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Autore: Yunomi    08/12/2015    1 recensioni
"Non ero neanche così certo di avergli detto di sì."
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Muse, Placebo | Coppie: Brian.M/Matthew.B
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Epistassi - sangue dal naso.

 


Ci sono persone che riescono a diventare importanti per te dal primo momento in cui le vedi. Magari di sfuggita, magari per purissimo caso, magari perché sono così appariscenti che il tuo sguardo è letteralmente attratto a loro come se ti fornissero il campo magnetico ideale per i tuoi occhi. In un caso o nell'altro, è matematico, inevitabile: rimani incatenato a loro in modo così inscindibile che sei fottuto per il resto della vita.

 

La prima volta che vidi Brian Molko me la ricorderò per tutta la vita, e anche dopo. 

 

A scuola si parla un sacco di lui. Praticamente tutti conoscevano il suo nome.
Era quello nuovo, introverso, ermetico, misterioso, non si sapeva bene se mezzo belga, mezzo francese o mezzo svizzero. 
E come se non bastasse, si vestiva da ragazza.
Sempre.
Con gonne nere e chiacchieratissimi pantaloni attillati che alzavano nubi di mormorii ogni volta che li sfoggiava nei corridoi. Prima d'allora non lo avevo mai visto. 

Mi dicevano che aveva questo visino delicato ma che aveva sempre un'espressione da psicopatico che ti faceva cambiare direzione ogni volta che lo incontravi. 

Mi dicevano che faceva riti satanici in cui mischiava il proprio sangue con quello di altri animali, nel boschetto fuori città.
Altri sostenevano che si facesse di ketamina, altri ancora che facesse servizietti a pagamento nei bagni della scuola. 

A scuola tutti lo conoscevano a seconda delle voci che gli aleggiavano intorno, e sempre a seconda di tali dicerie reagivano alla sua persona. 

Ma torniamo a quel giorno.

Stavo aspettando il bus. Era stata una giornata sfiancante, di quelle che quando ti chiedono “Cosa hai fatto oggi a scuola?” non sai cosa rispondere perché, ad essere onesti, ha fatto tutto schifo.

Lo vidi che camminava nella mia direzione e seppi che era lui. Senza ombra di dubbio.

Era come se avessi appena avvistato una creatura leggendaria come lo yeti, o il mostro di Lochness, o un unicorno, o che cazzo so io. 

Era comunque qualcosa di cui avevo sentito parlare fino allo stremo e che finalmente potevo vedere.


Camminava leggero e muliebre, sembrava quasi che i suoi scarponcini non toccassero il suolo. I capelli se ne stavano docili dietro le orecchie: non so come notai un particolare così irrilevante, ma solo più avanti avrei capito che quando Brian Molko si trovava nel raggio di una decina di metri, i miei sensi si acuivano, ed era come se mi fossi trasformato in Daredevil. 

Fatto sta che un attimo prima stava camminando, con la gonna nera che gli svolazzava intorno alle cosce come una nuvola carica di pioggia e una sigaretta appena iniziata tra le dita, e un attimo dopo un energumeno microcefalo che poi inquadrai come Mikey Rooney lo aveva placcato e sbattuto contro un cassonetto, che se ne stava buono buono vicino al parcheggio dei professori a fare il suo bel cazzo di niente. 

E Rooney era incazzato nero, io lo vedevo benissimo persino dal punto in cui mi trovavo, sotto una pensilina senza il tetto dall'altra parte della strada. Una completa futilità architettonica, non vi dico.

E niente, Rooney era incazzato nero e lo strattonava per la giacchetta, urlandogli che non doveva mai più azzardarsi a toccare la sua ragazza con un dito.

E la cosa che rendeva quella scena così sconvenientemente spassosa era la glaciale indifferenza del viso di Brian Molko, che lo guardava dal basso (perché questo era, molto, molto basso) e alzava le spalle – quando non gliele sbatteva contro il cassonetto, s'intende. 

Giuro che mi sarei venduto entrambi i reni pur di sentire quello che stava dicendo Brian. Doveva essere una cosa epica dietro l'altra. Quello che diceva Rooney lo sentivo benissimo, e con me tutto il resto di Teignmouth, temo. Era estremamente rumoroso, Rooney. 

E niente, ad un certo punto credo che Brian Molko abbia detto qualcosa di sbagliato, o di troppo epico, perché si levò in aria l'urlo barbarico di Rooney, seguito da un pugno rabbioso che si infranse nel suo stomaco, e  che fece risuonare la sua schiena contro il cassonetto, producendo un suono tipo gong.

Brian Molko si piegò su se stesso, ma lo vidi da sotto la pensilina senza il tetto che non fece neanche . Neanche un sibilo di dolore. Niente.

Era terribilmente dignitoso. Troppo dignitoso per uno che si stava prendendo una scarica di pugni per ragioni note solo a loro due e a Dio, probabilmente.

Era questo, Brian Molko, con la sua gonna nera, e la sua giacchetta dal taglio palesemente femminile, mentre si faceva pestare: ammirevolmente dignitoso. 

Il che è ridicolo, se pensate, perché era solo un ragazzino di diciassette anni con la fama di drogato, satanista e sgualdrina che si truccava e vestiva come una ragazza. Eppure.

Un non bene identificato e scalpitante qualcosa mi solleticò la pianta dei piedi, e sembrava volermi spingere a correre dall'altra parte della strada e fermare le braccia di quella bestia di Rooney, che colpivano ripetutamente il suo addome come due martelli pneumatici. 
Non so che diavolo mi fosse preso, ma sentivo il bisogno di dare retta a quel qualcosa.

Ma cosa pensavamo di fare, io e il mio manchevole metro e settanta, contro Rooney e i suoi muscoli?
Andare lì, a muso duro, e dire “Hey, Mikey, lascialo stare, mi hai capito”?
Patetico. Ero patetico.

 

E intanto avevo già attraversato la strada. 

 

E avanzavo, anche se nella mia testa quei pochi cc di buonsenso rimasti urlavano “No, no, no, pessima idea amico, non fare il buon samaritano, torna indietro, fregatene, forza.”

« Che cazzo hai da guardare, Bellamy? »

Io? Io proprio niente, guarda me ne stavo proprio andand-

« Lascialo stare, dai. » dissi io. Sì, esatto, proprio io. 

Eh vabbè, ragazzi, ero convinto di essere diventato Daredevil, eh.  

Brian Molko si voltò a guardarmi con un misto di sofferenza per via delle botte e insofferenza perché, perché beh... Lui, insofferente, lo era sempre.

Lo guardai dritto negli occhi, in quelle iridi azzurre che, quant'è vero Iddio, sembravano due voragini. 
Ma la sua noncuranza mi ritornò indietro, come una pallina da tennis lanciata con violenza contro una parete. 

Sembrava che anche lui mi stesse chiedendo “Che cazzo hai da guardare, Bellamy?”.
Come se lui e Mikey Rooney stessero intrecciando margherite e cantando l'inno inglese. 

In effetti me lo stavo chiedendo anche io. Che cazzo avevo da guardare?

Rooney rise, offensivo, a seguito della mia affermazione. E gli tirò un pugno, forte, sulla faccia.
Mi si ruppe qualcosa dentro, non saprei dire cosa.
Forse la prudenza. 
Boh.
Fatto sta che mi mossi verso di lui e, – attenzione, gente – gli fermai il polso a mezz'aria, proprio mentre caricava per sfasciargli la faccia in modo semipermanente.

Rooney mi guardò.

Brian Molko mi guardò.

Io guardai Brian Molko, e poi il taglio trasversale sulle labbra di Brian Molko, sgorgante, rosso vermiglio. Stonava davvero un casino con il suo rossetto.

Poi guardai Rooney.
La vena pulsante sul collo di Rooney.
Gli occhi indemoniati di Rooney. 
Il mastodontico braccio di Rooney che ancora tenevo in alto, come la Statua della Libertà che alza la torcia. Perché io ero basso.

Sentii un rumore secco di ossa su ossa.
Poi non vidi nulla per qualche secondo.
Sentii una fitta al naso, così forte che mi sembrò che mi stesse scorrendo tutto il cervello in forma liquida giù per il setto nasale. Mi girava tutto. 
Mollai la presa, finii col sedere nell'erba.

« Se ti ribecco con Cassie ti uccido, Molko! » ululò Mikey Rooney, ritornando verso l'entrata. M'ignorò come se avesse semplicemente schiacciato una zanzara. 

Mi girava ancora tutto.
Il sangue – o il cervello, o il pancreas, chi lo sa – scendeva a fiotti dal mio naso, e mi dipingeva il mento con una lugubre cascatella rossa. 
Mi premetti una mano sotto il naso, lasciandomi una squisita strisciata rossa sul dorso. Mi girava tutto.

Brian Molko si era alzato, si era sistemato la gonna e i capelli e acceso un'altra sigaretta – quella di prima era finita da qualche parte nell'erba. Sembrava più preoccupato per il rossetto sbavato che per il taglio. 
Mi guardò, compassionevole ma freddo, come se quello che aveva preso tutte quelle botte fossi stato io. Alzò un sopracciglio, chiuse gli occhi come a dire “Pazienza, Brian, pazienza” e mi tese una mano.

Prima di afferrarla rimasi per un po' a fissare il suo smalto viola, un po' sbeccato sull'indice. 
« Senti, Bellamy, non ho tutto il giorno. » mi disse, spazientito.

« Perché ti pestava? » chiesi, sempre col culo nell'erba.

« Per i cazzi miei. »

« Oh. » 

Agguantai la mano e cercai di ristabilire l'equilibrio. Barcollai. 

« Dovresti fare qualcosa per quello. »

« Che? »

« Il sangue dal naso. Ti ha tirato una craniata. Bellamy, sei fatto? » 

Me lo stavo chiedendo anche io. 

Scossi la testa, cercando di asciugare il sangue con il pollice.

Giocherellò con la tracolla della sua borsa, poi con il filtro della sigaretta che teneva tra le dita livide. Non so perché, ma mi dava l'idea di essere uno che giocherellava con tutto. Con le sigarette, con le borse, con la vita, con le persone. 
E il sangue non dava segno di voler smettere di scendere. 

« Comunque, » disse, rompendo quel silenzio patetico, « stringiti la parte dura del setto nasale e abbassa la testa, così non scende in gola. »

« Che cosa non scende in gola. »

« Il sangue. Il sangue non scende in- ah, lascia perdere. Devo andare. »

E se ne andò.

Così.

Come se avesse altre faccende da sbrigare, altre persone da colpire tanto profondamente quanto aveva colpito me.

Cosa ti aspettavi, Matt? Che ti dicesse “Grazie, mi hai salvato la vita, ti va una tazza di tè?” ?

Quello no, certo che no. 

Ma forse... 

Almeno grazie.

 

Grazie, se non fossi arrivato tu quel menomato di Mikey Rooney mi avrebbe traumatizzato il plesso solare e accartocciato la cassa toracica come una lattina di Diet Coke. Grazie davvero.

 

E magari anche: Ti va un tè?

Perché no.



 

acquiescere

[ac-quiè-sce-re] v.intr.

1. non opporsi, acconsentire tacitamente
2. trovare pace
 




 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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