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Autore: chilometri    08/12/2015    15 recensioni
[Urban Strangers/Midez]
Gennaro, il gioco della bottiglia, lo ha sempre odiato.
E Mika, i primi amori, non li scorda mai.
~
C’è qualche secondo di silenzio prima che Michael alzi gli occhi verdi verso di lui, il sopracciglio che si alza leggermente: “come è andata?”, gli domanda.
Federico alza le spalle, “Eh. Gli Urban hanno limonato di sicuro”, dice, catturando completamente l’attenzione di Mika che si gira verso di lui, sgranando leggermente gli occhi, “what”.
 
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*i fear you: ti temo
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disclaimer: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera
del carattere di questa persona, né della sua sessualità e non intendo offenderla in nessun modo.




      


I fear you.




 
Che Gennaro trovi il gioco della bottiglia una stronzata epocale non è una novità per nessuno, tantomeno per Alex, seduto al suo fianco, che sta ridendo perché c’è Gabriele dei Landlord che avrebbe dovuto baciare Enrica: la riccia ha fatto girare la bottiglia e quando si è fermata sull’ultra maggiorenne, tutto quello che lui ha fatto è stato alzare le mani e “in galera non ci voglio finire, grazie mille”.
Gennaro ha ridacchiato ma è durato solo per qualche secondo perché ora, con i capelli biondi scompigliati per via dello snapback rosso che ha sulla testa e Fedez seduto poco vicino a lui, presente perché quella è una serata di festeggiamenti, si gratta il naso e rotea gli occhi mentre guarda Alessio, completamente preso dalla rotazione della bottiglia.
Sono tutti seduti per terra in cerchio, Genn sta soffrendo il freddo perché le mattonelle sono ghiacciate ed ha la spalla appoggiata alla parte dura del divano e tutto quello che vorrebbe fare sarebbe dormire, ma non gli è concesso per il semplice motivo che non vuole fare il guastafeste o quello che non sa stare al gioco.
Lui, al gioco non ci sa stare, ma quella è un’altra storia.
Alza il capo verso Federico, che è sul divano perché al gioco non partecipa, per cercare e trovare del supporto, ma il suo giudice parla con Fausto — è presente anche lui, ovviamente — .
Tutto quello che si limita a fare, allora, è appoggiare il capo sul cuscino inferiore del divano e chiudere gli occhi.
È a dire il vero un po’ irritato perché quello è il quinto giro di bottiglia della serata ed Alex ha già baciato qualcuno, qualcuno come Fabio dei Moseek che “io ho una ragazza” ha detto, e “sì, ed infatti Alessio non ha nessuna intenzione diventare il tuo fidanzato, immagino” ha replicato Giovanni.
È stato tutto abbastanza semplice, Alex ha ridacchiato mentre posa velocemente le labbra su quelle del ragazzo con i rasta ed era stato onestamente tutto lì, ma Gennaro ha osservato la scena con gli occhi che guizzavano prima sul viso di Fabio e poi su quello di Alessio e, da quel momento, non sente altro che un fastidioso bruciore allo stomaco.
Sente anche le voci dei suoi compagni riempire il soft e rimbombare sulle pareti, la gamba di Alessio che lo sfiora più di qualche volta per sbaglio, la voce di Fedez che parla di punteggi e gare e statistiche ed in tutto questo lui sta cercando di mimetizzarsi con il pavimento ed il divano, entrambi grigi.
Il fatto che lui sia vestito di nero da capo a piedi e con un cappello rosso sangue sul capo, probabilmente, dovrebbe fargli capire che non funzionerà.
Ed, infatti, non funziona, perché passa poco più di qualche minuto prima che la voce squillante di Elisa “fanciullo!” lo riporti alla realtà.
Gennaro, comunque, finge di essere morto perché non si sa mai e crede che potrebbe essere persino una buona idea se non fosse per Alessio che borbotta qualcosa e poi, con le dita delicate, gli tira un pizzico sul fianco.
Il biondo apre di scatto gli occhi chiari e “tu sei un cretino”, gli dice, l’accento napoletano marcato fa ridere tutti ed il dito medio che si alza in direzione del moro, che, per tutta risposta alza le spalle e gli sorride.
“Genn, ma chi è che ti ha insegnato questi brutti gesti?” dice Fedez, ride sotto i baffi lo stronzo mentre rincara la dose e manda dei messaggi a Dio solo sa chi (in realtà, probabilmente il destinatario è Mika, questo lo sospettano tutti perché di tanto in tanto sussurra al Faustelli qualche parola in inglese e rotea gli occhi, sbuffando).
Gennaro vorrebbe strapparsi la faccia ma sono le due di notte, ha fame, ha sonno, la gola gli fa un male cane — è per questo che il cappuccio e la cerniera della felpa di Alex che sta indossando, sono entrambi tirati su — ed in realtà si rende anche conto del fatto che sta facendo il guastafeste, per non dire il rompipalle.
Quindi prende un respiro, incrocia le gambe ed allunga la mano verso la bottiglia di plastica che si piega leggermente sotto la presa delle sue dita, producendo un rumore tremendo e fastidioso che gli fa sentire ancora di più la mancanza del silenzio della stanza sua e di Alessio del loft.
Trattiene uno starnuto, avvicina la bottiglia e guarda Giofottutosada, “ma come si gioca, poi?”
Beh, — inizia il ragazzo mentre si gratta la barba — hai tre opzioni, è il tuo primo turno quindi sono tutte e tre libere, per te: la prima è un bacetto innocente — alza le sopracciglia, ammiccante e Francesca si batte un cinque sulla fronte —, la seconda è una… come dire?” si interrompe, inumidendosi le labbra come al solito, “una bella lemonada, e la terza opzione sono i dieci minuti chiusi nello stanzino. Che per l’occasione, visto che non abbiamo uno stanzino, sarà la sala delle assegnazioni delle canzoni”, poi si appoggia con le braccia al cuscino del divano e tira le gambe verso il petto.
Gennaro si aggiusta il cappuccio sul capo e si sposta i capelli dal viso, “ma raga, voi vi divertite davvero con queste cose?”
Alessio, al suo fianco, ridacchia mentre sorseggia la birra che Giovanni gli ha passato e la sua unica risposta è che no, non è divertente il gioco, “ci divertiamo a vedere le tue reazioni, più che altro.
Gennaro alza di nuovo il dito medio, questa volta è più generale perché tutti annuiscono e ridacchiano per quello che ha detto il suo compagno di avventure.
E sventure.
Soprattutto sventure.
Anche se, effettivamente, l’unico sventurato del duo rimane sempre e solo lui.
“Gesù”, borbotta, grattandosi l’angolo dell’occhio, “va bene ja, tutti vi aspettate che io sia il monotono della situazione, quindi scelgo la terza. Giusto per”, sembra quasi credibile il modo in cui lo dice, ma in realtà il piano, nella sua testa, non è altro che quello di andare nella stanza con la persona interessata e guardarsi nelle palle degli occhi per dieci minuti filati.
“Dieci punti per il coraggio”, è il commento di Davide, che ridacchia, sdraiato sul divano con i capelli ricci a fargli da cuscino e gli occhi grandi e verdi a guardarlo.
Lui non partecipa perché probabilmente non si fa tante pare come Genn e non ha pensato che avrebbe potuto essere il noioso della situazione ed anche perché, in secondo luogo, lo sanno tutti in quella stanza che appena uscito dal programma sposerà la sua ragazza, quindi nessuno ha voluto dirgli nulla.
Il biondo rotea gli occhi e sposta nuovamente la bottiglia al centro del cerchio composto dai ragazzi, le dita che stringono la plastica sfiorano le assi di legno freddo e lo fanno rabbrividire, poi con un’ultima imprecazione la fa roteare con un po’ troppa forza.
Il materiale vibra e scoppietta, gira su sé stessa un paio di volte e viene tenuta d’occhio da ogni persona presente come se quella segnasse il destino di tutti, in quella stanza.
Luca dice qualcosa ad Enrica e Gianluca dei Landlord qualcosa a Davide dei Moseek, mentre Federico dice a bassa voce “ma che ne so, mi scrive my dear e poi non risponde”, fino a che non c’è, poi, un’ultima rotazione, questa volta più lenta e poi la bottiglia si muove qualche altra volta prima di fermarsi.
Passa qualche secondo nel silenzio, questa volta anche Federico ed il Faustelli si girano a guardare chi ha deciso di indicare il tappo ed una volta notato il fortunato, Fedez alza un sopracciglio e si copre la bocca perché sta ridacchiando come qualcuno che la sa lunga, poi distoglie lo sguardo e riprende a mandare messaggi per non sembrare troppo ovvio.
È, in ogni caso, troppo tardi perché ovvio già lo è sembrato.
Gennaro sbatte gli occhi e segue la traiettoria segnata dal tappo un paio di volte, ma quella non si muove e rimane ferma, puntata verso le scarpe di Alessio che lo guarda.
Proprio nell’istante in cui il silenzio sta per diventare imbarazzante, Elisa si sposta la frangia rossa dalla fronte, batte le mani con entusiasmo e “beh, su, adesso potete andare di la e farci credere che stiate facendo cose, io ed il mio spirito da adolescente che si esalta ancora per queste stronzate faremo finta di credervi!” sorride, scoprendo i denti bianchi e facendo ridere tutti nella stanza.
Il biondo sente le guance bollenti, ma decide, in ogni caso, di non farsi sopraffare dalla goffaggine e dal suo essere un “completo idiota che avrebbe potuto fingersi malato invece che andare a cacciarsi in cose come queste”, pensa tutto d’un fiato, prima di allungare le gambe che sono state intrecciate fino a quel momento ed alzarsi insieme ad Alessio che dice qualcosa a Davide e che non tutti riescono a cogliere.
Gennaro, quel gioco lo odia, ed ama ribadirlo nel caso in cui non si fosse capito.
Lo detesta, davvero, ed è tutto quello a cui riesce a pensare mentre scavalca in una sola mossa il divano grigio e striscia le scarpe sportive sul pavimento, mentre si dirige verso la stanza delle assegnazioni e sente i passi di Alex dietro di lui.
Impiegano solo qualche secondo per arrivare di fronte alla porta, il biondo appoggia la mano pallida e venosa sulla maniglia e la spinge verso il basso, sentendo lo sguardo dei suoi compagni puntato sulla sua schiena, è per questo che scivola all’interno della sala con una velocità sospettosa.
Sente Alessio seguirlo e chiudere la porta alle sue spalle con delicatezza, mentre Gennaro si passa velocemente una mano sulla faccia e si siede sul pianoforte laccato di nero.
Alex ha i capelli scuri scompigliati e le gote leggermente rosse, colpa dell’alcool e della situazione, molto probabilmente.
Il maglione azzurro che indossa è spiegazzato e gli fascia perfettamente il petto, ha un orologio nero ad ornargli il polso ed il suo passo è strascicato ed incerto mentre si avvicina al biondo, tenendosi a qualche centimetro di distanza.
Si squadrano per qualche secondo, prima che Genn ridacchi mentre scuote la testa, “vorrei dire che è una situazione imbarazzante, ma questa cosa è talmente una stupidaggine che non ce la posso fare”.
Alessio lo guarda e non risponde, si infila le mani nelle tasche del suo skinny jeans ed annuisce.
“Di chi è stata l’idea di fare questo gioco geniale?”
“Mia”, Alex lo dice sorridendo solo con un lato della bocca e stropicciandosi successivamente gli occhi.
Tua?”
“Ero annoiato”, alza le mani.
Gennaro, per tutta risposta, gli tira un pugno sulla spalla in modo delicato ma probabilmente non abbastanza per un Alessio leggermente brillo, che si sbilancia per un secondo mentre continua a sorridere e che ritrova, poi, il suo equilibrio appoggiandosi con i palmi sulle cosce di Genn.
Il biondo trattiene per un secondo il respiro, il cappuccio ancora sulla testa e il volto di Alessio piegato verso il basso.
Sente il calore delle mani del moro nei punti in cui sono appoggiate e sente la scarica di una sensazione non conosciuta arrivargli dritta al cervello.
“Eri annoiato?”
“No — Alessio alza la testa, la sua espressione cambia e diventa mortalmente seria — in realtà speravo di baciare Fabio”.
Gennaro rotea gli occhi, il fastidio che ha provato prima torna a fargli visita, facendogli contrarre lo stomaco e mandandogli la gola in fiamme, “l’alcool non ti fa bene”, è tutto quello che decide di rispondere.
Alex annuisce mentre alza il pollice, “sono d’accordo”, ridacchia, le labbra sottili si piegano nella familiare espressione di genuino divertimento che Genn riesce a riconoscere.
“Scommetto che non sa neanche baciare, comunque”, borbotta il biondo, picchiettando con i polpastrelli la superficie del piano.
“Beh, per ora posso dirti che non sembra male”.
“Per ora? Non dirmi che stai programmando di baciarlo ancora”, Gennaro alza gli occhi celesti dallo strumento e li porta sul viso di Alessio, gli occhi accesi e leggermente lucidi, la punta del suo naso rossa a causa del freddo.
Ridacchia ancora, Alessio, “non stai facendo mica il geloso, no?” scherza, la sua voce è calma come al solito, adesso leggermente più imbarazzata mentre le sue dita premono ancora contro la stoffa del jeans del biondo e la testa ciondola leggermente all’indietro.
Gennaro alza un sopracciglio — o meglio, ci prova, perché non sa farlo —, “dovrei?” e vorrebbe che la sua voce fosse stata un po’ meno dura, che il tono non avesse preso quella piega, vorrebbe averlo fatto suonare come una risposta scherzosa, quando tutto quello che è sembrato, è, invece, preoccupazione ed un pizzico di possessività.
Quella serata peggiora sempre di più, constata il biondo, e spera che Alessio non se ne accorga.
Invece, Alessio se ne accorge.
Ovviamente.
Se ne accorge quando Gennaro si muove imbarazzato all’indietro, sedendosi meglio sul piano ed allargando un po’ le gambe, se ne accorge perché il biondo muove lo sguardo prima verso di lui e poi verso il pavimento, il muro e di nuovo il suo viso.
Alessio se ne accorge e, per qualche motivo, quel tono non gli dispiace per niente.
Il bruno alza lo sguardo verso Genn e cerca i suoi occhi che lo trovano con qualche secondo di ritardo, leggermente spalancati, con le labbra rosee e le gote rosse mentre tossicchia ed in automatico si bagna le labbra.
Ha le gambe leggermente divaricate che penzolano nel vuoto ed è seduto su un piano alle due e trenta di notte, quando Alessio si infila tra di esse arrivando ad essergli così vicino da fargli sentire il suo respiro sulla porzione di collo che non è stata coperta dalla felpa.
“Non penso che dovresti”, risponde alla domanda di prima, Alex, con la voce bassa e le labbra piegate in un sorrisetto.
“Bene”, replica Gen, grattandosi la punta del naso.
Benissimo”, è tutto quello che dice Alex.
Poi Alessio guarda Gennaro e Gennaro sta guardando Alessio ed è un secondo prima che le labbra di Genn siano su quelle sottili di Alex, che trattiene il respiro per un istante, e le mani corpulente di Alex abbassino il cappuccio e siano sul cappello rosso di Genn che lo avvicina a sé con una mano sulla sua schiena, intrecciando le gambe fasciate dai jeans dietro essa.
È un contatto strano, all’inizio, Gennaro sente il sapore della birra sulla pelle della bocca del bruno, sente dei piccoli tagli nelle pieghe e sente il calore, il respiro corto, lascia che la sua lingua bagni le labbra dell’amico mentre appoggia una mano al suo petto ed il rumore di ogni cosa si ovatta.
Quella è la prima volta in cui le loro labbra si toccano, ma Alessio non si sente colto alla sprovvista ed è come se quel momento lo stesse inconsapevolmente aspettando da tanto ed ora che è finalmente arrivato, si sente preparato.
È preparato alle labbra carnose di Gennaro, al suo respiro irregole, alla sua saliva e al suo sapore, al modo in cui stringe nel pugno la sua maglia e tiene gli occhi serrati, la fronte corrugata, sente il profumo del dannato coccolino che Genn ama tanto nelle narici ad inebriargli l’olfatto.
Il biondo non sa a cosa possa dare la colpa, non sa perché vorrebbe che non finisse mai, sa solo che quando chiede il permesso alle labbra di Alex di aprirsi e di farlo passare, quando la sua lingua si sfiora, delicata ed incerta, con quella del bruno, che suona tutto come se fosse la cosa giusta.
Ed è quando Gennaro succhia piano il labbro inferiore di Alessio, languendolo con una sorta di calma foga ed incastrandolo tra le sue labbra, soffici ed ormai completamente bollenti, che Alex gli leva con violenza il cappello dal capo, lasciandolo cadere prima sul piano e successivamente sul pavimento.
Gli stringe con impeto capelli e Gennaro si aggrappa ancora di più con le gambe intorno alla schiena di Alex, respirando in maniera sconnessa nella sua bocca ed è in quel momento che le cose cambiano.
Perché adesso tutto quello che il biondo percepisce è uno spostamento d’aria e la sua schiena che viene sbattuta contro la porta nera della stanza, sente un “alè-ohoh!” proveniente dall’altra sala, gridato da Elisa, ma adesso, con il suo corpo magro contro quello imponente di Alex, non gli da peso.
È senza fiato, sente il calore dell’eccitazione bruciargli ogni parte del corpo e si allontana piano dal viso squadrato di Alessio, le mani sono strette intorno alla maglia azzurra del bruno.
“Bacio meglio io di Fabio?”, chiede, il respiro spezzato e le rughe d’espressione che gli compaiono sul volto non appena sorride.
“Devo testare ancora un altro po’, poi ti dico” è un po’ impacciato ora, Alessio, ma lo bacia di nuovo in ogni caso, le braccia intorno ai suoi fianchi per sorreggerlo.
I restanti sei minuti passano in fretta, c’è Gennaro che geme nella bocca di Alex, Alex che stringe le mani intorno ai suoi fianchi per sorreggerlo, ci sono le gambe del biondo sempre più strette intorno alla sua schiena, la sua maglia che si stropiccia quando Genn cerca ancora più contatto, il rumore di maniglie che si abbassano per sbaglio, perché Gennaro cerca un appiglio per contenere e non perdersi nel suo piacere.
E poi c’è la voce di Enrica che “tempo scaduto!”, urla dalla sala principale del loft e qualche risata di sottofondo ed i due si separano mentre Gennaro scivola piano giù da Alex.
Entrambi si guardano, non dicono molto, Genn si aggiusta i capelli e raccoglie il cappello caduto precedentemente per terra e si tira su il cappuccio, poi si avvicina ad Alessio, lo guarda per un secondo negli occhi, gli rassetta con dolcezza la maglia e successivamente abbassa la maniglia, uscendo dalla stanza mentre entrambi vengono accolti da qualche urla e qualche risata.
“Siete stati credibilissimi — dice Elisa, la testa appoggiata sul braccio, seduta al fianco di Luca — tutti quei rumori, addirittura la maniglia che si abbassava, siamo tutti soddisfatti di voi”, scherza mentre Giosada “sì, vi meritate un po’ di birra” dice, porgendogliela.
Gennaro rotea gli occhi ed Alessio si limita a stare in silenzio, finge di stare al gioco afferrando la bottiglia di vetro e borbottando qualcosa, mentre c’è lo sguardo inquisitore e divertito di Fedez sulle loro schiene ed i respiri di entrambi ancora affannati.
 
 
Quando Federico arriva vicino alla grande palazzina che ospita anche l’appartamento di Michael, sta sentendo un freddo cane.
La nebbia a Milano è visibile, l’umido lo senti nelle ossa e lui ha un cappotto blu fluo di una forma improponibile che lo rende piuttosto simile all’Omino Michelin.
Tira fuori il telefono e digita a fatica un messaggio, perché le dita hanno perso completamente la loro sensibilità,
A: Mika
“sono vicino al tuo portone”, è tutto quello che scrive prima di inviarlo, poi blocca lo schermo ed infila l’aggeggio e le sue mani in tasca, stringendosi nelle spalle.
Il palazzo di fronte a lui è alto, ha almeno dieci piani, le ringhiere di qualche balcone sono decorate da diverse piante di un verde acceso che si intrecciano e l’unica luce accesa è quella principale, nelle scale della residenza.
Anche nell’appartamento al quarto piano, dove Michael alloggia ogni qualvolta che è a Milano, tutto rimane buio per un po’, è buio quando Federico arrivo e lo rimane anche per qualche altro secondo.
Una piccola luce si accende solo quando, Fedez immagina, l’uomo legge il messaggio e si alza per andare ad aprire il cancello e permettergli di non morire congelato in una notte qualsiasi a Milano.
Federico prova ancora un certo imbarazzo a parlare per messaggio con Michael, a dirgli come sta, com’è andata la giornata quando non si vedono, gli racconta le cose più belle e si sfoga quando succedono quelle che a lui non vanno giù, gli manda delle foto imbarazzanti mentre è a lavoro a scegliere i brani da assegnare ai ragazzi.
Non sa esattamente quando sia iniziato tutto, quando sia stata la prima volta che si siano baciati, quando era stato che Michael gli aveva detto, mentre gli aggiustava i capelli con del gel nel suo camerino degli studi di XFactor, che aveva casa libera per qualche settimana, settimana che si era trasferita in qualche mese, perché Andy, il suo fidanzato, aveva avuto dei problemi con il viaggio.
Era rimasto a Londra, nel loro appartamento che Federico immagina bianco e luminoso.
Non se lo ricorda quando è stata la prima volta che ha detto a Giulia che non tornava a casa per lavoro, per una cena, perché deve stare con sua madre, perché è tardi e ha voglia di scrivere e nessuno tra lui e Michael, si rende conto Federico, quando sente il rumore del cancello in ferro aprirsi, si ricorda quando è stata l’ultima volta che abbiano provato dei sensi di colpa a stare insieme.
Federico sospira piano, l’aria calda che esce dalla sua bocca si scontra contro quella fredda della notte e si compatta in una nuvoletta mentre lui strascica il passo sul piccolo viale in tufo.
È stanco, la giornata è stata una di quelle non troppo emozionanti, ha bevuto un caffè di merda in un bar, ha passato tutto il giorno a lavorare sulla scelta dei brani, qualcuno gli ha chiesto degli autografi fermandolo per strada ed ha fatto un paio di foto con dei fan, poi è tornato al loft dei ragazzi per portare loro qualche birra — non dovrebbe, ma — ed ha passato il resto della serata a messaggiare con Mika, mentre intorno a sé osserva, nota ed ha conferma di qualcosa che sospetta da tempo e che ora ha solo bisogno di elaborare.
E lo farà parlando con Michael, ovviamente.
Entra nel portone e si cimenta in una corsetta lungo le rampe di scale, ha freddo e sta cercando di far tornare a funzionare la sua circolazione, perché alle dita dei suoi piedi ci tiene e non vorrebbe perderne nessuno, possibilmente.
Ci impiega più del previsto e non appena si ferma sul pianerottolo dalle pareti bianche e decorato da un paio di piante in vasi dai colori pastello, si rende conto di avere il fiato corto.
Si passa una mano sul viso e si guarda per un secondo intorno, per poi avvicinarsi alla porta in legno che è quella della casa di Michael.
Bussa piano con la mano colorata dall’inchiostro, nonostante sappia che l’uomo è già dietro essa e lo sta aspettando.
Infatti, ha appena il tempo di allontanare la mano che la porta si apre e Fedez squadra con lo sguardo, velocemente, quello che ha di fronte a sé.
Michael ha gli occhi assonnati, i capelli ricci hanno una piega piuttosto strana, il petto è chiuso in una maglia bianca che lascia intravedere le clavicole, scollata ed a maniche corte — Federico non si stupisce più di tanto ormai: l’ha capito già da un pezzo che gli inglesi sono strani — ed un pantalone di una tuta blu che gli sta troppo largo ed anche piuttosto corte sulle caviglie.
“Mi fai entrare o mi lasci a congelare qui tutta la notte?”, ridacchia Federico.
“La seconda — Michael corruga la fronte —, tu fai sempre tardi”, gli dice, imbronciato mentre si sposta per farlo passare.
“Non pensavo di avere addirittura il coprifuoco, adesso”, scherza, la porta si chiude dietro di lui mentre tira giù il cappuccio e si sbottona il cappotto, lasciandosi accogliere dal calore della casa di Mika.
Stronzo”, è quello che risponde quest’ultimo, Federico non può fare altro che sorridere perché quello è l’insulto che il riccio gli affibbi più frequentemente da quando si sono conosciuti e gli viene sempre detto con il sorriso sulle labbra e le rughe d’espressione vicino agli angoli degli occhi, una faccia d’angelo che impreca ventiquattro ore su ventiquattro, soprattutto contro di lui.
La casa di Michael è spaziosa e Fedez tende sempre a notarlo, ogni volta che va a trovarlo: i mobili sono in legno e c’è, nella sala principale, una lunga libreria coperta da delle vetrate che contiene tomi in qualsiasi lingua, di qualsiasi forma e colore, c’è un tappeto rosso ed ovale al centro e le finestre sono chiuse, tutto quello che si respira è il classico odore di Mika, che sa sempre meno di profumo e sempre più di casa.
Michael affianca Federico mentre entrambi camminano, senza dirsi troppo, verso la stanza da letto.
Non si guardano neanche, c’è Mika che borbotta qualcosa e Fedez che rotea gli occhi e ridacchia e quella è la loro normalità.
Nessuno dei due vuole e chiede di più, non ci sono baci famelici appena si vedono, c’è solo quella familiare sensazione di stare bene al fianco di qualcuno che è ancora strana per entrambi, ma che a nessuno dei due dispiace.
Arrivano in silenzio, il rumore dei loro passi è l’unica cosa che si ode, nella stanza ampia che è la camera di Michael.
C’è una scrivania poco dietro la porta, una macchina da scrivere sopra di essa, dei quadri ritraenti natura morta e paesaggi appesi lungo la parete e, centralmente, un letto matrimoniale, proprio sotto a due grandi vetrate incorniciate in sottili strisce di legno dalle quali si riescono ad intravedere i rami di qualche albero troppo alto ed il cielo scuro della notte.
Le coperte verdi militare sono già sfatte ed i cuscini blu hanno già preso la forma di capelli ricci e mascelle squadrate, quando Mika si lancia nuovamente su di esse, rimanendo rigorosamente sul lato sinistro del materasso.
C’è un comodino marrone al lato del letto che fa da casa ad una lampada marrone, un libro dalle pagine ingiallite che Federico riconosce come “Le Petit Prince”, un paio di occhiali ed un odore che gli sembra conosciuto, ma non troppo.
Annusa l’aria mentre tira fuori dal cappotto blu un paio di cose e lo lascia, successivamente, sulla sedia in faggio e “ma cos’è questo profumo di menta?”
Michael sposta lo sguardo dal soffitto a lui, alzando per un secondo la testa per guardarlo, poi si lascia di nuovo cadere sul cuscino e, come se fosse la cosa più ovvia del mondo, “tea”, dice con un accento inglese più marcato del solito, indicando con il pollice una tazza marrone che è proprio al fianco del libro e da quale pende il filo della bustina della bevanda.
Comunque è, effettivamente, una cosa abbastanza ovvia.
Inglesi”, replica Federico, ricevendo successivamente un cuscino sulla nuca.
Ride rumorosamente, alzando il dito medio ed appoggiando le sigarette, la sua pipa in vetro, il telefono e le chiavi sul comodino destro, poi si leva le scarpe da ginnastica e si siede sul materasso al fianco dell’uomo, i capelli ricci sparsi sul cuscino e il viso rilassato, le gambe in pantaloni larghi e le caviglie sovrapposte.
Federico sente lo spiffero della grande finestra non del tutto chiusa dietro di lui, ha le gambe incrociate e degli imbarazzanti calzini arancioni ai piedi, quando guarda Michael, seguendo con lo sguardo il percorso della sua figura snella, candida ed illuminata dal chiarore del buio e sentendo il bisogno di farsi poco più vicino a lui.
C’è qualche secondo di silenzio prima che Michael alzi gli occhi verdi verso di lui, il sopracciglio che si alza leggermente: “come è andata?”, gli domanda.
Federico alza le spalle, “Eh. Gli Urban hanno limonato di sicuro”, dice, catturando completamente l’attenzione di Mika che si gira verso di lui, sgranando leggermente gli occhi, “what”.
Fedez annuisce mentre ridacchia, “stavano giocando al gioco della bottiglia, hai presente? Come lo chiamate, voi, in Inghilterra?”
“Che bottiglia?”
“Quello dove devi far girare una bottiglia e devi baciare o chiuderti in posti dubbi con le persone”, cerca di spiegare Federico mentre mima le sue parole.
“Oh! — si illumina Michael —, spin the bottle!”
“Eh, spen the betle, che ho detto io?”, ripete e Mika ride, scoprendo i denti anteriori leggermente più grandi e facendo comparire le fossette nelle sue guance, poi scuote la testa e gli intima di continuare.
E, Federico, alle tre di notte, continua.
Gli spiega che si sono chiusi nella sala delle assegnazioni e ne sono usciti completamente stravolti e con le labbra rosse, gli dice di come lo sospetti da tempo, come lo ha capito dagli sguardi, dal modo in cui si toccavano e poi si chiedevano scusa e guardavano da un’altra parte e ritornavano sempre troppo vicini, gli spiega che lo si leggeva in faccia e nei movimenti, gli spiega tanto e finisce con un, “tipo, hai presente come facevamo noi? Ecco. Con la differenza che Alessio non chiama sempre stronzo Gennaro”.
Mika lo guarda e sorride solo con un lato della bocca, rimanendo pensieroso per qualche secondo, “non sei preoccupato?”
Federico alza le spalle, si passa una mano sugli occhi e si sente per un attimo troppo stanco per rispondere quindi rotea il fianco e allunga il braccio verso il comodino, prendendo la pipa e maneggiandola per qualche secondo, prima di appoggiarla sulle labbra ed inspirare il fumo, “non posso farci nulla, immaginavo che sarebbe arrivato, non credo che questa cosa possa compromettere la gara e chissà se domani ne parleranno ancora”, dice, facendo uscire il fumo dalle narici e appoggiandosi con la spalla al muro, tirandosi dietro alla schiena uno dei cuscini.
“Spero di sì, comunque”, aggiunge, “non aiuterebbe nasconderselo, si guardano come se fosse la prima volta che provino emozioni del genere.”
Michael lo guarda, adesso ha una guancia appoggiata alla federa e segue il fumo espirato dissolversi nell’aria mentre si inumidisce le labbra, “i primi amori sono… perecolosi”, è tutto quello che dice, grattandosi il collo e tirandosi fin sopra al fianco la coperta.
Federico alza le spalle, mentre accoglie nei suoi polmoni un’altra manciata di fumo e si aggiusta con il pollice e l’indice il bridge, il piercing che ha sul naso, tra le sopracciglia, “il mio primo amore è stata una ragazza che aveva due anni in più di me, pensavo di esserne innamorato e ci sono persino stato insieme, è durata poco più di cinque settimane”, gli spiega, “non mi sono mai sentito in pericolo, con lei”.
Lo dice e nello stesso momento in cui le parole scivolano via lungo la sua lingua, si rende conto che non ha mai avuto paura ad addentrarsi in alcuna relazione, sempre un po’ troppo sicuro e forse a tratti menefreghista, Federico ha sempre amato con la sfrontatezza di un ragazzo poco maturo.
Ma è anche nell’istante in cui le parole si spargono nell’aria insieme al fumo, che il suo sguardo cade su Michael, gli occhi leggermente socchiusi e il respiro calmo, che si rende conto che con lui, prova quel tipo di sensazione.
La paura di non essere abbastanza, di dire sempre troppo poco e fumare forse tanto, la paura di baciarlo e un leggero bruciore al centro dello stomaco nel momento in cui lo fa, di scrivere messaggi troppo lunghi e di non scrivergli mai, la paura di non aver paura di star tradendo.
Vorrebbe dire qualcosa e spezzare il silenzio ed il filo dei suoi pensieri, ma non ci riesce perché la sua mente lo spiazza per la prima volto dopo qualche tempo, quindi si limita ad inspirare ancora con foga ed aspettare che sia Michael a parlare.
E, Michael, parla.
Si tira su di poco, appoggiando il volto al palmo della sua mano grande e callosa, il letto scricchiola un po’ e le lenzuola si muovono al ritmo del suo petto, quando apre la bocca dopo un secondo di silenzio e: “il mio primo amore è stato in Parigi”, gli confessa.
“Avevo forse… sedici anni?, e lui era molto più grande, ventidue anni e qualche cosa, più alto di me. Non so se tu lo sai, ma io da adolescente ero basso così — ridacchia, mimando con la mano la sua vecchia altezza, mozzando l’aria —, più basso di te!”
Fedez lo guarda male, la pipa ed il vetro freddo a contatto con le labbra calde ed alza il dito medio, aspettando che l’uomo continui.
“L’avevo conosciuto in vacanza con la famiglia, lui era alla stanza, nell’hotel — si interrompe, facendo per un secondo fatica a cercare le parole — di fronte alla nostra. Alto, aveva i capelli scuri e questi grandi occhi marroni che erano seempre spalancati. Lui guardava un sacco di cose. Osservava tutto ed aveva deciso che doveva osservare anche me, ad un certo punto”, gli dice, la voce diventa più bassa e per un attimo Michael abbassa lo sguardo, non regge il contatto con gli occhi curiosi di Federico.
“Allora abbiamo parlato la prima volta, poi la seconda e la terza e poi io non sapevo più se era giusto quello che sentivo, you know? Non perché io ero un ragazzo e lui era un ragazzo, ma perché era strano, sapevo che lo era.
Adesso, più che strano, dico che è illegale. È stato il primo amore ed il primo bacio, una volta siamo usciti dall’hotel in questo grande terrazzo — parla e si aiuta con i gesti, muovendo le mani e le braccia, sbattendo gli occhi con una cadenza ritmica — e si vedeva tutta Parigi e la Torre Eiffel, si vedevano queste luci ovunque e lui mi ha dato un bacio ed io ero felice, pensavo che fosse okay.
È durato tutto poco più che qualche settimana, proprio come te e la tua prima ragazza, ma io avevo sentito tutti il peso dei giorni e dei ricordi proprio qui — gli dice, toccandosi le spalle — e quando lui aveva iniziato a dirmi cose che non capivo e a cui dicevo no ed aveva, poi, deciso di andare via e di allontanarsi piano da me io mi chiedevo «che ho che sbaglio».”
Michael si interrompe e scuote la testa, alzando entrambe le sopracciglia e sospirando piano, mentre chiude la coperta nel suo pugno.
“Ed io non sbagliavo niente, pensavo di sì, ed è per questo che ti dico che i primi amori sono pericolosi. I did so many things…”, si interrompe.
“È pericoloso perché ti sembra tutto diverso e nuovo — spalanca il pugno e lascia che le dita si espandano tra le pieghe delle lenzuola —, e tu sei sempre confuso, passi tutto il tempo a pensare e se sei come me disegni un sacco di cose strane e ti fa sempre male lo stomaco, tutto il cazzo di tempo — dice, pieno di enfasi e questa volta si batte delicatamente la mano sulla pancia e aggrotta la fronte, ridacchiando —, comunque, poi, lui è andato via all’improvviso e non mi ha detto niente, neanche ciao.
E’ andato via presto la mattina, aveva la sua valigia piena e non si è girato, io sono rimasto a guardare le sue spalle ed ho pensato con lo stomaco che mi bruciava e gli occhi tutti lucidi che un giorno sarebbe tornato. Non è mai tornato, ovviamente, ma va bene così”, dice, fa spallucce e si tira completamente su, questa volta, appoggiandosi come Federico al muro beige della stanza.
“Il mio primo amore ha fatto proprio schifo, però grazie a questo ho scritto la mia prima canzone — si interrompe e lo guarda — faceva cagaare”, ride a bassa voce, “ma poi quando sono diventato un cantante l’ho rivista, il mio team ed io lo abbiamo arrangiata ed è uscita bene, si chiama toyboy”, annuisce, “ma tra noi era tutto diverso, un po’ malato e tormentato. Di Gennaro e Alessio, sicuramente non bisogna preoccuparsi. Loro si vogliono tanto bene e si vede. Anche io ho paura di te, ma è una paura diversa”, sorride e non ha bisogno di spiegarsi perché lo sa che Federico ha già capito.
Il capo coperto dai ricci è posato contro il muro freddo mentre si volta verso Fedez, che ha le labbra arrossate dal freddo e la pipa vicino alla sua gamba, appoggiata sul letto.
Vorrebbe dire qualcosa il più piccolo, vorrebbe avere le parole giuste e non le solite imprecazioni, vorrebbe anche poter commentare la situazione di Genn ed Alex e vorrebbe potersi aprire su qualcosa e confortarlo in qualche modo; Michael non ha bisogno, in ogni caso, di nessuna consolazione ma Federico lo legge nei suoi occhi che quella non è più una ferita, ma una cicatrice che ogni tanto torna a pizzicare.
Le parole, però, non le ha.
Tutto quello che fa è sentire la paura alla fine della sua spina dorsale di non poter fare, oramai, più di tanto per lui, quindi si passa una mano tra i capelli prima di avvicinarsi di qualche centimetro a Michael, “che stronzo”, gli dice, la fronte aggrottata e l’uomo di fronte a lui ridacchia, annuendo e fa per aprire la bocca per dire qualcosa.
Non fa, però, in tempo perché sente le labbra di Federico premere contro la sua bocca e la mano tatuata appoggiarsi alla sua, solo la coperta a separarli.
L’aria è fredda e si è alzato il vento fuori dalla finestra dell’appartamento, c’è buio e il letto è rumoroso, uno dei cuscini cade a terra ma a nessuno dei due sembra interessare quando Federico cambia posizione sul materasso e si appoggia sulle ginocchia.
Sente il suo viso venir circondato dalle mani affusolate di Michael che non ha più il respiro non più affannato come le prime volte perché ormai abituato a quel tipo di contatto, nonostante le sue guance si tingano ancora di rosso e le mani stringano ancora con foga i suoi capelli corti.
Federico non lo sa cosa c’è che trovi, ogni dannata volta, nel contatto con il corpo di Michael quando lo sente avvicinarsi, i loro petti che si toccano e la coperta che sfrega contro la sua maglia nera, sa solo che non è mai abbastanza, che è anche di questo che ha paura.
Di come le sue mani si stringano intorno alla maglia bianca di Michael come se volesse e avesse un costante bisogno di sapere che lui è lì, che le labbra che lo stanno toccando sono le sue e una sorta di aggressività nel voler sapere che i gemiti sommessi che vibrano contro le pareti delle sue guance non siano di nessun altro.
Il letto fa ancora rumore quando Michael preme la mano sulla schiena di Federico e lo invita, implicitamente, a sedersi sulle sue gambe coperte dalla tuta e dal lenzuolo completamente sfilatosi dal materasso.
È un invito che viene accettato con velocità famelica, le labbra si staccano solo per un secondo e Federico impiega poco meno di una frazione di secondo per mettersi comodo e sentirsi, nuovamente, a casa.
E sente la stessa sensazione, la paura che stia iniziando a sentire quei contatti troppo familiari, ma non è il tempo di pensarci quando Michael ha le labbra leggermente socchiuse e gli occhi a catturare ogni centimetro del suo volto, quindi scuote piano la testa mentre lo bacia ancora ed ancora una volta per tante, troppe volte.
L’aria è ancora fredda e il vento batte ancora contro le finestre quando Michael, la maglia bianca stropicciata e i capelli che gli ornano il volto scombinati, “i fear you”, gli dice, la fronte appoggiata su quella leggermente lucida del moro che ha le gambe incastrate alle sue, la una dichiarazione velata che lascia piano le sue labbra, accarezzandole.
Federico annuisce, “anche io.”
Pausa.
“Anche io”, ripete.
E va bene così.
 
 
La mattina seguente, ci sono Michael e Federico di fronte ad una tazza di caffè — e tea — fumante, il sole che entra nel salotto dell’appartamento, sbattendo contro il vetro delle finestre, contro le pareti color panna ed infiltrandosi tra le assi del pavimento di legno e loro parlano ancora un po’.
Michael sorseggia con calma quella che sarà la sua colazione, le labbra bagnate ed i gomiti appoggiati al tavolo in legno, le venature contro la sua pelle e Federico che lo guarda, il posacenere vicino al caffè e la sigaretta già tra le labbra.
Parlano a bassa voce come se non volessero disturbare la sorta di silenzio confortante che si è creato dalla sera precedente, il moro ridacchia come sempre e il riccio gli dice un paio di volte che è uno stronzo quando Federico imita il suo accento inglese ed il modo in cui beve, ma in realtà non si dicono più di tanto.
Federico chiede a Michael se, secondo lui, dovrebbe parlare con Alessio e Gennaro.
Michael, per tutta risposta, scuote la testa mentre si gratta la fronte e gli dice che se vorranno, saranno loro a parlare.
Si guardano ancora per qualche secondo, prima che Federico finisca tutto d’un sorso il caffè, spenga la sigaretta e si alzi perché ora deve andare e quando si avvicina a Michael e lo guarda per un secondo negli occhi, ha paura di non avere le parole giuste per lui.
E Michael lo sa, lo capisce, ed è per questo che si alza, i piedi scalzi contro la superficie fredda e gli da un bacio sulla fronte, “ci vediamo”, gli dice e Federico annuisce, gli sorride e non dice nulla. Non spezza la calma.
E va bene così.
 
 
Due giorni dopo, Fedez apre la porta del loft dove i ragazzi del talent show alloggiano e la scena che gli si para davanti lo fa sentire più leggero.
C’è Elisa seduta sulle rampe di scale grigie che mangia un pezzo di pizza — surgelata — insieme a Giosada e Fabio, Luca sta cantando in qualche stanza poco più lontana dal salone, Davide scrive qualcosa su un foglio bianco e poi cancella, scrive ancora e poi canticchia e c’è Francesca che lo sta salutando con la mano, intenta a infilarsi una giacca sportiva al di sopra delle due maglie che ha già addosso.
E poi, seduti sul divano grigio del loft, Federico vede Gennaro ed il cappello rosso sulla testa ed Alex con una camicia nera abbottonata fino al collo che ridono di qualcosa, mentre “cancella ja, questa frase è una merda” dice il biondo, guardando il blocco di fogli che è appoggiato sulle gambe di Alessio.
Le loro mani si sfiorano diverse volte, gli occhi di Genn guardano con la coda dell’occhio il viso di Alex e lui, per tutta risposta, gli sorride ma non per troppo tempo, come se avesse paura di far capire troppo, forse tutto.
Sembra che vada tutto bene, osserva Federico mentre urla un “buongiorno!” e batte le mani due volte, prima di afferrare il telefono e digitare velocemente diversi messaggi, uno dopo l’altro.
 
A: Mika.
“Si stavano sfiorando le mani”
“Secondo me anche loro se la stanno facendo sotto”
“ma tipo sotto come ce la facciamo noi”
“quindi, immagino, che andrà tutto bene così”.
 





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Ciao patate! (ノ◕ヮ◕)ノ*:・゚✧
Se siete arrivate a leggere addirittura fin qui sappiate che vi ringrazio e proprio ora, in questo esatto istante, vi sto porgendo un biscotto per il coraggio.
Non ho molto da dire per quanto riguarda questa fanfiction, voglio solo farvi sapere che è, per ora, nella storia di tutte le mie one-shot, la più lunga e quella scritta in meno tempo.
Sono +settemile buttate fuori in quattro ore circa, sono estramemente fiera di me stessa perché il mio obbiettivo era raggiungere almeno le cinquemila, come al solito, ma nella mia testa era già tutta scritta ed è uscita di getto, non mi capitava da tanto tempo per cui ci tengo parecchio e sono anche, a dirvi la veritè, discratemente soddisfatta del risultato; spero possiate esserlo anche voi.
(✿◠‿◠)
Inoltre, le due canzoni che ho inserito sono quelle che mi hanno accompagnato principalmente durante la stesura e che ho trovato perfette, soprattutto per quanto riguarda la seconda riferita alla scena dei Midez e mi auguro che siano state anche di vostro gradimento e che abbiano cullato le vostre orecchie tanto quanto lo hanno fatto con le mie.
Il pairing della storia è, come avrete notato, Urban Strangers/Midez e, come l'altra volta, ho preferito inserirla nella sezione di Mika perché è – diciamocelo – piuttosto Midez-centrica ahahah
Mi piacerebbe molto avere un vostro parere, sapere cosa ne pensate, vi è piaciuta o vi ha fatto ribrezzo ed il fatto che io ne sia soddisfatta è solo perché fa estrememante schifo e il mio cervello cerca di convincermi del contrario? Non lo so, fatemelo sapere, se vi va.

Io, comunque, vi mando come sempre un grandissimo bacio e aspetto le vostre parole,
grazie per aver letto anche questo spazioautricebarrasproloquiosenza senso ed alla prossima,

chilometri
 
  
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