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Autore: Tabheta    21/12/2015    2 recensioni
AU! AkuRoku
Roxas ha qualche piccolo problemino con se stesso, o meglio, con il mondo in generale. Il destino non prende bene questa sua antipatia ingiustificata e decide di metterci lo zampino, e quale modo migliore se non mandargli una missiva tramite il postino più squinternato del quartiere. Non ho bisogno di dirvi di chi si tratta vero?
Dal testo:
|“Comunque io sono Axel, mi hanno detto che…”
Non fece in tempo a concludere la frase che Roxas aveva repentinamente battuto la ritirata, con tutte le intenzioni di rifugiarsi nuovamente tra le sicure mura di casa sua, se solo non gli fosse stata impedita la fuga.
“Nono baby, tu non vai da nessuna parte.”
“Lasciami maniaco” gli intimò Roxas cercando di farsi mollare il polso in tutti i modi, invito che lo squilibrato, intuendo il suo evidente disagio, ebbe la decenza di cogliere.
“Di solito faccio il postino, ma se proprio insisti.”|
Genere: Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Axel, Roxas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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Se qualcuno se lo stesse domandando, sì, mi piace scrivere cose senza un senso. Breve esplicazione: la trama, prettamente randomica, ruota attorno ad Axel, che in questo universo fa il postino (sì, il postino) e Roxy che, bhé, è un rompipalle problematico come al solito ma ci piace così ù.ù
Spero qualcuno apprezzi e mi faccia sentire meno malata di quanto effettivamente mi considero <3

















Little dumb Incidents








~


Per quanti si chiedevano quando esattamente avesse perso speranza nel genere umano, ci teneva a precisare che lui non l’aveva mai avuta. Un giorno si era alzato ed aveva realizzato di aver sprecato metà della sua inutile esistenza a fare cose inutili, la cosa triste era che non sapeva fare altro, quindi aveva continuato consapevolmente ad essere un inutile spreco di spazio per l’universo. Non che desse fastidio a qualcuno, mangiava, dormiva e stava rinchiuso in casa per la maggior parte del tempo, nutrendosi di quello che non era andato a male nel frigorifero e cercando di sopravvivere finché suo fratello non gli avesse portato la spesa per il mese successivo. Almeno era un parassita diligente.
I suoi amici –da quanto tempo non li vedeva? Tre mesi, cinquant’anni?, una volta lo prendevano in giro chiamandolo funghetto, supponeva che non si fossero allontanati poi molto dalla realtà.
Se solo fosse stato un po’ meno cosciente avrebbe potuto passare la vita sereno, abbandonandosi alla crudele quotidianità senza mai realizzare di essere solo una delle tante bestiole che scorrazzavano nel formicaio di chissà quale entità superiore che ehi, doveva avere davvero un distorto senso dell’umorismo, forse persino peggiore del suo. Invece no, Roxas aveva sempre amato complicarsi l’esistenza e la consapevolezza di avere delle responsabilità, di dover bastare a se stesso in un mondo che non era in grado di controllare semplicemente non gli stava bene.
A casa sua la vita era facilmente gestibile, se aveva caldo accendeva il condizionatore, se aveva sonno dormiva. Semplice, tutto calcolato.
 
 
*
 

Era riuscito a sfuggire al nuovo postino per circa due giorni. Da quando il vecchio Xehanorth era andato in pensione, gli aveva detto suo fratello Sora mentre sistemava le scatolette nella sua credenza pulita e ordinata in modo maniacale, al suo posto avevano assegnato al suo quartiere una nuova matricola.
La cosa lì per lì non gli era sembrata poi un male, Xehanorth era spaventoso e l’età non gli aveva certo reso giustizia, lo apprezzava solamente perché sapeva mantenere le distanze ed era abbastanza cortese –o più probabilmente felice di non dover parlare con ulteriori rappresentanti della razza umana, da lasciargli la posta sopra lo zerbino.
La consapevolezza che stava per essere investito da una catastrofe gli sovvenne in seguito, o meglio, dopo la quinta bussata nel giro di tre secondi. Viveva in un condominio, per la miseria, possibile che in quel momento non passasse nessuno dei suoi coinquilini che potesse spiegare a quella piaga che il signor Yoshiwara era un fottuto psicopatico e non sarebbe uscito dalla porta nemmeno se l’avesse buttata giù a sprangate? Non era mai stato molto amato tra il vicinato.
Il giorno precedente era riuscito a farlo demordere, così come quello prima ancora, ma sembrava che la sua nemesi non fosse più disposta a farsi ignorare. Che razza di egocentrico gli aveva assegnato questa volta il servizio postale?
“Può lasciare la posta sullo zerbino!” gli urlò il più lontano possibile dalla porta, non sia mai prendesse effettivamente in considerazione l’idea di sfondarla.
Nessuna risposta.
“Può lasciarla sullo zerbino, ho detto!”
Ancora nulla, che fosse in realtà uno scherzo degli amabili figlioli della vicina? Effettivamente solo l’istinto omicida avrebbe potuto spingerlo ad uscire.
Non sentendo più alcun rumore, dopo circa sessanta secondi di interminabile attesa, raccattata la ramazza che gli aveva regalato sua nonna, spalancò la porta. Una sensazione di sollievo lo avvolse, chiunque fosse doveva aver tagliato la corda.
Non avrebbe mai potuto prevedere che, proprio quando aveva abbassato la guardia, un piede lo avrebbe bloccato nell’esatto momento in cui stava richiudendo il portone.
“Come ci si sente ad essere ignorati, bellezza?”
Un tizio dall’aria losca gli si parò di fronte.
Avrebbe urlato per lo spavento, se avesse avuto meno contegno e più spirito d’iniziativa, nel dubbio si limitò a scuotere il manico della scopa davanti a sé come un forsennato. Ringraziava quel tipo per i suoi ottimi riflessi, non aveva alcuna intenzione di essere denunciato per percosse –di nuovo, anche se aveva tutte le buone ragioni del mondo per colpire quell’ idiota che non aveva nulla di meglio da fare del rovinargli la giornata.
Il suo dimenare confuso fu bloccato dall’odiosa risata dello sconosciuto, avrebbe voluto strappargli a ciocche quei suoi capelli così fottutamente disordinati, gli mandavano il sangue al cervello.
“Non sta succedendo sul serio!” esalò il tipo tra una risata e l’altra.
Mentre riacquistava lucidità Roxas ponderò se valesse effettivamente la pena prendersi un'altra denuncia, per poi giungere alla conclusione che il gioco non valeva la candela, oltre al fatto che cominciavano a formicolargli le braccia per lo sforzo. Il comportamento del suo opponente lo aveva abbastanza indispettito da spingerlo a mettergli il broncio –per non dire a spaccargli la testa con un bastone, ma la storia aveva preso un’altra piega.
Così, mentre aspettava immusonito e a braccia conserte che quel teppista –sì, gli sembrava un termine adeguato, anzi no, delinquente, smettesse di ridere di lui,  si impose di rivolgergli lo sguardo più truce che conosceva, col risultato intimidatorio di un gatto spelacchiato.
“Non guardarmi in quel modo, sono appena riuscito a riprendermi” gli disse, rialzandosi da chinato com’era sulle ginocchia.
“Comunque io sono Axel, mi hanno detto che…”
Non fece in tempo a concludere la frase che Roxas aveva repentinamente battuto la ritirata, con tutte le intenzioni di rifugiarsi nuovamente tra le sicure mura di casa sua, se solo non gli fosse stata impedita la fuga.
“Nono baby, tu non vai da nessuna parte.”
“Lasciami maniaco” gli intimò Roxas cercando di farsi mollare il polso in tutti i modi, invito che lo squilibrato, intuendo il suo evidente disagio, ebbe la decenza di cogliere.
“Di solito faccio il postino, ma se proprio insisti.”
Il sorriso lascivo, decisamente malriuscito, che gli rivolse gli fece accapponare la pelle –per il disgusto non per altro, ma soprattutto sperare che gli si staccasse la mascella, così non avrebbe più dovuto continuare a parlare con lui.
“Che diamine vuoi, non vedi che sono impegnato?!”
Impegnato a sfuggire dai pazzoidi come lui, beninteso che nella mente di Roxas tutto il genere umano era folle, escluso il suddetto ovviamente.
“I tuoi vicini non la pensano così bambolina, dovresti ringraziarmi, ho persino avuto la decenza di preoccuparmi per te.”
Che diamine andava dicendo? Bambolina? I vicini? Certo che i servizi pubblici assumevano davvero chiunque.
“Ah-ah, certo, ok, fantastico, ora che ne diresti di sparire?”
“Almeno un ‘kya, grazie signor postino’ sarebbe gradito.”
“Non mi hai nemmeno consegnato qualcosa, perché diamine dovrei esserti grato?”
“Tranquillo, tanto per te c’erano solo bollette.”
“Hai aperto la mia posta?”
In fondo al cuore sentiva che il destino, quel maledetto, infame destino, aveva progettato per lui qualcosa di indimenticabile.
 

 
*
 

Da quando Axel aveva cominciato a lavorare nel suo quartiere non aveva più avuto un briciolo di pace, né tantomeno di privacy. Puntualmente, nel momento in cui cercava di rilassarsi, il trillo insopportabile del campanello gli rovinava la festa, a nulla valeva cercare di ignorarlo, Axel sapeva bene che non si muoveva da casa e la sua strategia d’attacco era stata abilmente elaborata al fine di esasperare il bersaglio. A volte si chiedeva quante ore passasse effettivamente a lavorare, era certo che sommandole tutte ne sarebbe venuto fuori che trascorreva più tempo a tormentarlo che a consegnare missive.
“Principessa sono io!”
Cos’è stato? Qualcuno ha sentito qualcosa?
“Andiamo Roxy lo so che sei lì, apri questa cazzo di porta!”
C’erano poche cose che mandavano Roxas fuori di testa, in primis il non avere il controllo della situazione, in seguito il disordine, e terza cosa Axel, che era un perfetto connubio dei due punti precedentemente elencati, nonché la maledizione che Buddha, Allah, Dio o chi di dovere gli aveva scagliato, semplicemente per farsi due risate supponeva.
Evitava gli sconosciuti, non parlava con gli sconosciuti, non aveva alcun contatto fisico con gli sconosciuti –non si faceva toccare nemmeno da suo fratello, come aveva fatto a ritrovarsi in quella situazione?
“Ce ne hai messo di tempo! Ti ho portato un regalino!”
All’apertura del minimo spiraglio Axel spalancò la porta e si fiondò in soggiorno. Roxas si affrettò a richiuderla e a serrare nuovamente i vari catenacci.
“Ti hanno finalmente licenziato?” disse avvicinandosi al rosso, che nel frattempo si era spalmato sul divano perfettamente a suo agio. Avrebbe anche poggiato le gambe sul tavolinetto di legno poco distante, se solo lo sguardo bruciante di Roxas non gliele avesse mozzate prima che potesse muovere un solo muscolo. Una cosa doveva riconoscergliela, sapeva intuire il pericolo.
“E poi come faresti senza di me?”
Eccome se avrebbe fatto. Avrebbe ordinato, pulito e messo nel giusto assetto tutta la casa senza il timore che un certo postino ficcanaso gli distruggesse l’armonia dell’ambiente, o se voleva essere più pragmatico, la vita.
“Che grande perdita.”
“Potresti almeno far finta che ti mancherei?”
“No.”
“Amo la tua sincerità, baby.”
Aveva scoperto che con lui il sarcasmo non funzionava –principalmente perché era troppo ottuso per capirlo, quindi preferiva brutalizzarlo senza mezzi termini. Non sia mai che ferisse i suoi sentimenti e decidesse di non voler avere più nulla a che fare con lui.
Solo adesso aveva fatto caso al sacchetto indefinito che aveva introdotto in casa sua. Non che non si fidasse, semplicemente non si fidava di lui in quanto Axel, ovvero persona ingestibile dalla quale non sapeva mai che cosa aspettarsi –definizione reperibile sotto la lettera A del dizionario.
Poteva nascondere anche una bomba per quello che ne sapeva, non si sarebbe stupito, aveva più volte dimostrato la sua attitudine da piromane. Una volta gli aveva aggiustato il fornello con il solo ausilio di un cacciavite ed un accendino, quel giorno aveva più volte ringraziato il cielo per non averli fatti saltare in aria entrambi.
Notando la sua insistenza nel fissare la busta incriminata, soddisfatto per aver acceso la sua curiosità, con il conseguente sorrisetto che gli si dipinse in faccia, si decise a sfoderare la sua arma.
“La signora Mizuki mi ha invitato ad entrare in casa sua… sai come sono le casalinghe, un sorrisetto, un occhiolino e sono subito pronte ad attaccare bottone col primo che passa, insomma, non me ne sono certo andato a mani vuote!”
Axel estrasse un piccolo contenitore di plastica colorata, di quelli sottovuoto, che aprì con un ‘clack’. L’odore di biscotti appena sfornati si disperse nell’aria.
Per Axel non era un segreto che Roxas avesse un debole i dolci, non era nemmeno un segreto che non facesse spesso pasti decenti, ma soprattutto non era un segreto che non mangiasse assolutamente cibi provenienti dall’esterno e di cui principalmente non conosceva l’origine.
“Non ho fame.”
“Andiamo Roxy, sono ancora caldi” cercò di tentarlo con tono suadente.
“Axel, no.”
Era raro che riuscisse a fidarsi di qualcuno che conosceva da così poco tempo, già l’averlo fatto entrare nella sua vita era più che abbastanza, considerando che era arduo anche solo riuscire ad aprirsi una porta nel suo mondo. Odiava quando cercava di spingerlo al limite, non voleva la pietà di Axel, non voleva essere aggiustato, conviveva benissimo con tutti i suoi difetti di fabbrica.
Il silenzio tombale che calò nel soggiorno fu un chiaro invito per il rosso a levare le tende.

 
*
 

Axel gli aveva lasciato una scatola in plastica, simile a quella che la signora Mizuki gli aveva prestato l’altro giorno, sullo zerbino. Contrariamente al suo stile aveva bussato una volta sola e non si era fatto trovare fuori dalla porta; quando aveva aperto l’androne che dava sulle scale lo aveva trovato deserto. Che fosse un blando tentativo di chiedergli scusa?
Sopra la scatoletta un piccolo foglio sporgeva da una bustina. Senza una precisa ragione, l’idea di un postino che scriveva lettere lo fece sorridere.
“Li ho fatti io, mangiali a tuo rischio e pericolo baby, got it memorized?
XOXO Axel”
Aperto il contenitore il rivoltante contenuto gli si palesò davanti agli occhi in tutta la sua radioattività: biscotti bruciati, altri molto, molto cotti. Non si sarebbe aspettato di meglio da un piromane mancato.
Il pensiero di Axel col grembiule e il forno in fiamme lo fece scoppiare a ridere nel bel mezzo del pianerottolo, la risata cristallina che si infrangeva per la tromba delle scale.
Immaginava che per lui avrebbe potuto fare un eccezione, sarebbe stata solo una di tante.

 
*
 

“Di cosa hai paura?”
Non aveva effettivamente paura di qualcosa, solo gli sembrava più comodo, da un punto di vista gestionale, rimanere in casa propria, dal momento che si manteneva da solo e poteva lavorare senza impedimenti anche confinato in quattro mura –fare lo scrittore aveva i suoi vantaggi.
Quando aveva detto ad Axel che sbarcava il lunario scrivendo sul web lui lo aveva preso in giro, ribadendo il fatto che fare lo scrittore non era un vero lavoro, semmai un modo per non morire di fame prima della fine del mese. Roxas lo avrebbe volentieri malmenato col portatile fino a farlo arrivare all’illuminazione, chissà che non gli fosse tornato utile per scrivere un nuovo articolo sul suo blog.
“Non ho paura, ho le mie fisse.”
“Non l’avrei mai detto, baby.”
“Preferisci uscire dalla porta o vuoi che ti accompagni io dalla finestra?”
Il suo problema era che non aveva problemi, non c’erano esattamente delle buone ragioni per cui vivesse confinato in casa, se non fosse stato per la sua ossessività dilagante sarebbe stato benissimo in grado cavarsela anche fuori, eppure un’ qualcosa di non meglio definito lo bloccava ogni volta.
A fermarlo c’era sempre quell’allarme, quella sensazione di vertigine che partiva dalla base dello stomaco fino a fargli fischiare le orecchie e che, quando si sentiva particolarmente bugiardo con se stesso, preferiva scambiare per agitazione. Era quella la paura?
Eppure il pensiero che un giorno il campanello avesse smesso di suonare per lui lo angosciava decisamente di più, ma questo non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce.
“Mi piaci quando fai il violento.”
Nemmeno sotto tortura.

 
*


A che ora staccava Axel?
Ultimamente si sentiva più libero, non che lo fosse effettivamente, nessuno lo era, erano le convenzioni sociali che obbligavano gli esseri umani a considerarsi tali. Tutti sono prigionieri di qualcosa, c’è chi è prigioniero di se stesso, chi delle proprie illusioni, chi delle proprie paure, Roxas amava considerarsi un’amabile miscela dei tre.
In passato non avrebbe mai ammesso le sue debolezze, ma di recente si sentiva particolarmente onesto con se stesso, probabilmente anche perché aveva cominciato a mangiare in modo più salubre. Mens sana in corpore sano, no?
A che ora staccava Axel?
Non era noioso aspettare, lo faceva sempre, scriveva, annullava la noia in un modo o nell’altro…
A che ora staccava Axel?
Da piccolo mentre aspettavano che i loro genitori rincasassero lui e Sora giocavano a chi li avrebbe visti prima, una stupida sfida –inventata da suo fratello ovviamente, che consisteva nel fissare la porta senza mai chiudere gli occhi fino al ritorno di mamma e papà. Una volta si erano impegnati così intensamente che sua madre li aveva dovuti imbottire di collirio, ricordava queste vicende con una sorta di ammirazione per quella santa donna.
Ormai era troppo cresciuto per lasciarsi andare a simili scempiaggini.
A che ora staccava Axel?

 
*
 

Come ci si comportava in questi casi? Aspettava che si riducesse ad un mucchietto di polvere e venisse portato via dal vento oppure pregava che una voragine si aprisse sotto i suoi piedi?
Roxas percepiva lo scorrere degli eventi come se fosse un estraneo, nient’altro che uno spettatore.
Axel e Roxas si stavano baciando, era la notizia del secolo, alzi la mano chi non se lo aspettava. Sorvolando sul fatto che ew, chissà quanti germi conteneva la sua saliva, la situazione in fondo non gli dispiaceva più di tanto, nonostante avrebbe potuto stilare una lista di circa un centinaio di motivazioni su quanto tutto quello fosse irrazionale, se solo la sua testa non fosse stata momentaneamente concentrata sulle labbra bollenti di un certo postino idiota.
La sua lingua lo accompagnò morbida ad avvolgersi su se stessa e Roxas, che ormai aveva perso qualsiasi traccia di volere proprio, non poté far altro che assecondarla docilmente, ritrovandosi a boccheggiare come un pesce quando il rosso si staccò dalle sue labbra.
“Ah.”
“Ti ricordavo più loquace dolcezza” concluse accompagnato da uno sbuffo ilare.
“Cos’era quello?”
“Un bacio.”
Vedendo che stava per colpirlo –e nemmeno non troppo delicatamente per giunta,  Axel si affretto ad aggiungere anche che era bellissimo. Qualcuno doveva spiegargli come funzionava il mondo, se gli faceva dei complimenti la sua furia non diminuiva, semmai il contrario.
“Che ore sono?”
Roxas aveva perso qualsiasi concezione del tempo, non si sarebbe stupito se guardando il calendario nel mentre fossero passati un paio di secoli, anno più anno meno.
“Mi piaci.”
“Eh?”
L’ultima volta che qualcuno gli aveva detto mi piaci, andava ancora alle elementari e lo aveva trovato scritto su un piccolo bigliettino che qualcuno gli aveva infilato nella cartella. Aveva pianto per una settimana, per lui era stato un trauma.
“Sei sicuro?” disse con lo stesso tono con cui un ragazzo avrebbe risposto alla propria fidanzata se mai gli avesse detto di essere incinta, il prossimo passo sarebbe stato uscire per andare a comprare le sigarette e non tornare mai più. Ah no, dimenticava di quel suo piccolo problema, gli occorreva decisamente un piano B.
“Per chi mi hai preso? Non vado in giro a baciare persone a caso, io.”
“O a tormentarle e ad incasinargli l’esistenza.”
“Mi leggi nel pensiero, baby.”
Sul serio, il destino doveva avere davvero un pessimo senso dell’umorismo, altrimenti non si spiegava come avesse fatto ad innamorarsi di un simile soggetto. Innamorarsi… decisamente pessimo.
  
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