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Autore: pierres    07/12/2015    3 recensioni
A volte, quando è sera, pensa di aver sbagliato tutto. Vorrebbe premere di nuovo quel pulsante e capire davvero: chi era Clara Oswald?
Una canzone, un’amica, una foglia?

I rimpianti possono uccidere, i vuoti anche.
Ma chi era Clara Oswald?
[post 9x12] [twelve/clara]
Genere: Angst, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clara Oswin Oswald, Doctor - 1, Doctor - 12
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: pensavo che non mi sarei mai ripresa dalla ten/rose? AH!
Sto piangendo ogni cosa liquida nel mio corpo da ieri pomeriggio. E' stato il finale di stagione più lacrimoso e bello di sempre, ma- la mia Clara, la mia Clara, la mia Clar-
Non ce la posso fare.
I miei saccottini di patate.
Non ce la posso fare.
note alle note: per chi l'ha letto, noterete che lo stile ricorda molto Storia di una Ladra di Libri. E' semplicemente un omaggio a un libro stupendo che ho finito da poco: mi piaceva troppo il modo in cui la vicenda veniva suddivisa.
note alle note parte 2: la poesia è III di Lorenzo Stecchetti, tratta dal libro Postuma, da cui la storia prende il nome.
 




III - POSTUMA
 
 
 
 

Tu partivi per sempre ed io sul letto,
Col viso in giù, la còltrice mordea:
Mi strideva nel petto
Il singhiozzo del pianto e non piangea.
Così tu m’hai lasciato
E il bacio dell’addio non me l’hai dato.

Da quella notte non t’ho più veduta
E più nulla di te non seppi mai.
Forse tu sei caduta
Nel vitupero ed aspettando stai,
Seduta sulla porta,
Chi compri il bacio tuo; forse sei morta.

[…]

Nel tempo anch’io sperai che pur conforta,
Che spegne pure ogni dolor più greve.
Ti volli creder morta
Perchè scordarsi degli estinti è lieve,
E dissi al cor mio gramo,
Dissi all’anima mia: dimentichiamo.


 
 
 

 
 

Qualcosa alla base della sua schiena da secoli gli impedisce di dormire.

Non è un pensiero, e nemmeno una sensazione: è più una sorta di vuoto che lo fa sentire in equilibrio precario, una lancia acuminata che si è stanziata all’interno del suo corpo e lo pungola ogni volta che tenta di mettersi a sedere – estrarla, il Dottore lo sa, non è possibile: è fatta di assenza.

Non è fastidiosa, non gli procura dolore. Ogni tanto riesce addirittura a non pensarci. Ha il suo Tardis, è come prima, ma ogni tanto trova oggetti che non ricorda di aver mai posseduto: fermagli per capelli, una gonna a motivi scozzesi, una volta addirittura un tachos mezzo smangiucchiato, vecchio di qualche mese, su un tavolino a bordo piscina.

Un giorno stava vagabondando in cerca della biblioteca, ed ha trovato una camera. Le coperte erano in perfetto ordine, e appesa alla lampada c’era una gruccia con un pullover azzurro; una borsa orrenda gettata sulla sedia, qualche appunto scribacchiato su pezzetti di carta sopra alla scrivania, e nell’angolo una pila di fogli. Li ha guardati uno per uno: erano dei temi per le vacanze. La penna rossa, posata lì accanto, faceva supporre che chi l’aveva utilizzata sarebbe tornato da un momento all’altro per riprenderla in mano.

Ma non c’era nessuno che potesse tornare. Il Dottore ricordava quel pullover azzurro, ma non riusciva a richiamare l’immagine di qualcuno che lo indossasse – ma allora come faceva a ricordarlo?

Quando succedono queste cose, il Dottore capisce e quel vuoto alla base della schiena si fa più vuoto e rimbombante di echi. Ha chiuso la porta, quella volta. Sul letto aveva già iniziato a posarsi la polvere.

Quando c’è tornato il giorno dopo, la porta non c’era più.

E’ normale, si è detto, il Tardis cambia spesso la disposizione delle stanze.

Non l’ha più cercata.
 
 


Di Clara tutto ciò che ricorda è una canzone. Ogni tanto si trova a fischiettarla sovrappensiero, quando se ne accorge succede qualcosa di strano: i due cuori fanno come per stringersi e fermarsi, ma alla fine non succede mai. Come se fossero programmati per far male ogni volta che pensa a Clara: ma Clara chi?, si chiede – è per questo che si fermano un po’ prima: come può soffrire per qualcosa che non ricorda?

La cameriera nel Caffè probabilmente era davvero lei. La cosa lo lascia mediamente indifferente: Clara è solamente un gran mistero che non ha le capacità di risolvere. Ogni tanto strimpella qualche nota alla chitarra – una volta ha suonato Pretty Woman, ma quando ha tentato di riafferrare un ricordo questo è scivolato via come acqua e pioggia tra le mani.

Ora, il fatto è questo: se le storie sono solo ricordi che abbiamo dimenticato, allora anche la storia che ha raccontato alla cameriera deve essere vera (non lo sa, non lo sa, non lo sa, non sa più niente).

Se la storia che ha raccontato alla cameriera è vera, ha perfettamente senso il fatto che lui e Clara si siano allontanati – un Ibrido che distruggerà l’universo e si ergerà sulle sue rovine? Non ha dubbi che sia stata la scelta migliore.

Ma (ma, ma, ma, ma) c’è qualcosa che non quadra. Perché se tutto quanto va al suo posto, una tessera del puzzle gli rimane in mano – ha provato a riempirci quel vuoto, ma quello si è limitato ad inghiottirla come ha fatto con tutte le memorie che gli mancano.

Ma allora perché ha cancellato tutti i ricordi relativi a Clara? Perché non riesce a richiamare alla mente niente di importante?

(la sua risata, il suo profumo, il suo tono di voce, il suo modo di piangere, il colore dei suoi occhi, il calore delle sue dita, come lo abbracciava,
come gli parlava, come lo sgridava, come lo guardava)

Il Dottore ha formulato alcune ipotesi. Sembrano sensate.

(in fondo alla schiena, quel vuoto comincia a dargli fastidio: rimbomba di singhiozzi, ma non capisce a chi appartengano)

La prima: l’hanno costretto a dimenticare.
 

 

 
I IPOTESI
Il vestito della cameriera profumava di ammorbidente.
Se fosse stata Clara, era sicuro che l’avrebbe riconosciuta.
Poi aveva capito di essersi sbagliato.

 
 


La cameriera vestita di blu era davvero carina, e gli procurava uno sgradevole formicolio lungo tutta la spina dorsale: come il titolo di un film che hai sulla punta della lingua ma non riesci a tirar fuori dai denti. Le aveva raccontato tutta la storia: di come Clara fosse morta, ma lui no, lui non si era certo arreso, lui aveva aspettato quattro miliardi e mezzo di anni per avere la possibilità di riportarla indietro – ma perché l’aveva fatto? Clara valeva davvero così tanto?

Cosa aveva di speciale, questa Clara? Non se lo ricordava.

Forse però vale la pena di ascoltare la storia dal punto di vista di qualcuno che l’ha completamente dimenticata.

Ecco che cosa ricordava il Dottore.
 



 
 
 
DI COME CLARA È MORTA, POI È TORNATA E POI SE N’ È ANDATA DI NUOVO
Non riesce a trovare una spiegazione a tutte quelle azioni convulse: forse coincide col motivo per cui si è impegnato così tanto per rimuovere ogni suo ricordo.
 
 


Aveva salvato Clara un secondo prima del suo ultimo battito, questo se lo ricordava: il perché ancora è una cosa un po’ vaga. Ricorda che in quel momento sembrava la cosa più importante dell’universo, adesso non la comprende. Sono gli effetti collaterali di aver premuto il tasto delete.

Clara era uscita da una porta bianca, entrata in una stanza bianca di pareti bianche: l’aria sembrava sterile e congelata. Non ricorda la sua faccia, ovviamente, né se abbia sorriso o se si sia messa a piangere – buio, buio totale.

Non ricorda nemmeno cosa avesse provato (c’è qualcosa dentro al suo stomaco che artiglia la sua gola per risalire: acido come la bile, dal sapore disgustoso, salato come le lacrime, se non si conoscesse bene direbbe quasi che è un sentimento – se si ricordasse qualcosa, direbbe che è semplicemente l’ombra di quello che aveva provato rivedendola dopo quattro miliardi e mezzo di anni: i due cuori che gli scoppiavano in petto).

Ma non si ricorda, infatti – o avrebbe già capito perché ha scelto di dimenticare.
 


Nella cripta, Clara aveva detto qualcosa, e il Dottore ha ricostruito questa parte solo grazie al suggerimento della cameriera (si rifiuta di chiamarla Clara: chiamando Clara la cameriera, Clara diventa il nome di una perfetta sconosciuta, ma non è così. Clara era molto di più).

Ma chi era?

Era Clara Oswald.

Ma chi era?
 
 

L’ha portata fino alla fine dell’universo e le ha tastato il polso in maniera così convulsa che dopo i primi due tocchi già si era formato il livido – c’erano state vaghe parole di protesta, so come si fa, so come si tasta il polso, e lui non le aveva ascoltate.

L’universo me lo deve, aveva pensato. Dopo tutto quello che ho fatto, dopo tutto quello che ho perso, dopo tutto questo dolore, l’universo mi deve Clara Oswald.

Adesso ride, perché non ricorda come si sentiva allora: sa solo che l’universo è così crudele che non gli doveva davvero, davvero niente.

Adesso ride, perché non ricorda.

(se ricordasse tornerebbe a piangere)
 
 
 
 
Così quello era il modo in cui l’aveva salvata. Mentre raccontava la sua storia e strimpellava qualche nota, ha formulato la sua prima ipotesi: qualcuno l’aveva costretto a dimenticare. Non ricordava nessun personaggio, nel suo racconto, che avrebbe potuto farlo. Ma tant'è.

In qualche modo, era l’ipotesi meno terribile di tutte: il fatto che l’avessero forzato a fare qualcosa significava che comunque c’era la possibilità di rimediare. O almeno poteva provarci – potevano provarci, no? Il Dottore era bravo a provarci – così bravo che vinceva praticamente sempre.

Ma poi ha capito che la cameriera nel caffè era davvero Clara. Ed ha realizzato che: uno, la sua divisa profumava di ammorbidente come le camicie di quella Clara che aveva dimenticato del tutto a parte certi inutili dettagli, e quindi avrebbe dovuto capirlo prima; due, credeva che se l’avesse avuta davanti l’avrebbe riconosciuta, ma non era stato così (nemmeno il suo volto, il suo vero volto di fronte, era riuscito ad estrarre qualsiasi appiglio dalle nebbie della memoria) e tre, Clara non voleva che lui si ricordasse di lei.

Perché se avesse voluto, glielo avrebbe confessato subito – invece se n’era andata, insieme al suo Caffè.

Ma perché Clara non voleva che ricordasse? Ha formulato altre ipotesi. Sembravano sensate.

(il vuoto in fondo alla schiena continua a rimbombare di singhiozzi: piacerebbe poter dire che quasi ormai non ci fa più caso, ma la verità è che comincia a chiedersi di chi siano.
La risposta non gli piace affatto)
 



 II IPOTESI
Aveva scelto personalmente di dimenticarsi di Clara
 



Seduto su quella seggiolina scomoda, aveva guardato dentro agli occhi della cameriera. Erano umidi – non aveva compreso perché.

Ma ci aveva rivisto le stelle - e non aveva compreso il perché nemmeno di questo.

Dovevo tenerci davvero tanto, ha pensato, se ho ipotizzato che qualsiasi dettaglio personale di Clara avrebbe potuto farmi talmente male da spingermi a cancellarlo.

Dovevo tenerci davvero tanto, ha pensato, se mi sono costretto a dimenticare qualsiasi cosa.

(per il troppo dolore?)

Dovevo tenerci davvero, davvero, davvero tanto- peccato che non se lo ricordi.
 
 


 
DI COME IL DOTTORE ABBIA FALLITO IN PIU’ DI UN MODO 
 1) Il profumo di ammobidente
2) La canzone
3) Il vuoto alla base della schiena




Quindi aveva scelto volontariamente di dimenticarsi di Clara – eccoci qui, un passo più vicini alla soluzione. Aveva scelto di dimenticarsi di quello che gli aveva detto ma non solo, anche del suo tono di voce: dei momenti in cui aveva riso? No, di tutte le sue risate.

Non restava niente, di Clara Oswald. Solo delle storie, scritte nella sua testa da un narratore oggettivo: nessun sentimento, nessun impeto legato alla sua figura della quale non ricordava le forme.

Ma in qualcosa, come sempre, era riuscito a fallire – o forse, volontariamente, non si era impegnato abbastanza.
 
 

Clara profumava di ammorbidente. Adorava che le sue camicie profumassero di ammorbidente, e le metteva sempre sotto a dei pullover dai colori pastello – come quello dentro al Tardis? Era di Clara, quella stanza?

(ma adesso è scomparsa)

La cameriera profumava di ammorbidente e crema per le mani al gelsomino. Anche Clara profumava di crema per le mani?

Non poteva saperlo – il vuoto che ha dentro, però, annuisce sogghignando.
 
 
 
«Ogni tanto le storie diventano canzoni»

Lui ha continuato a suonarla, sembrava una serenata.

«Sarebbe davvero bello»

Ha continuato a suonarla.

«E’ una canzone triste?»
«Solo quando finisce»

Al Dottore non piacciono i finali.

(Per Clara è arrivato a cancellarsi la memoria pur di non tenersi dentro il finale più doloroso di sempre)
 
 

Infine, il vuoto in fondo alla schiena: lo sbilancia di continuo, e i piedi qualche volta procedono incerti. Ha detto che è riuscito a ricostruire Clara tramite il buco che ha lasciato: non è del tutto vero.

Il vuoto che ha lasciato era così vuoto da costringerlo a tentare di ricostruire Clara, ma non c’è riuscito – rimarrà lì, fino alla fine dei tempi? Rimarrà lì?

Perché è così grande e inghiotte tutto , un buco nero, mangia qualsiasi cosa – stella implosa che ha continuato a collassare e collassare e collassare (pensa che abbia lo stesso colore del sorriso nella cameriera del Caffè) finché non è rimasto che il buio, e questo inghiotte qualsiasi cosa gli si avvicini, forse provando a compensare (ma non si può compensare una stella).

Ma non si può compensare Clara Oswald – e lui come fa a saperlo?

Lo sa e basta (il vuoto è felice, adesso, scialacqua mestamente di lacrime).

E’ l’eredità più fastidiosa di quel suo spasmodico cancellare, cancellare, cancellare. Sa che ha premuto un bottone. Sarebbe potuto succedere a Clara.

Probabilmente è meglio che sia successo a lui: Clara, tra i due, è sempre stata la più forte.
 
 
 
 
E quindi è così, infine. Ha scelto di premere quel bottone e di dimenticarsi di lei, nessuno l’ha costretto. La storia coincide con quella che ha raccontato alla cameriera.

Ma resta ancora una domanda: perché?

Qui il Dottore ha due ipotesi. Una sembra molto più sensata dell’altra.

 La storia che ha raccontato, però, dice che è quella sbagliata.
 
 
 
 
I IPOTESI
Clara era la sua migliore amica
 
 


Quando l’avevano rinchiuso nel suo disco-testamento, aveva inveito contro chiunque governasse quel castello. Ho appena perso la mia migliore amica, aveva gridato – la voce gli tremava un po’.

C’era sempre un vuoto, dentro di lui, ma diverso da quello di ora: era un vuoto più doloroso, ma allo stesso tempo più giusto. Bello, avrebbe detto Ashildr. A lui sembrava solo triste.

In quattro miliardi e mezzo di anni, ricorda di aver pensato solo ad una cosa: come riempirlo di nuovo. E c’era un’unica soluzione, ed era Clara Oswald.

Adesso che ha dimenticato tutto, non sa cosa l’abbia spinto a restare lì dentro, in quel castello delle torture, per quattro miliardi di anni e mezzo, fingendo di avere informazioni sull’Ibrido così da giungere a Gallifrey ed estrarre la sua migliore amica dalla propria linea temporale un battito di cuore prima della sua morte.

Può fare altre ipotesi, ovviamente: il lutto, il ricordo dei suoi occhi, del suo sorriso, del modo impacciato in cui l’abbracciava.

La risposta è solamente una (il vuoto è un po’ deluso che non ci sia arrivato): «avevo il dovere di prendermi cura di te».

Una frase soltanto: ci si era appigliato per non domandarsi altro.

Avevo il dovere (ma non si era forse preso cura di Clara per tutto quel tempo? Lo stava facendo solo per sentirsi in pace con se stesso? Solo per non vivere un'eternità di sensi di colpa?) di prendermi (oppure c’era anche altro? Oppure c’erano delle frasi non dette che gli premevano in gola?) cura (oppure qualcosa che fioriva dal cuore e che per tutto quel tempo aveva cercato di soffocare, qualcosa che non si erano detti-) di te (Clara l’aveva ammesso anche lei, alla fine: non avevano mai avuto la giusta tempistica per quelle cose).

Aveva il dovere di prendersi cura di lei.

Punto.

(punto?)
 
 
 
Secondo questa prima ipotesi, tutto quanto quadra. Il puzzle combacia perfettamente (come mai gli sembra che quel singolo pezzettino, allora, sia infilato un po’ a forza?)

La storia che ha raccontato alla cameriera è assolutamente vera – ma c’è un modo in cui potrebbe non esserlo?

Forse dipende da quello che uno ricorda – forse dipende da quello che abbiamo voluto dimenticare.

Forse ci sono sensazioni – parole, due parole – che il Dottore ha voluto cancellare ancora prima di premere quel pulsante.

Forse è per questo che non compaiono nella storia.
 
 

Se fosse il racconto di qualcun altro, magari l’avrebbe chiamato amore.

(la cameriera piange, quando il Dottore suona la canzone che si chiama Clara - piange e fa finta di non piangere perché l’ultimo suo desiderio, quando ancora si ricordava chi fosse, prima che gli effetti del marchingegno gli facessero dimenticare tutto, era stato: sorridi.
Lei non aveva sorriso.
Aveva detto: va bene così. Me lo ricordo)

La cameriera piange, perché vorrebbe prenderlo a schiaffi come faceva prima. Anche quella, come tante, era stata una bugia.

Perché non ricordava niente.
 
 
 
 
II IPOTESI CHE NON PUO’ ESSERE COMPROVATA
Aveva amato Clara Oswald per: una cameriera vittoriana, una ragazza nel manicomio Dalek, qualcuno volato sul mondo tramite una foglia, due rigenerazioni e quattro miliardi e mezzo di anni.
 
                                                                                       
 

Ma se fosse stato amore – si aggrappa a questo – qualcosa forse sarebbe rimasto. Non si può cancellare del tutto l’amore.

(e il Dottore ha sbagliato in tre cose: il profumo di ammorbidente, una canzone, il vuoto in fondo alla schiena)

Forse credeva che ne se sarebbe andato via così, il dolore, come se niente fosse. Ma è come l’universo: non gli deve davvero niente.

Per questo ha lasciato tre cose, e un pullover azzurro, il volto della cameriera, dei temi per le vacanze che non verranno mai riconsegnati.

Ogni tanto il Dottore suona la sua serenata alla ragazza impossibile: gli tornano in mente le avventure, mai la sua risata o il suo profumo. Ogni tanto si sveglia e ha le mani inzuppate di lacrime: ma se prova a ricordare cosa stesse sognando, il vuoto in fondo alla schiena lo deride sprezzante.

Ha scelto di dimenticare: forse è meglio così, forse fa davvero meno male. Clara Oswald prima era una foglia, adesso è diventata una canzone: cerca di non suonarla quasi più, perché lo fa sentire perso – come se dovesse provare qualcosa, ma al posto di quei sentimenti resta un bianco vuoto senza odore.

Clara Oswald era la sua migliore amica – se fosse stato amore, non avrebbe scelto di dimenticare.

Se fosse stato amore, ne sarebbe valsa la pena.

(del dolore?)
 
 


A volte, quando è sera, pensa di aver sbagliato tutto. Vorrebbe premere di nuovo quel pulsante e capire davvero: chi era Clara Oswald?

Una canzone, un’amica, una foglia?

Chi era Clara Oswald?
 
 


I rimpianti possono uccidere, i vuoti anche. C’erano state tante occasioni per dirlo, e tanti momenti in cui entrambi avevano pensato che sarebbe stato troppo tardi. Non era mai troppo tardi.

(La risposta è questa: ha scelto di dimenticarla perché il rimorso di essere rimasto in silenzio non sarebbe riuscito a sopportarlo; perché per quattro miliardi e mezzo di anni l’aveva spinto avanti il pensiero che questa volta meritava un’ultima occasione, che questa volta l’avrebbe ammesso, questa volta glielo avrebbe detto, alla fine: ma il Dottore è un codardo, Clara era troppo giovane, il cuore non batteva, non ce l’aveva fatta.

Allora, come sempre.

Non ce l’aveva fatta mai)
 

Adesso sì – adesso era troppo tardi.
 
 
 
 
 
 
 
 
Corri, sapientone, diceva il gessetto bianco.
Clara era stata misericordiosa, Clara aveva compreso, Clara, Clara, Clara, che era nata per salvare il Dottore.
Clara, che era stata la prima ad averlo amato, prima ancora che lo facesse lui.
(non aveva scritto ricordami)   
                
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Pianger non posso. Maledetto Iddio,
Se favola non è come l’amore,
Egli che il pianto mio
Come una pietra mi saldò nel core,
Egli che ci ha diviso
E che il pianto mi nega e il tuo sorriso!









































































 
  
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