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Autore: Losiliel    24/12/2015    6 recensioni
"Il suo corpo si riprese dai tormenti e riacquistò salute, ma l'ombra delle sofferenze subite era nel suo cuore" (Il Silmarillion, cap. XIII - Il ritorno dei Noldor).
Nelyafinwë, salvato da Findekáno, deve affrontare i propri demoni prima di riprendere il suo ruolo tra i Noldor quale erede di Fëanáro.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Fingon, Maedhros, Maglor
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Los Tales'
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Capitolo Decimo - Tenn'Ambar-metta


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Nelyafinwë (Maitimo, Russandol, Nelyo) è Maedhros
Findekáno è Fingon

________

 

 

Findekáno lo raggiunse nel momento stesso in cui Makalaurë sparì dalla loro vista. 

– Se ne sono andati? – chiese, lasciando trasparire l'apprensione che aveva abilmente celato per tutto il giorno. – Eru santissimo… mettete il terrore addosso quando siete tutti insieme!

– Non dirlo a me – rispose Nelyafinwë, rendendosi conto solo in quel momento di quanto avesse temuto fallire, – per un attimo ho avuto paura che volessero sfidarmi uno ad uno, per rivendicare il loro diritto al trono. Non so quanto potrà durare, ma sembra che il mio discorso li abbia convinti per ora… non credi?

– Come? – Findekáno lo stava guardando con aria distratta.

– Il mio discorso, Findo… come ti è sembrato?

– Scusa – rispose il cugino, che non aveva per niente l'aria dispiaciuta, – temo di non averci prestato molta attenzione… stavo ancora pensando al... discorso che abbiamo lasciato in sospeso questa mattina.

Difficile non capire l'allusione, visto che anche lui aveva dovuto faticare non poco per togliersi quel bacio dalla mente. In ogni caso, adesso era giunto il momento di chiarire anche quel punto.

– A questo proposito… – cominciò.

– No, ti prego, non dire niente! – lo interruppe subito Findekáno.

– Come? – domandò Nelyafinwë, colto di sorpresa.

– So già cosa stai per dirmi! Che è una cosa senza futuro… che non fa che aggiungere altra pena alla nostra condizione dannata...

– Fin…

– Che sarebbe un disastro se le nostre famiglie...

– Fin.

– So tutto, Maitimo, ma non voglio rovinarmi gli ultimi momenti che abbiamo…

– Findekáno, taci per una volta! Non avevo intenzione di dirti nulla di simile.

– Ah… no?

– Vieni – disse, e prendendolo per mano lo condusse alla terrazza che dava sul lago. Il sole era appena sceso dietro i monti e il cielo incendiato di porpora si rifletteva nello specchio d'acqua cristallino. Ma sopra le loro teste cominciavano già ad apparire le prime stelle, silenti testimoni della venuta dei loro avi nel mondo.

Per un attimo Nelyafinwë si chiese se vegliassero su di loro anche adesso, sugli Eldar che tornavano nella loro terra d'origine. Se portassero la benedizione di Varda Elentári su di loro anche ora, sui dannati, sugli assassini, sui traditori. O se non fossero altro che fredde luci distanti, impassibili.

Scoprì che non gli importava. Quello era un luogo che aveva significato molto per loro, in quei giorni trascorsi insieme a riprendersi dalle sofferenze: era il luogo dove le loro vite avevano cominciato a ricongiungersi e per questo l'aveva scelto per chiedere all'amico ciò che gli stava più a cuore. La protezione dei Valar non aveva più per lui la minima importanza, se mai ne aveva avuta.

Abbandonò la mano del cugino ed estrasse il pacchetto che gli aveva consegnato Makalaurë. Si schiarì la gola. Dopo aver trattato tutto il giorno con i fratelli, questo momento se l'era immaginato più semplice.

– Findekáno – cominciò, – questo dono dovrebbe essere accompagnato da promesse di devozione, da giuramenti di fedeltà… ma io a un Giuramento sono già vincolato…

Il cugino aprì la bocca per ribattere.

– No, lasciami finire – lo fermò Nelyafinwë. 

Poi trasse un profondo respiro, nel vano tentativo di inalare coraggio misto ad aria, e riprese: – Findekáno, non c'è più nulla in me di quello che c'era prima della prigionia. Non sono che un guscio vuoto, che racchiude soltanto odio, sete di vendetta e rancore. L'unica cosa che mi è rimasta… l'unica cosa che ti posso ancora promettere… è che in questo mio cuore lacerato e corrotto non ci sarà mai posto per altri che per te.

Un nodo gli serrò la gola, e cominciò a inciampare nelle sue stesse parole: – Se per te potesse bastare… questa misera promessa… se per te potesse bastare, allora… 

Incapace di aggiungere altro, tese la mano porgendogli il dono che essa conteneva.

Findekáno lo guardò per un lungo istante. Nelyafinwë sentì il suo cuore che si fermava e si chiese vagamente se avrebbe mai ripreso a battere. Non che la cosa gli importasse, in quel momento.

Ma alla fine il cugino accettò il pacchetto e lo aprì.

Scintille di smeraldo scaturirono tra le sue dita, come schegge di luce di Laurelin filtrate dalle foglie dei boschi di Aman. La morbida stoffa nera conteneva la gemma che aveva recuperato lo stesso Findekáno dal fondo del mare il giorno in cui Nelyafinwë si era reso conto della natura dei propri sentimenti. Ora era incastonata in un pendaglio di un'eleganza sorprendente, semplice e raffinato in pari misura, agganciato a una sottile catena argentea. Un'opera in cui si riconosceva chiaramente la mano di Fëanáro: arte e tecnica fuse insieme per la creazione del sublime.

– Maitimo... – sussurrò Findekáno, e tornò ad alzare lo sguardo su di lui.

– Maitimo – ripeté, come se faticasse ad accedere alla sua inesauribile riserva di parole.

Alla fine, però, trovò quella giusta.

– Sì – disse, e si passò la catena attorno al collo chiudendone il fermaglio con mani decise. La pietra gli si appoggiò sotto la gola, tra i bordi aperti della bella camicia celeste, decorati da ricami d'argento.

Il gesto aveva un che di definitivo, che trapassò il cuore di Nelyafinwë come una spada di gioia.

E il suo primo pensiero, quando la mente riprese funzionare di nuovo, non fu quello di aver agito da folle, da irresponsabile, contro la tradizione o, peggio, contro il volere del padre. Ma fu che ora avrebbe preso il suo… compagno tra le braccia e l'avrebbe baciato di nuovo, e che tutto il resto poteva anche venire ingoiato dal Vuoto in quel preciso istante, per quello che gli importava.

Si chinò sul cugino, certo di leggere nei suoi occhi lo stesso desiderio.

Invece Findekáno chiese: – Come l'hai avuta?

A Nelyafinwë servì un momento per tornare a concentrarsi su qualcosa che non fossero le labbra del cugino.

– Me l'ha data mio padre poco prima di… di partire per la sua ultima battaglia – rispose.

E con il pensiero tornò per un attimo alla tenda nell'accampamento sul Mistaringwë, a Fëanáro, già rivestito della sua armatura, che prendeva il pacchetto nero da uno scrigno e glielo porgeva. – Questa ti appartiene – gli aveva detto, con quello sguardo che scavava nel profondo, – se non sbaglio è merito tuo se non è andata perduta. – E allora lui si era chiesto quanto sapesse il padre di ciò che era accaduto su quella scogliera... e quanto sapesse di ciò che era accaduto nel suo cuore.

– No, intendo, come fa ad essere qui adesso? – insistette il cugino.  – Te l'ha portata Káno?

– Gliel'ho chiesta ieri – confermò Nelyafinwë.

– Ieri? – esclamò Findekáno incredulo. – Quando mi dicevi che avrei dovuto sposarmi per assicurare un erede a mio padre, avevi già pensato di… prometterti a me?

– Beh, diciamo che contavo su di te…

Findekáno esitò. – Messa così… – disse, con aria vagamente lusingata, – lo sai che potrai sempre contare su di me...

– Contavo sulla tua totale incapacità di fare la cosa più ragionevole – precisò Nelyafinwë.

– Sì… ecco… – borbottò il cugino, – anche su quella potrai sempre contare.

– Altre domande? – chiese Nelyafinwë, allungando la mano a accarezzare il viso del compagno, senza più curarsi di mascherare la propria impazienza. Findekáno ricambiò la carezza, le sue dita indugiarono teneramente su uno dei solchi che gli percorrevano la guancia, il suo sguardo indecifrabile.

Nelyafinwë credette di indovinare i suoi pensieri. – Non è rimasto molto di quella "straordinaria bellezza", vero?

– In realtà, stavo pensando proprio al contrario – lo stupì il cugino, – questi segni sul viso… questa nuova luce negli occhi… ti fanno sembrare decisamente… pericoloso. – Si alzò sulle punte dei piedi, mentre la sua mano gli scivolava dietro la nuca, – e come tu ben sai io...

– Tu ami il pericolo – ebbe appena il tempo di dire Nelyafinwë, prima che le sue labbra fossero coperte da quelle del cugino.

Nessuno sarebbe arrivato a interromperli, questa volta, e si presero tutto il tempo per assaporare quel momento a lungo desiderato. Non era più una sfida, ma un trionfo di entrambi. Presto scivolarono uno tra le braccia dell'altro e i loro corpi aderirono come se fossero stati modellati a quello scopo. Nelyafinwë sentì tutto il suo essere gioire di quel contatto, come quel lontano giorno sulla scogliera. Ora però non c'era più il terrore dell'ignoto, ma la certezza di essere ricambiato.

E allora tutto risplendette nella sua mente. Il cupo odio, la rabbia bruciante, la paura e il rimorso vennero spazzati via come le ombre dal mattino che avanza. E per una volta ci fu posto solo per l'amore e il desiderio.

Dopo un tempo che poteva essere un attimo o una vita intera, per come Nelyafinwë riusciva a tenere conto del suo scorrere, quando le dita di Findekáno, trovato un varco per insinuarsi sotto la sua camicia, gli accarezzavano la pelle nuda mandando brividi lungo tutto il suo corpo e la mano di Nelyafinwë, scesa lungo la schiena del cugino, forzava insieme i loro bacini, Findekáno si staccò per respirare.

– Aspetta, aspetta… – ansimò, – così finiremo per… non riuscire più a fermarci.

Nelyafinwë impiegò qualche istante per riprendersi dal distacco e qualcuno in più per afferrare il significato di quelle parole. "Non fermarsi", da un punto di vista strettamente spirituale, sarebbe stato il suggello definitivo di ciò che la pietra simboleggiava, il realizzarsi del suo desiderio più intimo. Ma, d'altra parte, sul piano fisico significava qualcosa di completamente nuovo e, nonostante il suo corpo mostrasse un entusiasmo, per così dire, molto concreto, si trovò impreparato.

– Non ho mai desiderato tanto qualcosa, Fin, ma temo di non aver mai pensato a come… voglio dire, a come...

Allora Findekáno, il Valoroso, avvicinò le labbra al suo orecchio e sussurrò: – Non ti preoccupare, Maitimo, io ho avuto moltissimo tempo per pensare al come… lascia fare a me.

E Nelyafinwë, sperando in cuor suo di riuscire a eguagliare la temerarietà del suo amante, lasciò fare a lui.

 

-

 

L'alba li trovò addormentati.

Nelyafinwë riemerse da uno splendido sogno, per trovarsi dentro a uno ancora migliore. Disteso su un fianco sopra il suo mantello, sentiva il cugino accoccolato contro la sua schiena, pelle contro pelle, il suo viso che gli premeva sul collo. Le braccia forti di Findekáno lo avvolgevano, una mano era chiusa attorno al suo polso reciso, l'altra aperta sul suo petto.

Tutto sembrava dire: sei con me. Non ti accadrà più nulla.

Cosa avrebbe dato per poter rimanere così per sempre. Ma l'orizzonte stava già tingendosi di rosa e il cinguettio insistente degli uccelli annunciava che il giorno sarebbe presto arrivato, implacabile.

Si divincolò delicatamente dall'abbraccio, prese i suoi pantaloni dal mucchio di vestiti che giacevano in disordine sull'erba accanto a loro e li indossò. Poi si chinò sul cugino e gli spostò una ciocca di capelli che gli ricadeva sul viso.

– Ehi – sussurrò, – non possiamo più indugiare.

– Mmm… – Findekáno non accennò a muoversi.

Nelyafinwë gli posò un leggero bacio sulla bocca. Come aveva previsto, il cugino rispose all'istante, con entusiasmo.

– Forse hai ragione, dopotutto – mormorò contro le sue labbra, – basta indugiare.

Nelyafinwë soppresse una risata e lo allontanò con decisione.

– Non c'è tempo – disse, porgendogli i suoi vestiti.

– Non ho bisogno di molto tempo…

– Fin.

– Va bene, va bene – cedette Findekáno, infilandosi i pantaloni, – mi sembrava un bel modo per…

Il cugino esitò. Le parole "dirsi addio" rimasero in sospeso tra loro, come una minaccia silenziosa.

– … per cominciare la giornata – riuscì a concludere Findekáno, ma ormai il danno era fatto e a Nelyafinwë tornarono in mente, inopportune, le parole della Condanna.

– "A un'infausta fine volgeranno tutte le cose che essi ben cominciano" – mormorò.

Ma Findekáno non era tipo da lasciarsi abbattere così facilmente.

Findekáno era il tipo che usciva vivo dalla presa del ghiaccio, che scalava i picchi dell'inferno, che mozzava la mano del suo amato per sottrarlo al Nemico, che trasformava un pazzo tremante in un condottiero implacabile.

Il cugino agitò una mano davanti a sé in un gesto vago, come se la Sorte dei Noldor fosse un granello di polvere che minacciava di finirgli negli occhi e non un macigno che gravava sulle spalle della loro stirpe pesante quanto il destino.

Poi gli si parò davanti e disse, tutto d'un fiato: – Questo è quello che dicono Loro, ma io credo che noi Noldor torneremo alleati, terremo il Nemico sotto assedio, e quando avremo recuperato forze sufficienti sferreremo l'attacco decisivo. Spediremo Moringotto in catene ad Aman... e che i Valar se lo tengano stavolta… voi rientrerete in possesso delle vostre dannate gemme per farne Eru solo sa che cosa, e noi abiteremo questa terra meravigliosa in pace – gettò un breve sguardo al lago sotto di loro, specchio nel quale il mondo si rinnovava, capovolto. – Sarà casa nostra, Maitimo.

Nelyafinwë lo guardò. Fossero quegli occhi accesi di determinazione, fosse la gemma che brillava come un cuore di smeraldo sul suo petto nudo, o il ricordo della notte che avevano appena condiviso, sembrava che il cugino irradiasse speranza da tutto il suo essere.

Findekáno letteralmente emanava ciò di cui lui era privo.

– Non… – cominciò.

Non lasciarmi mai, avrebbe voluto dirgli, non so cosa accadrebbe di me se ti perdessi. Serrò le labbra per impedirsi di pronunciare parole pericolose, oltreché patetiche, parole che avrebbero rischiato di vincolare Findekáno al suo destino in modo ancor più irrevocabile di quanto già non fosse. 

Ma il cugino, come se gli avesse letto nel pensiero, gli prese il viso tra le mani e gli piantò quegli occhi di cielo dritti nei suoi, come volesse aver la certezza che nemmeno una sillaba di ciò che stava per dire andasse perduta nell'aria del mattino. 

– Non intendo farlo, Maitimo – gli disse, con quieta solennità. – Quando abiterai nelle terre dell'Est, sarai un pensiero che mai mi abbandona. Quando scenderai in guerra contro il Nero Nemico, sarò il guerriero che combatte al tuo fianco. E se un giorno dovessimo perire in battaglia e alloggiare come ombre nella dimora di Mandos, io sarò lo spirito che attende con te.

Il cugino abbassò le mani, accarezzandogli il viso segnato, ma non distolse lo sguardo dal suo. 

Nelyafinwë riconobbe nei suoi occhi quella scintilla di folle determinazione e capì che Findekáno non aveva ancora finito. Trattenne il respiro, non sapendo cos'altro aspettarsi, più di quelle parole che lo terrorizzavano e lo confortavano in egual misura.

– Maitimo, se anche tu fossi costretto alla Tenebra Eterna a causa del tuo Giuramento, io rinuncerò alla nuova vita e rimarrò con te… nell'oscurità… fino alla fine del mondo.

Nelyafinwë scosse debolmente la testa. – Non puoi dire certe cose – esalò, atterrito.

– Perché no? Solo a Fëanáro e ai suoi figli è concesso fare giuramenti? – domandò Findekáno, con un lampo di sfida negli occhi.

E, come per dissipare ogni possibile dubbio, ribadì: – Tenn'Ambar-metta, Maitimo.

Lui e il cugino erano legati da sempre. Da quando gli Alberi risplendevano in Aman e il futuro non era altro che una promessa di felicità. Il loro legame aveva resistito al tradimento, all'abbandono, alla sofferenza, alla tortura, alla follia, all'odio, alla disperazione. Era un legame che andava contro la tradizione, contro il volere dei loro famigliari, forse persino contro le leggi di natura. Ma non c'era forza in tutta Arda, né fuori da essa, che potesse infrangerlo.

Nelyafinwë cercò la mano del cugino con la propria. In un soffio appena percettibile confermò la verità.

– Tenn'Ambar-metta, Findekáno.

 

-

 

Lasciarono che il sole si levasse oltre le vette orientali, prima di alzarsi. Si lavarono alla sorgente, mangiarono qualcosa e si vestirono con abiti adatti al viaggio. Poi smontarono il campo e impacchettarono tutto.

Makalaurë arrivò come promesso in tarda mattinata, con tre cavalli al seguito. Salutò Nelyafinwë con uno sbrigativo cenno del capo e si diresse deciso verso il cugino, che stava in disparte intento a rivestirsi delle sue armi: la spada a un fianco, il fodero ormai vuoto del pugnale all'altro, arco e faretra di traverso sulle spalle. La gemma verde brillava sul suo petto nella luce del mattino, e lo sguardo del fratello sembrava attratto da essa.

All'avvicinarsi di Makalaurë, Findekáno si chiuse il colletto della camicia e lo apostrofò: – Se sei venuto a dirmi ancora quanto ritieni inappropriato…

– Sono venuto a dirti che mi sbagliavo – lo interruppe Makalaurë, riuscendo in un'impresa in cui pochi avevano successo: lasciare Findekáno senza parole.

– Ho sempre reputato Russandol il migliore di tutti noi, e sempre mi sono chiesto cosa ci trovasse in te, per quale motivo cercasse l'amicizia di un ragazzino, figlio di uno zio inviso… – Makalaurë spostò a disagio il peso da un piede all'altro, poi riuscì a concludere: – Ora so che non c'è persona in tutta Arda che meriterebbe più di te di stare al suo fianco. Sarai come un fratello per me, Findekáno.

Il cugino restò solo un istante a bocca aperta, di fronte a quella dichiarazione chiaramente inaspettata, poi abbracciò l'altro con trasporto. Colto di sorpresa, Makalaurë non poté fare a meno di contraccambiare l'abbraccio.

Findekáno ne approfittò per sussurrargli qualcosa all'orecchio, qualcosa che assomigliava a una raccomandazione. Nelyafinwë non riuscì a coglierne le parole, ma vide il fratello annuire con enfasi.

Poi, senza dire altro, i tre caricarono le borse sul dorso dei cavalli e, montando a loro volta, lasciarono la radura.

Cavalcarono insieme verso Nord, discendendo le pendici dei monti, e giunsero presto al punto in cui le loro strade divergevano. I figli di Fëanáro avrebbero proseguito dritto per raggiungere il loro accampamento, mentre Findekáno avrebbe piegato a sinistra, mantenendosi radente alla catena montuosa, per aggirare il lago e giungere da ovest al campo di Nolofinwë.

Era il momento del distacco. Al loro prossimo incontro tutto sarebbe stato diverso tra loro, ci sarebbero stati ruoli da interpretare, copioni da seguire, compiti da svolgere. Presto Findekáno sarebbe stato l'erede del Re e lui il condottiero degli Spodestati.

Nelyafinwë non trovava le parole per separarsi dal cugino. Cosa poteva esser detto, ancora, dopo tutto quello che c'era stato tra loro? Dopo il riscatto, la guarigione, la rinascita, la condivisione. L'amore.

A giudicare da come si attardava a guardarsi attorno senza motivo, sembrava che Findekáno fosse preso dallo stesso dilemma. Il silenzio si prolungò al punto da diventare imbarazzante. Makalaurë cominciò a canticchiare tra sé.

Alla fine, come sempre, fu il cugino a fare la prima mossa. Fece avvicinare il suo cavallo a quello di Nelyafinwë, rovistò brevemente in una borsa e si protese verso di lui porgendogli un involto blu.

Un incrocio di sguardi, un leggero sfiorarsi delle dita al passaggio dell'oggetto, l'accenno di un sorriso d'intesa. 

Non c'era bisogno di parole, dopotutto.

Findekáno spronò il suo destriero e si diresse verso Ovest, lungo le pendici dei monti. 

I due figli maggiori di Fëanáro lo guardarono allontanarsi nella sua corsa sfrenata, finché non fu nient'altro che lampi di luce quando il sole colpiva le sue trecce dorate, sferzate dal vento. Una svolta lo nascose presto alla loro vista

Nelyafinwë indugiò per un attimo con lo sguardo sul mantello che stringeva nella mano. Poi lo ripose in una sacca e si lanciò al galoppo nella pianura davanti a sé, seguito da Makalaurë.

No davvero.

Non c'era più bisogno di parole.

Le uniche che contavano, le custodiva nel cuore come il più prezioso dei tesori.

"Tenn'Ambar-metta, Maitimo."

 

 

__________

Note Finali:


01.
Quenya - Sindarin
Makalaurë (Kanafinwë, Káno): Maglor
Fëanáro: Fëanor
Tenn'Ambar-metta: "Fino alla fine del mondo"

02.
Chiaramente mi attengo alla versione in cui Fingon "non ebbe né figli, né moglie" (HoME vol. 12, nota 35 di "The Shibboleth of Fëanor")

03.
Inizialmente, la Pietra Verde che Fëanor dà a Maedhros, e che poi Maedhros regala a Fingon, era concepita per essere nient'altro che quell'Elessar che Galadriel dona ad Aragorn ne Il Signore degli Anelli (HoME vol. 11, nota 97 di "The Later Quenta Silmarillion"). Più tardi, però, Tolkien darà all'Elessar un'origine diversa (anche più di una, in realtà).

04.
Inutile precisare che NON ritengo affatto che il legame tra Fingon e Maedhros sia "contro le leggi di natura", è il pov di Maedhros che tende ancora a considerare anomalo un tipo di rapporto di cui non conosceva l'esistenza (ma non durerà molto!).

05.
Per la cronaca, io non credo che Fingon credesse davvero alle parole che dice a Maedhros riguardo alla sconfitta di Morgoth e al recupero dei Silmaril… semplicemente era la cosa giusta da dire in quel momento e l'ha detta. (Non è così impulsivo come crede Maedhros, sa quando è meglio dire la verità e quando… evitare) 

06.
GRAZIE per aver letto!

  
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