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Autore: supermafri    22/12/2015    0 recensioni
| Cross-over: Vocaloid, The Walking Dead | Pairings: Rin/Len – Miku/Kaito/Meiko – Gumi/Gumiya – Gakupo/Luka – Rin/Oliver | Avvertimenti: Kagaminecest! – Tematiche delicate |
"La morte
Si sconta
Vivendo."
Quando Ungaretti scrisse, sapeva d’aver ragione. Lo sapevano tutti in fondo, soprattutto chi portava invisibili, ma profonde cicatrici sulla pelle.
Quando la Terra è diventata fuoco, tenebra, inferno, loro c’erano. Tutti, dal primo all’ultimo.
Vi saranno raccontate le loro insidie, le loro morti, le loro tragedie.
Accomodatevi e
Lasciatevi condurre nella storia.
Genere: Angst, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Len Kagamine, Luka Megurine, Oliver, Rin Kagamine | Coppie: Kaito/Meiko, Kaito/Miku, Len/Rin
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate, Triangolo
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Legenda:
*** = Inizio/fine capitolo.
*** = Inizio/fine flashback.
*** = Cambio di personaggi e/o situazione.
*** = Pausa d’intermezzo tra una scena e l’altra.
 
 

Deathless
Atto II 

***


 
 
“L’odio non è nient’altro che timore;
quando non si teme nessuno,
non si odia nessuno.”

 
 


 
 
***

 
Il legno scricchiolava sotto i pesanti passi dell'uomo coperto da un lungo camice da laboratorio. I capelli d’uno spento violaceo gli accarezzavano la schiena, mentre un ciuffo gli oscurava la fronte. Scrutava attento l’orizzonte dalla finestra mentre maneggiava e caricava la rivoltella tra le mani.
Cercava d’essere svelto e di fare meno rumore possibile, Gumiya era lì e non l'avrebbe mai sopportato.
Proprio ora gli dava le spalle, seduto sul divanetto d'un intenso tessuto verde, impegnato a non distogliere gli occhi dal camino, a non tralasciare nemmeno uno zampillo della fiamma. Eppure le sue orecchie non facevano che scricchiolare, che lamentarsi con scariche continue, orribili e terrificanti.
 
Si portò immancabilmente le mani ai lobi: non poteva più ascoltare quei fischi, quelle urla strazianti lo rodevano dentro. Polmoni, cuore, cervello, erano un’immensa e informe poltiglia mentre il più vecchio armava la pistola, togliendo la sicura.
 
«Esco. Ci metterò poco, te lo prometto.» Spiegò in breve Gakupo, ormai dall'altro lato della porta.
 
Il giovane diciassettenne non rispose, sapeva che, se ci avesse provato, sarebbe uscito solo un rantolo soffocato. Prima avrebbe dovuto calmarsi.


 
***
 


Gumiya odiava le armi. La forma lunga e sinuosa della canna, l'odore della polvere da sparo, la forza e la violenza con cui le pallottole colpivano da far male, erano solo alcuni dei suoi ricordi più spaventosi. Le odiava tanto quanto quei comportamenti da debole, da bambino incapace, che le sue paure lo costringevano a mantenere. Paure che non avrebbe voluto avere. Fragilità che nascondeva sotto un largo cappotto di irascibilità e aggressività.
 
Era tutta colpa sua. Sua dell'uomo che avrebbe dovuto chiamare padre, ma che invece non meritava nemmeno il sostantivo persona. Si morse forte il labbro a quella constatazione. A volte lo sentiva ridere in preda all'alcol, come una cantilena che stona ripetutamente nelle orecchie. Aveva il caos tra i timpani quando vedeva un'arma, aveva l'eco fastidioso della sua voce quando fissava la sua immagine nella mente. Un paio d'anni e quel volto era già diventato nero. Ma il sorriso rosso, che sapeva di sangue e carne martoriata, gli dipingeva ancora il viso. Sarebbe rimasto per sempre come un'aspra, indelebile pennellata.
 


***


 
Iniziava a mangiucchiarsi le unghie nervoso: li aspettava proprio come Cenerentola poteva aspettare il rintocco della mezzanotte: il più tardi possibile, più tardi che mai. Non voleva rivivere la sua vita nei ricordi, tantomeno ricordare il volto che gli aveva stravolto l’esistenza, senza remore.
 
 
Poi li sentì come stilettate al cuore. Uno. Due. Tre. Dieci spari.
 
 
Un revolver Smith & Wesson 617 calibro 22, non poteva sbagliarsi. Proprio perché non avrebbe mai sbagliato si stava maledicendo, ormai il flashback era partito.
 
 
***
 
 
Nella cantina della vecchia casa, le armi erano disposte in file compatte, mai ornate da un filo di polvere. Gumiya le puliva giorno e notte con un panno in ciniglia e, non appena ne stringeva una fra le mani, ne dichiarava nome e caratteristiche. Lo aveva istruito così e concedersi anche un solo errore sarebbe stato imperdonabile. Le sue punizioni era ciò che di più malvagio si potesse considerare e non toccavano solamente lui, sua madre ne avrebbe risentito altrettanto. Le botte facevano male, le cinghiate dolevano come non mai, i tagli pungevano fino al midollo.
 
 
Ma le botte erano giuste, i lamenti no.
Le cinghiate erano giuste, le urla no.
I tagli erano giusti, le lacrime no.

Ci aveva provato e lo aveva imparato.
Sapeva come doveva comportarsi in sua presenza.
 
 

***

 
 
Quando si sentiva insoddisfatto li cercava entrambi: il suo turno era sempre dopo la donna. Gumiya poteva dire che la madre lo esortava a fuggire gridando, in un disperato pianto mentre veniva picchiata. Ma poteva ammettere anche il contrario: il piccolo attendeva fermo in un angolo, le pupille dilatate, le mani sulle orecchie, aspettando che tutto si chiudesse in un lungo e sordo silenzio. Non l'avrebbe mai abbandonata. Se dovevano soffrire, avrebbero sofferto insieme, facendosi forza l'un l'altro.
 
 
***
 
 
Nei giorni in cui il padre era fuori casa per un viaggio di lavoro, la madre si recava dal più rinomato medico della città, accompagnata dal figlio. Il dottor Gakupo non solo godeva di una laurea in medicina e chirurgia, ma manteneva una buona posizione anche quando serviva un riscontro in fatto di psicologia.
 
Ricordava bene la prima volta che era entrato nello studio del dottore dalla lunga coda color malva. Mancavano pochi giorni a dicembre e da paio di settimane il padre non si faceva vedere fra le mura di casa. Potevano sembrare giornate tranquille, ma il costante pensiero che sarebbe tornato dopo questa grande astinenza riempiva i loro cuori di tremenda paura.
 
Quel lontano lunedì, la madre sembrava così sciupata e sfinita che si era chiusa nel bagno del reparto, non prestando minimamente attenzione alla voce di Gumiya che la esortava ad uscire. La voce di un giovane uomo, ventenne se non qualche anno in più, chiamò il cognome in lista, attendendo si facesse vedere qualcuno.
 
Gumiya tirò un lungo e spaventato sospiro, aprendo la porta socchiusa e lasciandola cigolare quel tanto da richiamare l'interesse dell'altro. Gakupo vide il ragazzino che, impaurito dalla grande mobilia moderna e la moquette di eleganti motivi vermigli, si faceva strada verso la poltroncina in pelle. Leggermente incuriosito, appoggiò i certificati sul banco e tolse gli occhiali.
 
Gumiya prese posto e iniziò a fissare le ginocchia che tremavano sotto le sue mani. Non era pronto a parlare con altra gente.
 
«È la prima volta che vedo un caschetto d'un verde bosco così intenso. Io sono il dottor Gakupo mentre tu sei..?» Parlò premendo i gomiti sulla scrivania.
 
«Gumiya.» Pronunciò in un soffio così leggero che Gakupo inizialmente si chiese se avesse solo respirato. Poi riprese semplicemente il discorso.
 
«Com’è la prima volta che sento un nome particolare come il tuo. Quanti anni hai, Gumiya?» S’interessò infilando la stanghetta destra degli occhiali in una delle tasche superiori del camice.
 
«Dodici, signor- ehm.. Dottore.» Rispose mordendo l'interno della guancia irrequieto.
 
«Beh sei grande, ragazzo, ormai sei a metà percorso delle scuole medie!» Gli rivolse un sorriso divertito dall’altro lato del bancone panna chiaro.
 
«Mio padre dice che sono ancora piccolo.» Rispose atono a testa china, mentre muoveva le gambe in tensione.
 
«Vedrai che fra non molto diventerai un bel giovanotto che fa furori tra le donzelle, Gumiya, ne sono più che sicuro!» Cercava di sciogliere il timore dagli occhi smeraldini di Gumiya, ma il giovane si bloccò all’improvviso, stringendo forte i pugni.
 
«Non mi serve una donna.» Iniziò a chiudersi sempre più in sé stesso, sempre più duro.
 
«Perché dici così?» Si concentrò Gakupo, senza sapere bene dove andare a parare.
 
«Picchiare non mi piace.» Fece rigido il più piccolo.
 
Un nervoso rumore di tacchi invase la sala. Non servì nemmeno una parola che Gumiya si era già alzato e si era velocemente accostato alla madre. Senza saluti, i due lasciarono l'ambulatorio, mentre Gakupo sentiva la bocca farsi sempre più asciutta.
 
 

***

 
 
Erano tornati una dozzina di giorni dopo, alla solita ora. Ricordava la tempesta nera di quel giorno, il viso tirato e smagrito della madre, il suo occhio destro gonfio e violaceo. Gumiya vedeva quelle sue mani tremolanti premere sul volante, impacciate e impaurite. Li aveva toccati di nuovo la notte precedente, senza che nessuno potesse fare nulla. Ormai quella era diventata la loro realtà.
 

***

 
«Se lei non mi dà quelle pasticche, farò una strage, signor. Kamui. Impazzirò! Sa cosa vuol dire non essere più in grado di ragionare vero?! Potrei compiere un massacro senza nemmeno sapere chi o cosa abbia colpito! Su, me le dia. Non ho bisogno di nient’altro.» Stringeva pezzi da venti nelle mani, mentre si sgolava come non mai. Avrebbe cercato quei tranquillanti in capo al mondo, tanto il suo corpo febbricitante ne richiedeva.
 
«Sono costretto a ripetermi per la terza. Come le ho detto, questi medicinali stanno diventando una vera e propria droga per il suo sistema nervoso. Non posso permettermi di prescriverle altri tranquillanti simili. Si sta lentamente distruggendo con queste richieste. Richieste egoiste, oltretutto. Non ha pensato al male che procurerà a Gumiya? Ciò non la fa comunque desistere?» Spiegò serio Gakupo, ricordando le condizioni mentali e psichiche del giovane smeraldino.
 
«Cosa ne vuole sapere lei di mio figlio?! Sono io sua madre, sono io che educo il mio bambino. O devono addirittura togliermi questo? Non mi merito nemmeno una briciola?! Dopo che lui ha deciso di portarmi via tutto, nemmeno questo, eh?! Me ne vado.» Squassata da evidenti tremolii agguantò la maniglia, proseguendo per la sua via.
 
«Non può guidare in questo stato. Si sciacqui il viso, si visiti l'intera struttura. Si calmi, prima.» Risuonò come eco nella stanza. La donna rispose fra sussurri con un incredulo “Calmarsi, anche?”, mentre si inginocchiava davanti una delle sedie. Era lì che Gumiya la stava aspettando, quando ancora le urla risuonavano nelle orecchie.
 
«La mamma fa un piccolo giretto e torna subito qui, va bene? Non muoverti, non perderti.» Gli parlò scandendo gentilmente le parole. Poi s’alzò e seguì traballante il corridoio.
 
Dopo pochi secondi era sparita nell’immensità di quel luogo e Gumiya scese dalla seggiola in plastica con un piccolo balzo. Come se niente fosse entrò nello studio, richiamato dal dottore che stringeva la borsa dimenticata dalla madre nella solita poltroncina.
 
Il bambino entrò a testa china, come se volesse nascondere l'orrore sul suo viso, ma Gakupo si raggelò nello stesso istante in cui varcò la soglia. Sembrava non avere più un occhio per quant'era tumefatto. Presto il dottore afferrò delle garze, qualche pomata e disinfettante. Cercò di sistemare quell'amara poltiglia color del sangue, senza evitare alcune domande.
 
«Gumiya, chi ti ha fatto questo?!»  Iniziò, tagliando pezzi di cerotto e qualche fascia.
 
«Nessuno.» Rispose il piccolo con un filo di voce, mentre si pestava i piedi nervoso.
 
«Hai capito che questa persona ti ha fatto del male, vero?» Indagò ancora il dottore.
 
«Si.»
 
«E ti rendi conto che chiunque ti abbia aggredito così dev’essere denunciato, giusto? Perché non vuoi dirlo, Gumiya?»
 
«Lui ha detto che se dico qualcosa, la prossima volta a non vederci più sarà la mamma.» Finì tremante, insicuro di aver detto elementi compromettenti.
 
Gakupo si era improvvisamente fermato.
Ormai aveva capito.
 

 
***

 
 
La madre spalancò la porta furiosa, afferrò la borsa e il braccio di Gumiya, rivolgendo a Gakupo uno sguardo furente. Sembrava quasi in preda agli spasmi, l’astinenza si faceva sentire ogni minuto più forte.
 
«Nessuno più, dal civico 11 del quarto isolato di Blandtown, metterà piede qui. Vieni, Gumiya.» Furono le ultime parole che la madre rivolse al dottore.
 

 
***

 
 
Una volta entrati in casa, si sedettero sui gradini della lunga scala a chiocciola. La donna stringeva sotto il braccio le spalle del figlio, mentre sussurrava alcune parole all’orecchio.
 
«La mamma salverà entrambi, ok? Gumiya deve solo darle una mano, tutto qui. Tu conosci bene la cantina, tutte le armi da collezione. Sai anche quale tra queste è carica e pronta all'uso. Quindi che ne dici di fare un favore alla mamma? Basta che le porti quella pistola, non è difficile. Quando tornerà papà, sarà tutto finito, promesso.» Spaccò il silenzio con un leggero sorriso, mentre Gumiya annuiva lentamente e scendeva le scale del seminterrato.
 
Quando l'ebbe tra le mani, la donna nascose l'arma sotto il cotone della felpa, attendendo l'arrivo dell'uomo che si sarebbe ritrovato una pallottola in petto.
 


***

 
 
La chiave poi risuonò nella toppa della porta in un flebile e continuo cigolio. Il sadico sorriso del padre s’inasprì sulle guance, mentre la madre lo seguiva svoltando un paio di corridoi.
 
Gumiya si trovava in un angolo della stanza d'ingresso, fissava il ticchettare dell'orologio appeso al muro e il telefono sulla stessa parete. Accovacciato, premeva le piccole mani sui lobi per non udire voci, grida e spari. Ma come fosse stato colpito direttamente, sentì il grilletto essere premuto senza esitazioni. Incollò completa attenzione al foglietto premuto fra la cornetta e la serie di pulsanti, ognuno una cifra stampata. A caratteri cubitali il nome di Gakupo Kamui sovrastava un numero di dieci cifre. Gumiya lo compose senza veramente sapere cosa avrebbe dovuto dire.


 
***


 
Gakupo stava rileggendo incredulo resoconti di pazienti che lo esortavano a credere all'esistenza di un ritorno in vita dopo la morte. Una vita che solo i mostri di film spaventosi e sanguinari potevano condurre. La gente si inventa storie davvero fantasiose e particolari a volte, si ritrovò a pensare.
Il telefono squillò tre volte, prima che il dottore potesse rispondere con un cordiale saluto.
«Springfield Armony Colt M1911A1» Riconobbe la voce agitata di Gumiya. Interdetto, cercò di decifrarne il significato.
«Pistola semiautomatica ad azione singola calibro .45 ACP» Sembrava un irrequieto fiume di parole. Parole che delineavano un'arma da fuoco. Gakupo deglutii: Gumiya stava cercando aiuto in una situazione estremamente pericolosa.
«Arrivo subito, Gumiya.» Terminò afferrando la giacca e le chiavi della macchina.
 


***


 
«Siamo.. Siamo liberi. Siamo liberi, Gumi-»  Si risvegliò la madre dal trans iniziale, cercando di raggiungere il figlio. Aveva premuto il grilletto e un grande lago d'un acceso porpora imbrattava il pavimento, l'uomo a terra esanime. Aveva le mani e il viso sporco, mentre cercava in vano di pulirsi con le maniche della maglia.
 
Gumiya si era stretto nel suo angolo, nascosto dalla penombra, quando le urla iniziarono a farsi prepotenti nella sua testa, nella sua stessa casa. La madre stava sforzando così tanto le corde vocali, che il piccolo spalancò gli occhi, annaspando aria sempre più rarefatta. Era stato un attimo. Un attimo in cui la madre aveva smesso di vedere per davvero, smesso di vedere per sempre. Qualcosa le aveva agguantato il volto, schiacciato il cranio, e strappato le guance a morsi. Qualcosa che ringhiava affannosamente, soffiava, zoppicava e puzzava.
 
 
 
No, era qualcuno. Strisciava la mano sul muro, portandosi avanti a fatica, fino a svoltare proprio in direzione di Gumiya. Si era fermato solo per fiutare l'aria e slittare le pupille da una parte all'altra.
 
Il ragazzino alzò lo sguardo lentamente, percorrendo ogni centimetro di quell'essere, né un qualcuno, né un qualcosa. Solo lui, con le iridi bianche, la pelle grigia, carni macellate fra le mani, fra i denti che scintillavano ancora in un sorriso. E si avvicinava e avvicinava sempre di più. Gumiya allargò la bocca piangendo per lo sforzo, ma nessun suono uscì dalle sue labbra. Le orecchie rosse per la pressione delle mani, gli spasmi che colpivano il corpo in un continuo tormento, le ginocchia che schiacciavano forte il petto senza farlo respirare. Ormai lo aveva afferrato per le braccia, passando la lingua fra i denti. Gumiya lo fissava immobile, con la saliva che si confondeva con le lacrime.
 


***


 
La porta cadde improvvisamente. L'impatto con la spalla aveva procurato a Gakupo non poche complicazioni, ma armò la rivoltella d'istinto sparando tutti i colpi alla nuca della bestia assassina.
 
Soccorse il ragazzo in preda all'ansia e all’agitazione: richiamava il suo nome più e più volte, ma era in pieno stato di shock. Poteva finalmente comprenderlo, poteva finalmente aiutarlo.
 


***

 
 
«Gumiya, Gumiya, Gumiya?! Tutto bene?!» Gli scosse le spalle, Gakupo.
 
Gumiya era assente, pieno di paura, rabbia, disperazione. Respirava a fatica, mentre metteva a fuoco le immagini. Odiava quando uscivano allo scoperto le sue debolezze per un nonnulla. Sì, lo odiava, perché era cambiato rispetto a tanto tempo prima: non poteva sopportare chi provava pena, preoccupazione per lui; e questo Gakupo lo sapeva bene.
 
Scrollò le mani del dottore e lo spinse lontano, iniziando ad odiare addirittura sé stesso per essere così incapace, così bambino.
 
«Non erano molti oggi. Probabilmente hanno iniziato a migrare verso le città o le ricche campagne.» Spiegò in breve Gakupo, lasciando il discorso e anche la stanza. Gumiya aveva bisogno di tempo per sbollire la tensione da solo, in silenzio.
 
Era tornato a seguire l'ondeggiare della fiamma senza dire una parola.
 
Sì, Gumiya odiava le armi, il suo essere fragile, l'aiuto che gli altri gli rivolgevano.
Sì, Gumiya odiava sé stesso, e questo non sarebbe mai cambiato.
 

 
***








Angolo autrice:
Ecco a voi il secondo capitolo! Abbiamo un attimo abbandonato i gemellini e Miku per far spazio ai due nuovi arrivati: Gakupo e Gumiya! Nutella per tutte le donne che hanno scovato l'identità del medico, brave brave x3
Per chiunque provasse astinenza da mancanza di Kagamine (?) non si agiti troppo: 15 pagine di Word erano troppe per vedere la combriccola muoversi attivamente, ma non mancherà di certo la prossima settimana! ;)
Spero di non aver rappresentato Gumiya con toni troppo superficiali. Il mio intento era seguire un breve flash di pensieri tormentati e sentimenti turbolenti. 
Sono sinceramente curiosa dei vostri commenti, sempre, sempre troppo belli.
Stavolta vi lancio melanzane, la prossima volta anche banane. I porri torneranno e i mandarini scompariran- (Ma che cavolo sto dicendo? Non riesco proprio a tenere la bocca chiusa, eh? ^_^)
Grazie mille a tutti coloro che hanno letto, inserito tra seguite/preferite/ricordate la storia, commentato e commentato ancora. 
Un grandissimo abbraccio.
Baci, Supermafri <3










 
  
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