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Autore: Kary91    20/12/2015    5 recensioni
[One-Shot | Gale/Johanna (Ganna) | Post-Mockingjay | Introspettivo]
Johanna ha i muscoli contratti e la mascella serrata; rabbrividisce a ogni contatto con l’acqua e si sforza di spingersi in alto per evitarlo. Tuttavia, con il passare dei minuti, la sensazione di allarme si assottiglia. Le onde s’infrangono contro le sue gambe e la pelle brucia meno, il freddo non le impregna più le ossa e il contatto caldo del corpo di Gale contro il suo la sostiene, aiutandola a non sprofondare nel terrore dei suoi ricordi.
È come cadere col paracadute, come osservare un incendio dall’alto. La paura si assottiglia, o forse si è soltanto spostata e l’abbraccio del ragazzo le fa da scudo.
“Ascoltami bene, Hawthorne, perché non te lo dirò più…” sussurra infine la donna, parlandogli contro l’orecchio. “… Grazie.”
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gale Hawthorne, Johanna Mason
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Io non ho paura;'
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Premessa. Questa storia fa parte della serie “Io non ho paura”: una raccolta di one-shots incentrate sul personaggio di Johanna Mason e su un’ipotetica relazione fra lei e Gale. Questa one-shot in particolare è ambientata a diversi anni di distanza dalla fine della Rivolta.  Gale e Johanna hanno appunto una relazione e vivono assieme nel Distretto 2, ma nel racconto sono nel Distretto 4 (nel mio head-canon ci tornano spesso per andare a trovare Annie e suo figlio Sebastian).

Questa storia partecipa al Girotondo di Prompt con il prompt “Ascoltami bene, Hawthorne, perché non te lo dirò più... Grazie” donatomi da Giraffetta e all’iniziativa del Babbo Sirenetto per il gruppo facebook The Capitol con il prompt “introspettivo, PoV Johanna [post!Mockingjay e/o nel periodo in cui è al 13 e gli altri sono partiti]”. Tanti auguri alla persona che ha richiesto questo prompt nella letterina!

 

You’ve begun to feel like home;

 

Solo qualche passo.”

I suoi piedi temporeggiano a riva, ma qualcosa li attira in avanti: è la stretta leggera della mano di Gale attorno alla sua.

“Ieri non è andata” borbotta Johanna, osservando le loro dita intrecciate: il rosa slavato della sua pelle risulta pallido in maniera patetica, in confronto al bel colorito olivastro del ragazzo.

“Oggi non è ieri.”

La stretta si fa più salda, ma Johanna scuote la testa e distoglie lo sguardo.

“Non ti facevo così Capitan Ovvio, Hawthorne.”

Fissa il principio di tramonto all’orizzonte, là dove l’acqua sta incominciando a tingersi di rosa; il mare del Distretto 4 è un ruffiano dall’aria innocua, elegante e giocoso ma  pieno d’insidie incagliate sotto le creste. Johanna ne è certa e non ci tiene a superare quel pregiudizio: ciò che le è successo nelle celle di torture a Capitol City è ancora vivido, inciso nella memoria della sua pelle e lo rivive ogni volta che è costretta a infilarsi sotto il getto della doccia.

Il ricordo doloroso della prigionia per lei non sarà mai acqua passata, ma sempre e solo acqua. Indispensabile quanto terribile acqua.

Per questo punta i piedi e s’irrigidisce, quando la presa di Gale si sposta attorno ai fianchi e la pressione del suo corpo la guida in avanti.

La spuma di un’onda le lambisce i piedi e Johanna arretra bruscamente, schiaffeggiando le dita del ragazzo.

La pelle avvolta dall’acqua brucia come se fosse stata sorpresa da una scarica elettrica improvvisa: l’acqua per lei è ustionante quanto il fuoco e il bisogno di evitarla è ormai diventato istintivo. 

Gale non si lascia intimidire dalla sua reazione; le concede qualche istante e poi torna a condurla, le braccia nuovamente strette attorno ai suoi fianchi.

I battiti del cuore del ragazzo rimbalzano regolari contro la schiena di Johanna: il loro rumore è il primo elemento rassicurante che ricorda del suo periodo di prigionia. La riporta al momento in cui Gale è entrato nella sua cella, spinto dal solo obbiettivo di riportare Peeta alla sua adorata Ghiandaia. Invece aveva trovato Johanna; l’aveva riscossa da uno stato di semi-coscienza governato da incubi e allucinazioni, per trascinarla via dalla cella[1].

E da quel momento ha continuato a farlo giorno dopo giorno: spingendola contro l’incubo per farla scivolare sotto le sbarre della sua prigione d’acqua, incurante delle sue proteste. Ignorando le reazioni violente, i graffi e gli strattoni che Johanna distribuisce per sfuggire al pericolo, guidata dall’istinto.

Un’onda rincorre la precedente, delicata e pittoresca come sempre; Johanna rabbrividisce, aggrappandosi alle braccia di Gale.

“Se mi lasci andare ti ammazzo” intima in tono brusco.

Il ragazzo rinsalda la presa, un lieve sorriso a smussare la seriosità perenne del suo sguardo.

“Non vado da nessuna parte.”

Johanna borbotta ancora qualcosa fra sé, ma il suo piede sinistro azzarda un passo verso l’onda in arrivo. L’acqua s’infrange sulla sua pelle e lei stringe i denti, eppure continua ad avanzare, sorretta dall’abbraccio solido di Gale.

Quando inizia a tremare e la sfrontatezza del suo sguardo viene meno, il mare le sta ormai abbracciando  le cosce. Cerca di sfuggirgli, divincolandosi per tornare indietro, ma la cocciutaggine di Gale ha ancora una volta la meglio. Johanna si divincola, mentre le braccia del ragazzo le circondano le cosce per sollevarla da terra. Lo colpisce con un calcio e Gale stringe i denti, esibendo una smorfia di dolore. Tuttavia, la sua presa rimane salda. Quando Johanna si accorge di non toccare più non le resta altro da fare che aggrapparsi al collo del ragazzo, consapevole di stringere con forza eccessiva: non le importa più di tanto, in fondo se lo merita.

Ancora una volta Gale resiste, deciso a vincere la battaglia; incomincia a camminare, muovendosi piano per evitare di schizzarla.

Johanna ha i muscoli contratti e la mascella serrata; rabbrividisce a ogni contatto con l’acqua e si sforza di spingersi in alto per evitarlo. Tuttavia, con il passare dei minuti, la sensazione di allarme si assottiglia. Le onde s’infrangono contro le sue gambe e la pelle brucia meno, il freddo non le impregna più le ossa e il contatto caldo del corpo di Gale contro il suo la sostiene, aiutandola a non sprofondare nel terrore dei suoi ricordi.

È come cadere col paracadute, come osservare un incendio dall’alto.  La paura si assottiglia, o forse si è soltanto spostata e l’abbraccio del ragazzo le fa da scudo.

Per la prima volta da tempo Johanna riesce a chiudere gli occhi senza temere che l’acqua la sommergerà non appena abbasserà la guardia. Sa che le braccia che la sostengono non lo permetterebbero: non prima di aver lottato.

Il momento di sicurezza non dura molto; giusto il tempo per permetterle di allentare un po’ la presa sul collo di Gale e rilassare i muscoli.

Nel momento in cui ricomincia a mostrarsi tesa, il ragazzo sta già tornando indietro. Johanna si lascia trasportare sfinita, la guardia abbassata di poco e il capo appoggiato al suo petto. Le onde sembrano ritirarsi più in fretta mentre tornano indietro e per un istante si sorprende a schernirsi per quella paura così stupida. Ma è solo un istante: quando i suoi piedi tornano a contatto con la sabbia umida, l’istinto torna a prendere controllo del suo corpo e le sue mani si districano brusche dall’abbraccio di Gale, per permetterle di allontanarsi dall’acqua.

Gale la lascia andare senza dire nulla; l’osserva per un po’, come a volersi assicurare che stia bene, e poi si allontana verso gli scogli, concedendo ad entrambi qualche minuto di silenzio e quella solitudine che tutti e due temono, ma che spesso non riescono a fare a meno di cercare.

Anche Johanna lo osserva; adesso che la minaccia dell’acqua è tornata in profondità ha tempo per concentrarsi su pensieri diversi.

Guarda quel ragazzo accovacciato sullo scoglio, studia la sua espressione distante e la tristezza a che permea il suo volto nei momenti in cui si isola, e scuote la testa. Si stringe le braccia al petto, forse per difendersi dal freddo, forse distaccarsi da quello che sta incominciando ad avvertire nel guardarlo. Nel ripensare alla presa salda con cui l’ha difesa mentre cercava di farla emergere dalla prigione d’acqua che Capitol City le ha costruito attorno. Nel realizzare di incominciare a sentirsi a casa anche fra le braccia di un soldato qualunque, che non odora di pino e carta stampata come gli uomini del Sette, ma ha in sé  la forza e la tenacia della gente del suo Distretto.

Ha ancora le braccia conserte nel momento in cui lo raggiunge sullo scoglio e si lascia scivolare al suo fianco. Gli arruffa i capelli in maniera meno brusca rispetto a quanto aveva pianificato di fare; lui le rivolge un rapido sguardo e un lieve sorriso, prima di tornare a fissare il sole morente.

Restano in silenzio per un paio di minuti, prima che Gale provi a spezzarlo.

“Johanna…” incomincia, voltandosi verso la ragazza; la giovane preme le dita sulla sua bocca per interromperlo. Le rimuove solo per appoggiarci contro le labbra, attirandolo per il mento.

Si accorge subito che c’è qualcosa di diverso in quel bacio, rispetto ai precedenti che si sono scambiati; c’è un retrogusto di fiducia, di appartenenza, che non aveva mai permeato i loro gesti prima di quel pomeriggio. Johanna rabbrividisce quando realizza che quel cambiamento è dovuto a lei: non è certa di esserne contenta. Fidarsi di qualcuno è pericoloso e può far male, ma ogni tanto non si hanno scelte.

“Ascoltami bene, Hawthorne, perché non te lo dirò più…” sussurra infine la donna, parlandogli contro l’orecchio. “… Grazie.”

Il ragazzo si scosta da lei per poterla guardare negli occhi. Un sorriso pieno riesce finalmente a cancellare via parte delle ombre che gli oscuravano lo sguardo. È sul punto di rispondere, ma Johanna torna a tappargli la bocca.

“Ah! Non una parola o giuro sul tuo bel culetto sodo che ti butto giù dalla scogliera.”

Gale solleva le mani in cenno di resa e si stringe nelle spalle.

“Come vuoi tu” conclude, limitandosi ad aiutarla ad alzarsi.

Scendono a riva e riprendono a camminare, questa volta tenendosi a distanza dall’acqua.

Non c’è più bisogno di sfidare i ricordi, almeno per quella sera: è ora di tornare a casa.

 

Note Finali.

Non scrivo più Ganna da tempo immemore, quindi spero vivamente di non aver combinato un pasticcio con questa! Ma devo ammettere che mi mancavano un po’. In questa fase del loro rapporto la loro relazione non è ancora completamente consolidata (ma hanno già il piccolo Joel fra le zampette <3). E niente, se siete un po’ confusi vi rimando alle altre one-shot della serie che aiutano un po’ a riempire i buchi del mio head-canon che separano la misera scena Gale/Johanna presente nel terzo libro e questa storia. Che altro aggiungere? Il titolo della storia è un verso della canzone “Look after you” dei the Fray, che mi ha ispirato a scrivere.

Grazie infinite a chiunque sia passato a leggere la one-shot!
Un abbraccio e buone feste in anticipo!

Laura



[1] Riferimento alla storia “Io non ho paura”.

   
 
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