Crossover
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Autore: Feel Good Inc    11/12/2015    0 recensioni
Grimm x Once Upon a Time
«Cos’ha detto Nick? Adalind era molto arrabbiata?»
«Be’,
questa è la cosa strana» fece Emma con aria perplessa, «sembrava più turbato lui di quanto mi diceva che fosse lei. Ha cercato di minimizzare e ha parlato di depressione post-partum, ma non ne sembrava convintissimo. Che accidenti le hai detto, esattamente
Henry aprì la bocca e la richiuse. Gioco di squadra o no, poteva tenersi un piccolo segreto per sé... un piccolo asso nella manica da calare proprio quando Emma avesse lasciato da parte
tutti i dubbi, accettando senza condizioni la propria missione di Salvatrice.
«Niente di particolare.» Tornò a
Spyro, godendosi la sua vicinanza. «Ma dovresti proprio vederla quando si arrabbia.»
bond!fic | hints Gold/Emma & Nick/Adalind, if you like | S1!OUAT + S5!Grimm
Genere: Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Telefilm
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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grimm week

{ sette giorni per smascherare una Hexenbiest }

 

 

 

 

 

 

 

I

Lunae Dies

 

 

La macchina a nolo esalò l’ultimo respiro e Nick mollò un colpo frustrato sul volante, in parte per scaricare la tensione dello scontro evitato per un pelo, all’ultimo secondo. Si voltò subito verso Adalind, alla ricerca del suo volto pallido stagliato contro il finestrino.

«Stai bene?»

«Sì, benissimo» ribatté lei, roca, stringendosi Kelly al petto. Nick non si era neppure accorto che l’avesse già tratto in salvo dal seggiolino messo a dura prova dallo scossone improvviso. «Solo un po’ di spavento.»

«Mi sembra il minimo.» Guardò il cellulare: niente campo. Un classico. Sperduti ai margini di una foresta, ad anni luce da casa, con una vecchia auto fusa e niente mezzi di comunicazione col mondo circostante. E un cartello che sembrava letteralmente essere sbucato fuori dalla strada. Alzò di nuovo lo sguardo, contrariato, oltre il parabrezza. «Tu l’avevi visto

«Neanche di sfuggita» commentò Adalind, cullando il bimbo che iniziava a elaborare il trauma e a piangere piano, ancora insonnolito.

Nick aprì la portiera e scese dalla macchina. Mosse qualche passo, si guardò intorno... Era sicurissimo che tutto ciò che rientrava nel suo raggio visivo non fosse lì fino a cinque secondi prima. Be’, alberi a parte. Eppure eccola là, brumosa all’orizzonte, ma bene illuminata dai lampioni e dalla luna, e introdotta da quell’accidente di cartello quasi con sfida...

«Storybrooke.» Anche Adalind era uscita, e come lui fissava incredula la cittadina. «Molto divertente.»

 

 

 

 

II

Martis Dies

[della guerra]

 

 

Emma aveva appena concluso una conversazione non proprio pacatissima con Regina quando il display si rianimò di colpo per mostrarle il nome del signor Gold.

Il gemito che le sfuggì di bocca fu inghiottito dalla sorda vibrazione del telefono sul tavolo. Diventare sceriffo di un posto così piccolo e raccolto voleva dire che tutte le principali figure del posto piccolo e raccolto in questione si sarebbero procurate il tuo numero privato nel giro di ventiquattr’ore – non che personaggi come Gold o Regina non l’avrebbero rintracciata anche in una metropoli, se avessero voluto – e non per la prima volta si ritrovò a rimpiangere le mattinate oziose trascinate davanti al bancone della cucina di Mary Margaret, a bere il caffè freddo mentre la solita nota sorridente le ammiccava dal frigo.

Con la netta sensazione di sapere già dove sarebbe andata a finire, premette il tasto verde e rispose.

«Signorina Swan.» Gold doveva aver frequentato un corso molto particolare: come pronunciare il nome della gente con l’apposito intento di mandarla in bestia prima che tu dica altro. E doveva esserne uscito col massimo dei voti. «Mi perdoni per il disturbo. Ho saputo che la scorsa notte due sconosciuti sono arrivati in città.»

Dritto al sodo, proprio come Regina. Se non altro però – a differenza di Regina – lui salutava con garbo prima di partire alla carica.

«Sì, signor Gold, un uomo e una donna. Hanno avuto un piccolo incidente appena fuori città e si sono fermati dalla Nonna. L’ho appena saputo e ne so ancora quasi quanto lei.»

«Ah. Il nostro caro sindaco, presumo. Era...?» Lasciò il commento in sospeso.

Emma tamburellò le dita sulla scrivania. «Preoccupata a morte. Anche un po’ incazzata. Guardate sempre con tanto astio i nuovi arrivati in città?»

Non aveva esattamente programmato di chiederlo, ma il risolino che sentì tremare nella sua voce dopo un breve silenzio le suggerì di aver segnato un punto.

«Astio, signorina Swan? Mi creda, il suo arrivo è stato un piacere per tutti noi.»

Emma si sentì ronzare le orecchie – prima o poi l’avrebbe sbattuto contro un muro e gli avrebbe cavato di bocca quel che voleva esattamente da lei; era solo questione di tempo – ma si impose di ignorare il commento. Si alzò in piedi e recuperò le chiavi del maggiolino, mentre Gold tornava all’approccio iniziale, pragmatico.

«E, mi dica, intende indagare in merito a questa inaspettata apparizione? So che la donna ha con sé un neonato.» Per un attimo il suo tono si ammorbidì. «Vogliamo tutti sapere se il piccolo sta bene, tanto per cominciare. E ovviamente siamo preoccupati per... tutti loro.»

Infilando il braccio libero nella giacca, Emma alzò gli occhi al cielo. Non capiva Gold come non capiva Regina. La gente da quelle parti doveva avere un qualche tipo di psicosi – altro che Henry.

«Senta, sto andando alla pensione giusto adesso. Capisco che vorrebbe essere informato su tutto quel che succede a Storybrooke ma, sa, purtroppo lei non è il sindaco...»

Un’altra breve pausa e un altro impercettibile risolino. «Ha perfettamente ragione, cara. Volevo solo essere certo che la notizia fosse giunta alle sue orecchie.»

«In pratica» sbuffò Emma, cercando di assestarsi il bavero con il telefono incastrato tra l’orecchio e la spalla, «vuole la certezza che mi meriti il posto, no?»

Questa volta il sorriso risuonò chiaro e distinto – «Buona giornata, sceriffo» – prima che Gold chiudesse la comunicazione.

Ancora scuotendo il capo tra sé, Emma ripescò il cellulare dall’incastro e se lo cacciò in tasca, sollevò i capelli sulle spalle e si voltò.

Sulla soglia dell’ufficio, Henry la guardava a bocca aperta.

«Fammi capire» balbettò, prima che lei potesse elaborare la domanda base (ehi, ma da quanto sei lì? oppure tua madre lo sa che sei qui? o ancora lo sai che un giorno o l’altro mi farai venire un colpo, ragazzino?). «Sono arrivate altre persone? Ancora altre? Oltre al tizio con la scatola e la moto?»

Emma aprì la bocca – guardandolo in faccia cominciò a capire una parte del turbamento di Regina; ma il sorriso di Henry la disarmò.

«Questo posto sta diventando davvero interessante!»

 

 

 

 

III

Mercurĭi Dies

[dell’eloquenza]

 

 

Il problema principale era che al Granny’s era impossibile tendere un agguato. Ruby gli aveva permesso di nascondersi dietro il banco, ma solo finché non arrivava la nonna e solo se lui l’avesse piantata di chiamarla Cappuccetto Rosso – era un sacrificio arduo, ma qualche compromesso doveva pur concederselo: ne andava del futuro dell’Operazione Cobra.

Henry sbirciò il tavolo dove Emma e il tizio erano seduti davanti a due tazze di cappuccino. Lo sconosciuto indossava una giacca di pelle, proprio come il motociclista con la scatola, e aveva gli occhi chiari come lui, ma lì finiva ogni somiglianza con l’altro straniero. Sapeva poco dei presupposti di quell’incontro; solo che il tizio aveva conosciuto Emma già il giorno prima al bed and breakfast, ma per qualche motivo non era stato molto esaustivo, perciò era stata organizzata una seconda chiacchierata alla tavola calda. Quanto alla donna che doveva essere con lui, Henry non aveva la minima idea di dove fosse finita.

E comunque non riusciva a sentire niente.

Arricciò il naso, in cerca di ispirazione. Doveva avvicinarsi di più. Era difficile senza farsi notare, ma forse... Sì, poteva sfruttare Ruby.

Fece lentamente il giro del banco e si preparò. Quando gli passò accanto, le si incollò il più possibile alle calcagna e percorse i suoi stessi passi: con un po’ di fortuna Emma non avrebbe spostato lo sguardo dall’uomo che le faceva compagnia prima della fine dell’interrogatorio, cioè, colloquio, quindi non si sarebbe accorta che Ruby all’improvviso aveva una sagoma molto più massiccia del solito.

E poi... Geniale! Ruby puntava dritto verso il tavolo appena alle spalle di Emma, e fu lì che Henry si lasciò cadere, senza che la ragazza neanche se ne accorgesse. Perfetto. Ora avrebbe sentito tutto e avrebbe anche potuto studiare non visto lo sconosciuto senza scatola. Ma per darsi un tono tirò fuori il Nintendo dallo zaino e finse di immergersi in Kingdom Hearts 358/2 days: doveva pur avere un minimo di copertura.

«Spero che il bambino stia meglio» stava dicendo Emma giusto in quel momento, e Henry drizzò le orecchie all’istante. C’era anche un bambino?

«Oh, certo. A quanto pare era solo una colica.» L’uomo aveva una bella voce rassicurante, proprio il genere di voce che vuoi sentire da uno che a un certo punto della storia potrebbe rivelarsi l’eroe in incognito. «Mi spiace averle fatto perdere tempo.»

«Nessun problema.» Emma s’interruppe, e Henry visualizzò la sua mano che girava piano il cucchiaino nella tazza vuota. Ogni tanto lo faceva. «È importante mettere i propri figli al primo posto...»

Sentì una piccola stretta al cuore. Stava... pensando a lui?

«Be’...» L’uomo si schiarì la gola e se ne uscì con una risposta indecifrabile: «È complicato.»

Stavolta Emma ridacchiò. «Le garantisco che lo so.»

Seguì un’altra pausa. Henry cominciava a spazientirsi. Era un interrogatorio sì o no?

«Allora, non le ho ancora chiesto da dov’è che siete venuti» riattaccò Emma, come se avesse percepito i suoi pensieri.

«Da Portland.»

«Portland?» Doveva aver spalancato gli occhi, perché Henry l’aveva fatto. «È un bel po’ di strada.»

«Eravamo in una... situazione. Avevamo davvero bisogno di allontanarci.»

«Direi che vi ci siete messi d’impegno.»

«Non siamo dei ricercati, sceriffo. Gliel’ho già detto. Sono un detective...»

Henry non poté trattenere un sussulto. Detective? Accidenti. Accidenti, era normale che un detective venisse dalla sponda opposta dell’America fino a Storybrooke? Magari allora c’entrava veramente qualcosa. Magari la donna... la donna che era con lui... e se in qualche modo fosse stata anche lei un personaggio delle favole, ma fosse stata sbalzata in un punto sbagliato del mondo reale dalla maledizione? E lui l’aveva scortata a – tipo – prendersi delle risposte? Oddio, doveva incontrarla, e doveva parlare anche con lui, doveva assolutamente sapere...

«Henry

Per un attimo ebbe la certezza che sua madre fosse entrata dalla porta e l’avesse scovato seduto a un tavolino vuoto a spiare la sua altra madre; poi si rese conto che era stata proprio Emma a individuarlo.

Oh. Ok, forse aveva sussultato un po’ troppo.

Si voltò, stringendo il videogioco tra le mani sudate, e sorrise alla sua espressione sbalordita. «Ehi, ehm. Ciao!»

«Cosa ci fai qui? Tua madre lo sa che sei qui?» Sembrò che le domande si accavallassero nella sua bocca, fu quasi difficile distinguerle l’una dall’altra.

Henry scrollò le spalle, cercando di ostentare sicurezza – la verità era che i suoi occhi erano ipnoticamente calamitati verso l’uomo seduto di fronte a Emma, che lo fissava con un sorrisetto perplesso.

«Non proprio. Mi sono dato malato e ho saltato la scuola. Quindi sa che non sono in classe...»

«Hai saltato la scuola?»

«Sì, e allora? Questo mese sono già stato interrogato in tutte le materie.» La scrutò, vagamente offeso. «Vuoi fare la spia?»

«N... No. Credo di no.» Emma sembrava confusa. (Ottimo, era esattamente il suo obiettivo.) Si passò una mano tra i capelli e sospirò. «Un giorno o l’altro mi farai venire un colpo, ragazzino.»

Henry scrollò di nuovo le spalle e rimise a posto con cura la console – inutile continuare a fingere disinteresse. Per cui, finalmente, spostò apertamente la propria attenzione sul nuovo arrivato.

«Ha detto che è un detective? Da Portland?»

L’uomo sorrise, ma Emma si rabbuiò. «Henry, è la seconda volta in due giorni che ti scopro a origliare.»

«È solo che non capita tanto spesso che venga gente nuova qui» sottolineò lui, studiandoli entrambi, «e in effetti sta succedendo solo di recente, e non succedeva da qualcosa come... vent’anni? Non ne sono sicuro. Un sacco di tempo, comunque. Sai, no?, da prima che l’orologio tornasse a funzionare.»

Vide distintamente Emma irrigidirsi; chissà se se n’era accorto anche lo sconosciuto.

«Sei interessato alla carriera di detective?» gli chiese in risposta alla sua domanda, in quel tono fastidioso che ogni tanto gli adulti usano con i ragazzi che non conoscono abbastanza da sapere quanto gli dà fastidio. «O è Portland che ti interessa?»

«Nessuna delle due...»

«A lui interessano più che altro le favole» tagliò corto Emma, spiccia.

Henry la guardò, a metà deluso, a metà irritato. Possibile che non sapesse raccontare le cose con un minimo di suspense? Neanche la sconcertante rivelazione che quella piccola e sconosciuta Storybrooke, Maine, in cui un detective di Portland, Oregon, e la sua misteriosa compagna con figlioletto al seguito erano appena finiti era in realtà il punto di ritrovo di un manipolo di personaggi immaginari che andavano dalla purezza di Biancaneve alla crudeltà della Regina Cattiva?

L’ospite esitò. «Favole?»

«Già. È convinto che in città siano tutti personaggi di un suo libro di favole, e che non lo sappiano, a parte me che sono arrivata da fuori perché è venuto a cercarmi lui, per... uh... sistemare la faccenda. E anche lei viene da fuori, Nick, quindi deve averci qualcosa a che fare, capisce? Pensi» e qui ridusse la voce a un sussurro, «la ragazza che le ha servito il cappuccino una volta è stata mangiata da un lupo cattivo.»

Henry non sapeva se arrabbiarsi o ridere – d’accordo, era suonata sarcastica, ma aveva anche esposto i fatti nella maniera più precisa possibile... lupo cattivo a parte – così scelse di concentrarsi sull’informazione trapelata sul conto dello sconosciuto: Nick. Si chiamava Nick. Cominciò subito a fare mente locale; c’era qualche Nicholas nel suo libro? O magari era davvero solo la donna a...?

Si concentrò per un attimo sull’espressione dell’uomo, ma in quel momento Ruby lo chiamò dall’altra parte del locale. Stringeva in mano il cellulare rosa shocking.

«Henry, è Archie, dice che tua madre è appena passata di lì e sta tornando a casa. Tu non dovresti essere a letto col mal di pancia?»

«Oh, cavolo. Devo andare.» Henry raccolse lo zaino e schizzò in piedi e via dal tavolo, più veloce che poteva senza travolgere cose o persone. Era già a metà locale quando si voltò a lanciare un saluto dietro di sé. «Arrivederci, signor detective di Portland! Ciao, Emma!»

Lei gli scoccò la solita occhiata divertita ed esasperata insieme, ma fu la faccia di lui, Nick, che Henry s’impresse nella mente – il modo in cui era impallidito mentre guardava ancora da lui, a Emma, a Ruby, a Storybrooke che scorreva lenta fuori dalla finestra – mentre usciva velocissimo dal Granny’s.

 

 

 

 

IV

Jovis Dies

[fulminator]

 

 

Quando sentì bussare alla porta, Adalind pensò che fosse di nuovo Ruby. Nick non aveva bisogno di bussare e la nonna – che le aveva detto di chiamarla così – non era mai salita, timorosa di svegliare Kelly dal sonnellino. Ruby si faceva meno problemi, ma era discreta e prima di muovere un passo chiedeva sempre se era un buon momento; poi si sedeva ai piedi del suo letto e la tempestava di domande su Portland e sulla «costa occidentale». Voleva vedere il mondo, Ruby, evadere dai confini di quel paesino col nome da libro illustrato: Adalind non l’avrebbe mai ammesso con lei, ma la capiva, e cominciava anche a trovarla simpatica. (Aveva persino pensato che potesse essere Wesen, ma non c’era mai stato un woge involontario a fondare i suoi sospetti, e comunque non ne avevano mai parlato.)

Sulla soglia però trovò un ragazzino.

Lo scrutò da capo a piedi, incerta. «Uhm. Cercavi qualcuno?»

«Sì» il ragazzino si esibì in un sorriso luminoso, «lei. Sono il figlio del sindaco e sono venuto a presentarmi. Mi chiamo Henry Mills

«Ah.» Adalind batté le palpebre, quindi strinse con poca convinzione la mano tesa che le porgeva. «Siete molto cordiali da queste parti, eh?»

Henry Mills si strinse nelle spalle, affondando per un attimo il mento nella sciarpa che lo infagottava. «Non riceviamo molte visite, perciò bisogna impegnarsi quando abbiamo la fortuna di avere un ospite.»

Si ritrovò ad assentire. «Mi sembra giusto.»

«Non mi ha detto il suo nome.»

Adalind si riscosse. Difficile che quel ragazzo fosse un agente dei Reali, in fondo – o di qualsiasi altra cosa. «Adalind Schade. Prego, entra» lo invitò, scostandosi dalla porta.

Si accorse che modulava Schade con le labbra mentre la seguiva nella stanza, come se gli evocasse qualcosa nella mente.

Kelly lanciò un piccolo strillo dal lettino gentilmente offerto alla pensione da Marco, il carpentiere del posto, e Adalind si affrettò a prenderlo in braccio.

«Scusa l’arredamento da neomamma disperata» disse a Henry, alludendo stancamente ai pacchi di pannolini e ai biberon sparsi un po’ dappertutto.

«Oh, non c’è problema.» Henry guardava Kelly con interesse; per un attimo studiò in silenzio il suo lieve dondolare tra le braccia di lei. «Mi... sembri brava, Adalind. Sai, non riesco a immaginare mia madre fare queste cose con me.»

Adalind batté piano la schiena di Kelly e lo scrutò da sopra la sua testolina. «È un’osservazione un po’ strana.»

«È solo la verità.»

Henry la seguì a sedere sul letto, sempre molto interessato a tutti i suoi movimenti. Non ebbe il coraggio di fargli notare che aveva un atteggiamento un po’ invadente. Dio, si stava ammorbidendo così tanto? Alla terza gravidanza cosa avrebbe fatto – sarebbe diventata bonaria come la nonna di Ruby, e avrebbe sommerso di caramelle il primo adolescente sconosciuto che veniva a presentarsi in quanto figlio del sindaco locale? (Non che progettasse una terza gravidanza, certo. Con chi, poi? Con Nick?) Oddio, meglio concentrarsi su Henry.

«Non hai avuto complicazioni, vero?»

Tutto quello che gli usciva di bocca era, in qualche modo, spiazzante. «No, certo che no. Perché?»

«No, così.» Henry adottò un tono casuale che ebbe il bizzarro effetto di metterla in allarme. «Una ragazza che conosco, Ashley – ha avuto una bambina non molto tempo fa, ma penso che sia stata incinta per... molto più di nove mesi.»

Adalind spostò il peso del bimbo da una spalla all’altra. «Be’, succede. Succede anche che un bambino sia prematuro.»

«Mmm.» Il ragazzino suonava scettico. Prima sceglieva di parlare di un argomento spinoso e poi faceva lo scettico? «Come si chiama?»

«Kelly.»

«Kelly, e poi?»

Esitò. In effetti... non si era mai soffermata a pensare al cognome di suo figlio. Be’... Nick non aveva intenzione di sottrarsi al ruolo di padre, no? Quindi poteva ragionevolmente supporre che Kelly sarebbe stato suo figlio anche per la società, giusto?

«Burkhardt» pronunciò infine. Dio. Kelly Burkhardt... junior. Suo figlio. Faceva un effetto assurdo.

«Kelly Burkardt.» Sembrò di nuovo che Henry scavasse alla ricerca del significato del nome: era persino un po’ accigliato. «È il cognome di Nick, vero? L’ho conosciuto ieri, al diner. Ha un lavoro proprio figo, vero?»

«Sì...» Si accorse che le guardava le mani. «Sì, è il suo cognome. Ma non... non siamo sposati. Non stiamo neanche insieme. Abbiamo una situazione incasinatissima, a dirla tutta.» E adesso perché diavolo sentiva il bisogno di giustificarsi?... Santo cielo, eccoci qui, stava adducendo un undicenne o qualcosa del genere a pretesto di sfogo. Il declino era completo.

«Non devi sentirti in imbarazzo, Adalind» ribatté lui allegramente, «le mie due mamme sono entrambe single e a me sta benissimo. Cioè, la mia vera madre l’ho appena conosciuta, ma la mia mamma adottiva mi ha cresciuto da sola e non...» s’interruppe, pensieroso, «diciamo che non è stata la mancanza di un papà la parte difficile.»

Adalind si accorse di fissarlo a bocca aperta. Kelly tirò fuori finalmente il ruttino e la distolse dall’immagine delle due mamme single di Henry.

«Uhm, e la parte difficile qual è stata?» le uscì detto, mentre Kelly sbadigliava e le lanciava lo sguardo eloquente di chi ha fame.

«Oh, sai... la magia.»

Cadde un silenzio palpabile e denso come melassa.

«Magia» ripeté Adalind, sperando che la voce le fosse uscita più ironica che nervosa. Era chiaro che scherzava. Scherzava, no?

«Sì, magia.» Henry era tranquillissimo. Seduto al suo fianco con le mani in tasca e le spalle rilassate, era come se parlasse del tempo, o dell’ultimo cartone animato visto in tv. «Voglio dire, non la magia in sé, penso che la magia sia una figata. Parlo della magia nera. Quella che ha spedito qui tutti gli abitanti, strappandoli al loro mondo... Hai presente la matrigna di Biancaneve?» Si voltò a guardarla, educatamente curioso, come per chiederle il suo parere sui colori dell’arredamento. «La Regina Cattiva? Quella sarebbe la mia madre adottiva. Ha usato una maledizione che ha mandato qui tutti i suoi sudditi, e gli ha strappato tutti i ricordi, così non possono vendicarsi. Ah, Biancaneve è mia nonna, a proposito. Sua figlia è la mia madre naturale.»

Adalind sentì una risata isterica risalirle la gola, ma si sforzò di trattenerla almeno finché Henry Mills non avesse concluso il suo strampalato discorso. Biancaneve. E lei che aveva pensato...

«Lei era scampata alla maledizione, ma non sapeva di essere stata salvata perché potesse tornare a spezzarla dopo tanti anni. Sono andato a cercarla io» le spiegò con un certo orgoglio, «e capisco che abbia ancora qualche problema ad accettare la realtà, ma lo vede anche lei che le cose qui non quadrano. La Regina Cattiva deve essere fermata» concluse eloquente, senza staccarle gli occhi di dosso.

Adalind si costrinse ad annuire e a guardarlo con una specie di sincero interesse. «Mh. E mi stai raccontando tutto questo perché...?»

Henry assunse di nuovo la sua espressione pensosa. «La mia mamma... lei è la Salvatrice, ma potrebbe avere bisogno di aiuto. Come ti dicevo, fatica un po’ ad accettare le cose.»

«Posso immaginare.»

«Il fatto è che nessuno entrava o usciva da Storybrooke, prima che arrivasse lei. Ma col suo arrivo, tutto è iniziato a cambiare. E sai una cosa?» Abbassò la voce, sbirciando la porta con fare circospetto. «Una cosa che non ho detto neanche a lei? Non penso che un semplice abitante del mondo reale verrebbe mai qui, anche se avesse un incidente alle porte della città. Non può essere così facile.»

Il sarcasmo rappreso agli angoli della bocca di Adalind tremò.

«Che vorrebbe dire?» chiese, dopo un attimo di silenzio.

«Be’...» Henry alzò le sopracciglia, «prima di voi è arrivato un tizio strano che continua a farmi un sacco di domande sul mio libro di favole. Non ci credo neanche per un secondo che è una coincidenza. E voi...»

Adalind notò che lo sguardo del ragazzo si spostava di nuovo sulle sue mani. Lo seguì, e si accorse che tremavano.

Si alzò e riprese a cullare Kelly, nello stesso momento in cui il piccolo ricominciava a lamentarsi.

«Neanche voi siete qui per caso, vero?» La voce di Henry alle sue spalle vibrò di eccitazione. «Lo so. Neanche questa può essere una coincidenza. Senti, posso farti una domanda?»

I vagiti di Kelly diventavano più forti. Adalind strinse le labbra. «Che domanda?»

«Quando mia madre mi ha riportato qui... voleva tornarsene a Boston, ma poi ha incrociato un lupo sulla strada e in qualche modo... ha capito di dover restare.»

Un lupo. Kelly gridò a pieni polmoni. Adalind cercò di schiarirsi la mente improvvisamente annebbiata. Un lupo. Un lupo vero? O un Blutbad?

«Voi avete avuto un incidente... in che modo?» incalzò Henry, e Adalind capì che si era alzato e ora era appena alle sue spalle. «Avete visto un lupo anche voi? Oppure... qualcos’altro? Cos’è successo?»

«Niente. Non avevamo visto il cartello. Non è successo niente

«Il cartello?» Henry parve riflettere. «Ehi, non ci avevo mai pensato, ma se... e se il cartello fosse visibile solo a persone con... poteri magici

Kelly urlava. Adalind avvertì la familiare sensazione alla bocca dello stomaco, atavica come un orgasmo, ma fu proprio mentre si voltava di scatto per ordinare a quel ragazzino di smetterla di dire sciocchezze. Non ebbe il tempo di fermarsi. Non ebbe il tempo di riprendere il controllo.

Oh, no. Non adesso. Non poteva succedere adesso. Rosalee aveva detto che potevano passare mesi prima che...

E dalla faccia di Henry, era chiaro che lo vedeva.

Ma... non scappava. Arretrò, certo, e di più di un passo, ma rimase lì a fissarla, sbalordito. Non esattamente la reazione abituale di fronte al vero aspetto di una Hexenbiest.

Seguì un silenzio: Kelly non piangeva più. La guardava stupito a sua volta.

Adalind prese un respiro profondo, s’impose di rilassarsi e uscì dal woge.

Henry studiò affascinato il suo viso che tornava normale. Lasciò passare ancora qualche secondo prima di parlare.

«Ho... Ho ragione, vero?»

«Non so di cosa parli.» Adalind aveva il fiato corto, come dopo una lunga corsa. Mise al sicuro Kelly nel lettino. Non riusciva a credere di essere andata in woge con suo figlio in braccio. Avrebbe potuto fargli del male. Avrebbe potuto ucciderlo, ed era tutta colpa di quel ragazzo con le sue idee assurde di una magia neanche lontanamente cattiva come quella vera. Si voltò a fronteggiarlo, scandendo ogni parola. «Non so che cosa hai visto. Sono incastrata qui per colpa della fottuta nebbia e del fottuto cartello di benvenuto che voialtri idioti avete piantato così vicino alla strada. Non c’era nessun lupo, come non c’è nessun motivo per cui tu stia ancora qui.» Inspirò e gli indicò la porta, con una mano sorprendentemente ferma. «Devo dare da mangiare al mio bambino, adesso. Puoi andare. Salutami le tue mamme single.»

Henry abbassò il viso. Ripercorse in silenzio la stanza.

Per un momento infinitesimale, Adalind si sentì in colpa.

Era davvero tornata un mostro.

 

 

 

 

V

Venĕris Dies

[dell’amore]

 

 

«Ehi, ragazzino.»

Henry levò lo sguardo da Spyro: Shadow Legacy e batté le palpebre. I capelli biondi di Emma che sbucavano dal berretto di lana, incendiati dal sole del pomeriggio, gli ferirono gli occhi.

Chinò ancora il capo e sospirò. «Ciao. Mia madre sta per arrivare» l’avvertì, mentre lei gli sedeva accanto.

I suoni del parco giochi colmarono il silenzio. Anche senza guardarla in faccia, Henry sapeva che Emma stava osservando le corse degli altri bambini, soprattutto quelle che finivano tra le braccia dei genitori.

«Ho fatto altre due chiacchiere con Nick Burkhardt, ieri sera.»

«Ah, sì?» bofonchiò Henry, incerto.

«A quanto pare hai avuto un confronto interessante con la madre di suo figlio.»

Henry alzò le spalle, salvò la partita e la guardò di sotto in su. «Ero solo curioso.»

«Oh, mi pareva di averlo capito, grazie.» Emma gli piantò addosso uno sguardo privo di qualsiasi traccia di divertimento. «Henry, ascolta, non voglio farti una predica. Quella parte posso lasciarla a Regina. Non voglio neanche farti sentire in colpa per aver sconvolto quella povera donna» aggiunse, e Henry non poté fare a meno di chiedersi cosa avesse detto Adalind a Nick, o Nick a Emma, e chi sapesse più di quanto diceva... ma magari non era il momento, «perché... in realtà... mi sento già abbastanza in colpa io.»

Henry si scosse. «Tu?»

«Per... l’altro giorno.» Emma si strinse nelle spalle, esattamente come faceva lui per liquidare il disagio. «Ho detto a Nick della tua teoria delle favole e... non so, immagino... di non aver fatto in modo che suonasse convincente. Sembrava che ti prendessi in giro? Ti assicuro che non volevo prenderti in giro, ragazzino. Non voglio che ti senti deriso, chiaro? Perciò dimmelo, se ho fatto male.»

Henry si sentì qualcosa di molto ingombrante nel petto. Si chiese cosa fosse peggio: sorprendere Emma abbracciandola di punto in bianco in pubblico, o rischiare di farsi beccare da sua madre mentre abbracciava Emma di punto in bianco in pubblico.

«Va tutto bene» le disse, sincero. «Forse hai esposto i fatti in maniera troppo semplicistica, ma io volevo che Nick e Adalind conoscessero la verità. È per questo che sono andato da lei.»

Un lampo di divertimento attraversò l’espressione di Emma. «Avrei ‘esposto i fatti in maniera troppo semplicistica’? Sul serio? È così che ti dice Archie quando ti chiede come vanno le cose con Regina?» Henry non poté fare a meno di ridere, ma subito dopo lei tornò seria. «Lo sai che se me l’avessi chiesto ti avrei portato con me a parlare con Adalind, sì?»

Henry corrugò la fronte. «Dici davvero?»

«Forse.» Emma storse la bocca. «O forse no.» Si appoggiò allo schienale della panchina; con la spalla sfiorava la sua. «Il punto non è questo. Il punto è che facciamo parte dell’Operazione Cobra tutti e due, e preferirei che me lo dicessi, quando senti il bisogno di includere qualcun altro nei nostri... movimenti. Gioco di squadra, giusto?»

Annuì lentamente. «Gioco di squadra» ripeté, piano, ma era la parola insieme a scaldarlo di più. «Me lo ricorderò.» Ora che ci pensava, forse doveva parlarle anche delle domande sospette di August.

Ci fu una breve pausa.

«Cos’ha detto Nick? Adalind era molto arrabbiata?»

«Be’, questa è la cosa strana» fece Emma con aria perplessa, «sembrava più turbato lui di quanto mi diceva che fosse lei. Ha cercato di minimizzare e ha parlato di depressione post-partum, ma non ne sembrava convintissimo. Che accidenti le hai detto, esattamente

Henry aprì la bocca e la richiuse. Gioco di squadra o no, poteva tenersi un piccolo segreto per sé... un piccolo asso nella manica da calare proprio quando Emma avesse lasciato da parte tutti i dubbi, accettando senza condizioni la propria missione di Salvatrice.

«Niente di particolare.» Tornò a Spyro, godendosi la sua vicinanza. «Ma dovresti proprio vederla quando si arrabbia.»

 

 

 

 

VI (VII)

Dies Solis

 

 

Adalind mescolò distratta la sua cioccolata calda, guardandosi intorno con una punta di panico nel locale affollato. Nick la capiva; non erano mai stati entrambi lontano da Kelly dal giorno in cui era nato – ma Ruby aveva assicurato loro che Ashley era bravissima, e per lei non sarebbe stato un problema badare a Kelly per una sera e lasciarlo giocare con la sua Alexandra. Le strinse delicatamente un gomito.

«Andrà tutto bene.»

Adalind si scosse e annuì. Nick sapeva che Kelly non era l’unico bambino a veicolare i suoi pensieri altrove, in quel momento.

Lasciò scivolare la mano sul suo braccio fino al polso, e lì esitò. Adalind abbassò gli occhi sulle sue dita e i capelli le scivolarono in avanti. Nick avvertì il folle bisogno di scoprirle il viso, ma si trattenne. Era pazzesco. Neanche tra un milione di anni avrebbe capito cosa provava davvero per quella donna, eppure eccolo a cercare di prenderle la mano... non per la prima volta da quando, su consiglio del capitano Renard, erano fuggiti in fretta e furia da una Portland ormai troppo pericolosa.

(Quanto tempo era passato da Juliette? Cominciava a perdere il conto dei giorni ormai.)

La porta del Granny’s si aprì di colpo ed entrambi sobbalzarono – Nick si ritrasse da Adalind all’istante, come colto in fallo.

Lo sceriffo Swan e suo figlio erano sulla soglia, a guardarsi intorno. Il primo a individuarli fu Henry.

«Ci siamo.» Nick si alzò. «Io parlo con lei, tu con il ragazzo.»

«D’accordo.»

Adalind era pallida, ma se c’era una cosa che Nick sapeva per certo era che con lei Henry Mills non correva nessun pericolo, e del resto non l’avrebbe corso neanche quel giovedì pomeriggio al bed and breakfast.

«Salve, signor Burkhardt» lo salutò il ragazzino mentre lui gli andava incontro.

«Ehi, Henry.» Nick guardò oltre la sua testa e individuò un uomo che, uscendo, aveva fermato Emma e le parlava sottovoce. «Adalind ti sta aspettando. Che ne dici di andare da lei, mentre io cerco un tavolo per tua madre e per me?»

«Oh, ok.»

Henry marciò spedito verso il bancone. Sembrava impaziente. Nick non poté non sorridere tra sé. Attirò l’attenzione di Emma per farle cenno che avrebbe cercato un posto tranquillo; lei lo ringraziò con un gesto e tornò a concentrarsi sul tizio con il bastone da passeggio.

Due minuti dopo, seduto in disparte, si ritrovò a vagare con lo sguardo fino al banco dove Adalind e Henry si studiavano a vicenda.

Non aveva intenzione di origliare, ma i suoi sensi da Grimm entrarono in funzione da soli.

«Stai bene?» gli arrivò nell’orecchio la voce di Adalind, forte e chiara.

Vide il ragazzo annuire.

«Ok. Mi spiace di averti... urlato contro. O di averti cacciato in quel modo. È solo... Cerca di capire, per favore, è una cosa difficile di cui parlare con la gente.»

«Ehi, io sono stato adottato dalla Regina Cattiva, ricordi?» ribatté Henry, e dal suo tono collaborativo e buono Nick capì immediatamente il motivo per cui Adalind aveva voluto quella specie di incontro di gruppo.

Adalind sembrava frustrata, ma continuò. «Tra l’altro non mi succedeva da un po’. Anzi, non sapevo se sarebbe successo ancora. Lo sospettavo, perché non ti liberi facilmente della tua natura, ma... Comunque, in teoria non dovevo più essere... quello che hai visto, così mi sono spaventata. Credevo che sarei stata una madre normalissima, almeno per un po’, e invece...»

Da Grimm, Nick non aveva idea di come fosse per un Wesen cercare di spiegare il woge a un comune mortale. In realtà non era neanche sicuro che il woge fosse visibile a qualsiasi comune mortale... Monroe gliene aveva parlato, ma sembravano passati secoli. In fondo, però, forse aveva ragione Henry. Forse...

«È Storybrooke. Le cose sono diverse, qui. E da quando è arrivata Emma continuano a cambiare, ma non per chiunque.» Guardava Adalind come se fosse stata la prova vivente di tutte le sue teorie. «Mi credi, vero?»

«Si fida anche di lui, quindi?»

La voce si era intromessa da sola. Era un’altra conversazione che Nick non aveva mai avuto intenzione di spiare. Fu un po’ sorpreso di capire che a parlare era l’interlocutore di Emma, che aveva intriso quella domanda di qualcosa di molto simile al... rimpianto?

Emma non gli rispose. Aveva un’aria tesa, che Nick non le aveva notato addosso nel momento in cui era entrata con Henry. L’uomo le sorrise, ma non era un sorriso felice.

«Mi auguro solo che lei stia attenta, signorina Swan

Dovevano avere una serie di complicati trascorsi, quei due.

Vide Emma congedarsi dal tipo con il bastone e venire dritta verso di lui. Si concentrò, tagliando fuori tutte le voci: aveva una storia da raccontarle e non era sicuro che ci avrebbe creduto più di quanto credesse a quelle del libro di suo figlio.

Quasi contro la sua volontà, lanciò un’ultima occhiata allo sconosciuto sulla soglia... e non gli piacque vedere il modo in cui fissava Adalind e, subito dopo, lui stesso.

 

 

 

 

VII (VI)

Saturni Dies

[della semina]

 

 

Il negozio dei pegni profumava di antico. Adalind osservò gli oggetti disposti sugli scaffali e nelle teche, solo per trasalire immediatamente al suono della voce che l’accolse dall’ombra.

«Vedo che ha ricevuto il mio messaggio, cara.»

Scrutò la figura dietro il banco. Era un uomo elegantissimo, in completo firmato, e un attimo dopo le apparve come una creatura dalla pelle verdognola con capelli ispidi e denti marci. Batté le palpebre e l’illusione – illusione? – era già sparita.

Si avvicinò e notò il libro su cui l’uomo posava le punte delle dita. Era pieno di disegni. Disegni Wesen, come nei libri della famiglia di Nick.

«Che cosa vuole da me?» quasi lo aggredì, piantandosi davanti al banco con decisione per non lasciargli vedere quanto le tremassero le ginocchia. In tasca stringeva il biglietto che le aveva fatto avere alla pensione: vieni da sola.

L’uomo scorse le pagine per lei, in tutta calma.

«Grimm» esordì, e Adalind sussultò di nuovo. «Temo che lei e io abbiamo un’accezione diversa del termine, signorina Schade. Non che ciò la sorprenda, vero? Per lei, i Grimm sono disgustosi esseri umani che se ne vanno in giro a decapitare suoi simili. Per me, i leggendari fratelli Grimm non erano altro che Autori.»

Suo malgrado si sentì arrossire; non aveva più pensato a Nick in quei termini da molto (troppo) tempo. Si domandò anche come facesse quell’uomo a conoscere il suo nome.

«Autori di favole?»

«Autori. Con la ‘a’ maiuscola.» Sorrideva, amabile. «È una storia lunga e articolata e dubito fortemente che lei voglia starla a sentire: ha già tante di quelle preoccupazioni. Le spiegherò soltanto che sì, le mie favole valgono tanto quanto le sue, e no, nessun altro – o quasi – entro i confini di questa città è al corrente delle mie o delle sue. È buffo, però, sa» ridacchiò, «quando ero molto piccolo, in un mondo lontano da qui, mi dissero che i Wesen erano spiriti minori, dai più ritenuti un puro mito. È davvero buffo come il tempo riporti a galla le cose più strane.»

Il nervosismo di Adalind si acuì: chi diavolo era quell’uomo?

«Le cose stanno così, cara.» Per la prima volta la guardò dritto negli occhi. «Voi avete la vostra storia, io ho la mia. Il vostro essere qui potrebbe costituire la più felice delle congiunzioni, o la più sciagurata. Vi chiedo solo, e noti che non sono avvezzo a chiedere senza ottenere, di stare attenti a come decidete di comportarvi con lo sceriffo Swan

Adalind credette di aver capito male. «Lo... sceriffo Swan

«Emma.» Pronunciò il nome come se gli appartenesse. «Lei è la mia Salvatrice, cara, non la vostra. Una storia alla volta. Dopotutto, lei ha già il suo eroe.»

Aveva voglia di ridere, ma non era sicura che ridere fosse la mossa giusta.

«In alternativa, potremmo stringere un patto.»

«Un patto?»

«Oh, ci sarà tempo e modo per discuterne.» Il titolare del negozio dei pegni la congedò con un sorriso. «Ma adesso il suo bambino ha bisogno di lei, cara. Mi terrò in contatto... Le auguro una buona notte.»

Con orrore, Adalind ricordò che una delle favole umane che le raccontava sua madre – una delle più spaventose, quasi quanto quelle Wesen che finivano con la falce del Grimm grondante sangue – era quella di Rumplestiltskin.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio dell’autrice

 

Ho sempre voluto crossoverare OUAT con Grimm, ma non trovavo mai il giusto pretesto. La quinta stagione di quest’ultimo però mi ha illuminata. Adalind ha avuto il suo secondogenito, figlio di Nick, ed è ben intenzionata a impedire che glielo strappino come è successo con Diana; Nick per contro è deciso a lasciarsi tutto alle spalle e tenerla ben lontana dal mondo di follia che la circonda, e il piccolo Kelly con lei: e se fuggissero a Storybrooke?, mi sono detta. Certo, il Maine è dall’altra parte del continente rispetto all’Oregon, ma dopotutto è una fanfiction. X’D

Beh, vediamo i dettagli tecnici. La timeline di Storybrooke si aggira attorno a metà prima stagione, subito dopo l’arrivo di August in città, ma per il resto vorrebbe essere molto generica (se notate anacronismi me ne scuso tanto, probably era la foga di inserire più riferimenti possibili al canon perché mi manca da morire la prima stagione). Ho giocato sul fattore settimana perché mi piaceva l’idea di ricondurre ogni ‘fase’ delle interazioni OUAT/Grimm alle (seguitemi eh XD) caratteristiche delle divinità che danno i nomi ai rispettivi giorni: ad esempio ‘mercoledì’ deriva da Mercurio, dio dell’eloquenza, e il primo scambio di informazioni tra Emma e Nick doveva avvenire in quel giorno, e via così (sono innamorata in particolare del parallelo Saturno/Mr. Gold because of things). La domenica l’ho tradotta con Dies Solis, che è antecedente a Dies Dominica, perché il dio Sole c’entrava più di Dio, toh. Ah, ecco, un’altra cosa: non ricordo assolutamente come funzioni il woge per la gente normale, cioè mi sembra di ricordare che lo si possa vedere solo quando il Wesen è pronto ad attaccare, ma honestly mi faceva comodo utilizzare il fattore emotivo (che funziona con i Grimm) per manifestare la natura di Adalind davanti a Henry. As usual, passatemi le eventuali licenze poetiche :’D

Infine una nota tutta sul finale, che poi è un flashback relativo al sabato saltato nell’ordine cronologico della storia. Potete interpretare l’incontro tra Gold e Adalind come più vi piace, nel senso che, per quanto mi riguarda, se vedo bene un Gold che impone all’universo Grimm di non impicciarsi nel suo master plan per la rottura della maledizione, trovo anche credibile però un Gold che propone all’universo Grimm uno scambio di favori – l’immancabile patto – e non so, magari aiuti Adalind e Nick in cambio del loro defilarsi dalla vita di Emma or something like that. La riunione al Granny’s è posteriore, certo, ma tbh anche quella può avere l’esito che più vi piace. XD

In breve, hope you liked it. O almeno che non vi abbia proprio fatto schifo-schifo. Anche se ero interessata soprattutto a uno squarcio di crossover mirato a mescolare i due mondi – senza per forza decidere come il crossover avrebbe influenzato l’andazzo dell’uno o dell’altro mondo – a questa shot tengo davvero tanto. ;w;

Thanks for reading,

Aya ~

   
 
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