressoché nulla. Quasi all’ora di cena erano stati scelti Jeremy Wood, nel ruolo di battitore, e Helena Brown, in quello di cacciatrice: James, come pressoché tutti i Grifondoro che avevamo attorno, sembrava piuttosto soddisfatto dalle qualità atletiche dei nuovi acquisti, almeno quanto io ero tediato. Pessima idea passare il pomeriggio così, non mi ero mai annoiato tanto! Purtroppo ormai era ufficiale: io e il Quidditch non eravamo esattamente amici per la vita. Per lo meno era finalmente ora di riempirsi la pancia! E quell’idea mi rimise di buon umore: se c’era una cosa di cui non ci si poteva lamentare a Hogwarts, era la qualità e la quantità delle portate.
Per ritornare al castello in tempo per la cena, passammo vicino alle serre di Erbologia: era la via più breve e noi eravamo già in ritardo. Purtroppo anche quella sera avremmo trovato il modo di rendere movimentata la nostra vita a Hogwarts. Stavamo parlando dei nuovi componenti della squadra e soprattutto del fatto che nel giro di un anno si sarebbe liberato il posto da cercatore: era più giusto dire che James parlava e Remus ed io ci limitavamo ad annuire senza particolare entusiasmo. Perciò fui il primo ad accorgermene e a dare l’allarme. Li vedemmo già da lontano, erano tre, tutti decisamente grandi e grossi, dei veri e propri energumeni, tutti e tre vestivano le divise di Serpeverde: si rimpallavano un paio di ragazzini del primo anno, o per lo meno, rispetto a loro, sembravano tanto piccoli da poter essere solo delle matricole. Li conoscevo tutti e tre, praticamente da sempre, erano, infatti, poche le feste di famiglia alle quali avevo partecipato in cui non erano presenti loro o qualcun altro delle loro famiglie, perciò non mi ci volle molto a riconoscere la testa a uovo di Goyle e il profilo da faina di Mulciber. Il terzo stava nell’ombra, dalle dimensioni era come minimo del sesto anno e gracchiava agli altri due per incitarli: fu la voce cavernosa che me lo fece riconoscere, appena fummo più vicini, e un brivido mi percorse la schiena.  Walden Mc Nair. Dai racconti delle mie cugine sapevo che era uno “spaccaossa”.

    “Forza, dobbiamo far capire a questi sporchi Mezzosangue che devono cederci il passo quando ci incontrano!”

Vidi James stringere la bacchetta tra le dita fino a farsi le nocche bianche: i ragazzini erano un Tassorosso, Timothy Mackenzie, già vittima di Mulciber e Goyle pochi giorni prima, e il nostro Peter Minus. Illuminati ormai solo dalla luce di una luna prossima alla totale pienezza, James ed io ci facemmo un cenno d’intesa, il cenno che preannunciava guai, ma, per una volta, Remus, invece di farci desistere, fu subito dalla nostra parte: con un sorriso silenzioso decidemmo il da farsi, non potevamo lasciarli in mano a quei bruti. Ci muovemmo rapidi e silenziosi e ci acquattammo nel buio: sapevamo di essere in inferiorità per capacità magiche e ancor di più per forza fisica, James raccolse perciò dei sassi per strada e noi lo imitammo, scegliemmo dei punti riparati e sicuri, perfezionammo la mira e iniziammo a bersagliarli. Potter centrò la testa di Goyle, che iniziò a muoversi tutto intorno come l’emerito imbecille che era, il secondo “bolide”, di Remus, andò a stamparsi preciso e potente sul naso di Mulciber. Come diversivo fu sufficiente a dar modo ai ragazzi di fuggire, mentre io completavo la sassaiola centrando un infuriato McNair, che insultava i suoi scagnozzi, non riuscendo a capire cosa stava accadendo. A quel punto, tutti e tre colpimmo a ripetizione, più interessati a fare confusione che non a riportare dei veri danni, tentando nel frattempo di avviarci verso la nostra unica via di fuga. Purtroppo, mentre quegli idioti si guardavano intorno senza capire, mi sfuggì una risata di scherno che ci tradì, rivelando la nostra posizione: iniziammo a correre, inseguiti dai due troll e da Walden, di certo il più insidioso dei tre. Con incredibile fortuna ci infilammo per cortili e passaggi prima che quei tre smettessero di intralciarsi a vicenda, dando infine inizio a un inseguimento coerente. Sudati e col fiato grosso, ma soddisfatti e radiosi, riuscimmo alla fine a sbucare nell’ingresso della Sala Grande, sempre inseguiti a breve dagli idioti, ci rifugiammo ridendo tra gli altri Grifoni, non abbastanza rapidamente però perché i Serpeverde non identificassero, in noi tre, i responsabili di quanto era accaduto. Sapevo che c’eravamo appena messi nei guai, guai seri per l’esattezza, che ci avrebbero dato la caccia furiosamente, che dovevamo aspettarci di tutto, e che probabilmente prima o poi sarei stato legnato come mai nella mia vita, ma in quel momento non m’importava. Era stata la mia prima vera impresa, per la prima volta mi ero sentito libero e immortale, per la prima volta avevo diviso una fantastica avventura con James e Remus. E questo, lo sapevo, ci rendeva amici per sempre.
Uniti per sempre.



*continua*




NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, hanno aggiunto a preferiti/seguiti/ecc, hanno recensito e/o hanno proposto/votato questa FF per il concorso sui migliori personaggi originali indetto da Erika di EFP
(maggio 2010). Spero vi sia piaciuta la mia versione del primo formarsi dei Marauders, a breve ulteriori sviluppi.
Valeria


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