grimm
week
{ sette
giorni per smascherare una Hexenbiest }
I
Lunae
Dies
La
macchina a nolo esalò l’ultimo respiro e Nick mollò un colpo frustrato sul volante,
in parte per scaricare la tensione dello scontro evitato per un pelo,
all’ultimo secondo. Si voltò subito verso Adalind,
alla ricerca del suo volto pallido stagliato contro il finestrino.
«Stai
bene?»
«Sì,
benissimo» ribatté lei, roca, stringendosi Kelly al petto. Nick non si era
neppure accorto che l’avesse già tratto in salvo dal seggiolino messo a dura
prova dallo scossone improvviso. «Solo un po’ di spavento.»
«Mi
sembra il minimo.» Guardò il cellulare: niente campo. Un classico. Sperduti ai
margini di una foresta, ad anni luce da casa, con una vecchia auto fusa e
niente mezzi di comunicazione col mondo circostante. E un cartello che sembrava
letteralmente essere sbucato fuori
dalla strada. Alzò di nuovo lo sguardo, contrariato, oltre il parabrezza. «Tu
l’avevi visto?»
«Neanche
di sfuggita» commentò Adalind, cullando il bimbo che
iniziava a elaborare il trauma e a piangere piano, ancora insonnolito.
Nick
aprì la portiera e scese dalla macchina. Mosse qualche passo, si guardò
intorno... Era sicurissimo che tutto ciò che rientrava nel suo raggio visivo non fosse lì fino a cinque secondi
prima. Be’, alberi a parte. Eppure eccola là, brumosa all’orizzonte, ma bene
illuminata dai lampioni e dalla luna, e introdotta da quell’accidente di
cartello quasi con sfida...
«Storybrooke.» Anche Adalind era
uscita, e come lui fissava incredula la cittadina. «Molto divertente.»
II
Martis
Dies
[della guerra]
Emma
aveva appena concluso una conversazione non proprio pacatissima con Regina quando
il display si rianimò di colpo per mostrarle il nome del signor Gold.
Il
gemito che le sfuggì di bocca fu inghiottito dalla sorda vibrazione del
telefono sul tavolo. Diventare sceriffo di un posto così piccolo e raccolto
voleva dire che tutte le principali figure del posto piccolo e raccolto in
questione si sarebbero procurate il tuo numero privato nel giro di ventiquattr’ore
– non che personaggi come Gold o Regina non l’avrebbero rintracciata anche in
una metropoli, se avessero voluto – e non per la prima volta si ritrovò a
rimpiangere le mattinate oziose trascinate davanti al bancone della cucina di
Mary Margaret, a bere il caffè freddo mentre la solita nota sorridente le
ammiccava dal frigo.
Con
la netta sensazione di sapere già dove sarebbe andata a finire, premette il
tasto verde e rispose.
«Signorina
Swan.» Gold doveva aver frequentato un corso molto particolare:
come pronunciare il nome della gente con
l’apposito intento di mandarla in bestia prima che tu dica altro. E doveva
esserne uscito col massimo dei voti. «Mi perdoni per il disturbo. Ho saputo che
la scorsa notte due sconosciuti sono arrivati in città.»
Dritto
al sodo, proprio come Regina. Se non altro però – a differenza di Regina – lui
salutava con garbo prima di partire alla carica.
«Sì,
signor Gold, un uomo e una donna. Hanno avuto un piccolo incidente appena fuori
città e si sono fermati dalla Nonna. L’ho appena saputo e ne so ancora quasi
quanto lei.»
«Ah.
Il nostro caro sindaco, presumo. Era...?» Lasciò il commento in sospeso.
Emma
tamburellò le dita sulla scrivania. «Preoccupata a morte. Anche un po’
incazzata. Guardate sempre con tanto astio i nuovi arrivati in città?»
Non
aveva esattamente programmato di
chiederlo, ma il risolino che sentì tremare nella sua voce dopo un breve
silenzio le suggerì di aver segnato un punto.
«Astio,
signorina Swan? Mi creda, il suo arrivo è stato un piacere per tutti noi.»
Emma
si sentì ronzare le orecchie – prima o poi l’avrebbe sbattuto contro un muro e
gli avrebbe cavato di bocca quel che voleva esattamente da lei; era solo
questione di tempo – ma si impose di
ignorare il commento. Si alzò in piedi e recuperò le chiavi del maggiolino,
mentre Gold tornava all’approccio iniziale, pragmatico.
«E,
mi dica, intende indagare in merito a questa inaspettata apparizione? So che la
donna ha con sé un neonato.» Per un attimo il suo tono si ammorbidì. «Vogliamo
tutti sapere se il piccolo sta bene, tanto per cominciare. E ovviamente siamo
preoccupati per... tutti loro.»
Infilando
il braccio libero nella giacca, Emma alzò gli occhi al cielo. Non capiva Gold come
non capiva Regina. La gente da quelle parti doveva avere un qualche tipo di
psicosi – altro che Henry.
«Senta,
sto andando alla pensione giusto adesso. Capisco che vorrebbe essere informato
su tutto quel che succede a Storybrooke ma, sa,
purtroppo lei non è il sindaco...»
Un’altra
breve pausa e un altro impercettibile risolino. «Ha perfettamente ragione,
cara. Volevo solo essere certo che la notizia fosse giunta alle sue orecchie.»
«In
pratica» sbuffò Emma, cercando di assestarsi il bavero con il telefono
incastrato tra l’orecchio e la spalla, «vuole la certezza che mi meriti il
posto, no?»
Questa
volta il sorriso risuonò chiaro e distinto – «Buona giornata, sceriffo» – prima
che Gold chiudesse la comunicazione.
Ancora
scuotendo il capo tra sé, Emma ripescò il cellulare dall’incastro e se lo
cacciò in tasca, sollevò i capelli sulle spalle e si voltò.
Sulla
soglia dell’ufficio, Henry la guardava a bocca aperta.
«Fammi
capire» balbettò, prima che lei potesse elaborare la domanda base (ehi, ma da quanto sei lì? oppure tua madre lo sa che sei qui? o ancora lo sai che un giorno o l’altro mi farai venire
un colpo, ragazzino?). «Sono arrivate altre persone? Ancora altre? Oltre al tizio con la scatola e
la moto?»
Emma
aprì la bocca – guardandolo in faccia cominciò a capire una parte del turbamento di Regina; ma il sorriso di Henry la
disarmò.
«Questo
posto sta diventando davvero interessante!»
III
Mercurĭi Dies
[dell’eloquenza]
Il
problema principale era che al Granny’s era impossibile tendere un agguato. Ruby gli aveva
permesso di nascondersi dietro il banco, ma solo finché non arrivava la nonna e
solo se lui l’avesse piantata di chiamarla Cappuccetto Rosso – era un
sacrificio arduo, ma qualche compromesso doveva pur concederselo: ne andava del
futuro dell’Operazione Cobra.
Henry
sbirciò il tavolo dove Emma e il tizio erano seduti davanti a due tazze di
cappuccino. Lo sconosciuto indossava una giacca di pelle, proprio come il
motociclista con la scatola, e aveva gli occhi chiari come lui, ma lì finiva
ogni somiglianza con l’altro
straniero. Sapeva poco dei presupposti di quell’incontro; solo che il tizio
aveva conosciuto Emma già il giorno prima al bed and breakfast, ma per qualche
motivo non era stato molto esaustivo, perciò era stata organizzata una seconda
chiacchierata alla tavola calda. Quanto alla donna che doveva essere con lui,
Henry non aveva la minima idea di dove fosse finita.
E
comunque non riusciva a sentire niente.
Arricciò
il naso, in cerca di ispirazione. Doveva avvicinarsi di più. Era difficile
senza farsi notare, ma forse... Sì, poteva sfruttare Ruby.
Fece
lentamente il giro del banco e si preparò. Quando gli passò accanto, le si
incollò il più possibile alle calcagna e percorse i suoi stessi passi: con un
po’ di fortuna Emma non avrebbe spostato lo sguardo dall’uomo che le faceva
compagnia prima della fine dell’interrogatorio, cioè, colloquio, quindi non si sarebbe accorta che Ruby all’improvviso
aveva una sagoma molto più massiccia del solito.
E
poi... Geniale! Ruby puntava dritto verso il tavolo appena alle spalle di Emma,
e fu lì che Henry si lasciò cadere, senza che la ragazza neanche se ne
accorgesse. Perfetto. Ora avrebbe
sentito tutto e avrebbe anche potuto studiare
non visto lo sconosciuto senza scatola. Ma per darsi un tono tirò fuori il
Nintendo dallo zaino e finse di immergersi in Kingdom Hearts 358/2 days:
doveva pur avere un minimo di copertura.
«Spero
che il bambino stia meglio» stava dicendo Emma giusto in quel momento, e Henry
drizzò le orecchie all’istante. C’era anche un bambino?
«Oh,
certo. A quanto pare era solo una colica.» L’uomo aveva una bella voce
rassicurante, proprio il genere di voce che vuoi sentire da uno che a un certo
punto della storia potrebbe rivelarsi l’eroe in incognito. «Mi spiace averle
fatto perdere tempo.»
«Nessun
problema.» Emma s’interruppe, e Henry visualizzò la sua mano che girava piano
il cucchiaino nella tazza vuota. Ogni tanto lo faceva. «È importante mettere i
propri figli al primo posto...»
Sentì
una piccola stretta al cuore. Stava... pensando a lui?
«Be’...»
L’uomo si schiarì la gola e se ne uscì con una risposta indecifrabile: «È
complicato.»
Stavolta
Emma ridacchiò. «Le garantisco che lo so.»
Seguì
un’altra pausa. Henry cominciava a spazientirsi. Era un interrogatorio sì o no?
«Allora,
non le ho ancora chiesto da dov’è che siete venuti» riattaccò Emma, come se
avesse percepito i suoi pensieri.
«Da
Portland.»
«Portland?»
Doveva aver spalancato gli occhi, perché Henry l’aveva fatto. «È un bel po’ di
strada.»
«Eravamo
in una... situazione. Avevamo davvero bisogno di allontanarci.»
«Direi
che vi ci siete messi d’impegno.»
«Non
siamo dei ricercati, sceriffo. Gliel’ho già detto. Sono un detective...»
Henry
non poté trattenere un sussulto. Detective?
Accidenti. Accidenti, era normale che un detective
venisse dalla sponda opposta dell’America fino a Storybrooke?
Magari allora c’entrava veramente
qualcosa. Magari la donna... la donna che era con lui... e se in qualche modo
fosse stata anche lei un personaggio delle favole, ma fosse stata sbalzata in
un punto sbagliato del mondo reale dalla maledizione? E lui l’aveva scortata a
– tipo – prendersi delle risposte? Oddio, doveva incontrarla, e doveva parlare
anche con lui, doveva assolutamente sapere...
«Henry!»
Per
un attimo ebbe la certezza che sua madre fosse entrata dalla porta e l’avesse
scovato seduto a un tavolino vuoto a spiare la sua altra madre; poi si rese
conto che era stata proprio Emma a individuarlo.
Oh.
Ok, forse aveva sussultato un po’ troppo.
Si
voltò, stringendo il videogioco tra le mani sudate, e sorrise alla sua
espressione sbalordita. «Ehi, ehm. Ciao!»
«Cosa ci fai qui? Tua madre lo sa che sei
qui?» Sembrò che le domande si accavallassero nella sua bocca, fu quasi
difficile distinguerle l’una dall’altra.
Henry
scrollò le spalle, cercando di ostentare sicurezza – la verità era che i suoi
occhi erano ipnoticamente calamitati verso l’uomo seduto di fronte a Emma, che
lo fissava con un sorrisetto perplesso.
«Non
proprio. Mi sono dato malato e ho saltato la scuola. Quindi sa che non sono in classe...»
«Hai
saltato la scuola?»
«Sì,
e allora? Questo mese sono già stato interrogato in tutte le materie.» La
scrutò, vagamente offeso. «Vuoi fare la spia?»
«N...
No. Credo di no.» Emma sembrava confusa. (Ottimo, era esattamente il suo
obiettivo.) Si passò una mano tra i capelli e sospirò. «Un giorno o l’altro mi
farai venire un colpo, ragazzino.»
Henry
scrollò di nuovo le spalle e rimise a posto con cura la console – inutile continuare
a fingere disinteresse. Per cui, finalmente,
spostò apertamente la propria attenzione sul nuovo arrivato.
«Ha
detto che è un detective? Da Portland?»
L’uomo
sorrise, ma Emma si rabbuiò. «Henry, è la seconda volta in due giorni che ti
scopro a origliare.»
«È
solo che non capita tanto spesso che
venga gente nuova qui» sottolineò lui, studiandoli entrambi, «e in effetti sta
succedendo solo di recente, e non succedeva da qualcosa come... vent’anni? Non
ne sono sicuro. Un sacco di tempo, comunque. Sai, no?, da prima che l’orologio
tornasse a funzionare.»
Vide
distintamente Emma irrigidirsi; chissà se se n’era accorto anche lo
sconosciuto.
«Sei
interessato alla carriera di detective?» gli chiese in risposta alla sua
domanda, in quel tono fastidioso che ogni tanto gli adulti usano con i ragazzi
che non conoscono abbastanza da sapere quanto gli dà fastidio. «O è Portland
che ti interessa?»
«Nessuna
delle due...»
«A
lui interessano più che altro le favole» tagliò corto Emma, spiccia.
Henry
la guardò, a metà deluso, a metà irritato. Possibile che non sapesse
raccontare le cose con un minimo di suspense? Neanche la sconcertante
rivelazione che quella piccola e sconosciuta Storybrooke,
Maine, in cui un detective di Portland, Oregon, e la sua misteriosa compagna
con figlioletto al seguito erano appena finiti era in realtà il punto di
ritrovo di un manipolo di personaggi immaginari che andavano dalla purezza di
Biancaneve alla crudeltà della Regina Cattiva?
L’ospite
esitò. «Favole?»
«Già.
È convinto che in città siano tutti personaggi di un suo libro di favole, e che
non lo sappiano, a parte me che sono arrivata da fuori perché è venuto a
cercarmi lui, per... uh... sistemare la faccenda. E anche lei viene da fuori,
Nick, quindi deve averci qualcosa a
che fare, capisce? Pensi» e qui ridusse la voce a un sussurro, «la ragazza che
le ha servito il cappuccino una volta è stata mangiata da un lupo cattivo.»
Henry
non sapeva se arrabbiarsi o ridere – d’accordo, era suonata sarcastica, ma
aveva anche esposto i fatti nella maniera più precisa possibile... lupo cattivo
a parte – così scelse di concentrarsi sull’informazione trapelata sul conto
dello sconosciuto: Nick. Si chiamava Nick. Cominciò subito a fare mente locale;
c’era qualche Nicholas nel suo libro? O magari era davvero solo la donna a...?
Si
concentrò per un attimo sull’espressione dell’uomo, ma in quel momento Ruby lo
chiamò dall’altra parte del locale. Stringeva in mano il cellulare rosa
shocking.
«Henry,
è Archie, dice che tua madre è appena passata di lì e sta tornando a casa. Tu
non dovresti essere a letto col mal di pancia?»
«Oh,
cavolo. Devo andare.» Henry raccolse lo zaino e schizzò in piedi e via dal
tavolo, più veloce che poteva senza travolgere cose o persone. Era già a metà
locale quando si voltò a lanciare un saluto dietro di sé. «Arrivederci, signor
detective di Portland! Ciao, Emma!»
Lei
gli scoccò la solita occhiata divertita ed esasperata insieme, ma fu la faccia
di lui, Nick, che Henry s’impresse nella mente – il modo in cui era impallidito
mentre guardava ancora da lui, a Emma, a Ruby, a Storybrooke
che scorreva lenta fuori dalla finestra – mentre usciva velocissimo dal Granny’s.
IV
Jovis
Dies
[fulminator]
Quando
sentì bussare alla porta, Adalind pensò che fosse di
nuovo Ruby. Nick non aveva bisogno di bussare e la nonna – che le aveva detto
di chiamarla così – non era mai salita, timorosa di svegliare Kelly dal sonnellino.
Ruby si faceva meno problemi, ma era discreta e prima di muovere un passo chiedeva
sempre se era un buon momento; poi si sedeva ai piedi del suo letto e la
tempestava di domande su Portland e sulla «costa occidentale». Voleva vedere il
mondo, Ruby, evadere dai confini di quel paesino col nome da libro illustrato: Adalind non l’avrebbe mai ammesso con lei, ma la capiva, e
cominciava anche a trovarla simpatica. (Aveva persino pensato che potesse
essere Wesen,
ma non c’era mai stato un woge involontario a fondare i suoi sospetti, e comunque non
ne avevano mai parlato.)
Sulla
soglia però trovò un ragazzino.
Lo
scrutò da capo a piedi, incerta. «Uhm. Cercavi qualcuno?»
«Sì»
il ragazzino si esibì in un sorriso luminoso, «lei. Sono il figlio del sindaco
e sono venuto a presentarmi. Mi chiamo Henry Mills.»
«Ah.»
Adalind batté le palpebre, quindi strinse con poca
convinzione la mano tesa che le porgeva. «Siete molto cordiali da queste parti,
eh?»
Henry
Mills si strinse nelle spalle, affondando per un
attimo il mento nella sciarpa che lo infagottava. «Non riceviamo molte visite,
perciò bisogna impegnarsi quando abbiamo la fortuna di avere un ospite.»
Si
ritrovò ad assentire. «Mi sembra giusto.»
«Non
mi ha detto il suo nome.»
Adalind si riscosse.
Difficile che quel ragazzo fosse un agente dei Reali, in fondo – o di qualsiasi
altra cosa. «Adalind Schade.
Prego, entra» lo invitò, scostandosi dalla porta.
Si
accorse che modulava Schade
con le labbra mentre la seguiva nella stanza, come se gli evocasse qualcosa
nella mente.
Kelly
lanciò un piccolo strillo dal lettino gentilmente offerto alla pensione da
Marco, il carpentiere del posto, e Adalind si
affrettò a prenderlo in braccio.
«Scusa
l’arredamento da neomamma disperata» disse a Henry, alludendo stancamente ai
pacchi di pannolini e ai biberon sparsi un po’ dappertutto.
«Oh,
non c’è problema.» Henry guardava Kelly con interesse; per un attimo studiò in
silenzio il suo lieve dondolare tra le braccia di lei. «Mi... sembri brava, Adalind. Sai, non riesco a immaginare mia madre fare queste
cose con me.»
Adalind batté piano la
schiena di Kelly e lo scrutò da sopra la sua testolina. «È un’osservazione un
po’ strana.»
«È
solo la verità.»
Henry
la seguì a sedere sul letto, sempre molto interessato a tutti i suoi movimenti.
Non ebbe il coraggio di fargli notare che aveva un atteggiamento un po’
invadente. Dio, si stava ammorbidendo così tanto? Alla terza gravidanza cosa
avrebbe fatto – sarebbe diventata bonaria come la nonna di Ruby, e avrebbe
sommerso di caramelle il primo adolescente sconosciuto che veniva a presentarsi
in quanto figlio del sindaco locale? (Non che progettasse una terza gravidanza, certo. Con chi, poi? Con Nick?)
Oddio, meglio concentrarsi su Henry.
«Non
hai avuto complicazioni, vero?»
Tutto
quello che gli usciva di bocca era, in qualche modo, spiazzante. «No, certo che
no. Perché?»
«No,
così.» Henry adottò un tono casuale che ebbe il bizzarro effetto di metterla in
allarme. «Una ragazza che conosco, Ashley – ha avuto una bambina non molto
tempo fa, ma penso che sia stata incinta per... molto più di nove mesi.»
Adalind spostò il peso
del bimbo da una spalla all’altra. «Be’, succede. Succede anche che un bambino
sia prematuro.»
«Mmm.» Il ragazzino suonava scettico. Prima sceglieva di
parlare di un argomento spinoso e poi faceva lo scettico? «Come si chiama?»
«Kelly.»
«Kelly,
e poi?»
Esitò.
In effetti... non si era mai soffermata a pensare al cognome di suo figlio.
Be’... Nick non aveva intenzione di sottrarsi al ruolo di padre, no? Quindi
poteva ragionevolmente supporre che Kelly sarebbe stato suo figlio anche per la
società, giusto?
«Burkhardt» pronunciò infine. Dio. Kelly Burkhardt...
junior. Suo figlio. Faceva un effetto assurdo.
«Kelly
Burkardt.» Sembrò di nuovo che Henry scavasse alla
ricerca del significato del nome: era persino un po’ accigliato. «È il cognome
di Nick, vero? L’ho conosciuto ieri, al diner. Ha un
lavoro proprio figo, vero?»
«Sì...»
Si accorse che le guardava le mani. «Sì, è il suo cognome. Ma non... non siamo
sposati. Non stiamo neanche insieme. Abbiamo una situazione incasinatissima, a
dirla tutta.» E adesso perché diavolo sentiva il bisogno di giustificarsi?... Santo cielo, eccoci
qui, stava adducendo un undicenne o qualcosa del genere a pretesto di sfogo. Il declino era completo.
«Non
devi sentirti in imbarazzo, Adalind» ribatté lui
allegramente, «le mie due mamme sono entrambe single e a me sta benissimo.
Cioè, la mia vera madre l’ho appena conosciuta, ma la mia mamma adottiva mi ha
cresciuto da sola e non...» s’interruppe, pensieroso, «diciamo che non è stata
la mancanza di un papà la parte difficile.»
Adalind si accorse di
fissarlo a bocca aperta. Kelly tirò fuori finalmente il ruttino e la distolse
dall’immagine delle due mamme single di Henry.
«Uhm,
e la parte difficile qual è stata?» le uscì detto, mentre Kelly sbadigliava e
le lanciava lo sguardo eloquente di chi ha fame.
«Oh,
sai... la magia.»
Cadde
un silenzio palpabile e denso come melassa.
«Magia»
ripeté Adalind, sperando che la voce le fosse uscita
più ironica che nervosa. Era chiaro che scherzava. Scherzava, no?
«Sì,
magia.» Henry era tranquillissimo. Seduto al suo fianco con le mani in tasca e
le spalle rilassate, era come se parlasse del tempo, o dell’ultimo cartone
animato visto in tv. «Voglio dire, non la magia in sé, penso che la magia sia
una figata. Parlo della magia nera. Quella che ha spedito qui tutti gli
abitanti, strappandoli al loro mondo... Hai presente la matrigna di
Biancaneve?» Si voltò a guardarla, educatamente curioso, come per chiederle il
suo parere sui colori dell’arredamento. «La Regina Cattiva? Quella sarebbe la
mia madre adottiva. Ha usato una maledizione che ha mandato qui tutti i suoi
sudditi, e gli ha strappato tutti i ricordi, così non possono vendicarsi. Ah,
Biancaneve è mia nonna, a proposito. Sua figlia è la mia madre naturale.»
Adalind sentì una
risata isterica risalirle la gola, ma si sforzò di trattenerla almeno finché
Henry Mills non avesse concluso il suo strampalato
discorso. Biancaneve. E lei che aveva
pensato...
«Lei
era scampata alla maledizione, ma non sapeva di essere stata salvata perché
potesse tornare a spezzarla dopo tanti anni. Sono andato a cercarla io» le
spiegò con un certo orgoglio, «e capisco che abbia ancora qualche problema ad
accettare la realtà, ma lo vede anche lei che le cose qui non quadrano. La
Regina Cattiva deve essere fermata»
concluse eloquente, senza staccarle gli occhi di dosso.
Adalind si costrinse
ad annuire e a guardarlo con una specie di sincero interesse. «Mh. E mi stai raccontando tutto questo perché...?»
Henry
assunse di nuovo la sua espressione pensosa. «La mia mamma... lei è la
Salvatrice, ma potrebbe avere bisogno di aiuto. Come ti dicevo, fatica un po’
ad accettare le cose.»
«Posso
immaginare.»
«Il
fatto è che nessuno entrava o usciva da Storybrooke, prima che arrivasse lei. Ma col suo
arrivo, tutto è iniziato a cambiare.
E sai una cosa?» Abbassò la voce, sbirciando la porta con fare circospetto.
«Una cosa che non ho detto neanche a lei? Non penso che un semplice abitante
del mondo reale verrebbe mai qui, anche se avesse un incidente alle porte della
città. Non può essere così facile.»
Il
sarcasmo rappreso agli angoli della bocca di Adalind
tremò.
«Che
vorrebbe dire?» chiese, dopo un attimo di silenzio.
«Be’...»
Henry alzò le sopracciglia, «prima di voi è arrivato un tizio strano che
continua a farmi un sacco di domande sul mio libro di favole. Non ci credo
neanche per un secondo che è una coincidenza. E voi...»
Adalind notò che lo
sguardo del ragazzo si spostava di nuovo sulle sue mani. Lo seguì, e si accorse
che tremavano.
Si
alzò e riprese a cullare Kelly, nello stesso momento in cui il piccolo
ricominciava a lamentarsi.
«Neanche
voi siete qui per caso, vero?» La voce di Henry alle sue spalle vibrò di
eccitazione. «Lo so. Neanche questa
può essere una coincidenza. Senti, posso farti una domanda?»
I
vagiti di Kelly diventavano più forti. Adalind
strinse le labbra. «Che domanda?»
«Quando
mia madre mi ha riportato qui... voleva tornarsene a Boston, ma poi ha
incrociato un lupo sulla strada e in qualche modo... ha capito di dover
restare.»
Un
lupo. Kelly gridò a pieni polmoni. Adalind cercò di
schiarirsi la mente improvvisamente annebbiata. Un lupo. Un lupo vero? O un Blutbad?
«Voi
avete avuto un incidente... in che modo?» incalzò Henry, e Adalind
capì che si era alzato e ora era appena alle sue spalle. «Avete visto un lupo
anche voi? Oppure... qualcos’altro? Cos’è successo?»
«Niente.
Non avevamo visto il cartello. Non è successo niente.»
«Il
cartello?» Henry parve riflettere. «Ehi, non ci avevo mai pensato, ma se... e
se il cartello fosse visibile solo a persone con... poteri magici?»
Kelly
urlava. Adalind avvertì la familiare sensazione alla
bocca dello stomaco, atavica come un orgasmo, ma fu proprio mentre si voltava
di scatto per ordinare a quel ragazzino di smetterla di dire sciocchezze. Non
ebbe il tempo di fermarsi. Non ebbe il tempo di riprendere il controllo.
Oh,
no. Non adesso. Non poteva succedere adesso.
Rosalee aveva detto che potevano passare mesi prima
che...
E
dalla faccia di Henry, era chiaro che lo vedeva.
Ma...
non scappava. Arretrò, certo, e di più di un passo, ma rimase lì a fissarla,
sbalordito. Non esattamente la reazione abituale di fronte al vero aspetto di
una Hexenbiest.
Seguì
un silenzio: Kelly non piangeva più. La guardava stupito a sua volta.
Adalind prese un
respiro profondo, s’impose di rilassarsi e uscì dal woge.
Henry
studiò affascinato il suo viso che tornava normale. Lasciò passare ancora qualche
secondo prima di parlare.
«Ho...
Ho ragione, vero?»
«Non
so di cosa parli.» Adalind aveva il fiato corto, come
dopo una lunga corsa. Mise al sicuro Kelly nel lettino. Non riusciva a credere
di essere andata in woge
con suo figlio in braccio. Avrebbe potuto fargli del male. Avrebbe potuto ucciderlo, ed era tutta colpa di quel
ragazzo con le sue idee assurde di una magia neanche lontanamente cattiva come
quella vera. Si voltò a
fronteggiarlo, scandendo ogni parola. «Non so che cosa hai visto. Sono
incastrata qui per colpa della fottuta nebbia e del fottuto cartello di
benvenuto che voialtri idioti avete piantato così vicino alla strada. Non c’era
nessun lupo, come non c’è nessun motivo per cui tu stia ancora qui.» Inspirò e
gli indicò la porta, con una mano sorprendentemente ferma. «Devo dare da
mangiare al mio bambino, adesso. Puoi andare. Salutami le tue mamme single.»
Henry
abbassò il viso. Ripercorse in silenzio la stanza.
Per
un momento infinitesimale, Adalind si sentì in colpa.
Era
davvero tornata un mostro.
V
Venĕris Dies
[dell’amore]
«Ehi,
ragazzino.»
Henry
levò lo sguardo da Spyro: Shadow Legacy e batté le palpebre. I capelli biondi di Emma
che sbucavano dal berretto di lana, incendiati dal sole del pomeriggio, gli
ferirono gli occhi.
Chinò
ancora il capo e sospirò. «Ciao. Mia madre sta per arrivare» l’avvertì, mentre
lei gli sedeva accanto.
I
suoni del parco giochi colmarono il silenzio. Anche senza guardarla in faccia,
Henry sapeva che Emma stava osservando le corse degli altri bambini,
soprattutto quelle che finivano tra le braccia dei genitori.
«Ho
fatto altre due chiacchiere con Nick Burkhardt, ieri
sera.»
«Ah,
sì?» bofonchiò Henry, incerto.
«A
quanto pare hai avuto un confronto interessante con la madre di suo figlio.»
Henry
alzò le spalle, salvò la partita e la guardò di sotto in su. «Ero solo
curioso.»
«Oh,
mi pareva di averlo capito, grazie.» Emma gli piantò addosso uno sguardo privo
di qualsiasi traccia di divertimento. «Henry, ascolta, non voglio farti una
predica. Quella parte posso lasciarla a Regina. Non voglio neanche farti
sentire in colpa per aver sconvolto quella povera donna» aggiunse, e Henry non
poté fare a meno di chiedersi cosa avesse detto Adalind
a Nick, o Nick a Emma, e chi sapesse più di quanto diceva... ma magari non era
il momento, «perché... in realtà... mi sento già abbastanza in colpa io.»
Henry
si scosse. «Tu?»
«Per...
l’altro giorno.» Emma si strinse nelle spalle, esattamente come faceva lui per
liquidare il disagio. «Ho detto a Nick della tua teoria delle favole e... non
so, immagino... di non aver fatto in modo che suonasse convincente. Sembrava
che ti prendessi in giro? Ti assicuro che non volevo prenderti in giro,
ragazzino. Non voglio che ti senti deriso, chiaro? Perciò dimmelo, se ho fatto
male.»
Henry
si sentì qualcosa di molto ingombrante nel petto. Si chiese cosa fosse peggio:
sorprendere Emma abbracciandola di punto in bianco in pubblico, o rischiare di
farsi beccare da sua madre mentre abbracciava Emma di punto in bianco in
pubblico.
«Va
tutto bene» le disse, sincero. «Forse hai esposto i fatti in maniera troppo
semplicistica, ma io volevo che Nick
e Adalind conoscessero la verità. È per questo che
sono andato da lei.»
Un
lampo di divertimento attraversò l’espressione di Emma. «Avrei ‘esposto i fatti
in maniera troppo semplicistica’? Sul serio? È così che ti dice Archie quando
ti chiede come vanno le cose con Regina?» Henry non poté fare a meno di ridere,
ma subito dopo lei tornò seria. «Lo sai che se me l’avessi chiesto ti avrei
portato con me a parlare con Adalind, sì?»
Henry
corrugò la fronte. «Dici davvero?»
«Forse.»
Emma storse la bocca. «O forse no.» Si appoggiò allo schienale della panchina;
con la spalla sfiorava la sua. «Il punto non è questo. Il punto è che facciamo
parte dell’Operazione Cobra tutti e due, e preferirei che me lo dicessi, quando
senti il bisogno di includere qualcun altro nei nostri... movimenti. Gioco di
squadra, giusto?»
Annuì
lentamente. «Gioco di squadra» ripeté, piano, ma era la parola insieme a scaldarlo di più. «Me lo
ricorderò.» Ora che ci pensava, forse doveva parlarle anche delle domande
sospette di August.
Ci
fu una breve pausa.
«Cos’ha
detto Nick? Adalind era molto arrabbiata?»
«Be’,
questa è la cosa strana» fece Emma
con aria perplessa, «sembrava più turbato lui di quanto mi diceva che fosse
lei. Ha cercato di minimizzare e ha parlato di depressione post-partum, ma non ne sembrava convintissimo. Che accidenti le
hai detto, esattamente?»
Henry
aprì la bocca e la richiuse. Gioco di squadra o no, poteva tenersi un piccolo
segreto per sé... un piccolo asso nella manica da calare proprio quando Emma
avesse lasciato da parte tutti i
dubbi, accettando senza condizioni la propria missione di Salvatrice.
«Niente
di particolare.» Tornò a Spyro,
godendosi la sua vicinanza. «Ma dovresti proprio vederla quando si arrabbia.»
VI (VII)
Dies
Solis
Adalind
mescolò distratta la sua cioccolata calda, guardandosi intorno con una punta di
panico nel locale affollato. Nick la capiva; non erano mai stati entrambi
lontano da Kelly dal giorno in cui era nato – ma Ruby aveva assicurato loro che
Ashley era bravissima, e per lei non sarebbe stato un problema badare a Kelly
per una sera e lasciarlo giocare con la sua Alexandra. Le strinse delicatamente
un gomito.
«Andrà
tutto bene.»
Adalind si scosse e
annuì. Nick sapeva che Kelly non era l’unico bambino a veicolare i suoi
pensieri altrove, in quel momento.
Lasciò
scivolare la mano sul suo braccio fino al polso, e lì esitò. Adalind abbassò gli occhi sulle sue dita e i capelli le
scivolarono in avanti. Nick avvertì il folle bisogno di scoprirle il viso, ma
si trattenne. Era pazzesco. Neanche tra un milione di anni avrebbe capito cosa
provava davvero per quella donna, eppure
eccolo a cercare di prenderle la mano... non per la prima volta da quando, su
consiglio del capitano Renard, erano fuggiti in fretta e furia da una Portland
ormai troppo pericolosa.
(Quanto
tempo era passato da Juliette? Cominciava a perdere il conto dei giorni ormai.)
La
porta del Granny’s
si aprì di colpo ed entrambi sobbalzarono – Nick si ritrasse da Adalind all’istante, come colto in fallo.
Lo
sceriffo Swan e suo figlio erano sulla soglia, a
guardarsi intorno. Il primo a individuarli fu Henry.
«Ci
siamo.» Nick si alzò. «Io parlo con lei, tu con il ragazzo.»
«D’accordo.»
Adalind era pallida,
ma se c’era una cosa che Nick sapeva per certo era che con lei Henry Mills non correva nessun pericolo, e del resto non l’avrebbe
corso neanche quel giovedì pomeriggio al bed and breakfast.
«Salve,
signor Burkhardt» lo salutò il ragazzino mentre lui
gli andava incontro.
«Ehi,
Henry.» Nick guardò oltre la sua testa e individuò un uomo che, uscendo, aveva
fermato Emma e le parlava sottovoce. «Adalind ti sta
aspettando. Che ne dici di andare da lei, mentre io cerco un tavolo per tua
madre e per me?»
«Oh,
ok.»
Henry
marciò spedito verso il bancone. Sembrava impaziente. Nick non poté non
sorridere tra sé. Attirò l’attenzione di Emma per farle cenno che avrebbe
cercato un posto tranquillo; lei lo ringraziò con un gesto e tornò a
concentrarsi sul tizio con il bastone da passeggio.
Due
minuti dopo, seduto in disparte, si ritrovò a vagare con lo sguardo fino al
banco dove Adalind e Henry si studiavano a vicenda.
Non
aveva intenzione di origliare, ma i suoi sensi da Grimm entrarono in funzione
da soli.
«Stai
bene?» gli arrivò nell’orecchio la voce di Adalind,
forte e chiara.
Vide
il ragazzo annuire.
«Ok.
Mi spiace di averti... urlato contro. O di averti cacciato in quel modo. È
solo... Cerca di capire, per favore, è una cosa difficile di cui parlare con la
gente.»
«Ehi,
io sono stato adottato dalla Regina Cattiva, ricordi?» ribatté Henry, e dal suo
tono collaborativo e buono Nick capì immediatamente il motivo per cui Adalind aveva voluto quella specie di incontro di gruppo.
Adalind sembrava frustrata,
ma continuò. «Tra l’altro non mi succedeva da un po’. Anzi, non sapevo se sarebbe successo ancora. Lo sospettavo,
perché non ti liberi facilmente della tua natura, ma... Comunque, in teoria non
dovevo più essere... quello che hai visto,
così mi sono spaventata. Credevo che sarei stata una madre normalissima, almeno per un po’, e invece...»
Da
Grimm, Nick non aveva idea di come fosse per un Wesen cercare di spiegare il woge a un comune
mortale. In realtà non era neanche sicuro che il woge fosse visibile a qualsiasi comune mortale... Monroe
gliene aveva parlato, ma sembravano passati secoli. In fondo, però, forse aveva
ragione Henry. Forse...
«È
Storybrooke. Le cose sono diverse, qui. E da quando è
arrivata Emma continuano a cambiare, ma non per chiunque.» Guardava Adalind come se fosse
stata la prova vivente di tutte le sue teorie. «Mi credi, vero?»
«Si
fida anche di lui, quindi?»
La
voce si era intromessa da sola. Era un’altra conversazione che Nick non aveva
mai avuto intenzione di spiare. Fu un po’ sorpreso di capire che a parlare era
l’interlocutore di Emma, che aveva intriso quella domanda di qualcosa di molto
simile al... rimpianto?
Emma
non gli rispose. Aveva un’aria tesa, che Nick non le aveva notato addosso nel
momento in cui era entrata con Henry. L’uomo le sorrise, ma non era un sorriso
felice.
«Mi
auguro solo che lei stia attenta, signorina Swan.»
Dovevano
avere una serie di complicati trascorsi, quei due.
Vide
Emma congedarsi dal tipo con il bastone e venire dritta verso di lui. Si
concentrò, tagliando fuori tutte le voci: aveva una storia da raccontarle e non
era sicuro che ci avrebbe creduto più di quanto credesse a quelle del libro di
suo figlio.
Quasi
contro la sua volontà, lanciò un’ultima occhiata allo sconosciuto sulla soglia...
e non gli piacque vedere il modo in cui fissava Adalind
e, subito dopo, lui stesso.
VII (VI)
Saturni
Dies
[della semina]
Il
negozio dei pegni profumava di antico. Adalind
osservò gli oggetti disposti sugli scaffali e nelle teche, solo per trasalire
immediatamente al suono della voce che l’accolse dall’ombra.
«Vedo
che ha ricevuto il mio messaggio, cara.»
Scrutò
la figura dietro il banco. Era un uomo elegantissimo, in completo firmato, e un
attimo dopo le apparve come una creatura dalla pelle verdognola con capelli ispidi
e denti marci. Batté le palpebre e l’illusione – illusione? – era già sparita.
Si
avvicinò e notò il libro su cui l’uomo posava le punte delle dita. Era pieno di
disegni. Disegni Wesen,
come nei libri della famiglia di Nick.
«Che
cosa vuole da me?» quasi lo aggredì, piantandosi davanti al banco con decisione
per non lasciargli vedere quanto le tremassero le ginocchia. In tasca stringeva
il biglietto che le aveva fatto avere alla pensione: vieni da sola.
L’uomo
scorse le pagine per lei, in tutta calma.
«Grimm»
esordì, e Adalind sussultò di nuovo. «Temo che lei e
io abbiamo un’accezione diversa del termine, signorina Schade.
Non che ciò la sorprenda, vero? Per lei, i Grimm sono disgustosi esseri umani
che se ne vanno in giro a decapitare suoi simili. Per me, i leggendari fratelli
Grimm non erano altro che Autori.»
Suo
malgrado si sentì arrossire; non aveva più pensato a Nick in quei termini da
molto (troppo) tempo. Si domandò anche come facesse quell’uomo a conoscere il
suo nome.
«Autori
di favole?»
«Autori.
Con la ‘a’ maiuscola.» Sorrideva, amabile. «È una storia lunga e articolata e
dubito fortemente che lei voglia starla a sentire: ha già tante di quelle
preoccupazioni. Le spiegherò soltanto che sì, le mie favole valgono tanto
quanto le sue, e no, nessun altro – o quasi – entro i confini di questa città è
al corrente delle mie o delle sue. È buffo, però, sa» ridacchiò, «quando ero
molto piccolo, in un mondo lontano da qui, mi dissero che i Wesen erano spiriti minori, dai
più ritenuti un puro mito. È davvero buffo come il tempo riporti a galla le
cose più strane.»
Il
nervosismo di Adalind si acuì: chi diavolo era
quell’uomo?
«Le
cose stanno così, cara.» Per la prima volta la guardò dritto negli occhi. «Voi
avete la vostra storia, io ho la mia. Il vostro essere qui potrebbe costituire
la più felice delle congiunzioni, o la più sciagurata. Vi chiedo solo, e noti
che non sono avvezzo a chiedere senza ottenere, di stare attenti a come
decidete di comportarvi con lo sceriffo Swan.»
Adalind credette di
aver capito male. «Lo... sceriffo Swan?»
«Emma.»
Pronunciò il nome come se gli appartenesse.
«Lei è la mia Salvatrice, cara, non
la vostra. Una storia alla volta. Dopotutto, lei ha già il suo eroe.»
Aveva
voglia di ridere, ma non era sicura che ridere fosse la mossa giusta.
«In
alternativa, potremmo stringere un patto.»
«Un
patto?»
«Oh,
ci sarà tempo e modo per discuterne.» Il titolare del negozio dei pegni la
congedò con un sorriso. «Ma adesso il suo bambino ha bisogno di lei, cara. Mi
terrò in contatto... Le auguro una buona notte.»
Con
orrore, Adalind ricordò che una delle favole umane
che le raccontava sua madre – una delle più spaventose, quasi quanto quelle Wesen che
finivano con la falce del Grimm grondante sangue – era quella di Rumplestiltskin.
Spazio dell’autrice
Ho
sempre voluto crossoverare OUAT con Grimm, ma non
trovavo mai il giusto pretesto. La quinta stagione di quest’ultimo però mi ha
illuminata. Adalind ha avuto il suo secondogenito,
figlio di Nick, ed è ben intenzionata a impedire che glielo strappino come è
successo con Diana; Nick per contro è deciso a lasciarsi tutto alle spalle e
tenerla ben lontana dal mondo di follia che la circonda, e il piccolo Kelly con
lei: e se fuggissero a Storybrooke?, mi sono detta. Certo,
il Maine è dall’altra parte del continente rispetto all’Oregon, ma dopotutto è
una fanfiction.
X’D
Beh,
vediamo i dettagli tecnici. La timeline di Storybrooke si aggira attorno a metà prima stagione, subito
dopo l’arrivo di August in città, ma per il resto vorrebbe essere molto
generica (se notate anacronismi me ne scuso tanto, probably
era la foga di inserire più riferimenti possibili al canon
perché mi manca da morire la prima stagione). Ho giocato sul fattore
settimana perché mi piaceva l’idea di ricondurre ogni ‘fase’ delle interazioni
OUAT/Grimm alle (seguitemi eh XD) caratteristiche
delle divinità che danno i nomi ai
rispettivi giorni: ad esempio ‘mercoledì’
deriva da Mercurio, dio dell’eloquenza, e il primo scambio di informazioni tra
Emma e Nick doveva avvenire in quel giorno, e via così (sono innamorata in
particolare del parallelo Saturno/Mr. Gold because of things). La domenica l’ho tradotta
con Dies Solis, che è antecedente a Dies Dominica, perché il dio Sole c’entrava
più di Dio, toh. Ah, ecco, un’altra cosa: non ricordo assolutamente come
funzioni il woge
per la gente normale, cioè mi sembra di ricordare che lo si possa vedere solo
quando il Wesen
è pronto ad attaccare, ma honestly mi faceva comodo
utilizzare il fattore emotivo (che funziona con i Grimm) per manifestare la
natura di Adalind davanti a Henry. As usual, passatemi
le eventuali licenze poetiche :’D
Infine
una nota tutta sul finale, che poi è un flashback relativo al sabato saltato
nell’ordine cronologico della storia. Potete interpretare l’incontro tra Gold e
Adalind come più vi piace, nel senso che, per quanto
mi riguarda, se vedo bene un Gold che impone all’universo Grimm di non
impicciarsi nel suo master plan per la rottura della
maledizione, trovo anche credibile però un Gold che propone all’universo Grimm
uno scambio di favori – l’immancabile patto – e non so, magari aiuti Adalind e Nick in cambio del loro defilarsi dalla vita di
Emma or something like that. La riunione al Granny’s è posteriore, certo, ma tbh anche quella può avere l’esito che più vi piace. XD
In
breve, hope you liked it. O almeno che non vi
abbia proprio fatto schifo-schifo. Anche se ero interessata soprattutto a uno
squarcio di crossover mirato a mescolare i due mondi – senza per forza decidere
come il crossover avrebbe influenzato l’andazzo dell’uno o dell’altro mondo – a
questa shot tengo davvero tanto. ;w;
Thanks for reading,
Aya
~